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Spariti nel nulla
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E-book275 pagine4 ore

Spariti nel nulla

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Info su questo ebook

Nella sua sesta avvincente avventura, Luca Bonelli si muove sullo sfondo

di una fredda Milano invernale e di una Tunisia assolata.

La

scomparsa di tre giovani ragazze lo spinge a investigare in un mondo a

lui sconosciuto che da un night club della periferia milanese lo porta

fin nel mondo delle regate internazionali.

Un intreccio coinvolgente

che si muove di pari passo alle storie amo rose del detective, sempre

ingarbugliate e un po' frivole, ma che lasciano sempre il segno.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2021
ISBN9791220327909
Spariti nel nulla

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    Anteprima del libro

    Spariti nel nulla - Raffaele Galantucci

    info@youcanprint.it

    1

    L’orologio del cruscotto segnava esattamente le 11,18 del 7 gennaio, ero partito da circa una decina di minuti dall’aeroporto di Malpensa e stavo tornando a casa, a Milano, dove purtroppo non c’era nessuno ad aspettarmi. Avevo accompagnato Francesca, la mia ragazza che aveva prenotato il volo di rientro a Boston dove lavorava, con la compagnia tedesca Lufthansa, sarebbe atterrata dopo circa 11 ore e 30 minuti previo scalo a Monaco di Baviera. Aveva avuto problemi di morbillo e contrariamente alle sue previsioni, di venire a Milano appena guarita nel mese di ottobre, aveva dovuto rimandare il viaggio perché a turno erano state contagiate anche le sue colleghe, perciò si erano sostituite a vicenda. Inizialmente mi ero sentito contrariato perché avevo voglia di vederla, ma in fondo mi era andata bene così perché almeno era rimasta con me per tutte le feste di Natale.

    Avevamo passato una quindicina di giorni meravigliosi. Ero riuscito a trovare una stanza a Bormio in un hotel che conoscevo e dove avevo già soggiornato qualche anno prima per lavoro. Francesca era stata felicissima di trascorrere quelle giornate sulla neve, anche se nessuno dei due sciava. Intanto con la mente stavo ricordando quello che mi aveva detto poco prima di allontanarsi nella gimkana che si fa di solito negli aeroporti per entrare nella zona dei controlli,dopo aver fatto il chek - in: «Luca ti prego vieni via con me, non riesco a pensare di dover stare ancora per almeno tre mesi senza vederci ! Lo so che non puoi prendere questo volo con me, ma potresti raggiungermi non appena trovi il tempo per farlo.»Lo diceva mentre vedevo che qualche lacrima cominciava a scendere lentamente sulle guance, e se le asciugava con un kleenex che iniziava a inumidirsi.

    «Mi piacerebbe farlo, anche perché momentaneamente non ho grossi impegni. Ma secondo te cosa potrei fare li da solo, mentre tu sei al lavoro? Tra l’altro conosco appena tre o quattro parole di inglese, quindi mi sentirei a disagio fuori dal mio mondo».

    «Forse hai ragione, ma ci speravo» rispose gettando il fazzolettino in un cestino li vicino.

    «Facciamo così» esordii cercando di essere convincente, anche se neanche io ci credevo

    «adesso che resto da solo vedrò di prendere qualche lezione di inglese, anche perché l’avevo promesso a Roberto che l’avrei fatto, quando tu mi avviserai che mancano una quindicina di giorni al tuo rientro, ti raggiungo e poi ce ne torniamo insieme. Cosa ne pensi ti sembra una buona idea?»

    «Direi di sì, mi sembra una bella idea» la guardai e notai che aveva ancora gli occhi umidi, ma almeno aveva smesso di piangere. Si alzò in punta di piedi e mi diede un bacio salato, ma vero. Mi fece tenerezza e la strinsi a me, rispondendo al bacio, poi indicando un orologio appeso al muro dissi: «È ora che tu vada, non credo che l’aereo ti possa aspettare. Mi raccomando mandami almeno un messaggio quando arrivi». Guardò l’orologio che le avevo regalato per Natale poi mi baciò nuovamente, mentre le spuntavano ancora due lacrime negli occhi.

    «Mi prometti che nel frattempo non mi dimentichi?»

    «Ma certo perché dovrei? Ti amo!» Non disse più nulla e assentì con la testa, e dopo aver preso un altro fazzolettino dal pacchetto raccolse il bagaglio a mano e si avviò alle transenne. Mi parve di sentire che dicesse, mentre si asciugava gli occhi: «Già non vedo perché dovresti !»

    «Rimasi fermo sul posto fino a quando si girò per l’ultima volta verso di me, prima di sparire dalla mia vista, e mi mandò un ultimo bacio con la mano. Risposi alla stessa maniera, poi mi incamminai verso l’uscita per andare al parcheggio e recuperare la I20.

    =====

    Era una di quelle giornate veramente brutte con l’umidità che ti penetrava nelle ossa, cominciava a scendere una nebbia che si infittiva sempre di più, man mano che avanzavo sul raccordo che andava a collegarsi con l’autostrada dei laghi. Accesi la ventola del riscaldamento e anche i fari antinebbia, cercavo di non pensare a Francesca che già mi mancava, mi ero abituato ad averla vicino. Distolsi per un attimo lo sguardo dalla strada, guardando dal finestrino, e quando mi concentrai di nuovo sulla guida, le luci della macchina che mi precedeva di una decina di metri erano sparite, eravamo entrati in un mondo completamente ovattato e non si vedeva più nulla. Non stavamo andando molto forte e quindi riuscii a bloccare l’auto quando improvvisamente vidi accendersi gli stop della macchina che mi precedeva, alla mia sinistra si intravedeva un cartello su cui si riusciva appena a intuire che ci fosse scritto Milano. Il parabrezza era completamente bagnato, misi in funzione i tergicristalli intanto la macchina davanti azionò le quatto frecce, lo feci anch’io, imitato anche dalle due auto dietro. Non si riusciva a vedere se oltre a noi ci fossero altre vetture più indietro. Avanzavamo a passo d’uomo, fermandoci ogni tanto per qualche minuto. Naturalmente eravamo tutti alla distanza massima di un metro uno dall’altro, per paura di perderci di vista. Cercavo sempre di tenere d’occhio lo specchietto, per controllare se fosse tutto a posto, ma quando vidi spuntare all’improvviso due lame di luce degli abbaglianti, e sentii lo stridore un po’ attenuato nella nebbia, capii che stava per succedere qualcosa. Fu in quel momento che immaginai che non avrei più rivisto Francesca e pensai anche con rimpianto a Giulia, Valentina, Sonia e tutte le altre, perciò mi appoggiai allo schienale stringendo forte il volante e chiudendo gli occhi. Si sentì una botta tremenda, poi un susseguirsi di colpi sordi, e fui tamponato violentemente, di conseguenza tamponai l’auto che mi precedeva. Forse avevo mollato un po’ la presa sul volante, e magari non avevano funzionato l’airbag e la cintura perché mi trovai catapultato in avanti e non sentii più nulla.

    2

    Sentivo che qualcuno stava trafficando dietro di me, ma non riuscivo a vedere chi fosse. Si sentiva l’aria fredda che entrava da qualche parte in quello che restava dell’auto e finalmente notai che la nebbia era sparita, forse perché appunto si era levato il vento. Mi alzai il bavero del giaccone perché mi resi conto di avere freddo, chi stava dietro di me si accorse del mio gesto e mi passò un plaid, mi coprii alla meglio e mi misi tranquillo ad aspettare che mi liberassero. Guardai attentamente davanti e notai che il viso sorridente, che avevo visto in precedenza, era quello di uno di quei pupazziche col movimento dell’auto muovono la testa, ed era posato sul pianale dell’auto che mi aveva preceduto, che essendo una Volvo, cioè molto robusta, aveva avuto la meglio sulla mia. Cercai di muovere le gambe ma non ci fu nulla da fare, erano bloccate, però non sentivo alcun dolore perciò cominciai a sperare per il meglio, forse mi era andata bene malgrado il dolore alle braccia e al collo. Cercai di non pensare a nulla e facendo tesoro degli insegnamenti del maestro Matushita, riuscii a rilassarmi finché a un certo punto sentii che qualcuno tirava indietro il sedile, e finalmente riuscii a muovere le gambe, provai a fare diversi movimenti e mi sembrò tutto ok: tirai un sospiro di sollievo.

    Mi aiutarono a scendere e mi fecero adagiare su una barella, mi coprirono con uno di quei teli che sembrano di alluminio e mi infilarono in un’ambulanza. Dopo un po’ entrò una persona che immaginai fosse un dottore, perché mi chiese come mi sentivo.

    «A parte il male alle braccia, al collo, alla schiena e al freddo mi sembra bene». Mi fece diverse domande, poi mi piegò le gambe alcune volte e infine mi controllò le parti del corpo che erano indolenzite: «Anche a me sembra che non vada tanto male, adesso però andiamo in ospedale e vedremo meglio. Posso fare qualcos’altro per lei?»

    «Prima mi dica se ci sono altre persone messe male, oppure se c’è qualcuno che non ce l’ha fatta»mi guardò, scuotendo piano la testa.

    «In linea di massima sono tutti più o meno nelle sue condizioni, a parte il conducente della Panda, che era due auto dopo la sua che, essendo molto alto, si è rotto tutte e due le gambe, a lei è andata bene perché se fosse stato una decina di centimetri più alto, secondo me avrebbe fatto la stessa fine»,disse, guardandomi fisso.

    «Ma cosa è successo?»

    «L’autista di un SUV KIA non ha fatto in tempo a frenare, però andava molto veloce e secondo me era sotto effetto di alcol o droga».

    «E come sta?»,mi fissò scuotendo la testa.

    «Lui non ce l’ha fatta! E adesso andiamo».

    «Un’ultima cosa, può guardare se nell’auto ci sono il mio orologio e il mio cellulare, per terra o da qualche parte? Non vorrei perdere l’orologio perché per me è un ricordo. Secondo lei l’auto può ancora andare?» Non rispose nulla e si allontanò, Tornò dopo cinque minuti e mi porse l’orologio e il telefonino.

    «Tenga, funzionano tutti e due» disse porgendomeli «ma la sua vettura non potrà certo funzionare in quelle condizioni, secondo me non le converrà neanche farla riparare».

    «E cosa succede, resta lì ?»

    «Non si preoccupi ci penserà la polizia stradale a farla rimuovere, insieme a tutti i mezzi incidentati, poi vedrà che verranno a trovarla in ospedale e le daranno tutte le informazioni, oltre a sentire anche la sua versione. Ora basta, andiamo in ospedale lei è l’ultimo».

    «In quale ospedale mi portate?»

    «In quello di Busto Arsizio! A proposito vuole che avvisi qualcuno della sua famiglia?»

    «No grazie, al momento sono solo».

    «Ok allora possiamo andare» poi mentre chiudeva la portiera sentii che diceva: «Forza Adelmo andiamo a Busto!»

    Fu in quel momento che sentii che mi si chiudevano gli occhi, forse per la reazione dal freddo al tepore dell’ambulanza, ma feci appena in tempo a guardare l’orologio prima di addormentarmi: erano le 15,44.

    3

    L’ambulanza si era fermata con un sussulto e aprii gli occhi, poco dopo si spalancò il portellone e apparve il volto sorridente del dottore: «Come va?» Chiese.

    «Non è cambiato molto da quando abbiamo parlato prima».

    «Ok, comunque siamo all’ospedale di Castellanza, perché a Busto non c’era più posto, ma stia tranquillo sono bravi anche qui».

    «D’accordo, sono assolutamente tranquillo!». Intanto erano arrivati due infermieri con un’altra barella per spostarmi.

    «Le faccio i miei auguri» disse il dottore «io devo tornare in sede, vedrà che andrà tutto bene».

    «Grazie dottore, auguri anche a lei», mi diede un colpetto sulla spalla e risalì sull’ambulanza che si allontanò, intanto i due infermieri mi portarono all’interno del pronto soccorso.

    Immediatamente arrivò una dottoressa che mi fece un’infinità di domande, poi mi portarono in radiologia per una Tac, e dopo altri controlli mi misero un collarino, mi diedero delle pillole e mi parcheggiarono in un locale adiacente al pronto soccorso.

    Tutto sommato mi sentivo abbastanza bene e anche i dolori stavano passando, mi misi tranquillo e intanto pensai di non dire nulla a Francesca, altrimenti si sarebbe sentita in colpa, perché l’avevo accompagnata io in aeroporto.

    «Erano le 19 quando arrivarono due agenti della polizia stradale, mi chiesero se ricordavo qualcosa di ciò che era successo e raccontai loro quello sapevo, infine domandai notizie della mia auto.

    «Purtroppo è proprio messa male penso che non varrà la pena di farla riparare, comunque ci dia tutti i suoi dati che le invieremo una copia del verbale per l’assicurazione. Questo è il biglietto da visita dell’officina dove è stata portata, chiami il titolare per accordarsi su quello che si può fare. E questo è il numero della centrale, se avesse bisogno di mettersi in contatto con noi, io sono il sovrintendente Argenti». Dettai i miei dati mentre il collega prendeva nota, poi il sovrintendente disse: «Ora noi andiamo, arrivederci e tanti auguri».

    «Grazie di tutto, arrivederci». Ci stringemmo la mano e se ne andarono.

    Erano ormai le 20 quando si presentò un altro dottore, aveva un sacco di carte in mano. «Dunque signor Bonelli, direi che è stato abbastanza fortunato, non c’è nulla di rotto ed è tutto a posto, le ho prescritto degli analgesici nel caso ne avesse bisogno, questa è la ricetta. Se se la sente e se vuole può anche andare a casa, ma se vuole il mio parere le consiglierei di restare qui per stanotte, però decida lei».

    «La ringrazio dottore, ma preferisco andare a casa, mi sento abbastanza bene». Mi guardò scuotendo la testa e scrollando le spalle.

    «Come preferisce, anche se non sono proprio d’accordo. Queste sono le carte di dimissioni compresa la ricetta. Allora auguri e buona fortuna». Mi tese la mano e gliela strinsi, poi con un ultimo cenno del capo si allontanò.

    Mi stavo vestendo quando entrò un’infermiera con un bicchiere e due pastiglie: «Prenda queste, il dottor Guglielmi mi ha detto di portargliele che le faranno certamente bene, in attesa che possa procurarsi quello che le ha prescritto, e tenga il collare almeno fino a domani». La ringraziai con un cenno della testa e le ingoiai vuotando il bicchiere.

    «Grazie» le dissi restituendolo «mi può dire se qui vicino c’è un posteggio di taxi?»

    «Le do il numero di telefono così può chiamare direttamente, di solito arrivano velocemente. Vuole scriverselo?» Lo memorizzai sul cellulare mentre me lo dettava e la ringraziai per la sua gentilezza, lei assentì e si allontanò lungo il corridoio.

    Finii di vestirmi e mi diressi verso l’uscita. Mi fermai all’ingresso e chiamai il numero, il taxi arrivò nel giro di cinque minuti, mi feci portare alla stazione ferroviaria più vicina, che risultò essere quella di Busto, pagai l’autista lasciandogli una buona mancia. Entrai in stazione e fui anche abbastanza fortunato, perché feci appena in tempo a fare il biglietto prima che arrivasse il treno. Alle 21,50 scendevo alla stazione di porta Garibaldi, mi fermai al bar e ordinai due toast farciti con una birra scura, poi mentre andavo verso l’uscita alla ricerca di un taxi, passando davanti alla libreria notai che era uscito l’ultimo libro di Gianni Simoni, un bravo scrittore che a me piaceva, mi fermai a comperarlo. Presi il primo taxi della fila e mi feci portare a casa. Dopo una bella doccia, quasi bollente, mi infilai nel letto, mancavano dieci minuti a mezzanotte, era stata una giornata abbastanza lunga.

    =====

    Capo pattuglia chiama Corvo…. Era il mio telefonino che parlava, guardai la radiosveglia aprendo un occhio soltanto e vidi che segnava le 9,12 però il cellulare non era sul comodino, l’avevo lasciato sul mobile in cucina, sotto carica. Non avevo voglia di alzarmi per andare a prenderlo, stavo proprio bene a letto, tanto più che non avevo nulla di importante da fare. Richiusi l’occhio e mi voltai verso il lato del letto che era vuoto. Non passò neanche un minuto che cominciò a suonare il telefono fisso, mi sollevai contro la testiera del letto e alzai la cornetta: «Pronto?»

    «Luca!» La voce di Valentina, la mia amica giornalista del Corriere della Lombardia. Era un po’ che non ci sentivamo, esattamente dalla conclusione del caso dello scrittore Raffaele Gariboldi. Pensavo non mi avrebbe più chiamato, infatti erano passati forse più di un paio di mesi, perciò fu una bella sorpresa e devo ammettere che mi fece molto piacere.

    «Ciao Valentina, avevo cominciato a pensare che non ti avrei più risentita».

    «Santo cielo perché non hai risposto al cellulare? Mi hai fatto impensierire. Ho sentito dell’incidente sull’autostrada dei laghi, hanno detto i nomi delle persone coinvolte senza dare altre notizie più precise. Quando ho letto il tuo mi sono spaventata pensando che potessi avere bisogno, sapevo che eri da solo».

    «Grazie per il tuo interessamento, avevo pensato che ti fossi dimenticata di me, visto che avevi promesso di chiamarmi e non l’hai più fatto. Ormai avevo cominciato a perdere le speranze. Comunque sto abbastanza bene, sono ancora un po’ debole e indolenzito per il colpo, ma ho deciso di stare in casa tutto il giorno e penso proprio che domani starò meglio».

    «Però potevi anche chiamarmi tu se avevi cosi tanta voglia di vedermi».

    «Hai ragione, ma non sapevo se facevo la cosa giusta facendomi sentire io, anche perché avevi detto che saresti stata tu a farlo. Però sapessi quante volte sono stato tentato. Ma dimmi un po’ tu sei a Milano? E come stai?»

    «Direi che mi sento molto meglio, dopo quello che è successo. Al momento sono a Sondrio per un servizio sullo sci, però devo rientrare in giornata, penso che sarò a casa per il tardo pomeriggio. Se non ti dispiace vorrei venire di persona a sincerarmi che tu stia veramente bene».

    «Non osavo chiedertelo, ma avevo sperato che lo dicessi».

    «Va bene vengo io da te appena arrivo a Milano».

    «D’accordo, vieni quando vuoi non ho intenzione di muovermi da casa».

    «Allora a dopo, ciao Luca».

    «Ciao Valentina, ci credi che non vedo l’ora».

    «Anch’io.» Riattaccò senza aggiungere altro. Rimasi pensieroso per un paio di minuti con la cornetta in mano, prima di posarla sul suo supporto.

    Ormai ero sveglio e tanto valeva che mi alzassi, anche perché avevo voglia di bere un buon caffè. Mi recai in cucina preparai la caffettiera da tre tazze e la misi sul fornello. Cercai nei pensili e l’unica cosa che trovai furono i biscotti che piacevano a Elena, e mi chiesi chissà perché continuavo ancora a comperarli. Presi la scatola e andai a sedermi al tavolo, dopo aver staccato il cellulare dalla presa di corrente. Presi un biscotto e lo addentai mentre col pensiero andai a Elena. Anche lei non l’avevo più sentita da quando ero andato a incontrarla alla stazione centrale, anche se toccava a me darle la risposta se volevo trasferirmi in Romagna. Onestamente non ci avevo pensato più di tanto: non me la sentivo di lasciare Milano. Avrei pensato a una risposta, nel momento in cui avesse chiamato.

    La caffettiera cominciò a gorgogliare, mi alzai e andai a vuotare il caffè in una tazza grande, aggiungendo anche un goccio di latte. Tornai a sedermi e terminai la mia frugale colazione.

    Comunque a parte il male al collo,mi sentivo abbastanza bene. Guardai se fosse arrivato qualche messaggio da parte di Francesca, infatti c’era: Ciao amore mio, sono arrivata a casa da poco e il viaggio è andato bene, ricordati quello che mi hai promesso. Sappi che già mi manchi, spero che almeno mi penserai. Adesso vado a riposare perché sono un po’ stanca. Baci baci. Se devo essere onesto mi mancava anche lei, magari più tardi avrei provato a chiamarla.

    Mi tolsi il collare e lo posai sul ripiano del lavandino accanto al cellulare, mi spalmai la schiuma e cominciai a radermi quando Capo pattuglia chiama Corvo … Misi il viva voce senza guardare chi fosse. «Pronto?»

    «Ciao Luca. Meno male che mi hai risposto, ho sentito per televisione dell’incidente sull’autostrada e hanno fatto anche il tuo nome, inoltre hanno detto che c’è stato anche un morto. Non avevano detto altro e ho temuto per te. Stai bene?». Riconobbi subito la voce: era quella di Giulia.

    «Si tranquilla, sono un po’ indolenzito ma penso di riuscire a sopravvivere, però mi manca la mia infermiera. Dove sei non ti ho più sentita».

    «Sono a Ginevra per un convegno con le polizie di altri stati. Mi dispiace di non poterti aiutare ma sono impegnata qui ancora per un po’. Se quando torno avrai ancora bisogno fammelo sapere. Lo sai che per te ci sono sempre».

    «Grazie Giulia sei una vera amica».

    «Spero non solo quello».

    «Assolutamente, sei molto di più e tu lo sai bene».

    «Mi fa piacere sentirtelo dire, ci sentiamo quando torno abbi cura di te. Ora però ti devo lasciare devo proprio andare. Ciao».

    «Grazie per la telefonata mi ha fatto più che piacere sentirti, ciao». Spensi il vivavoce e terminai quello che stavo facendo.

    Continuavo a impegolarmi sempre di più con le donne, forse era ora di pensare a mettere la testa a posto. Però per me era difficile decidere, e con questo pensiero che mi aveva assalito andai a prepararmi un altro caffè, poi preso il libro che avevo comperato alla stazione di Porta Garibaldi, andai a sedermi su una delle poltrone in sala e mi immersi nella lettura.

    Non avevo voglia di uscire però a mezzogiorno chiamai la pizzeria, dove mi servivo di solito. Erano passate da poco le 12,30 quando consegnarono quello che avevo ordinato, smisi di leggere e pranzai. Ripresi la lettura ma dopo un po’ mi addormentai. Mi svegliai di soprassalto per l’insistenza del cicalino del citofono che non smetteva. Guardai l’orologio: erano le 17,25, mi alzai e andai a rispondere. «Sì?».

    «Luca, sono Valentina».

    «Vieni pure» dissi e spalancai la porta d’ingresso. La vidi arrivare sul sentiero del giardino: era più bella di come la ricordavo. Salì di corsa i cinque gradini e mi gettò le braccia al collo. «Allora è vero che stai bene, avevo pensato che non mi

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