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Un Business che avvelena
Un Business che avvelena
Un Business che avvelena
E-book245 pagine3 ore

Un Business che avvelena

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Info su questo ebook

Mafia, rifiuti droga e altro, portano Luca Bonelli nel vortice di un traffico internazionale. Lo smaltimento illegale di rifiuti, attività tra le più redditizie, pericolose e multiformi per le ecomafie, porterà il nostro detective fino in Croazia. Si muovono con lui i suoi amici di sempre, e la fidanzata giornalista che rischia la vita, per aver inconsapevolmente scoperto questo traffico, oltre ad alcune storie amorose capitate e non volute come gli succede solitamente.

Solo l'intuito di Luca Bonelli riuscirà a mettere fine a questa vicenda ingarbugliata.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2022
ISBN9791221402889
Un Business che avvelena

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    Anteprima del libro

    Un Business che avvelena - Raffaele Galantucci

    1

    L’orologio digitale sulla scrivania segnava le 12,20. Dopo un’ultima occhiata, decisi che avrei fatto in tempo a preparare un paio di toast prima di recarmi all’appuntamento che il dottor Molinari mi aveva confermato per le 14,30, presso la sede della sua azienda in via San Faustino, più o meno nella zona di Lambrate.

    Mi voltai con la poltroncina verso il tavolino della stampante e l’accesi, ritornai nella posizione precedente e pestando sui tasti del mio Pc, finii di copiare le ultime quattro righe della relazione di chiusura dell’indagine, che mi aveva commissionato una decina di giorni prima. Rilessi con cura quello che avevo scritto e infine soddisfatto, cliccai su stampa. La stampante partì e in un attimo sfornò le pagine, la spensi e le raccolsi. Le infilai in una cartelletta insieme alle foto e all’altro materiale che avevo raccolto, aggiunsi la fattura che avevo preparato in precedenza e la chiusi. Spensi il computer e andai in cucina.

    Preparai i toast, li infilai nel tostapane. In quel momento sentii Capo pattuglia chiama Corvo, rispondimi Corvo… era il mio cellulare che parlava, però l’avevo lasciato in ufficio sulla scrivania, mi avviai per andare a prenderlo ma quando arrivai, tacque. Guardai numero sconosciuto non era nella rubrica perciò non mi preoccupai più di tanto, se avevano bisogno avrebbero richiamato. Me lo infilai in tasca e tornai ai miei toast che accompagnai con un buon bicchiere di Pinot grigio. Dopo il caffè misi quello che avevo usato nel lavello, andai a prendere la cartelletta in ufficio e mi diressi nel box a prendere la Clio. Prima di salire sulla vettura il cellulare parlò ancora.

    «Pronto?».

    «Luca?». Voce conosciuta, ma non riuscivo ad associarla a nessuno che conoscessi. «Sì!»

    «Va bene che è un po’ che non ci vediamo, ma mi rendo conto che non mi hai riconosciuto, sono Roberto!».

    «No! Finalmente ti fai vivo, ho tentato diverse volte di chiamarti ma non mi hai mai risposto, non sapevo più cosa pensare. Neanche Rita sono riuscito a contattare. Cosa è successo? Comunque spero stiate bene».

    «Sì va tutto bene, comunque Rita l’hanno scippata ancora una volta così ha dovuto cambiare ancora telefono, inoltre era stanca di stare da sola e negli ultimi tempi si era trasferita per un po’ dalla madre a Rimini, tanto io ero impegnato lontano dall’Italia, quindi adesso non è a casa. Ho visto le tue chiamate ma non potevo risponderti, per motivi che puoi facilmente immaginare. Finalmente mi sono deciso, mi sono stancato di quella vita e ho chiesto il trasferimento. Mi hanno assegnato alla squadra omicidi perciò mi fermo a Milano, anche perché se non l’avessi fatto correvo il rischio che lei mi lasciasse, ecco perché adesso sono qui».

    «Molto bene sono proprio contento così almeno possiamo vederci qualche volta di più».

    «Certo, ma ti chiamavo per un altro motivo. Siccome abbiamo deciso di sposarci, mi farebbe piacere se tu accettassi di farmi da testimone».

    «Caspita lo farò molto volentieri» risposi guardando l’orologio del cruscotto che segnava le 14,10 e pensando, che correvo il rischio di arrivare in ritardo al mio appuntamento «però Roberto mi dispiace ma ora ti devo lasciare ho un appuntamento di lavoro. Ma perché non ci vediamo magari stasera a cena, cosi possiamo parlare con più calma e mi racconti tutto?».

    «Ottima idea anche Rita voleva rivederti ma dato che non c’è possiamo vederci noi, però stasera non posso io , ti andrebbe bene magari domani sera?»

    «Mi va benissimo ci sentiamo domani in giornata e ci mettiamo d’accordo».

    «Ok Luca allora a domani, ciao» risposi allo stesso modo, chiusi la comunicazione misi in moto e mi avviai verso la via San Faustino, dove appunto era situata l’azienda del mio cliente.

    Mi ci volle un po’ per trovare un posto libero dove parcheggiare, finalmente dopo un paio di giri vidi un suv che si stava allontanando dal marciapiede, mi precipitai e mi infilai subito prima che arrivasse qualcun altro e me lo portasse via, anche se ero distante dall’ingresso dell’azienda almeno 400 metri. Presi la mia cartelletta e mi avviai.

    Era una bella costruzione abbastanza recente e molto grande, sulla targa all’ingresso del cancello si leggeva soltanto Molinari Spa senza alcun riferimento a ciò che facevano nello stabilimento più di cinquanta dipendenti.

    Arrivato vicino alla porta, si aprì automaticamente ed entrai. Mi trovai in un ampio ingresso con una scrivania con sopra due telefoni, un computer e diverse carte. Mi avvicinai e la persona che era seduta chiese gentilmente «Posso aiutarla?»

    «Penso di sì, mi chiamo Bonelli e ho un appuntamento col dottor Molinari». Annuì e prese la cornetta di uno dei due telefoni, spiegò a chi rispose quello che gli avevo detto e in lontananza, mi parve di sentire una voce di donna che diceva mandalo su. Posò la cornetta e disse «Si accomodi al primo piano, è atteso» annuii e risposi grazie. Dirigendomi verso la scala che mi

    aveva indicato. Sbucai in un ampio locale con a destra degli uffici open space separati da basse transenne e a sinistra diverse porte. La seconda era aperta e da essa uscì una donna dell’apparente età di 35 anni, molto attraente con una minigonna da capogiro. Si diresse verso di me con la mano tesa e un gran sorriso sulle labbra carnose. «Venga signor Bonelli sono Marta Anselmi, la segretaria del dottor Molinari, piacere di conoscerla».

    «Piacere mio signora Anselmi» ci stringemmo la mano e con un sorriso aggiunse: «signorina! Ma si accomodi prego» aprì la porta successiva, si fece da parte e sempre col suo sorriso sulla bella bocca aggiunse «a dopo!». La ringraziai con un cenno del capo ed entrai.

    2

    Non conoscevo il Molinari di persona, mi aveva telefonato un giorno:«Buon giorno signor Bonelli, ho avuto il suo numero dal signor Rosati, mi ha assicurato che lei è un ottimo investigatore, molto onesto e capace perciò avrei bisogno della sua opera. Pensa di potermi aiutare?» Mi ricordai di Rosati, avevo aiutato la figlia a uscire da una brutta situazione circa un paio di anni fa. Ma più che altro mi ricordavo di lei Roberta, per motivi che non starò a raccontare ma che si possono intuire. Inoltre questo sarebbe stato il terzo cliente a cui mi aveva raccomandato. Dovevo ricordarmi di chiamarlo per ringraziarlo.

    «Penso di sì, dipende da cosa le serve!»,risposi

    «Mi chiamo Franco Molinari ma dovremmo incontrarci, non posso parlarne per telefono».

    «Va bene mi dica quando e dove».

    «Non possiamo farlo nel mio ufficio in azienda, potrebbe venire a casa mia?». Guardai l’ora erano le 16, potevo anche andarci.

    «Per me va bene mi dia l’indirizzo».

    «Via Ronchi 31, però venga per le 18, prima non riesco a rientrare.

    «D’accordo allora a dopo, arrivederci».

    Alle 18 precise stavo spiegando al portiere di un condominio molto signorile, che dovevo incontrarmi col dottor Molinari e che mi rispose «Sì me l’ha detto, è rientrato da poco. Sesto piano ascensore a sinistra».

    «Grazie» dopo un cenno di saluto mi diressi nella direzione che mi aveva indicato. Suonai e mi venne ad aprire una persona sulla cinquantina di bella presenza e alquanto atletico. «Si accomodi signor Bonelli» si spostò per lasciarmi passare e intanto mi porse la mano che strinsi «Piacere» dissi mentre mi guardavo in giro, notai che l’appartamento era enorme, probabilmente occupava tutto il piano.

    Mi fece strada verso il suo studio, un locale molto grande e ben arredato con molti quadri alle pareti, andò a sedersi dietro la scrivania mentre mi indicava una poltroncina posta sul davanti. «Si accomodi, sono solo mia moglie non c’è, posso offrirle qualcosa da bere?».

    «La ringrazio, accetto volentieri un cognac con ghiaccio». Annuì e preso il telefono chiamò qualcuno parlando in spagnolo.

    «Dunque, signor Bonelli, adesso le spiego cosa vorrei che lei facesse per me. Ho un’azienda dove produciamo apparecchiature elettroniche e altro materiale che serve per i vari funzionamenti delle tecnologie del giorno d’oggi. Ho un socio al 20% …» si interruppe e disse «vieni Ines» avevo sentito anch’io che avevano bussato. Entrò una donna di mezz’età con un vassoio con sopra due bicchieri, un secchiello del ghiaccio e una bottiglia di Courvoisier. Posò il tutto su un tavolino che si trovava a fianco e se ne andò senza pronunciare una parola. Molinari si alzò e preparò le bibite, mi porse uno dei bicchieri e tornò a sedersi.

    «Come le stavo dicendo ho un socio, Matteo Sangalli, e ho l’impressione che venda dei nostri progetti alla concorrenza. Vorrei avere le prove di questo per poterlo liquidare e mandarlo via, ma senza rovinarlo, non me la sento». Alzò il bicchiere verso di me come per brindare, feci altrettanto e assaggiai il cognac: era ottimo!

    «Va bene posso provarci, mi dica tutto quello che devo sapere. Intanto le dico che la mia tariffa è di 200 euro al giorno più le spese …» mi fermò con un gesto della mano.

    «Non voglio sapere il prezzo, quando avrà finito mi porti la fattura e io la pago». Intanto aveva aperto un cassetto prese un foglio e me lo porse.

    «Tenga qui c’è tutto quello che deve sapere, compreso ciò che penso io, adesso le firmo un assegno per un anticipo …»

    «Non si preoccupi» lo fermai «mi pagherà alla fine se riuscirò a scoprire qualcosa».

    «Come vuole lei, allora aspetterò sue notizie».

    «Senz’altro» finii di bere posai il bicchiere e mi alzai «ci sentiamo dottor Molinari». Si alzò anche lui e mi accompagnò all’uscita. Passando attraverso l’ingresso sentii un profumo tenue, delicato e molto buono, mi guardai intorno con indifferenza ma non vidi nessuno, ci stringemmo la mano e me ne andai.

    3

    L’ufficio del titolare della Molinari spa era veramente magnifico, molto più bello dello studio di casa sua. Si alzò e mi venne incontro con la mano tesa: «Salve Bonelli si accomodi, sono contento che sia riuscito a trovare le prove che le avevo chiesto. Le posso offrire un caffè?».

    «Sì, grazie accetto volentieri» mi sedetti anche lì di fronte alla scrivania, vi posai sopra la cartelletta mentre lui ordinò i caffè per telefono: «allora mi dica!».

    Cominciai a spiegare cosa ero riuscito a trovare e a mostrare le prove raccolte, che secondo il mio parere sembrava potessero bastare. Mi fermai quando sentii bussare, si aprì la porta e apparve la signorina Marta con i caffè. Mi passò vicino per posarli sulla scrivania e sentii molto bene il suo profumo, era uguale a quello che avevo sentito in casa di Molinari. Questo mi fece pensare che la bella Marta e il suo capo potessero avere una tresca, poteva darsi che fosse quello il motivo per cui la moglie se ne era andata, comunque non era affare mio. Bevemmo i caffè e infine finii di spiegare al mio cliente, nel dettaglio, quello che avevo scritto nella mia relazione.

    «Questo è tutto quello che sono riuscito a trovare» dissi concludendo «però se vuole il mio parere o l’ha fatta da fesso, oppure si accontentava di una certa cifra, perché avrebbe potuto trafugare più di quello che ha portato via, vedendo quello che producete».

    «Ha visto giusto Bonelli! Ecco perché le ho detto che non me la sentivo di rovinarlo, anche perché ho saputo, non da lui naturalmente, che sua moglie Angelica Lovati ha problemi di salute e penso che i soldi servano per le sue cure. Però quello che mi ha fatto incazzare è che poteva chiedere, anziché farmi passare per fesso, vendendo le nostre cose alla concorrenza, visto che in fondo è anche roba sua, anche se in percentuale».

    «Ha ragione» dissi annuendo «comunque se secondo lei siamo a posto io me ne andrei».

    «Aspetti che le faccio un assegno per pagarla, ha portato la fattura?».

    «Sì eccola» la presi dalla cartelletta e gliela porsi. Diede un’occhiata veloce poi aprì un cassetto della scrivania e preso un libretto di assegni ne compilò uno e me lo mise davanti.

    «Le ho fatto un assegno personale, preferisco che non risulti fra le spese dell’azienda. Spero che per lei non sia un problema».

    «Mi va bene tutto, per me è indifferente» intanto lanciai un’occhiata alla cifra che aveva scritto, restai meravigliato: 5000 euro. Senz’altro si era sbagliato, infatti il totale della fattura ammontava a 3500 tutto compreso. «Guardi dottor Molinari che forse si è sbagliato a leggere la cifra che è più alta senza dubbio».

    «No, Bonelli va bene così, la consideri un mio regalo oppure un anticipo su un prossimo servizio che farà per me».

    «Ma se non avrà più bisogno?».

    «Allora la consideri senz’altro un regalo».

    «Bene allora la ringrazio. Ma, mi può togliere una curiosità, cosa producete esattamente qui?». Gli chiesi mentre intascavo l’assegno.

    «Come le dicevo prima facciamo apparecchiature elettroniche e molte altre cose che servono anche per le imprese spaziali, e per migliorare la logistica e altro ancora. Ma se le fa piacere posso mostrarle la nostra azienda».

    «Certo che mi fa piacere sono un tipo curioso».

    «Allora mi segua» si alzò e lo seguii.

    Passammo davanti alla segretaria, alla quale risposi con un cenno del capo al suo sorriso. Scendemmo al piano terra ed entrammo nell’immenso laboratorio suddiviso in tanti reparti con molte persone che lavoravano all’interno. Mi spiegò le varie fasi delle lavorazioni che loro facevano in toto, compreso anche la produzione di circuiti stampati dove usavano acidi vari e altro materiale altamente inquinante. Mi mostrò i vari depositi di tutta la produzione, gli spogliatoi, la mensa degli operai e perfino il locale, chiuso a chiave, dove stipavano appunto i fusti di quel materiale, da smaltire in modo adeguato. Tornando indietro mi mostrò il resto degli uffici, gli feci i complimenti per la sua azienda e infine mi accompagnò all’ingresso, ci salutammo con una stretta di mano e me ne andai a recuperare la Clio.

    Misi in moto e intanto lanciai un’occhiata all’orologio del cruscotto: segnava le 16,12. Non era ancora l’orario di maggior traffico cittadino, immaginai che potevo riuscire ad arrivare a casa entro una ventina di minuti, perciò avevo tutto il tempo di arrivare a casa preparare il borsone, e andare a passare un paio d’ore in palestra, anche perché ero a casa da solo. Valentina era via da un paio di giorni per un servizio e tra l’altro non sapevo neanche esattamente dove fosse andata e a fare cosa. Aveva detto che non poteva parlamene ma che era molto importante, tant’è che era andata via con un collega, ma che me ne avrebbe parlato al suo ritorno, se fosse andata come sperava.

    Erano passati circa quattro mesi da quando eravamo tornati dalle vacanze, dopo che avevamo chiuso il caso del rapimento delle tre ragazze. Valentina si era trasferita da me pur avendo

    tenuto il suo appartamento. Le avevo liberato l’armadio dalle cose di Francesca, e le avevo chiuse in una valigia che poi avevo messo sullo scaffale in ripostiglio. Non me l’ero sentita di eliminarle, non si poteva mai sapere.

    Come previsto arrivai a casa presto, naturalmente non c’era posto neanche in divieto di sosta, perciò dovetti entrare nel box, dove era ferma la Mini di Valentina perché erano partiti con l’auto del collega. Guardai l’auto sperando che tornasse presto, non mi piaceva più stare da solo ormai mi ero abituato ad averla vicino. Salii in casa preparai il borsone con quello che mi serviva e tornai in box, ripresi la Clio e mi diressi in palestra.

    Era da un po’ che non ci andavo, appena entrato incrociai Mario la persona con cui avevo legato maggiormente, quando avevamo seguito le lezioni di Ju- jitsu e di karate col maestro Matushita.

    «Ciao Luca tutto bene? Sono contento di vederti!».

    «Ciao, anche a me fa piacere, sì è tutto ok e tu cosa mi racconti?».

    «Anche per me è ok, ero venuto qui con l’intenzione di allenarmi un po’ se trovavo qualcuno con cui farlo, se hai voglia lo facciamo insieme».

    «Ottima idea, penso che una ripassata alle mosse che ci ha insegnato il maestro possa essere utile, sono d’accordo».

    «Bene allora cambiati ti aspetto in sala!».

    «Vado!».

    Quando lo raggiunsi cominciammo con l’inchino e continuammo con le mosse che conoscevamo. Di solito io me la cavavo meglio, ma mi resi conto che lui si era tenuto in allenamento, più di quello che avevo fatto io. Comunque dopo un’oretta mi ero ripreso ed ero riuscito ad atterrarlo diverse volte.

    L’orologio sulla parete, posizionato fra due finestroni, segnava le 18,15 quando Mario, dopo avergli dato un’occhiata mi disse: «Luca adesso io devo scappare, ho promesso a mia moglie di tornare presto, tu cosa fai vieni via con me?»

    «No, mi fermo ancora un po’ non ho fretta faccio un po’ di attrezzi, Comunque grazie Mario ci vediamo alla prossima».

    «Grazie a te stammi bene e mantieniti in forma così, ciao».Ci stringemmo la mano e se ne andò verso lo spogliatoio.

    Raggiunsi la sala attrezzi, salutai Mauro il mio istruttore e mi allenai per più di un’ora, dopo una bella doccia sistemai il borsone e mi diressi verso l’uscita. La serata era calda ormai avevamo passato la metà di giugno, Mauro era sulla porta d’entrata e stava parlando con una bella donna che mi girava le spalle. Quando arrivai vicino dissi: «Ciao Mauro ci vediamo appena posso, buona sera signora».

    «Vedo che non mi hai riconosciuta, se mi saluti in questo modo» disse lei girandosi verso di me

    mentre Mauro sorrideva, finalmente la riconobbi: era Laura Gagliardi sua cugina, una delle ragazze rapite e che fortunatamente avevamo ritrovato era sua sorella.

    «Mamma mia Laura! Ciao che piacere rivederti, come stai?» dissi abbracciandola «spero che sia tutto a posto». Lei annuì con un sorriso.

    «Scusate ragazzi, ma sono le 18,40 perciò vi saluto io devo lavorare ancora, ci vediamo ciao Laura mi raccomando fatti sentire e se hai bisogno fammi un fischio, ciao Luca». Baciò la cugina e si allontanò verso la sala attrezzi.

    «Allora Laura tutto bene? Raccontami di Samanta come sta?».

    «Stiamo bene grazie, riusciamo a cavarcela però è stata una bella batosta, non avrei mai creduto che potesse succedere una cosa del genere».

    «Purtroppo è andata così almeno te ne sei liberata, ma dimmi come mai sei venuta a trovare Mauro?».

    «Ho portato la mia auto dal suo meccanico qui vicino, così ho pensato di passare a salutarlo».

    «Allora sei a piedi dove devi andare? Se vuoi ti do un passaggio!» Le dissi mentre ci incamminavamo verso la Clio.

    «Dovrei andare a casa e accetterei volentieri, però se mi accompagni fino li perderai del tempo, Valentina ti starà aspettando e così farai tardi». La guardai mentre aprivo la portiera dell’auto.

    «Dai sali, purtroppo è via da un paio di giorni e non so esattamente quando torna, perciò non mi aspetta nessuno» risposi mentre salivamo.

    «Allora va bene dato che anch’io sono sola, se ti fa piacere ti posso preparare qualcosa, nulla di eccezionale magari un piatto di

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