L artista e il milionario: Harmony Jolly
Di Donna Alward
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Info su questo ebook
Dopo aver scalato le vette del successo, tre amici decidono di lasciare le sfolgoranti luci di New York per il cielo e il mare della Nuova Scozia, alla ricerca del vero amore.
Dopo aver perso la moglie, Branson Black si è rifugiato nella sua tenuta sulla costa per nascondersi dal mondo ed evitare qualsiasi tipo di emozione. Fino a quando Jessica Blundon approda - letteralmente! - nella sua vita. La sua barca si è arenata sulla costa e Branson, per aiutarla, è costretto a rivedere i suoi piani.
Jess è un'artista sensibile e talentuosa che ha subito la sua stessa perdita. La sente vicina, al punto che le apre il proprio cuore. Ha la sensazione di aver trovato finalmente un porto sicuro, ma il passato torna a sconvolgere le vite di entrambi, travolgendo quella ritrovata quiete con la forza di una tempesta che solo l'amore potrà permettere loro di attraversare.
Disponibile in eBook dal 20 gennaio 2021
Donna Alward
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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L artista e il milionario - Donna Alward
successivo.
1
A Jess bastò dare un'occhiata al faro per capire che ne era valsa la pena. Aveva ripreso a disegnare da poche settimane, ma per la prima volta, le era tornata la voglia di dipingere.
Il piccolo faro bianco e rosso si stagliava tra mare e cielo sulla costa orientale della Nuova Scozia. Quella struttura solitaria le ricordava se stessa: un po' malconcia, sferzata dagli elementi, ma ancora in piedi.
Il suo agente voleva organizzare una nuova mostra. «L'ultima è stata un successo» insisteva Jack. «Una Jessica Blundon originale vale parecchio, ormai.»
«Alla musa non si comanda» aveva risposto lei, sperando che il suo tono suonasse scherzoso. «Non dipingo a comando.»
A dire la verità, non dipingeva affatto dalla morte di Ana. La sua migliore amica. La sua mentore. La sorella maggiore che non aveva mai avuto. Perdere Ana l'aveva devastata, facendo svanire la sua creatività. E ora non c'era nessun altro nella sua vita – né amanti, né amici, né figli.
Si era isolata troppo. Così, dopo un anno di lutto e di tristezza, aveva deciso di smettere di nascondersi e andare incontro alla vita. E come prima cosa, doveva ricominciare a lavorare.
Dipingere era la sua passione, ma anche la sua carriera. Tuttavia, come per molti creativi, non poteva separare ciò che faceva da ciò che era.
Dopo alcuni mesi era riuscita a superare, in parte, il suo blocco creativo e aveva ripreso a disegnare.
Era accaduto non appena si era messa in viaggio. Si era lasciata alle spalle Chicago e i Grandi Laghi e si era diretta a ovest verso Seattle, San Francisco e poi giù per la costa fino a San Diego. Il Pacifico era bellissimo, ma non era quello che stava cercando. Voleva recuperare quella sensazione, proprio nel suo plesso solare, che le diceva quando qualcosa era giusto. Anche il Golfo del Messico non lo era stato, sebbene adorasse New Orleans.
Così si era diretta di nuovo a nord, dalle spiagge del New Jersey alla costa frastagliata del Maine. Infine, presa da un impulso, era salita sul traghetto per il Canada. Lì aveva fatto schizzi di spiagge solitarie, case variopinte, rocce grigie sferzate dalle onde dell'oceano, alberi che inverdivano nel mite clima primaverile. Era tutto incantevole, ma nulla di tutto ciò aveva fatto rinascere in lei la bruciante necessità di creare.
Finché non aveva visto quel faro.
«Ci siamo, Ana» mormorò tra sé, sentendo riaccendersi in lei la sensazione che le era sfuggita per tutto quel tempo. «È il momento.»
Il vento che soffiava dall'oceano le agitava i capelli intorno al viso e le sferzava la pelle attraverso la camicia di cotone. Maggio non era un mese caldo in Nuova Scozia, anche se il sole splendeva nel cielo limpido. Aveva bisogno di un punto di vista diverso, pensò, guardandosi intorno. Una prospettiva più ampia. Ma il faro si trovava su una scogliera che si protendeva sul mare, e sembrava che l'unico sentiero per raggiungerlo passasse attraverso una proprietà. Sul cancello c'era scritto: Proprietà privata. Vietato l'accesso.
«Proprietà privata» brontolò, sbirciando al di sopra del cancello. Non riusciva a vedere la casa da lì, ma il vialetto principale portava a sinistra mentre il faro si trovava a destra, verso sud. Serrando le labbra, si sistemò la borsa a tracolla e mise il piede sulla ringhiera inferiore del cancello.
«Non è elettrificato, per fortuna.» Sorrise e si issò agilmente al di sopra delle ringhiere di metallo, atterrando dall'altra parte.
Non le ci volle molto per arrivare in vista della casa. Era imponente, rivestita di pietra grigia e circondata da quello che tra qualche settimana sarebbe diventato uno splendido giardino. In quel momento, tuttavia, le aiuole erano ancora spoglie, in attesa che il calore del sole le risvegliasse. La casa aveva una fantastica vista panoramica sulla costa atlantica, e un prato che conduceva verso le scogliere. Jess si chiese se ci fosse una spiaggia, lì sotto. Era tentata di curiosare, ma prima voleva raggiungere il faro, per poter scattare qualche foto e magari fare uno schizzo o due.
Una giovane donna che aveva conosciuto nell'albergo vicino, Tori, le aveva parlato di quel faro isolato, suggerendo che il suo stato di abbandono lo rendeva più affascinante. In effetti gli infissi esterni consumati dalle intemperie avrebbero avuto bisogno di una verniciata, e il legno era consumato dal vento e dalla salsedine. C'era ruggine sulle cerniere della porta. Se avesse provato a entrare, cosa avrebbe trovato? Topi? Altre creature? Guardò verso l'alto, dove una vetrata racchiudeva la lanterna. Funzionava ancora?
Quel piccolo faro enigmatico sembrava pieno di segreti.
Estrasse la macchina fotografica e cominciò a scattare foto da angolazioni e distanze diverse. L'oceano era irrequieto, e le onde si schiantavano sulle rocce sotto di lei in esplosioni di spuma bianca.
Dopo avere scattato le foto, pensò di dare un'occhiata alla casa, tornando indietro. Ma quando si voltò si trovò faccia a faccia con un uomo dal viso severo.
«Questa è proprietà privata» disse, gelidamente.
Sembrava un eremita. Era difficile capire quanti anni avesse sotto i capelli arruffati e la barba lunga. Forse una quarantina. Indossava una camicia beige stropicciata e un po' larga per la sua magrezza, jeans sbiaditi e stivali usurati. E il suo viso esprimeva una rabbia che non si sforzava nemmeno di nascondere.
Anziché provare paura, Jess lo trovò affascinante. Era trasandato, ma i suoi lineamenti erano molto attraenti. Nonostante i suoi modi intimidatori non sembrava pericoloso.
«Ho dovuto attraversare la sua proprietà per avvicinarmi al faro» spiegò.
«Il faro è sulla mia proprietà. Immagino che abbia visto il cartello, e che abbia deciso di ignorarlo.»
Jess non rispose. Aveva ragione lui, anche se non si era resa conto che il faro fosse su una proprietà privata. Di solito quelle strutture non erano del comune? Quante persone possedevano un faro?
Fece la faccia più contrita che poté. Anche se l'uomo era brusco, effettivamente era lei a essere nel torto. «Mi dispiace molto. Non mi ero resa conto che il faro fosse suo. Sono una pittrice, e una conoscente al Sandpiper Resort mi ha detto che sarebbe stato un ottimo soggetto.»
Lui incrociò le braccia e non rispose.
Adesso stava esagerando, pensò lei. Aveva fatto qualcosa di così terribile da meritare tanta scortesia?
Ci riprovò. «Mi chiamo Jessica Blundon» disse, tendendogli la mano con un sorriso.
Lui non accettò la mano. I suoi occhi scuri la squadrarono da capo a piedi, con ostilità.
Irritata, lei inarcò un sopracciglio, sostenendo il suo sguardo. Non le faceva paura. Anzi, c'era qualcosa nel suo sguardo che riconosceva. Quell'uomo voleva essere lasciato solo. Non molto tempo prima, lei stessa aveva provato la medesima sensazione, e così si limitò ad abbassare la mano e a chiedersi cosa si nascondesse dietro la barba incolta e l'espressione scontrosa.
«Be', signorina Blundon, adesso sa che è proprietà privata. Cancelli le foto e torni da dove è venuta.»
Lei spalancò la bocca. Voleva farle cancellare le foto? Chiuse la bocca e aggrottò la fronte. «È proprio necessario? Voglio dire, il faro non è segreto.»
«È il mio faro, sulla mia proprietà, e non voglio che sia fotografato.» Lui prese un cellulare dalla tasca. «Se non accetta di cancellarle, chiamerò la polizia.»
Ogni simpatia o curiosità nei confronti dell'uomo svanì. «E se me ne andassi senza cancellare le foto? Cercherebbe di fermarmi con la forza?»
Alzò il mento, ma quando incontrò lo sguardo di lui provò un brivido lungo la schiena. Non era paura... Era attrazione. C'era qualcosa di familiare in lui, anche se non riusciva a individuare.
Lo sguardo di lui le scivolò sulle labbra, poi tornò ai suoi occhi, e per la prima volta le rivolse un mezzo sorriso. «Non occorre» rispose. «Mi ha detto il suo nome e che alloggia al Sandpiper. Non credo che la polizia ci metterebbe molto, a trovarla.»
Voleva davvero denunciarla per qualche stupida foto. Alzò la macchina fotografica e lo fissò. «Bene. Cancellerò le dannate foto.» Serrò le labbra. Aveva bisogno di quelle foto. Era la prima volta che si sentiva ispirata da due anni a questa parte!
«Può semplicemente darmi la scheda di memoria.»
«Nemmeno per idea. Ci sono altre immagini. Cancellerò quelle che ho scattato ora, ma questo è tutto. E lei è... inqualificabile.»
Lui si strinse nelle spalle. «Mi hanno detto di molto peggio.»
Con crescente frustrazione, Jessica cancellò una per una tutte le belle foto che aveva già scattato, mentre lo stramalediceva in cuor suo. Era del tutto irragionevole. Fu tentata di tenerne una o due, ma quando alzò lo sguardo lui tese la mano con gesto eloquente.
«Oh, per l'amor del cielo» mormorò lei, togliendosi la cinghia dal collo e porgendogli l'apparecchio.
Lui scorse le foto, sembrò soddisfatto e le riconsegnò la macchina. «Bene. Adesso può andarsene» disse.
Arrossendo di rabbia e mortificazione, Jess infilò la macchina fotografica nella borsa. Quel villano non si era nemmeno presentato!
Gli lanciò un'occhiata tagliente. «Per la cronaca, non c'era bisogno di essere così scortese» disse, prima di voltargli le spalle e allontanarsi.
Era a pochi metri di distanza quando le sembrò di sentirgli dire: «Invece sì». Quando si voltò, però, lui le dava le spalle, guardando verso il mare.
Jess affrettò il passo, ma quando il sentiero fece una curva, si voltò di nuovo. L'uomo era in piedi nello stesso posto, e sembrava ancora molto arrabbiato, solo e perso.
D'impulso, prese la macchina fotografica e gli scattò una rapida foto, prima di correre verso il cancello.
Quando l'intrusa se ne andò, Bran si lasciò sfuggire un sospiro.
Desiderava solo essere lasciato in pace. Nei mesi in cui era rimasto a New York si era perso nel suo dolore, da cui lo tiravano fuori solo occasionalmente i suoi migliori amici, Cole e Jeremy. Certo, c'era stato qualche sorriso, qualche risata, ma quando tornava in quella casa, in cui tutto gli ricordava il passato, sprofondava nella disperazione.
Quando aveva iniziato a bere troppo, aveva capito di dover fare qualcosa. All'inizio era solo birra, ma quando era passato allo scotch e poi a qualsiasi tipo di alcolico, si era reso conto che doveva vendere la sua casa di New York e allontanarsi da tutto ciò che gli ricordava la sua perdita.
Jennie sarebbe rimasta delusa da lui, se avesse saputo dell'alcol. E così aveva buttato via ogni tipo di alcolico, per onorare meglio la sua memoria.
La casa in Nuova Scozia era quasi perfetta. A volte vedeva il suo amico Jeremy e la moglie, ma questa era tutta la vita sociale che gli serviva. In paese nessuno lo conosceva. O almeno, nessuno gli aveva fatto capire che aveva riconosciuto il suo nome. Si faceva consegnare la spesa a casa e comprava online tutto il resto. Passava le giornate a fissare il mare, cercando di dare un senso a quello che era accaduto. Chiedendosi se avrebbe mai smesso di soffrire tanto.
E se sarebbe mai riuscito a scrivere di nuovo.
L'unico inconveniente era quello stupido faro. E pensare che all'inizio