Alle radici dell'espressività
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Anteprima del libro
Alle radici dell'espressività - Mirella Bordoni
cinema.
— PRIMA PARTE —
Dall’età di sette anni, avevo la mania di disegnare la forma delle cose. Quando ne ebbi cinquanta avevo pubblicato un’infinità di disegni, ma tutto ciò che ho prodotto prima dell’età di settant’anni non è degno di considerazione, a settantatrè anni ho imparato qualcosa circa la struttura reale della natura, degli animali, delle piante, degli uccelli, dei pesci e degli insetti. Di conseguenza a ottant’anni avrò fatto ancora molti progressi; a novanta potrò penetrare il segreto delle cose; a cento certamente avrò raggiunto una fase stupenda e quando ne avrò centodieci tutto ciò che farò, sia un punto, sia una linea, sarà vivo
.
(Scritto all’età di settantacinque anni, da me Hokusai, il vecchio che va pazzo per la pittura).
Orazio Costa: il maestro
Orazio Costa è stato non solo uno dei registi più incisivi nella cultura teatrale italiana con oltre duecento regie nei suoi sessant’anni di attività, ma anche, e questo è l’aspetto che tratterò unicamente in questo libro, il grande maestro di recitazione con il quale si sono formate generazioni di attori: Nino Manfredi, Tino Buazzelli, Paolo Panelli, Gian Maria Volontè, Massimo Foschi, Roberto Herlitzka, Gabriele Lavia, lo stesso Giancarlo Giannini, oggi responsabile del corso di recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia, e nell’ultimo anno del suo insegnamento all’Accademia tra gli altri: Alessio Boni, Luigi Lo Cascio, Pierfrancesco Favino, Fabrizio Gifuni.
Orazio Costa nasce a Roma il 6 agosto 1911, dal padre Giovanni, professore dalmata e dalla madre Caterina Giovangigli insegnante còrsa, i quali educheranno i quattro figli (Orazio, Valeria, Livio e Tullio) all’amore per lo studio e per l’arte.
In una lettera alla sorella, Costa ricorda gli anni dell’infanzia: Quando bambini dormivamo ancora nella stessa stanza, la sera ci raccontavamo le
favole, come dicevamo, sotto l’influsso delle letture e dei racconti che ci venivano da mamma e babbo, nostri unici maestri. I quattro fratelli che eravamo, disegnavamo tutti, ma tu e Tullio metteste presto in ombra i miei disegni decorativi e quelli umoristici di Livio. Tu dedita alla figura umana ed al ritratto, Tullio anche al ritratto, ma di animali. Io, lasciati i miei arabeschi, continuavo ad immaginare architetture e addobbi e così, quando la sera, spenta la luce, ci raccontavamo storie e fatti quasi sempre inventati, quelli tuoi si popolavano di persone calate dalle favole e dai racconti còrsi di mamma, e quelli miei s’ingolfavano in viaggi vicini e lontani; giunti alla soglia di ville e manieri si disperdevano in descrizioni di atri, di saloni, di torri. Tu inventavi vicende e personaggi, io li guidavo in scene dove finivano assorbiti dalle tappezzerie e dagli arazzi accomunati con le statue e con le apparizioni di paggi e cavalieri, sfumando nei sogni. Spesso si trattava di un narrare a due voci: tu evocavi i personaggi, io li addobbavo, tu delineavi i sentimenti e io li perdevo nei colori delle stagioni. Vivevamo senza saperlo certe intese fra pittori: uno infoltisce paesaggi, l’altro ci sguinzaglia la caccia, quello squadra prospettive, l’altro le affolla di cerimonie. Chi l’avrebbe potuto dire allora che non molti anni dopo avremmo continuato il gioco?
¹
Il gioco continuerà per Valeria che intrapresi studi artistici affiancherà il fratello come scenografa e costumista per quasi trent’anni: Sono stata la mano delle sue fantasie
diceva. Lascerà poi il teatro per dedicarsi alla sua famiglia e alla pittura liberamente, senza le costrizioni del palcoscenico.
Orazio invece già in primo liceo decide di iscriversi come allievo attore alla scuola di recitazione Eleonora Duse
, diretta da Franco Liberati. Docente di storia del teatro è Silvio D’Amico, una delle personalità più carismatiche e attive nel rinnovamento della scena italiana, il quale fonderà nel 1936 l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, dove Costa continuerà gli studi come allievo regista. Dopo essersi laureato in lettere con una tesi su Teatralità del dialogo nei Promessi sposi
, nel ‘37 si diploma in regia. Sarà assistente di Renato Simoni, Guido Salvini e Tatiana Pavlova. Insoddisfatto di queste esperienze lavorative, avverte il fermento di nuove idee e sostenuto dal continuo confronto con il maestro D’Amico con il quale instaurerà un rapporto di reciproca stima che durerà tutta la vita, sente l’esigenza di restituire all’attore una diversa coscienza del suo ruolo all’interno del processo interpretativo. Comincia a delineare anche un nuovo ruolo del regista che definirà come colui che crea alla rappresentazione una coscienza spirituale, che ne fa una cosa viva e attuale
². Sarà proprio Silvio D’Amico che nel ‘37 invierà, con una borsa di studio, Orazio Costa a Parigi presso Jacques Copeau. Questa esperienza sarà per lui fondamentale perché troverà profonde risonanze con gli ideali morali e spirituali del grande maestro francese, i quali informeranno la sua attività registica e costituiranno le fondamenta dell’elaborazione del metodo.
Passati i terribili anni della guerra, Costa vive uno dei momenti più fervidi di idee e volontà di fare. È un giovane uomo, ormai sicuro delle proprie intuizioni, vibrante, lo sguardo concentrato e teso a realizzare con il suo lavoro un radicale rinnovamento nella cultura teatrale italiana. Si slancia nella sua brillante carriera che lo porterà a firmare nel corso della vita quasi duecento regie e a fondare tre compagnie: il Piccolo Teatro della città di Roma nel 1948, il Teatro Romeo nel 1965 e la Compagnia degli Ultimi nel 1974.
I suoi spettacoli saranno la testimonianza delle sue idee riguardo il nuovo ruolo dell’attore e del regista e della sua visione sacrale
del teatro.
Costa, che in famiglia non era stato educato religiosamente, né si era sentito influenzato dalla formazione cristiana dei suoi due maestri D’Amico e Copeau, scriverà nel ‘66: Direi proprio che è stato il teatro a farmi raccogliere in unità le idee che ho sulla vita, come è la riacquistata fede religiosa che ha incrementato e fortificato in me il senso dell’importanza fondamentale del teatro
. ³
Nel ‘44 Costa ottiene la cattedra di regia in Accademia che manterrà fino al ‘76. Insegnerà anche al Centro Sperimentale di Cinematografia (‘56-‘67), presso il conservatorio di Santa Cecilia (‘67-‘72), presso l’Institut des Arts de Diffusion a Bruxelles (‘65-‘67) presentando il metodo in numerosi convegni internazionali a Oslo, Essen, Amsterdam, Bruxelles, Parigi, Stoccolma.
Nel 1978 fonda a Firenze il Centro di Avviamento all’Espressione
il cui scopo è la divulgazione del metodo mimico attraverso seminari aperti a tutta la cittadinanza. Aderiscono migliaia di persone sostenendo una scuola assolutamente innovativa in Italia per quanto riguarda l’educazione teatrale e lo studio dell’espressività.
Nel 1985 nasce la Scuola di Espressione e Interpretazione Scenica
di Bari dedicata alla specifica formazione dell’attore sulla base tecnica esclusiva dei principi mimesici applicati con la massima integralità in ogni materia di studio.
Nel ’91 su invito del direttore Luigi Maria Musati, Orazio Costa riprende l’insegnamento all’Accademia d’Arte Drammatica, per un progetto biennale sull’Amleto che verrà presentato al festival di Taormina nel ’92.
Negli ultimi anni si dedica alla revisione e al completamento dei Quaderni
che raccolgono i suoi scritti sull’arte e l’elaborazione del metodo durante i decenni.
Il 14 novembre 1999 muore a Firenze.
I Quaderni
, con la sua biblioteca, sono stati donati da Costa stesso all’ETI
(Ente Teatrale Italiano) e conservati per gli studiosi nel suo appartamento di via della Pergola sovrastante il teatro. Questa era la sede dove si facevano le prove degli spettacoli e gli incontri con gli allievi, dove abbiamo conversato pomeriggi interi sulla letteratura e sul teatro, dove mi aspettava per andare a colazione insieme e dove arrivavo da Roma anche negli ultimi anni per fargli sentire la parte
e lui dopo che ero stremata per l’interpretazione, toccando il massimo del suo elogio mi diceva: -Non è male!...-
__________________________________
¹ Donna pittrice. Valeria Costa. Fratelli Palombi editori, 1989-Roma, p. 23.
² O. Costa. La regia teatrale. Rivista italiana del Dramma. Anno III volume II. Luglio 1939.
³ O. Costa. Lettera al nipote Nicola. In Maricla Boggio Mistero e Teatro. Bulzoni 2004, p. 225.
Il metodo
Il metodo mimico è stato ideato e sviluppato da Orazio Costa nei suoi trent’anni di insegnamento all’ Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico
, aprendosi a sempre nuove prospettive pedagogiche in un lavoro di elaborazione che è durato dagli anni ’30 fino agli ultimi anni della sua vita alle soglie del 2000.
Ne presentiamo qui alcuni punti essenziali:
L’istinto mimico
Il metodo mimesico si basa sul presupposto che ogni uomo ha in sé un istinto mimico che represso dall’educazione va risvegliato e sviluppato.
Costa rintraccia la prima manifestazione spontanea del senso mimico, inteso come radice istintuale dell’espressività, nel gioco infantile. Se noi infatti, osserviamo un bambino, ci accorgiamo che muove occhi, gambe, braccia,diventando
la cosa osservata, riproducendone il ritmo, personificando l’oggetto della sua attenzione sia esso un albero, una farfalla, un giocattolo.
Questa tendenza al rispecchiamento, origine di ogni forma d’arte ma repressa dall’educazione, rimane nell’adulto in forma latente. Il metodo con la continua sollecitazione al risveglio dell’istinto mimico rimuove anzitutto il peso della censura, il timore del ridicolo, la timidezza (che paradossalmente è propria di ogni attore), riuscendo a liberare, a volte gradualmente altre violentemente, la potenza mimica. In seguito il costante e meticoloso allenamento all’immedesimazione sviluppa le capacità espressive e interpretative.
Il metodo Costa per la formazione dell’attore nasce dunque dal recupero dell’istinto mimico, dal suo sviluppo e affinamento secondo una sistematica e progressiva educazione che va dai primi tentativi di immedesimazione negli elementi della natura fino ai vertici dell’interpretazione drammatica.
L’analogia
Costa definisce il suo metodo mimico
o mimesico
perché centrato sulla valorizzazione dell’istinto mimico, da cui atto mimico
o mimazione
da non confondere con imitazione
. Mentre quest’ultima è riproduzione dei movimenti di un altro essere in un parallelismo di corrispondenze arto ad arto, nella mimazione avviene una traduzione con il corpo non in modo parallelo bensì analogico.
Il concetto di analogia è centrale nel metodo: l’artista, che ha un approccio antropomorfico di fronte alla realtà, non riproduce l’oggetto esaminato ma vi si rispecchia, scoprendo analogie fra la propria realtà psicofisica e quella da lui osservata o immaginata.
Costa definisce creatività proprio la capacità di creare analogie, specificando che un atto creativo è anzitutto un atto interpretativo e che l’attitudine creatrice consiste nel più elevato grado di originalità nei rapporti analogici fra oggetto e percezione.
L’atto mimico
Cosa significa in pratica realizzare un atto mimico per l’allievo attore? Possiamo rispondere che anzitutto è necessario che l’allievo sia ben allenato per saper lavorare in condizioni di assoluta concentrazione. Precisata poi l’immagine da mimare l’allievo non deve elaborare mentalmente una strategia per ottenere il risultato voluto; al contrario deve affidarsi, mimando, all’intelligenza del corpo, puntando ad una conoscenza pre-logica, rischiando risposte inattese e fidando inoltre nel fatto che il suo apparato fonatorio si conformerà a quel determinato movimento plastico che ha assunto il corpo per diventare un tutt’uno espressivo. In questo modo cerchiamo di percorrere il processo inverso dell’autore: come il poeta parte da una sua temperie⁴ per arrivare alla parola, così nel nostro lavoro partiamo dalla parola per raggiungere il vivo della temperie originale e investiti da questa esperienza reinventiamo la parola stessa. È la creazione interpretativa, cioè un’elaborazione della realtà non attraverso un rapporto che da un esterno va ad un altro esterno (come nell’imitazione) ma tramite una immersione psicofisica che penetra l’essenza di un’esperienza e tenta di tradurla.
Nell’atto mimico inoltre elaboriamo un processo conoscitivo che non è solo intellettuale ma globale in quanto avvicina mente e corpo ad una visione unitaria della realtà. Possiamo forse dire che l’atto mimico dovrebbe essere un atto illuminato come nella pittura zen, in cui non si parla di un’idea che produce un atto, ma pensiero e atto sono tutt’uno: il dipinto infatti è realizzato in pochi minuti secondo un’idea unitaria di conoscenza.
Le fasi di lavoro
Il metodo prevede un approccio progressivo al lavoro interpretativo. La struttura del corso nelle fasi iniziali è rimasta sostanzialmente invariata dalle mie prime lezioni sotto la guida di Costa fino a quelle di oggi al Centro Sperimentale, dove negli anni ho avuto modo di sviluppare il metodo nella sua estensione allo studio della micromimica facciale elaborando un’ulteriore fase in funzione dell’attore cinematografico.
La prima fase di lavoro è dedicata allo studio dei fenomeni naturali per avviare il recupero del senso mimico: si stimola l’allievo in continue e sempre nuove esperienze di rispecchiamento ed immedesimazione negli elementi della natura (aria, fuoco, vento, ecc.) e si pone estrema attenzione al fatto che ogni condizione mimica modifica l’apparato fonatorio consolidando sempre più la consapevolezza dell’allievo sulla sinergia corpo-voce. In una semplice passeggiata in un parco, l’allievo può già avvertire questa pulsione mimica perché anche senza volerlo la sua muscolarità si predisporrà ad assumere la forza di un tronco, la delicatezza di un piccolo fiore, la leggerezza di una fronda scossa dal vento, impadronendosi così di forme e ritmi diversissimi, cominciando a risvegliare le forze latenti dell’espressività mentre si rafforza il senso d’identità con il mondo della natura. Già in questa prima fase di lavoro si possono ottenere, senza coinvolgere la sfera privata dell’attore, livelli espressivi di grande intensità lavorando sui fenomeni parossistici della natura (un vulcano, una tempesta, un incendio, ecc.). Questi fenomeni costituiscono nel mondo organico un analogo delle esperienze più vive della letteratura e del cinema a noi contemporaneo. L’allievo attore immedesimandosi in un vulcano ad esempio, può addirittura spingersi fino a raggiungere la vulcanità riallacciandosi così alla memoria personale di reminiscenze arcaiche inscritte nella nostra cultura. Quando poi, nella sua vita professionale dovrà affrontare magari la violenza di un personaggio, tutto questo lavoro riemergerà rendendo l’interpretazione più autentica e pregnante.
Nella seconda fase di studio si passa dal lavoro sull’espressione a quello sull’interpretazione in cui si accetta la visione della realtà di cui un autore informa la sua opera tentando di cogliere la temperie originale per restituirla con la massima aderenza.
In questa fase delle nostre lezioni cerchiamo di individuare e sviluppare questo comune movimento che è alla base di ogni esperienza artistica e che chiamiamo istinto mimico, immedesimandoci in un’opera pittorica, scultorea o musicale. A questo punto dello studio la visita ad un museo può essere fonte di grande arricchimento perché ci accorgiamo che un’allenata e infaticata plasticità fisica è capace di rispondere ad ogni forma della realtà, dagli oggetti del mondo esterno a quelli del mondo interno dell’autore. Il filmato girato nel 2007 in occasione della nostra visita alla galleria d’arte moderna di Roma per realizzare la mimesi delle opere di Arturo Martini allora esposte, documenta la grande semplicità con cui gli attori si misurano nell’ approccio mimico alla scultura trovando anche grandi somiglianze tra il linguaggio mimico e quello usato dall’artista in alcune sue riflessioni sull’arte che ci riportano al Dante del Convivio, spesso citato da Costa: Chi pinge figura, se non può esser lei, non la può porre, onde nullo dipintore potrebbe porre alcuna figura se, intenzionalmente, non si facesse prima quale la figura esser deve
.
L’allievo attore avendo sviluppato e affinato il senso mimico arriverà quindi gradualmente alla fase finale del lavoro: l’interpretazione del testo drammatico fino alla resa in primo piano che interiorizza e condensa nella micromimica facciale tutto il lavoro di estroflessione fisica dell’espressione. Ricordo spesso ai miei allievi, quando arriviamo al lavoro sulla parola, la nona elegia di Rilke: forse noi siamo qui solo per dire: casa / ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra / di più: colonna, torre… ma per dire comprendilo bene / oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse / nell’intimo / mai intendevano d’essere
⁵ e per quanto possa sembrare inarrivabile ciò che suggerisce Rilke, è tuttavia un’esperienza non rara nelle nostre lezioni di mimesi, un’esperienza che ci sbalordisce e ci impregna del senso profondo del nostro lavoro.
L’attore
La problematica dell’attore è centrale in Costa fin dal motivo della scelta della professione che si fonda: "su una coscienza particolarmente esagerata di ciò che ci fa uomini, di ciò che ci fa metri della natura. Questa coscienza è l’essere attori. Ed è anch’essa una coscienza che può avere tanti diversi aspetti. Può essere una semplice coscienza motoria, può essere una semplice consapevolezza della duplicità e pluralità del nostro essere, può essere il gusto di essere, come di non essere, di amare l’umanità, come di deriderla, o perfino di odiarla, può consistere in un semplice distacco per una specie di anestesia fisica