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A cuore aperto... mi racconto
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A cuore aperto... mi racconto
E-book159 pagine2 ore

A cuore aperto... mi racconto

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Info su questo ebook

Attraverso un racconto fatto ai nipotini si snodano, insieme con le vicende storiche, quelle personali e familiari dell'autrice nello scenario della vita di ogni giorno. Lo spaccato di un'epoca, dall'ultima guerra ad oggi, dal quale emergono gli usi, i costumi, le tradizioni di un angolo della Sicilia caro all'autrice.
LinguaItaliano
Data di uscita23 nov 2018
ISBN9788827857892
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    Anteprima del libro

    A cuore aperto... mi racconto - Ignazia Iemmolo Portelli

    Indice

    PREFAZIONE

    A cuore aperto mi racconto

    Il presepe

    Lo sbarco degli anglo-americani

    La fiera del mio paese

    Il mio bisnonno e lo zio Corrado

    Le bambole e la palla di pezza

    A scola nun ci vuoghhiu iri (A scuola non voglio andare)

    Matri Carmela ro cori i Ghesù e i Criscione

    Mio padre

    Il Corpus Domini

    Rosa va sposa

    Scolara al Bellini

    Tarzan

    L’eremita pellegrino senza corpo

    Visita alla Madonna delle lacrime e il prodigio del sole

    La donna ne sa una più del diavolo

    A Noto

    Lo schiaffo a Marianna e la prof.ssa Abita

    C’era chi cercava l’America

    A Noto incontro Francesco

    La vita continua

    La gioia di essere riconosciuta uguale anzi … di più.

    Università

    La combriccola delle Grazie

    La laurea

    Insegnamento a Siracusa

    A Torino incontro Rico

    Insegnante di lettere al liceo del mio paese

    Due Torinesi in Sicilia

    In vacanza ad Augusta ma …

    Finalmente insieme a casa nostra

    Ugo con la moglie in vacanza

    Chicco

    Katia e Tatiana

    E per finire

    IGNAZIA IEMMOLO PORTELLI

    A CUORE APERTO…

    MI RACCONTO

    Ai miei cari fratelli

    Rosa, Pietro Corrado, Salvatore

    assieme ai quali ho vissuto

    molte delle esperienze qui raccontate

    PREFAZIONE

    Il cammino letterario di Ignazia Iemmolo Portelli continua ad essere, senza alcun dubbio, ricco ed intenso, nonché connotato di traguardi importanti sia sul versante dell’etnoantropologia e delle tradizioni popolari, sia su quello poetico e narrativo.

    In questa ulteriore opera narrativa, dal titolo A cuore aperto… mi racconto, la scrittrice intende offrire al lettore il respiro della sua umanità di donna, di madre, di nonna, di docente, di persona di fede; un’umanità che si dispiega come narrazione di un romanzo di vita custodito nel cuore , ma che vuole farsi dono a quanti si sono imbattuti sul suo cammino, a partire dai suoi tre nipotini, con i quali, in questo libro, intraprende un dialogo reale e vellutato di fantasia, e a cuore aperto.

    I temi del dialogo sono ampi e si snodano come narrazione autobiografica centrata su esperienze e accadimenti particolari rimasti impressi nella memoria della scrittrice, ove i filmati ripercorrono tracciati esistenziali vissuti in famiglia, nella scuola, negli ambienti amicali e relazionali, religiosi e sociali, raccontati quasi come pagine di diario .

    Come diceva Jerome Bruner, l’autobiografia [...] ha una curiosa caratteristica. É un resoconto fatto da un narratore nel ‘qui e ora’ e riguarda un protagonista che porta il suo stesso nome e che è esistito nel ‘là e allora’, e la storia finisce nel presente, quando il protagonista si fonde con il narratore.¹ Ebbene, ogni racconto di questo volume è la riproduzione di un passato che si fonde con il presente, divenendo un resoconto fatto dall’autrice hic et nunc, ed offrendosi quasi come uno strumento di formazione mediante cui il Sé della protagonista si svela nella sua pedagogia di significato e nelle sue valenze comparative all’interno di un quadro di confronto tra passato e presente.

    Questo di Ignazia Iemmolo Portelli è, insomma, un libro che si situa dentro una memoria autobiografica viva e palpitante, dalla quale l’autrice tira fuori pensieri, rappresentazioni, affetti, bisogni, progetti, emozioni e intenzioni, integrandoli in un percorso letterario che si fa estensione ed espressione fenomenologica della sua anima.

    E così, dal Natale allo sbarco degli anglo-americani, dalla fiera del paese alle relazioni con lo zio Corrado e i bisnonni, dalla bambola e la palla di pezza al rifiuto di andare a scuola, dal Corpus Domini alla visita alla Madonna delle lacrime, dai sogni di chi cercava l’America all’esperienza universitaria, dal conseguimento della Laurea all’insegnamento a Siracusa e a poi a Torino, dai rapporti di amicizia fuori Sicilia all’impegno nella Caritas, etc…, tutto diventa creta nella mani dell’autrice, che con sano realismo e semplicità descrittiva apre il suo cuore scrivendo di se stessa e della sua vita, con la consapevolezza che raccontare e affidare i propri pensieri ad un foglio di carta o ad una pagina di computer determina una maturazione interiore.

    Con questa opera narrativa Ignazia Iemmolo Portelli, dunque, ritorna alle origini, rivoltando, passo dopo passo, i cassetti della memoria; il suo narrare sosta su sentimenti che l’hanno fatto gioire e soffrire, su luoghi e spazi che l’hanno formata, su avvenimenti nei quali piccoli insegnamenti ritornano a farla riflettere, dando vita così ad una letteratura di narrazione che assume quasi un valore terapeutico per l’autrice, ma anche una funzione sociale per il lettore che vuole porsi in atteggiamento d’incontro dell’altro; sì, proprio perché la protagonista è consapevole che dall’incontro di ogni narrazione autobiografica può scaturire una maggiore conoscenza della nostra vita, una percezione più chiara del nostro esserci nel tempo e, quindi, di non voler perdere il tempo che rimane senza scriverne.

    In ogni passo del suo narrarsi, la scrittrice non manca di inserire delicati fotogrammi ravvivati da una memoria che gusta la bellezza, la gioia e il dolore di momenti irrepetibili, come, ad esempio, quello che descrive la semplicità di una tradizione di paese, ossia la fiera di via Gonzaga:

    …Il 22 di ogni mese una moltitudine di bambini finiva col marinare la scuola perché passando per la via Gonzaga, dove aveva luogo la fiera, era quasi impossibile rinunciare a quello spettacolo: suoni, rumori, odori, fantasmagorie di colori : un percorso sensoriale che mi affascinava. I miei sensi erano stimolati ora da profumi che mi inebriavano: la menta, il limone il gelsomino, ora dall’odore sgradevole, come lo sterco degli animali, che però nel mio immaginario mi riconduceva al lavoro dei campi unica fonte di introito per quasi tutte le famiglie del mio paese.

    Mi feriva ad un tratto l’odore acre e pungente proveniente da un enorme mucchio di vestiti attorno al quale diverse decine di donne, come api, si spintonavano nella frenetica ricerca di qualche vestito che poteva essere adatto a loro. Erano vestiti usati, ma ancora in buone condizioni, che la carità degli americani aveva destinato, previa opportuna disinfezione, agli italiani poveri e stremati dalla guerra e che venivano venduti per pochi spiccioli. Avevo circa dieci anni e, pur essendo un’isolana non avevo mai visto il mare!...

    Altro fotogramma che troviamo piacevole nel racconto Insegnante di lettere al Liceo del mio paese , è quello che raggomitola i filmati del tempo della vendemmia, allorquando la scrittrice rievoca la gioia di essere tornata ad insegnare nella sua Rosolini:

    Era tempo di vendemmia e mi inebriava l’odore del mosto che mio fratello, come tutti i proprietari di vigneti, portava a casa dal palmento dove giovani, a piedi scalzi, pigiavano l’uva. Il trasporto avveniva in piccole botti di legno un po’ schiacciate (i carrateddha) sistemate sul carretto artisticamente scolpito, sul quale erano dipinte storie di santi e di eroi ( S. Giorgio, S Genoveffa, i paladini di Francia).

    La bellezza statuaria e la forza possente del cavallo venivano ammirati da tutti ed inorgoglivano mio fratello che ne era il proprietario. Portato a casa, il prezioso liquido, promessa di gioia e di festa, veniva travasato nelle botti che erano state preventivamente ed opportunamente lavate con acqua e foglie di limone o di alloro e sterilizzate con zolfo. Bisognava aspettare S. Martino, l’11 novembre, per spillare le botti e gustare il vino nuovo accompagnato da crespelle e castagne arrostite…

    Questo di Ignazia Iemmolo Portelli è un libro che si snoda a nuclei essenziali, una modalità che punta su racconti brevi ove l’obiettivo non è solo narrare e descrivere ma lasciare un messaggio, come è proprio delle favole, delle fiabe e delle novelle; non a caso , infatti, l’autrice nell’incipit del volume crea l’ambiente per i suoi racconti:

    …un folto gruppo di bimbi del vicinato con in testa i miei nipotini entrò dalla porta della cucina , mi si piazzò davanti e con cenni eloquenti invitava Francesca a parlare.

    Nonna, esordì la bambina, fuori c’è caldo e abbiamo deciso che tu ci racconterai la storia della tua vita(…) Io sono vecchia, ci sarebbe tanto da raccontare ma siete sicuri di riuscire a stare attenti e in silenzio? Ci vorrà un bel po’ di tempo e non vorrei che ci stancassimo sia voi che io!

    Facciamo un racconto a puntate. Un po’ al giorno come quelli della televisione intervenne il piccolo Antonio. Si levò un coro di si, si.

    E sono tutti brevi racconti che riescono a coinvolgere il lettore perché obbediscono al bisogno di narrare insito nell’animo dell’autrice, la quale si affida alla parola per comunicare eventi, pensieri e sentimenti, per costruire significati attraverso le storie narrate; il valore del testo dunque, al di là della valenza letteraria, va ricercato soprattutto nella sua funzione quasi pedagogica e nella sua capacità di generare emozioni, atteso che la scrittrice utilizza un tono dialogico e racconta storie ove s’intrecciano i suoi vissuti, i suoi ardori giovanili, le immagini scolpite nella sua storia personale: direi che Ignazia Iemmolo Portelli si interroga quasi sulla propria identità, rielaborando una direzione di senso della sua esistenza.

    Il suo pensiero narrativo diventa pertanto un’ermeneutica, perché legge e interpreta le storie di individui, di luoghi a lei affettivamente legati, di persone di ogni provenienza e cultura con i quali ha interagito nel suo lungo cammino esistenziale. I suoi racconti, insomma, evocano la trasmissione di memorie familiari e personali, di avvenimenti lieti e tristi, di esperienze sociali e aggregative, lavorative ed affettive; e in questo procedere narrativo il lettore avrà modo di cogliere il significato che l’autrice attribuisce al suo vissuto, rielaborato nel tempo e finalizzato a definire l’identità di una comunità, di un territorio, di una cultura, di una esperienza.

    Come scrive Paul Ricoeur in Tempo e racconto (1983), è nella narrazione di Sé che si rappresenta la propria identità; ebbene, questo è ciò che avviene in questo volume, ove la scrittrice, quasi come rivoltando un cappotto, riproduce la narrazione di Sé nel divenire del tempo, ponendolo in relazione con stati d’animo di vissuti maturati lungo il cammino.

    E difatti, Ignazia Iemmolo Portelli in ogni racconto costruisce sempre storie costituite da azioni legate da rapporti logici e cronologici ed ambientati dentro luoghi, contesti sociali e periodi storici che portano alla luce anche figure, valori, sentimenti e risentimenti, modi di dire e di fare, e tradizioni familiari; come, ad esempio, nel racconto Il mio bisnonno e lo zio Corrado , ove la scrittrice fa risaltare la figura dello zio Corrado Gugliotta, che abitava a Pozzallo perché aveva sposato una signorina di quella città e che viene descritto un uomo bello, vivace, affascinante, solare come la nostra terra, un sorriso accattivante e uno sguardo ammaliatore; o come nel racconto A scola nun ci vuoghhiu iri, ove la narrazione fa emergere consuetudini, usi , costumi e attività familiari come quelle del pane e delle focacce fatti in casa - (…Con il cruschello ( a ranza) venivano realizzati i profumati, morbidi ‘nciminati, i scacciuna e i cuddhureddhi che spesso venivano cotti a mmienzu furnu…" - , e dove, altresì, l’autrice fa intravedere le discriminazioni di genere di tempi ormai andati: …Le femminucce poi non si sognavano nemmeno di chiedere di andare a scuola perché sapevano che dovevano imparare ad essere brave donne di casa, sagge e sottomesse, nella speranza di trovare presto un buon marito che le avrebbe mantenute, erano infatti considerate bocche da sfamare e cambiali da pagare per fare loro la dote di matrimonio a differenza dei maschietti che sarebbero divenuti braccia per lavorare e portare ‘ abbondanza’ alla famiglia..."

    Scene di vario genere, collocate in contesti situazionali appropriati, campeggiano poi lungo tutti

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