LA STORIA UNIVERSITARIA DI BERTO BROC: un caso incredibile
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Berto, pur non essendo genio incommensurabile, sapeva organizzarsi in modo da svolgere una notevole mole di lavoro, tale da inventare tutta una serie di esercitazioni scritte assolutamente nuove, corredate da un sistema di valutazione particolarmente oggettivo. Inoltre, amava l’insegnamento rendendosi sempre disponibile con gli studenti.
In seguito, anche per le reiterate assicurazioni del suo mentore, unite alla consapevolezza dell’impegno e dei risultati ottenuti, Berto riteneva ragionevolmente che l’obiettivo di diventare ricercatore a ruolo, superando le angosce del lungo periodo di precariato, fosse a portata di mano.
Tuttavia, gli avvenimenti prenderanno una piega talmente diversa da rendere il caso del dottor Broc un unicum per la sua gravità.
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Anteprima del libro
LA STORIA UNIVERSITARIA DI BERTO BROC - Roberto Brocchini
ALLEGATI
PARTE I
Berto Broc era un giovanotto sportivo e relativamente tranquillo, da anni lavoratore part time, in modo da contribuire alle sue spese senza pesare esclusivamente sulla famiglia, sostenuta dal solo stipendio del padre, sottufficiale infermiere di marina. Appena laureato, nel 1996, aveva deciso di proseguire il suo percorso lavorativo nell’Università di Pisa collaborando come assistente del professor Martinolo, diventando in seguito Cultore della Materia e Dottore di Ricerca in Scienza della Politica.
Berto non era il tipo del genio incommensurabile, ma con la propria intelligenza matematica sapeva organizzarsi in modo da svolgere una notevole mole di lavoro, tale da metterlo in condizione, nel tempo, di inventare tutta una serie di esercitazioni scritte assolutamente nuove, corredate da un sistema di valutazione particolarmente oggettivo.
In seguito, anche per le reiterate assicurazioni di Martinolo, unite alla consapevolezza delle innovazioni introdotte, Berto aveva ragionevolmente potuto ritenere, che l’obiettivo di diventare ricercatore a ruolo, superando le angosce del lungo periodo di precariato, fosse a portata di mano.
Oggi un giorno particolarmente importante: ospite della facoltà l’ex ministro degli esteri, craxiano di ferro, onorevole De Michelis; avrebbe tenuto una conferenza sulla politica estera europea. Il dottor Berto Broc, memorizzate ancora una volta le varie incombenze dategli dal professor Martinolo e certo di portarle a termine al più tardi entro l’indomani, a passo svelto raggiunse l’aula magna.
I professori Martinolo e Vernaroli erano già lì. La conferenza stava per iniziare. L’onorevole ospite anche lui già in aula magna, proprio di lato al palco. Vernaroli e Martinolo parlottavano, il primo mostrando un’aria saputa. Vantava in effetti stretti legami con De Michelis e il suo entourage. Il dottor Broc, poco distante, per un bizzarro attimo, chissà perché, ebbe l’impressione di essere lontano da loro migliaia di miglia.
La conferenza filò liscia fino alla fine. D’altronde, l’ex ministro era sufficientemente preparato da poter sviscerare l’argomento praticamente a braccio. Applausi, qualche domanda, sparsi convenevoli. Era finita.
De Michelis si stava avvicinando. Vernaroli, con un sorriso a mille denti lo intercettò, per salutarlo calorosamente e presentarlo subito dopo a Martinolo; poi i tre si allontanarono verso l’uscita. Berto Broc, a pochi metri da loro, totalmente ignorato, li fissava incredulo. Pazzesco, pensò. Dopo anni di collaborazione fianco a fianco, il suo professore e l’altro collega, fin qui da lui ritenuto senza dubbio un amico, non avevano ritenuto opportuno, in barba alla più elementare cortesia, neppure nominarlo all’illustre ospite. Si sentì assalire da una rabbia gelida, ma, dubitando nel profondo di sé, dell’opportunità di stringere la mano a un personaggio tanto potente, quanto notoriamente compromesso, riuscì a contenersi. Tuttavia, l’ingiustificata scortesia nei suoi confronti rimaneva. I motivi al momento sfuggivano. Comunque fosse, Broc se ne uscì rapido e imprecando raggiunse l’ auto.
Fu un fatto gratuito, assolutamente casuale. Nel tempo la cosa non ebbe alcuna conseguenza pratica. Il dottor Broc continuò a svolgere senza problemi i propri compiti, completamente assorbito dal tran tran universitario.
Un giorno, mentre si trovava insieme al professor Vernaroli nella piccola stanza dove era situato il computer del professor Maghi, utilizzandolo come al solito per svolgere le proprie operazioni di calcolo sul materiale elettorale, Berto udì bussare alla porta. Subito dopo fece il suo ingresso un personaggio corpulento mai visto prima, l’aria complessiva molto vicina alla trascuratezza.
Fra Vernaroli e il nuovo venuto, con sua sorpresa, si instaurò subito una fitta conversazione allegramente superficiale, che dava facilmente ad intendere, malgrado il rispettoso lei dell’interlocutore, come fra i due vi fosse una notevole confidenza. Nell’ora in cui lo sconosciuto rimase lì, il dottor Broc poté rendersi conto, come il compito del giovane fosse quello di controllare il computer del professore. Comunque un’accoppiata assai bizzarra, ragionò Berto, poi non ci pensò più. Caso volle che questi incontri nel tempo si moltiplicassero, così che l’innominato, in seguito presentatosi come Tucco, ebbe modo di conversare con lo stesso Broc, pur in modo assolutamente casuale, quanto bastò tuttavia a rivelarglielo molto diverso da sé. Una persona ciarliera, fino allo sproposito, incline a vantarsi di una quantità di cose, delle quali invece il dottor Broc, avrebbe ritenuto più opportuno se le fosse tenute per sé. In effetti, la sua sfacciata faciloneria esibita ad ogni piè sospinto, non glielo rendeva particolarmente simpatico.
Una mattina, il professor Marinelli, un potente docente di filosofia politica, direttore dell’istituto di studi storico politici dal 1979 al 1986, oltre che vice preside della facoltà di scienze politiche dal 1995 al 1997, si avvicinò all’ufficio di Martinolo e indicando Broc che stava stampando del materiale didattico: Quello è il tuo collaboratore vero?
Si, è bravo e affidabile
. Mi fa piacere
. Nel frattempo Marinelli se ne andò e Broc rimase compiaciuto delle parole di elogio del suo mentore.
Il dottor Broc sentì nominare per la prima volta il professor Cardi un pigro giorno di settembre. Lo fece il professor Martinolo. Un distratto inciso nell’ambito del discorso molto complesso riguardante le nuove proposte che il dottor Broc aveva avanzato per riformare le prove scritte, con l’obbiettivo di migliore lo studio della materia. La novità non era, secondo lui, né rassicurante né piacevole. L’ingresso nell’ateneo di un nuovo professore ordinario, a suo giudizio, poteva portare soltanto guai mettendo in pericolo la sua sistemazione futura. Lo fece subito notare a Martinolo.
È una novità che avrei preferito non sentire affatto, evitarla completamente, addirittura
.
Come al solito, Martinolo fu lapidario.
Non si preoccupi. Vado in anno sabbatico per un anno e lui mi sostituisce, ma ho perfettamente in mano la situazione. Siamo in una botte di ferro. Se poi l’amico dovesse dare qualche fastidio, stia certo, lo prenderò a calci in culo
.
Così, rassicurato dal proprio mentore, quando Cardi arrivò, Berto rimase calmo e tranquillo. Anzi, appena qualche giorno dopo, si recò nel suo ufficio per ragguagliarlo sul proprio curriculum scientifico, ritenuto da Cardi adeguato al compito che intendeva affidargli, quello di collaboratore, tenendo alcune lezioni sui sistemi elettorali nel suo prossimo seminario. L’esperienza si rivelò piacevole e proficua, stante l’atteggiamento rispettoso e amichevole del professore, che pretese si dessero del tu, ed affidò a Berto la compilazione degli statini e una decina di ore di lezione tutte a suo carico. Inoltre, non si peritò di esprimere stima per una pubblicazione del dottor Broc inerente il voto singolo trasferibile, vedendone una possibile applicazione effettiva in Italia, come sistema utile a garantire una maggiore rappresentatività, quanto una moltiplicata facoltà di scelta dell’elettore.
Il tempo passava. Martinolo si stava godendo il suo