Parmenide contro Parmenide: Due metafisiche a confronto
Di Athos Turchi
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Il problema che qui affrontiamo è quello dell’Essere. Ora, con Essere intendiamo tutto ciò che vediamo, sperimentiamo, viviamo, siamo… Esso è l’Universo e il mondo dove siamo e anche tutto ciò che non è per noi visibile e sperimentabile… Insomma tutto ciò che è e che c’è. Bene, questo discorso lo riassumiamo e lo raccogliamo nel concetto e nel termine: Essere, poiché è del filosofo ridurre a unità il molteplice e Essere è il termine che è quell’uno radice di ogni realtà e cosa perché, come intuì ed esplicò Parmenide, è la base ultima oltre la quale la molteplicità delle cose non può più procedere.
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Anteprima del libro
Parmenide contro Parmenide - Athos Turchi
Athos Turchi
PARMENIDE CONTRO PARMENIDE
Due metafisiche a confronto
ISBN: 9788827513149
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SOMMARIO
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA: LA METAFISICA
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
CAPITOLO VII
PARTE SECONDA: VERITA’ E ASSIOLOGIA
CAPITOLO I
CAPITOLO II
PARTE TERZA: ONTOLOGIA
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
CAPITOLO II
PARTE QUARTA: TEOLOGIA RAZIONALE
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CONCLUSIONE
SIGLE
BIBLIOGRAFIA
I CLASSICI
ALTRI TESTI
INTRODUZIONE
«Ogni posizione di un problema è un cercare» dice Heidegger e «la sua direzione la trae dal cercato» (SZ, §2) e non possiamo non essere d’accordo.
Il problema che qui affrontiamo è quello dell’Essere. Ora con Essere intendiamo tutto ciò che vediamo, sperimentiamo, viviamo, siamo… Esso è l’Universo e il mondo dove siamo e anche tutto ciò che non è per noi visibile e sperimentabile… Insomma tutto ciò che è e che c’è. Bene, questo discorso lo riassumiamo e lo raccogliamo nel concetto e nel termine: Essere, poiché è del filosofo ridurre a unità il molteplice e Essere è il termine che è quell’uno radice di ogni realtà e cosa perché, come intuì ed esplicò Parmenide, è la base ultima oltre la quale la molteplicità delle cose non può più procedere.
Dal termine Essere prende nome la branchia del sapere che lo riguarda, comunemente chiamata «metafisica», che segue una denominazione di Aristotele che la indicava come la scienza più radicale tra quelle dell’uomo, cioè la filosofia prima. In seguito questa stessa materia venne anche detta «ontologia» quando il concetto di metafisica fu preso come l’insieme di una molteplicità di parti ad essa settoriali.
Qual è dunque il cercato che dà direzione alla metafisica? Tommaso dice: « Illud autem quod primo intellectus concipit quasi notissimum, et in quo [1] omnes conceptiones resolvit, est ens…Unde oportet quod omnes aliae conceptiones intellectus accipiantur ex additione ad ens» [2].
L’Ente è l’oggetto della presente ricerca. Ma quale ente? Ovviamente non può che essere se non questo: l’ «Essere simpliciter e sine glossa», perché esso è quel piano radicale e ultimo oltre il quale non c’è nulla e dal quale il nostro intelletto apprende conoscenze come addizioni dell’ente, dato che in quell’ultimo livello Essere ed Ente dicono la stessa cosa. Ora tale «Essere simpliciter» è un Ente unico e per sé, o è una base, un piano, un livello indeterminato e vasto lastricato e costituito da un’infinita varietà di enti? O cos’altro?
Se fosse un Ente avrà un’essenza che lo distingue da ogni altro che su di esso si appoggia, se è solo un livello formato dai molteplici enti esso è un concetto che noi diamo all’insieme formato da quegli enti, come per esempio diciamo mosaico l’insieme di tanti tasselli di pietra.
Dunque ciò che chiamiamo: Essere, è un Ente o un insieme di cose? È un concetto collettivo o un nome proprio di una realtà ben determinata? Siccome è l’oggetto primo e ultimo, radicale e fondativo di ogni altro, l’oggetto della metafisica lo determiniamo con un termine che tenga conto di questa sua radicalità: Essere simpliciter.
È il medesimo problema dei primi filosofi, come scrive Giovanni Reale: «Il problema metafisico per eccellenza è, per i Greci, … il seguente: perché ci sono i molti?
, ovvero perché e come dall’Uno derivano i molti?
» [3]. Modificato di poco: l’Essere simpliciter è Uno o è Molti? Come sappiamo dell’Uno? Come sappiamo dei Molti?
A questo problema se ne affianca subito un altro che è essenziale: non solo è necessario dire cos’è l’Essere simpliciter, ma dare la ragione del perché è in quel modo e non può non essere altrimenti
, dal momento che Parmenide lo determinò quale principio (logico o ontologico?) in ragione proprio di questa sua qualità necessaria e identificativa. Infatti se l’Essere è a fondamento di tutto, è ovvio che non possa non essere, non solo ma sarà questa la caratteristica che lo diversifica eternamente dal nulla e da ogni altra cosa.
Che cosa dunque lo determina tale o qual è la sua essenza? E come si può definire quell’Essere che non può passare al non essere neanche se lo volesse? Tale Essere è un Ente (reale) o è solo un concetto (funzione logica) utile per indicare molteplici cose? E il molteplice: è diverso dall’Essere o è identico? Se fosse diverso sarebbe nulla
, se fosse identico che differenza c’è e che vorrebbe dire molteplice
quando risulterebbe uguale all’Uno-Essere di cui Parmenide parla?
Per risolvere questi problemi intendiamo la metafisica prima quella che indaga sull’Essere simpliciter e lo fa grazie a un metodo che chiamiamo archelogico, in quanto la prima indagine non può iniziare né da descrizione né da presupposte conoscenze, ma solo da una fondazione e tematizzazione di quanto è primo e originario, ossia archetipo di ogni altro.
La seconda parte della presente ricerca, una volta indagato e risolto il problema dell’Essere simpliciter, riguarderà l’ente secondario o relativo e in particolare l’ontologia dell’essere umano, come sviluppo di quanto l’archeologia metafisica ha rivelato.
[1] «In quo», questo è il testo della ed. Marietti. Alcuni testi mettono «in quod» cf. De veritate: ESD di Bologna 2005 vol. I; e R.Busa, formato elettronico.
[2] De Ver. 1, 1.
[3] G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Milano 1989, p.230. Cf. E. Severino, Istituzioni di filosofia, Brescia 2010.
PARTE PRIMA: LA METAFISICA
CAPITOLO I
I.1 – L’ Essere come problema
Ogni scienza suppone il suo oggetto specifico, non lo dimostra né lo fonda, perché in quanto universale è un ente di ragione ed è una forma di astrazione e razionalizzazione che viene a determinarsi in un intellegibile. Così la filosofia prima, che vuol essere una scienza, non dimostra l’esistenza del suo oggetto: l’Esser-ente, che in quanto ente è presupposto, anzi quale oggetto di scienza potrebbe prescindere anche dall’esistenza come dice Aristotele nella sua Metafisica : «C’è una scienza che considera l’ente in quanto ente... essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari; infatti nessuna delle altre scienze considera l’ente in quanto ente in universale» [1] .
Tuttavia, nonostante l’autorità di Aristotele, sembra che Hegel abbia ragione: «La filosofia non ha il vantaggio, del quale godono le altre scienze, di poter presupporre i suoi oggetti come immediatamente dati dalla rappresentazione» [2]. In altri termini la metafisica deve dare ragione sia del concetto che usa (universale o particolare) e sia dell’ente o degli enti di cui parla o a cui il concetto si riferisce, perché l’essere è anteriore al concetto. E il concetto che ne deriva deve essere legittimato non da una semplice astrazione, ma da una ricerca fondativa e razionale che dia ragione del contenuto e dell’uso che di quel concetto se ne fa. Per esempio, prima di affermare che il concetto di Essere-ente si dice di molte cose, è necessario spiegare, fondare e legittimare il concetto di Essere-ente nella sua comprensione, e non semplicemente usarlo, perché non è una questione di estensione del termine, ma appunto della sua comprensione [3].
Anche Heidegger all’inizio del suo scritto « Essere e Tempo» vede «la necessità della ripetizione del problema del senso dell’essere» [4]. Qual è quel «senso» dell’essere-ente che si attribuisce a ogni cosa e che nessuno va a verificare se il suo contenuto – se ce l’ha – è vero o falso, fondato o no?
Questo è un po’ il problema dell’Essere: il termine che si usa che comprensione ha? Su cosa fonda la sua significatività? O detta con Heidegger: qual è il senso dell’Essere? Poi staremo a vedere a che cosa si può o non può predicare.
Ecco perché abbiamo chiamato il nostro oggetto «Essere simpliciter», esso infatti necessita di essere saputo e tematizzato, poiché è grazie ad esso che sarà poi possibile ricostruire ogni altra significatività, dal momento che il suo esatto significato è alla base del Principio di non contraddizione (in sigla PNC): «l’essere è e non può non essere», che si dice essere il criterio fondamentale di ogni significanza, e perciò il termine dovrà contenere qualche significato altrimenti se non lo avesse, avremmo un PNC che non dice nulla. Qual è questo significato?
In altri termini, non possiamo accettare l’impostazione aristotelica della Metafisica dove dice: «Ci sono tante parti della filosofia quante sono le sostanze … Infatti l’essere è originariamente distinto in generi e le scienze si distinguono secondo la distinzione di questi generi. Il filosofo è come il matematico: infatti anche la matematica ha parti, e di queste una è prima e l’altra è seconda e le restanti seguono, in serie, una dopo l’altra» [5].
È falso che l’essere sia " originariamente" distinto in generi, questo è un assunto del molteplice sic et simpliciter inaccettabile per il filosofo, come dice Hegel, senza prima aver tematizzato e fondato ciò di cui si parla o si esperisce, nel caso aver legittimato e saputo del molteplice.
Inoltre, la metafisica è una scienza per nulla uguale alle altre, né la prima di una serie a venire, in quanto la metafisica le trascende e le travalica, mi si permetta il concetto: la metafisica è una scienza trascendentale, come lo è il concetto di ente rispetto alle categorie, per cui il metafisico non è come il matematico, ma un ricercatore a sé e anomalo rispetto a ogni scienza.
Infine se l’ente-essere fosse " originariamente" distinto in generi e nei generi, che sono quelli reali delle cose, sarebbe equivoco, perché la significanza e l’esistenza la trarrebbe dalle proprie essenze: « esse est actus essentiae» [6], e le essenze-enti ( ousìas, come le chiama Aristotele) sono diverse e portano all’equivocità perché Argo per esempio esisterebbe in quanto Argo, come Socrate in quanto Socrate. Questo vale anche nel caso Aristotele faccia riferimento al «per sé» della sostanza, perché se fosse questo il fondamento-genere-essenza dell’ente è ovvio che gli accidenti non potrebbero essere enti neppure come affezioni della sostanza, perché non sono «per sé». Se poi si vuol ancor più universalizzare il concetto di ente affinché sia più esteso di «per sé» e «per altro», allora onestamente ha ragione Hegel: «Essere, puro essere, senza nessuna determinazione… L’essere, l’indeterminato immediato, nel fatto è nulla, né più né meno che nulla» [7] , perché non si sa più di che cosa si parla, e anche Aristotele – come era accaduto a Platone con la dynamis ( Sofista, 247d-e), e accadrà a Kant con la semplice posizione ed a Heidegger con la possibilità [8] – dovrà ripiegare su un concetto di enérgheia (cf. Met.IX) che non dice niente.
Dunque qui intendiamo la metafisica come fondazione e tematizzazione dell’«Essere simpliciter»; dopo stabiliremo se è una realtà, un concetto, una fantasia, un apriori, un aposteriori, un innatismo o quant’altro.
I.2 – L’Archeologia Metafisica
Con archeologia metafisica intendiamo lo studio dell’ Essere simpliciter e sine glossa, mediante l’indagine razionale e dialettica degli enti immediatamente dati ed esperienziali, quale reale e verace documentazione della presenza dell’essere.
L’indagine ha come scopo di fondare, tematizzare, determinare, legittimare e giustificare razionalmente il principio originario della realtà nella sua assoluta originarietà, partendo da ciò che è primo e evidente quoad nos.
L’inizio di una ricerca ha origine sempre da quello che è primo, comunque esso sia, e siccome la ricerca è fatta da un ricercatore è necessario dire dell’uno e dell’altro. Dell’oggetto diremo meglio dopo. Qui vogliamo solo indicare come il ricercatore si pone verso l’oggetto ricercato.
L’oggetto del metafisico è l’Essere simpliciter, base ultima della realtà e ragione di tutto il resto, perciò la metafisica non può sottrarsi dalla giustificazione di questo livello radicale, poiché non può rimandare ad altri la fondazione, come indicava Hegel: diversamente non ci sarebbe stato bisogno di una indagine fondativa, se l’oggetto fosse stato un aspetto delle cose, come accade per esempio al matematico che rimanda alla quantità, al chimico che rimanda alla materia e così via.
Si è detto però che essendo il livello assoluto e non avendo niente oltre, è necessario indagarlo in se stesso come si presenta, e perciò chiamiamo questa ricerca «Archeologia Metafisica» proprio per indicare sia la radicalità dell’oggetto sia l’impossibilità che altro lo possa influenzare o sostituire o sostenere.
È la ricerca del principio, di ciò che è fondamento di tutto: sia in ciò che esso è, sia eventualmente di ogni altro che da esso trae origine. Dice Tommaso: « Oportet quod omnes aliae conceptiones intellectus accipiantur ex additione ad ens». Ora perché si possa addizionare qualcosa all’ente è necessario che l’ente sia esso stesso qualcosa, altrimenti se fosse nulla non potrebbe fare da supporto, cioè da ente.
Dunque questo Ente-Essere radicale, simpliciter,