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Il Lamento di Federico
Il Lamento di Federico
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E-book392 pagine5 ore

Il Lamento di Federico

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Info su questo ebook

Il Federico del titolo è un nome scovato per caso in internet: uno studente di filosofia che, in crisi per l’esame sull’estetica di Hegel, chiede aiuto a qualcuno che abbia “schematizzato i capitoli o ha degli appunti o delle dritte di qualsiasi tipo [...] Gliene sarò grato per il resto dei miei giorni”. Il libro, spiega subito Fazìa, non è una risposta a questa richiesta d’aiuto, l’idea era già nata e il materiale già pronto, ma, continua, “nella sua estensione problematica, fingendo di rispondere adesso a Federico, [il libro] prende su di sé il problema complicato della scientificità della filosofia, della sua sperimentalità o meno, della sua relatività nella più varia economia del sapere e intanto in quello dell’arte”.
Lo stile del volume parla il linguaggio dei giovani, abituati a cercare in internet le risposte ai loro dubbi, a digitare un nome sul motore di ricerca google sperando che ne esca l’informazione o la spiegazione che illumina il cammino verso il sapere. Fazìa, senza fare sconti sulla complessità della questione, accompagna dunque i lettori in un ideale viaggio dentro una rete di pagine, un’opera multimediale fatta di carta. Un’idea rivoluzionaria, dunque, e non dimentichiamo che l’autore non è certo uno che segue la corrente quando si tratta di filosofeggiare, per cui anche per quanto riguarda i contenuti chi ama l’argomento troverà parecchio su cui riflettere.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2014
ISBN9788884497093
Il Lamento di Federico

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    Anteprima del libro

    Il Lamento di Federico - Salvatore Fazìa

    arrivo

    Esergo

    ... la filosofia come amore del sapere è un amore non corrisposto, perché il sapere al quale aspira è impossibile, non si viene a sapere, e, allora, come tutti gli amori non corrisposti, risulta inaccessibile, disperato e fatuo, non si spiegherebbe diversamente il linguaggio passionale, vertiginoso e occulto, di cui fa uso…

    Introduzione

    "... è la solita storia del pastore, 

    il povero ragazzo voleva raccontarla, ma s’addormì…"

    (Cilea, Arlesiana)

    E’ la solita storia del filosofo, il povero ragazzo, il povero studente, voleva raccontarla, ma…

    Google: Estetica di Hegel

    RIASSUNTO CERCO

    Messaggio, inviato Giovedì 4 maggio 06 – 15: 07

    Registrato: 03/05/06 - 16: 51, come segue: Ciao a tutti sono in crisi per l’esame di estetica con Ophalders.Devo studiare l’estetica di Hegel, le parti del programma 04 05. Se qualcuno ha schematizzato i capitoli o ha degli appunti o delle dritte di qualsiasi tipo mi faccia sapere… Gliene sarò grato per il resto dei miei giorni. Sono disposto anche a pagare! Ciao Tanks, Federico1

    La risposta è tardiva, la ragione di questo libro nasce prima, l’autore aveva già svolto l’operazione attorno alla quale adesso si va formando il libro, che, nella sua estensione problematica, fingendo di rispondere adesso a Federico, prende su di sé il problema complicato della scientificità della filosofia, della sua sperimentalità o meno, della sua relatività nella più varia economia del sapere e intanto in quello dell’arte.

    Il problema diventa: è possibile accedere alla filosofia e venire a sapere qualcosa di vero, trovare - leggendo - come stanno le cose, insomma ricevere informazioni verificabili, oppure la filosofia è un’azione esplorativa di un pensiero che recita il dramma della propria differenza, e pertanto della propria precarietà, invalidità, infelicità? facendo del pensiero un teatro di posa, un po’ di caos dell’invisibile entro il quale – ognuno ha il suo – mettere un po’ di ordine, tra i piani diversi che esso attraversa, le immagini, le emozioni, le memorie, le preoccupazioni, le speranze, le necessità di risposte, le affermazioni, ecc. Insomma è ancora possibile pensare e trovare, pensare e parlare, pensare e mostrare, quando, prima e dopo, avanti e indietro, vicino e lontano, non c’è che caos e inconcludenza, passione e isolamento, esposizione e vertigine? Non ha ragione Deleuze quando a un certo punto si lamenta e chiede: ma che cos’è la filosofia? e: non sono i filosofi persone che hanno spesso una salute troppo fragile e cagionevole, e hanno visto nella vita qualcosa di troppo grande per chiunque… e poi, perché tutti questi pretendenti?

    Il problema c’è.

    Federico è un ragazzo che studia filosofia, nei luoghi dove si insegna e si impara, e tuttavia non ce la fa… perché? pensare filosoficamente è diverso che pensare come si fa di solito? oppure, perché pensare filosoficamente vuol dire creare certe forme e figure di pensiero che è difficile immaginare, ritrovare in una immaginazione non-filosofica? allora, è filosofia solo qualcosa che sa di immaginazione filosofica? ci vuole una certa grazia per farlo?

    Vedremo.

    Fatto sta che, avendo una qualche dimestichezza con l’arte, venendo noi dall’arte e non dalla filosofia può essere che accada come nell’osservazione di Gombrowicz: il fatto più importante che ci separa è che loro provengono dalla scienza, io, invece, dall’arte. Sanno di Università. Quel che vogliamo è provare a vedere se la filosofia dell’arte, e, nella fattispecie, quella di Hegel, sia possibile riconoscerla. Federico ha il problema dell’esame di Estetica di Hegel, e chiede aiuto perché da solo non ce la fa, così proviamo a proporgli l’operazione alla quale abbiamo fatto cenno all’inizio e che abbiamo svolto con la pretesa di dirgli: cosa dice Hegel dell’arte? ecco qua, è la dritta che cercavi, lo schema, un elenco dei passi e dei passaggi concettuali che ne parlano.

    Una certa operazione sull’Estetica2 di Hegel – si diceva - disinvolta e innocente, testimoniale e non furtiva, nemmeno complicata, la più semplice forse, onesta anche, perché fa in un altro modo rispetto a come si fa di solito: di solito si legge tutto, opera e bibliografia, per poi parlare di tutto e dire la propria… volendo noi – l’autore - venire a sapere quello che pensava veramente Hegel che fosse l’arte, avendo letto tutto nell’opera, ma poi, invece, andando a cercare, tra le milletrecentottantre pagine, che ne parlano, quelle proposizioni che singolarmente dicono qualcosa circa la natura dell’arte, e facendone una selezione, una lista di citazioni, ognuna delle quali contiene qualcosa che riguarda l’arte in generale - natura, cultura e funzionamento - ricavandone un elenco breve di nozioni, mantenendone la successività e l’ordine di sequenza presente nell’opera. La brevità di ognuna ci dà ancora l’illusione di un contenuto erogabile a vista.

    Ma poi… come giustificarla?

    L’operazione non è arbitraria? quali regole ne garantiscono la legittimità? Ecco un dramma di chi studia e non è in cordata.

    Chi ci tutela?

    Nell’imbarazzo, allora, e per un pezzo, ma anche nell’angustia della rinuncia, la cosa è stata tenuta in un suo stato di fatto privato.

    Anche se la raccolta, a rileggerla, il suo risultato di cosa breve, non ha mai cessato di dare l’impressione di un vantaggio – di contro alla lettura d’insieme e ad un’azione analitica all’interno di un’ottica del totale –, e altresì di praticabilità, rapida comunicabilità, perché, a conti fatti, ciò che si dice dell’arte, in ognuna di queste selezioni e nella loro sequenza antologica, presenta il vantaggio di una sua efficienza puntuale, locale.

    C’è l’hic et nunc della cosa, e la cosa funziona.

    Una spina nel fianco, questa sensazione… si sta male a veder che la cosa funziona, ed è passibile però di sospetto… se non è protetta dai requisiti di legittimazione di rito…

    Se quando un gesto di studio, magari privo di coperture, ha tuttavia un qualche riscontro, un qualche valore di utilità immediata e di attendibilità… e ammesso che non se ne possa dubitare, e che il risultato in sé si faccia amare per due qualità inoppugnabili: la coerenza testuale interna, l’aderenza esterna alla cosa e alla sua realtà oggettiva. In nessun’altra parte del testo di Hegel sarebbe infatti possibile rinvenire alcunché che affermi qualcosa di diverso e dunque tale che la coerenza interna non ne garantisca l’attendibilità e la coerenza testuale, così come non sarebbe possibile trovare un diverso rapporto di aderenza alla realtà nota dell’arte.

    È a questo punto che, decidendo per la pubblicazione, in debito delle opportune credenziali, il problema è quello di prevenire o comunque di provare a parare l’eventualità di un qualche colpo ostile, un rimprovero gerarchico, una qualche reticenza di specialisti, degli addetti ai lavori, il silenzio con cui si usa punire certe imp(r)udenze.

    È che a un certo punto è scattato il caso.

    Lo studente, su Google, che si lamenta… e poi l’altro, il caso della lettura di due filosofi che scrivono a quattro mani3 e se ne pongono il problema, e in primis: che cos’è la filosofia? si chiedono, se ne pongono il problema del senso e della funzione, intanto che ne legittimano l’interesse in pro di quella che chiamano una necessità di confidenza.

    Due occasioni diverse: l’appello disperato dello studente, la discussione dei due filosofi, entrambe hanno incoraggiato alla decisione positiva della pubblicazione… il messaggio dello studente che non sa come cavarsela in vista dell’esame, e l’idea di Deleuze-Guattari che la pratica della filosofia sia una questione di confidenza a cui aggiungono presto l’idea opposta e scatenante che essa sia anche una necessità di rivalità e sfida…

    Questa la spinta: i due filosofi amichevolmente ne teorizzano la più bella delle legittimazioni, fondandola sulla sola condizione che la cosa funzioni, come dicono quando, domandandosi che cos’è la filosofia? ne avanzano la risposta radicandola all’idea che la conoscenza non è una forma, né una forza, ma una «funzione, con il più bel paradigma: non io cogito, ma «io funziono»".4

    Faceva al caso.

    La cosa, che si voleva proporre, funzionava.

    Per cui, se la cosa funzionava, e la conoscenza che portava con sé non era una forma, mettiamo, come quella richiesta dal rito, né una forza, mettiamo quella di tipo gerarchico-istituzionale, allora la conclusione spontanea era che bisognava provare, prendendo la doppia ipotesi di comportamento del caso, tra un atteggiamento di confidenza e l’altro di sfida.

    Bastava?

    Lo studente ne deve aver sofferto, intanto avrà dato l’esame? come gli sarà andato? avrà trovato qualcuno che gli ha dato la dritta che chiedeva? Noi, tra le ubbìe del ritardo, non abbiamo fatto a tempo, per cui l’operazione, pubblicandola adesso, perde l’occasione più simpatica, quella confidenziale; ci fossimo mossi per tempo, avremmo potuto prestargli un soccorso, suggerendogli lo schema che cercava… ma noi non avevamo ancora la giustificazione teorica dei due filosofi, non avevamo ancora deciso di sceglierla e utilizzarla come giustificazione.

    I due filosofi avevano già spiegato – ma lo studente non lo sapeva - che bisogna essere in grado di porla «tra amici» la questione, come una confidenza o una prova di fiducia, e se no – ma la cosa riguardava noi - lanciarla come sfida al nemico…5 a quale? al professore? ai nemici istituzionali dell’università, a tutti quelli che non credono mai agli studenti e…?

    Vogliamo allora provare, approfittare delle garanzie, che sempre loro, i due filosofi, hanno messo in campo, asserendo altre due cose importanti, contro la nostra iniziale indecisione e in pro della nostra preoccupazione, in pro del problema: che cos’è la filosofia? L’una, che in realtà la bibliografia – sul tema dell’interrogativo, che cosa sia la filosofia - era molto esigua, e, dunque, chi mai, avrebbe potuto alzare la voce? L’altra, d’una bellezza vertiginosa, che la filosofia ha bisogno di una non-filosofia che la comprenda, ha bisogno di una comprensione non-filosofica per cui a questo punto tutta la via diventava assolutamente libera…6

    Allora, ecco il libro, scritto qualche tempo dopo il grido d’aiuto di Federico su Google, fatto per quelli come lui, quelli che a scuola non imparano cos’è l’arte dall’insegnamento della filosofia dell’arte, e così non lo sanno, e nemmeno imparano cos’è l’estetica, intanto quella di Hegel; ma anche contro quelli che o non lo sanno e l’insegnano lo stesso, o che sapendolo non sanno come farlo sapere, e così si mettono di traverso, fanno da ostacolo, e sono tanti, stando a quel che ne dice un professore come Lionello Venturi: Chi voglia rinnovare la propria cultura di storia dell’arte, sulla base della riflessione sul problema dell’arte, ricorre all’estetica. Ma se impara a conoscere un singolo libro di estetica, e ne adotta le idee con atto di fede e le applica meccanicamente, l’effetto sarà deplorevole.7

    Lionello Venturi ha ragione, l’interessato che volesse informarsi su quella filosofia dell’arte che è l’estetica, andrebbe presto incontro al fallimento, dato che ogni filosofia dell’arte, ogni estetica, non è mai stata fondata sulla conoscenza dell’operazione d’arte, del lavoro reale dell’arte, dove ne incontrerebbe processi e funzione, effetti e azione. Essendo inutile ogni estetica limitata alla conoscenza delle varie opere, nel loro stato estetico chiuso e ogni volta diverso, tant’è vero che «se voi dite a un professore di storia dell’arte – è ancora Lionello Venturi - che le sue lezioni sono totalmente prive di giudizi, egli se ne offenderà. Ma se voi domandate quali sono i criteri dei suoi giudizi, vi risponderà spesso che egli si attiene ai fatti, che l’arte si sente o non si sente, o improvviserà qualche schema usato come diapason di apprezzamento... vi accorgerete che la sua cultura irreprensibile per tutto ciò che concerne la documentazione dei fatti, si oppone a una discreta ignoranza di tutto ciò che si riferisce alle idee».8

    Proviamo.

    Intanto qualche autore, ne riportiamo delle definizioni.

    Nessuna provocazione. Ci serve per gettare un po’ di scompiglio, ma anche per partire da certe affermazioni, certamente tanto eccellenti quanto paradossali, e per provare a pensarne qualcosa, ma intanto per dare il senso della scena e prenderne tutta la spinta: ottimistica quella di Benedetto Croce, e forse pour parler: l’arte è ciò che tutti sanno che cosa sia; pessimistica questa: l’arte non ha definizione e sfugge indefinitamente a ogni spiegazione (H.G. Gadamer); quest’altra è quasi buffa:l’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte (D. Formaggio); più guardinga e dolcemente sorniona quella di Achille Bonito Oliva: l’arte è quella che c’è nella storia dell’arte; più elaborata e perfino interessante quella di U. Eco, che a un passo dalla meta, si blocca e si ritira in una specie di vorrei ma non posso. È il 1963, La definizione dell’arte, parla U. Eco9: a) mi rimane da capire se nel mutamento delle idee dell’arte si siano conservate delle costanti che mi permettono di riconoscere, attraverso il processo, il permanere di un modello strutturale valido per tutti i casi; b) una definizione generale dell’arte sa quindi di avere dei limiti: e sono limiti di una generalizzazione non verificabile ma tentativa; i limiti di una definizione gravata di storicità e quindi suscettibile di modificazione in un altro contesto storico; c) e tuttavia una definizione generale dell’arte sa di essere indispensabile: è un gesto che va fatto, un dovere che va compiuto; per cercare di porre un punto di riferimento a quei discorsi che invece di proposito sono storici, parziali, limitati, orientati ai fini di una scelta (critica o operativa); d) tentare definizioni dell’arte a titolo di modelli descrittivi, tesi a identificare una struttura comune in esperienze diverse, nasce proprio dalla costatazione della storicità delle esperienze artistiche, dalla necessità di dar conto di questa storicità e di elaborare appunto modelli generali per avere strumenti onde muoversi nello sviluppo delle esperienze dandone ragione; e) è impossibile parlare di una multiforme tensione nella vita dell’arte se non si dà prima un senso alla parola arte, ciò che implica appunto la formulazione di un modello generale dell’arte; e solo a questo punto si può verificare la validità di un tale modello controllando come venga via-via riempito dai diversi contenuti storici concreti; f) c’è un senso in cui chiedersi cosa è l’arte equivale alla domanda metafisica cosa sia il mondo; ma elaborare una definizione tentativa dell’arte non significa voler esaurire per sempre il problema di un’essenza dell’arte, bensì elaborare un modello dei fenomeni artistici: simile elaborazione dei modelli non esclude la coscienza della storia dei modelli stessi. Anzi, è questa coscienza storica che spinge a elaborare modelli.

    Buone approssimazioni, e sulla via della soluzione, a un passo da essa, dove è Umberto Eco che segna il passo, se è vero che resta inchiodato al dogma della forma, al suo primato, all’idea tradizionale che l’arte sia forma, apparizione aspettuale, spettacolo visivo, dove però più forte resta e insiste l’enorme impressione della multiformità delle opere, irriducibili ad una struttura comune: vincolo concettuale questo del polimorfismo delle opere in cui si paralizza il noto filosofo, che cerca le costanti o il modello strutturale, ma ancora e sempre tra le forme. Ben altro essendo quel che rimaneva da capire, una volta costatato che ogni opera d’arte è qualcosa – un dato, un vissuto - portato ad uno stato trasfigurato e che la forma di ogni opera è diversa da quella di ogni altra… rimanendo da capire il perché di un tale passo della trasformazione in forma… la funzione di una tale operazione, essa sì come principio di individuazione della natura e della cultura dell’arte nel suo movimento verso l’opera, e principio attivo di artisticità, uguale ogni volta, in ogni operazione d’arte, in ogni artista, in ogni epoca. Cosa faccia la forma, quale sia l’azione, la sua funzione… ecco, cosa rimaneva da capire.

    Non diversamente da fior di specialisti, e per esempio da come ne scrive Stefano Velotti:10 «una definizione che mirasse a cogliere l’essenza dell’arte in termini di tratti pertinenti... dovrebbe ottenere l’impossibile: la trasformazione di un insieme di prodotti o comportamenti contingenti, per molti versi eterogenei, in una categoria omogenea eterna...». Anche loro turbati dalla molteplicità morfologica delle opere d’arte, bloccati sulla soglia della forma e qui attratti e distratti, sviati, rispetto all’idea che ognuna di queste opere d’arte possa essere in sé uguale all’altra, prima perché ognuna è la riduzione di qualcosa in una forma (eguaglianza del processo), poi perché in ognuna la forma compie la stessa azione e ha la stessa funzione (eguaglianza della funzione).

    Non è come si dice che è la funzione che fa l’organo? dove è allora la descrizione della funzione che definisce cosa fa l’opera d’arte e ne dice cos’è?

    A un certo punto Goethe viene in Italia e, in una lettera a Herder il 29 dicembre 1786, scrive: «La capacità di scoprire rapporti di analogia anche se fra termini situati a grande distanza l’uno dall’altro, e di rintracciare la genesi delle cose, m’è anche in questo di straordinario aiuto, e se avessi il tempo di tenere ben presenti davanti ai miei occhi tutte le opere d’arte e poi raffrontarle tra loro, riuscirei, pur senza grande erudizione, a recare non poco vantaggio alla storia dell’arte». Goethe ne sospetta un principio di interferenza, ma dice che non aveva tempo. Però intende avvertire, che già ai suoi tempi qualcosa si muoveva: Di’ a Herder, scrive a Charlotte von Stein, nel giugno 1798, che ormai sono prossimo a scoprire il segreto della genesi e dell’organizzazione delle piante e che si tratta della cosa più semplice che si possa immaginare.11

    E, ancora: O mia amata, scrive a Charlotte von Stein, qual è il vertice della molteplice attività umana? Ciò che a me, come artista, procura la massima gioia, è che l’artista trae occasione da questa molteplicità per mostrare ciò che v’è in lui, per portare alla luce sconosciute armonie dalle profondità dell’essere.12

    Anche Gadamer qualcosa ne sapeva, per via del gioco, come quando si diffonde sulla parola trasmutazione (parallela a trasfigurazione) e la spiega così: «Trasmutazione, osserva, significa che un qualcosa è qualcos’altro... di fronte al quale il suo essere precedente non è nulla... così significa che ciò che era prima non è più... e ciò che non è più è il mondo... trasmutazione in forma non significa semplicemente trasferimento in un altro mondo... la trasmutazione è una trasmutazione nella verità... un ritrovamento del vero essere... è in realtà un mondo totalmente trasfigurato. Davanti a esso, ognuno riconosce che è proprio così».13

    Qualcosa ne sapeva, allora perché non parlare…

    Il libro, che ci accingiamo a proporre, s’incentra sulla selezione di quelle proposizioni presenti nelle Lezioni che contengono ciò che pensava Hegel che fosse l’arte, noi ne faremo una lista alla quale invitiamo secondo un approccio esplorativo, sperando che l’operazione non venga presa come una azione arbitraria in un genere di cose dove normalmente fa premio più la conformità dei comportamenti che l’esplorazione tentativa… e, dunque, che presentiamo, tra i rischi di qualche disapprovazione, o peggio di una qualche indifferenza, sicuri di una cosa: che la cosa funziona.

    Intanto ci soffermiamo ancora un po’ sulla questione della difficoltà della filosofia, sulla forma che la filosofia si dà, in cui talvolta si chiude, e talvolta si perde, come in un labirinto, e, chissà perché punta tutto e s’impunta su quella categoria astratta com’è quella della forma - in uso sia nella filosofia che nel mondo dell’arte - sulla natura stessa della forma, che non è mai vista come attività, lavoro e produzione, ma come forma in sé, metafisica, un a-priori inspiegabile, e che invece poi va a finire in un’altra figura di forma, del tutto fisica, ogni volta diversa di opera in opera, empirica, e allora non si sa più come cavarsela, così che recentemente alcuni se ne sono accorti e – di fronte al fallimento sistematico – hanno deciso di smetterla, chiudendo la pantomima filosofica, e chiaro e tondo confessando: scusateci, è che il problema non esiste.

    In un incidente curioso.

    ... la filosofia dell’arte che ad un certo punto apre la questione della forma e ne fa una realtà metafisica, un principio trascendentale e assoluto; e ad un cert’altro punto chiude la stessa questione facendo della forma una realtà tutta fisica, aspettuale, empirica, continuamente diversa… e dunque niente più di assoluto, ma tutto irrimediabilmente di relativo. Si ha l’impressione di assistere ad una sorta di gioco delle tre carte, per cui una volta l’arte è definibile in assoluto come forma, un’altra volta è definibile come la cosa più relativa e proprio quanto alla forma, infine e in assoluto come del tutto non-definibile. Tutte le posizioni che dichiarano la indefinibilità dell’arte appoggiandosi infatti sull’osservazione dell’indefinibilità della forma data la infinità varietà di questa nelle varie opere d’arte. È così che, allora, recentemente alcuni sono stati indotti a rinunciare al problema, dichiarando tout court che il problema non esiste.

    Ma è vero?

    No, non è vero, il problema c’è e resta.

    Il problema si ripresenta dato che l’arte c’è e pur si muove, ed è pur sempre qualcosa di diverso da ogni altra attività umana, ma in che cosa consista questa diversità è ancora il problema.

    Forse fa paura qualcosa.

    Ne parla Hauser. Arnold Hauser ne ha denunciato il patema, patito anche in alto loco, quando ha osservato che il timore che la spiegazione genetica di un prodotto artistico distrugga irreparabilmente la sua struttura formale, fa parte degli spauracchi della filosofia. È allora che non si può più insistere sul dogma puro e semplice della forma, e c’è qualcosa che va portato avanti, facendo un passo oltre, sia nella definizione dell’arte come forma, sia nella stessa definizione di forma: a un certo punto cioè bisogna passare dalla filosofia della forma alla tecnologia della forma e da qui all’economia della funzione: è da sempre che la filosofia dichiara che l’arte è forma, ma quando le si chiede ma la forma cos’è? il pensiero si ferma.

    Ne dà prova il mercato.

    C’è un luogo dove l’arte trova il suo momento di verifica, di valutazione: è il mercato. Qui non accade come nei luoghi della filosofia, dove ognuno dice la sua, e l’arte continua per conto suo. La filosofia non si rende responsabile di quello che l’arte è o non è, perché non ne impegna il valore. Non è sbagliato farne una questione di valore, il cui metro di misura in qualche modo deve giustificare qualità e quantità, come interpretazione d’importanza, e dunque come prezzo. Nessuna anima bella può nascondersi rispetto alla storia dell’arte come storia di quel che vale anche rispetto al danaro, che è l’equivalente universale dei valori. Dove il problema dell’arte come qualità è al centro della discussione economica, e dunque dove l’economia simbolica ha a che fare con l’economia generale e ne cerca l’equivalente di riferimento, di scala: il mercato a modo suo se ne fa responsabile, ne discute e ne decide.

    Qual è lo scandalo?

    Lo stesso interesse commerciale dell’opera d’arte - quale ne sia l’idea di valore, la calcolabilità - la dice lunga sul problema circa la misura dell’opera e se ne sia possibile calcolarne un livello economico di valore, e addirittura un prezzo. Significativa l’affermazione recente di un economista che ne ha svolto un’ampia indagine, e a un certo punto fa quest’osservazione: Il giudizio su un’opera d’arte dovrebbe, per quanto possibile, basarsi meno sul contenuto e in misura maggiore sulla sensazione istintiva di quello che l’artista intende esprimere. Mia moglie … che è psichiatra dice che l’arte ottiene l’impatto più forte quando riesce a far dialogare la parte razionale del cervello con la parte emotiva.14

    Che razza di implicazione!

    E, subito dopo: Come economista e collezionista di arte contemporanea, mi sono a lungo arrovellato su cosa renda degna di valore una particolare opera d’arte…, e, addirittura: L’insicurezza è comprensibile; quello dell’arte è un mondo nel quale perfino i concetti più basilari possono essere ingannevoli. Ogni volta che parlavo dell’idea di questo libro, una delle domande che mi veniva posta era: «Dammi una definizione di arte contemporanea». In realtà la domanda ne contiene due: cosa è contemporaneo, e cosa è arte. Rispondere alla prima domanda è molto più semplice, ma anche su quello manca un’opinione condivisa. E, infine: Se le scuole d’arte e i critici non sono d’accordo sul valore di un’opera, non sorprende che i collezionisti abbiano dei dubbi sulle proprie capacità di giudizio.

    Ci siamo.

    Cosa fa che un’opera d’arte costi? quale la relazione tra il suo valore simbolico e il suo valore economico? quale l’equivalenza, la regola di commisurazione? Problemi aperti, a meno che non si decida a testa bassa che: In conclusione, alla domanda: «Cosa viene giudicato degno di valore nell’arte contemporanea?», non si risponda che «il valore è determinato in primo luogo dai galleristi più importanti, in seconda battuta dalle case d’asta brandizzate, in parte dai curatori dei musei che organizzano speciali mostre…I prezzi alti sono determinati da galleristi di brand che promuovono alcuni artisti in particolare, da pochi artisti che promuovono con successo se stessi e da un ottimo marketing da parte delle case d’aste più importanti».15

    Cosa c’è di diverso in queste considerazioni dalle considerazioni che si fanno tra gli studiosi di estetica analitica, le cui teorie chiamano in causa ora la storia ora le istituzioni… la differenza è che i filosofi possono farlo senza correre nessun rischio in solido, gli economisti e i collezionisti no! Sono loro che hanno la responsabilità di quello che l’arte è e diventa.

    L’autore che stiamo citando osserva in proposito che ci si aspetterebbe che fossero tra i principali protagonisti della scena, ma non è così e ricorda che Jerry Saltz , uno dei più importanti critici di New York continua a lamentare che i critici d’arte non hanno mai contato tanto poco.

    Uno di loro, più recentemente, ne ha scritto: Se esiste un assunto condiviso dai vari protagonisti del mondo dell’arte, si tratta probabilmente del fatto che niente è più importante dell’arte stessa. Alcuni ci credono davvero, altri sono consapevoli di doverlo dire…,16 e aggiunge: I miei studi di storia dell’arte mi hanno permesso di conoscere un gran numero di opere recenti, ma non di approfondire le dinamiche che ne determinano la circolazione e i fattori che attraggono l’interesse del pubblico, della critica e infine dei venditori e dei collezionisti, e ancora: Per molti esperti e cultori dell’arte di vario tipo, la riflessione sul significato di un’opera è una ricerca esistenziale in grado di conferire una ragione di vita. L’arte esige una professione di fede, ma ricompensa il credente fornendogli uno scopo… al pari delle chiese e di altri luoghi di culto, le manifestazioni artistiche assolvono a una funzione sociale in quanto danno vita a una comunità che gravita intorno a degli interessi condivisi… il mondo dell’arte si comporta spesso come una comunità di seguaci devoti che antepone il giudizio collettivo alla riflessione critica individuale.17

    Il problema c’è, e si ripresenta storicamente tale e quale, e forse con maggiore pressione, quando, come adesso, il mondo dell’arte ha assunto proporzioni di fenomeno globale come mai prima nella storia, per numero di artisti e di opere d’arte, per velocità e frequenza di manifestazioni pubbliche e private, per estensione di dominio del mercato e per la stessa vertiginosa importanza economica assunta: nulla di simile nella scena attuale del mondo, nella cultura e nella stessa vita di massa. Per cui la domanda si fa anche più intrigante e sotto certi aspetti anche più inquietante: insomma, ancora: che cos’è l’arte?

    La domanda ritorna, ma certi filosofi vi rinunciano.

    Come mai, era sbagliata la via?

    Il problema c’era e c’è, esiste, anche se l’arte è andata incontro a una mutazione profonda, che ha intaccato proprio la sua stessa consistenza formale, o forse proprio per questo e per via dell’importanza che ha assunto sempre più nella realtà culturale contemporanea, per via della centralità che ha preso nell’esperienza complessiva della modernità, del mondo e della stessa condizione umana attuale, sicché il problema non solo continua ma si ripresenta più pressante che mai, e c’è sempre qualcuno che ne riaccende la visione e la revisione, la stessa passione, anche se continua a parlare di forma, ripetendo la serie dei luoghi comuni della filosofia della forma, non uscendo mai dalla medesima cornice, e, impigliato tra i luoghi più comuni sempre e ancora tra quelli che tornano a ripetere di un aspetto insolvibile della questione, dato che l’arte è forma, e questa per via del polimorfismo delle opere non consente ulteriori certificazioni… di cui si continua a non sapere cosa dire, se non per farne a volte un principio erogatore di energia artistica e a volte il risultato o l’effetto visuale-aspettuale delle singole opere, insoddisfacente come principio esplicatore dell’arte dato il polimorfismo, se non addirittura quello che è stato chiamato il politeismo delle sue apparizioni18. Finendo ogni volta in un corto circuito teorico, non di rado avvertendo e accusandone l’imbarazzo, il disagio, perfino il fallimento, stando a quel che ne racconta Paolo D’Angelo:19«E in estetica? – chiede l’autore – È possibile arrivare a dare una definizione rigorosa del termine ‘arte’? …da parecchi decenni l’estetica continentale non ha posto per domande di questo tipo. Si ritiene comunemente, anche da parte degli esperti, che ‘arte’ sia un concetto troppo indefinito, vago e mutevole perché abbia senso cercarne la definizione», così come, dal versante dell’estetica analitica, dopo una dettagliata rassegna delle varie posizioni, emerse nel corso della sua storia, la conclusione pressoché è la stessa: «Non c’è bisogno di essere profeti per prevedere che la questione della definizione dell’arte non sarà più così centrale nell’estetica analitica

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