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Introduzione alla psicoanalisi
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E-book852 pagine13 ore

Introduzione alla psicoanalisi

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Info su questo ebook

Tutte le lezioni

A cura di Roberto Finelli e Paolo Vinci
Traduzione di Irene Castiglia
Edizione integrale

Dalla viva voce di Freud ci viene offerta la più chiara e completa presentazione della psicoanalisi. Il volume raccoglie sia le lezioni effettivamente tenute all’Università di Vienna dal 1915 al 1917, sia il loro proseguimento, che lo stesso Freud scrisse e pubblicò nel 1932. Abbiamo così una sintesi indispensabile per accostarsi alla teoria psicoanalitica, arricchita e completata da quelli che il suo fondatore riteneva i suoi probabili sviluppi e progressi.

«Nel trattamento analitico non si procede a nient’altro che a uno scambio di parole tra l’analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta di esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi emotivi.»



Sigmund Freud
padre della psicoanalisi, nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856. Autore di opere di capitale importanza (tra le quali citeremo soltanto L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana, Al di là del principio del piacere), insegnò all’università di Vienna dal 1920 fino al 1938, quando fu costretto dai nazisti ad abbandonare l’Austria. Morì l’anno seguente a Londra, dove si era rifugiato insieme con la famiglia. Di Freud la Newton Compton ha pubblicato molti saggi in volumi singoli e la raccolta Opere 1886/1921.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854124738
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    Anteprima del libro

    Introduzione alla psicoanalisi - Sigmund Freud

    Indice

    Quale Freud? Introduzione di Paolo Vinci

    Nota biobibliografica

    INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISI (1916-17)

    Prefazione di Sigmund Freud

    Parte prima. Gli atti mancati

    Lezione 1. Introduzione

    Lezione 2. Gli atti mancati

    Lezione 3. Gli atti mancati (continuazione)

    Lezione 4. Gli atti mancati (conclusione)

    Parte seconda. Il sogno

    Lezione 5. Difficoltà e primi approcci

    Lezione 6. Presupposti e tecnica dell’interpretazione

    Lezione 7. Contenuto manifesto del sogno e pensieri onirici latenti

    Lezione 8. Sogni infantili

    Lezione 9. La censura onirica

    Lezione 10. Il simbolismo nel sogno

    Lezione 11. Il lavoro onirico

    Lezione 12. Analisi di alcuni esempi di sogni

    Lezione 13. Caratteri arcaici e infantilismo del sogno

    Lezione 14. L’appagamento di desiderio

    Lezione 15. Incertezze e critiche

    Parte terza. Teoria generale delle nevrosi

    Lezione 16. Psicoanalisi e psichiatria

    Lezione 17. Il senso dei sintomi

    Lezione 18. La fissazione al trauma. L’inconscio

    Lezione 19. Resistenza e rimozione

    Lezione 20. La vita sessuale umana

    Lezione 21. Sviluppo della libido e organizzazioni della sessualità

    Lezione 22. Aspetti dello sviluppo e della regressione. Eziologia

    Lezione 23. Le vie della formazione del sintomo

    Lezione 24. Il nervosismo comune

    Lezione 25. L’angoscia

    Lezione 26. La teoria della libido e il narcisismo

    Lezione 27. Il transfert

    Lezione 28. La terapia analitica

    INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISI. SECONDA SERIE DI LEZIONI (1933)

    Prefazione di Sigmund Freud

    Lezione 29. Revisione della teoria del sogno

    Lezione 30. Sogno e occultismo

    Lezione 31. La scomposizione della personalità psichica

    Lezione 32. Angoscia e vita pulsionale

    Lezione 33. La femminilità

    Lezione 34. Chiarimenti, applicazioni, orientamenti

    Lezione 35. Una visione del mondo

    Lessico dei principali termini freudiani

    Elenco delle opere di Sigmund Freud

    123

    Titoli originali: Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse;

    Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse

    Traduzione di Irene Castiglia

    © 2010 Newton Compton editori s.r.l.

    Prima edizione ebook: novembre 2010

    © 2010 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-2473-8

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Sigmund Freud

    Introduzione alla psicoanalisi

    Tutte le lezioni

    A cura di Roberto Finelli e Paolo Vinci

    Traduzione di Irene Castiglia

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Quale Freud?

    Se leggere direttamente Freud è la via maestra e ineludibile per comprendere il suo pensiero l’Introduzione alla psicoanalisi, che viene oggi riproposta, si raccomanda per la sua chiarezza e per la vastità dei temi affrontati. L’utilità e l’interesse di quest’opera freudiana sono innanzitutto legati alla modalità della sua composizione. Si tratta di un volume distinto in due parti che corrispondono a due momenti molto lontani nella vita del fondatore della dottrina psicoanalitica. La cosiddetta prima serie di lezioni riprende due corsi effettivamente tenuti all’Università di Vienna negli anni 1915-16 e 1916-17, i quali furono immediatamente trascritti e pubblicati. La seconda serie è in realtà un testo redatto appositamente da Freud ed edito nel 1933 con uno stile che simula un’esposizione orale e al quale viene dato volutamente il carattere di una continuazione dei corsi svolti durante la prima guerra mondiale. Quella che Freud chiama «l’illusoria collocazione in aula» è legata al proposito di venire incontro alle «esigenze del lettore» e assume una forma dialogica con lo scopo di coinvolgere chi non si colloca già all’interno della psicoanalisi. Gli interlocutori sono individuati in coloro che, pur muovendo da una disposizione favorevole, non sono esenti da dubbi e perplessità, che ostacolano l’introdursi in una dimensione avvertita come completamente nuova e fuori dalle modalità tradizionali di considerazione della psiche.

    La composizione dell’opera, però, non resta un estrinseco fatto cronologico, ma la sua struttura permette di offrire, per voce dello stesso Freud, una messa in questione del suo pensiero, una rivisitazione del nucleo originario delle proprie ricerche, alla luce delle nuove acquisizioni raggiunte nel corso degli anni. Siamo così davanti a un’introduzione che non vuole essere una semplice chiave d’accesso alla psicoanalisi, ma fornirne un attraversamento volto all’illuminazione dei suoi fondamenti essenziali.

    L’esposizione condotta nella prima serie segue una logica della scoperta, vale a dire ci permette di cogliere la concatenazione dei risultati a cui di volta in volta Freud ritiene di pervenire, nel suo sforzo di penetrazione in un territorio ancora completamente inesplorato. Dal canto suo la seconda serie si presenta come una revisione critica, una problematizzazione, che ha il grande pregio di mettere a fuoco i punti sensibili e gli snodi su cui si impone un intervento, che evidenzi quanto di nuovo è maturato e quanto invece rimanga invariato, consolidandosi così quale aspetto irrinunciabile della dottrina.

    La psicoanalisi, in questo modo, ci si rivela una ricerca in atto la quale, nel muoversi sul doppio binario della pratica terapeutica e delle definizioni teoriche, non può non dar vita a un lavoro ininterrotto di approfondimento e nemmeno sottrarsi a un costante processo di autorevisione. La lettura di questa Introduzione ci fa capire che ciò non è accaduto solo dopo Freud, ma che già l’opera del padre fondatore, per sua stessa ammissione, risulta segnata da oscillazioni e da scarti, da problemi aperti e da temi di indagine soltanto intravisti. Comprendiamo così lo spirito originario di un pensiero nascente, che proprio per questo risulta ricco di sfumature e implicazioni, che possono ancora sollecitare la nostra mente, aiutandoci nello sforzo di conoscere noi stessi e di orientarci nel mondo.

    1. La giovane scienza

    Freud inizia con un invito ad assumere una corretta disposizione verso la psicoanalisi. La sua giovane scienza, come la chiama, non può non scontrarsi con tutte le nostre abitudini intellettuali. Significativo è il fatto che egli sottolinei quanto la formazione medica implichi un’«attività mentale» che conduce lontano dalla nuova dottrina. Il medico è portato verso un atteggiamento percettivo, oculare e affida al vedere la possibilità di scoprire nuovi fatti rilevanti per la sua scienza. Al contrario, è l’ascoltare ad esser collocato al centro del lavoro analitico, il quale si dà come proprio terreno la parola e si affida alla capacità del linguaggio di suscitare effetti, consapevole in questo modo di iscriversi in quella lunga tradizione che ha origine nel ritenere le parole dotate di un potere magico. Nella psicoanalisi la capacità di influenzare l’altro, propria del linguaggio, viene criticamente posta al centro di una pratica per la quale il «legame emotivo» tra l’analista e il paziente costituisce il presupposto necessario di ogni possibile risultato terapeutico.

    Appare allora, preliminarmente, una caratteristica della teoria psicoanalitica che ancor oggi è al centro del dibattito su di essa: l’assenza di «convalida oggettiva» dei suoi asserti e, quindi, l’impossibilità per essa di uniformarsi completamente alle procedure della scienza naturale. Freud non ritiene, tuttavia, che ciò conduca le sue ricerche fuori dell’ambito della scienza, della quale vuole tener ferma l’impostazione di fondo, il muovere dal confronto con i «fatti»¹. Partendo dalla pratica terapeutica, egli si sforza di costruire dei concetti con i quali inquadrare e comprendere i fenomeni insorgenti, consapevole della loro particolare natura, del loro riguardare l’ambito dello psichico, nel quale quel che conta è innanzitutto il lavoro su se stessi e il carattere singolare e irriducibile dell’esperienza mentale di ogni uomo. Una tensione ineliminabile viene così a costituire il nucleo della «giovane scienza» e a definirne l’assoluta specificità e originalità.

    Rispetto alla tradizione scientifica ottocentesca in cui si iscrivono, le scoperte freudiane implicano una rottura della quale lo stesso protagonista non appare pienamente consapevole: i processi psichici possono certo da un lato essere ricondotti sotto una teoria generale che ne fissa alcune invarianti, ma nei loro confronti la forma della spiegazione non può essere quella della legge scientifica che sussume il particolare sotto l’universale. Il ruolo dell’esperienza individuale, compiuta in prima persona, con i suoi problemi di comunicabiltà resta decisivo, così che l’habitus scientifico di Freud viene indotto a problematizzare se stesso e ad ammettere di muoversi su un terreno in cui molte congetture sono destinate a restare tali.

    La storia della psicoanalisi, del resto, sembra mostrarci come i suoi momenti più fecondi siano stati quelli in cui la tensione che la contraddistingue fin dalla sua nascita viene sopportata e non elusa, con l’assumere una posizione rigidamente scientista o, al contrario, rinchiudendosi in una pratica semplicemente narrativa che rinuncia al tentativo di costruire una teoria con pretese di coerenza e di completezza.

    Occorre dunque segnare con forza la specificità e l’indipendenza della psicoanalisi, ma al contempo prevedere la sua possibilità di dialogo con le altre scienze e con i più diversi ambiti del sapere. Freud stesso ritiene utile, in particolare per quanto riguarda la relazione tra il corporeo e lo psichico, un confronto con la psichiatria e, quando affronta la questione del simbolismo dei sogni, afferma apertamente la necessità di un dialogo con la mitologia, la linguistica e gli studi sul folclore e sulle religioni. Il pericolo maggiore da evitare è che il movimento psicoanalitico finisca per avere i caratteri di un’«associazione segreta» o di una «setta», per cui la costruzione di un «terreno comune» con le altre discipline appare altamente auspicabile. Questi incontri debbono essere ricercati, muovendo però dalla consapevolezza degli ostacoli epistemologici, vale a dire dei «pregiudizi mantenuti da una forza affettiva», con i quali la nuova scienza non può non scontrarsi².

    L’impatto «spiacevole» della psicoanalisi è da Freud innanzitutto ascritto alla sua affermazione fondamentale: alla scoperta che nella nostra vita mentale i processi consci costituiscono solo una piccola parte. Il venir meno della coincidenza tra lo psichico e la coscienza è una rivoluzione copernicana della quale Freud, con grande lungimiranza, prevede le conseguenze dirompenti. L’uomo non è più «padrone in casa propria», si deve attribuire un pensare e un volere inconsci, dai quali risulta in qualche modo posseduto. Si compie, dunque, già nel discorso freudiano quella fine della centralità del soggetto che tante filosofie degli ultimi cinquant’anni andranno affermando, con una messa in questione dell’identità dell’individuo, il quale viene per lo più indagato a partire da una scissione costitutiva, da una stutturale non trasparenza su se stesso³.

    Se il tema dei limiti della coscienza ha faticato a imporsi per poi, però, diventare un’acquisizione di riferimento nel dibattito sulla natura della soggettività, è invece successo il contrario per l’altra tesi sgradita della psicoanalisi, riguardante il ruolo decisivo delle «spinte pulsionali sessuali». Freud ci dice di esser giunto a questa «scoperta» attraverso le sue ricerche sulle cause dei disturbi nevrotici e di rifiutare qualsiasi relativizzazione di questa convinzione teorica, prendendo così in anticipo una posizione negativa nei confronti di un atteggiamento che cominciò ad emergere molto presto all’interno del movimento psicoanalitico e che, possiamo dire, risulta oggi prevalente nella trattazione dei fenomeni psichici.

    Quindi già al tempo della prima serie di lezioni Freud ci ammonisce su un aspetto decisivo: se mettiamo in discussione la centralità della sessualità dobbiamo esser consapevoli che si rende necessaria una reimpostazione dell’intero quadro teorico e che non ci sono scappatoie per accomodamenti parziali e per eclettismi. Inoltre, al riguardo, è opportuno tener presente che nell’impostazione freudiana la portata della dimensione libidica va oltre la spiegazione della psicogenesi della nevrosi. Essa è infatti chiamata in causa anche nella considerazione delle più alte produzioni spirituali dell’uomo e nello sforzo di comprendere problematiche attinenti alla dimensione della società e della storia. La tesi del «sacrificio del soddisfacimento» ha una portata decisiva nei confronti dei grandi interrogativi sulle difficoltà della convivenza tra gli uomini e sui rischi che si annidano riguardo la tenuta del loro nesso sociale. L’impossibilità di una «liberazione delle pulsioni» e il carattere costitutivamente repressivo della società, qualcosa che quest’ultima non ama farsi ricordare, rendono la psicoanalisi un’arma critica tanto più potente quanto più essa dimostra di coinvolgere sia il piano cognitivo che quello affettivo, provocando uno sconvolgimento di ambedue questi ambiti e, quindi, rivelando di non essere un sapere neutro, ma al contrario denso di conseguenze pratiche e di implicazioni etiche. Del resto, se si assume in termini non riduzionistici il carattere primario ed ineludibile della sessualità si opera un ancoraggio al corpo e ai fili intenzionali che lo legano al mondo, che se rendono leggibile in termini materialistici la dinamica del desiderio umano, nello stesso tempo, però, non pregiudicano le articolazioni più ampie a cui esso è soggetto all’interno del contesto delle relazioni transindividuali e collettive.

    2. La teoria del sogno

    La psicoanalisi – dichiara Freud – comincia da fatti poco appariscenti, da «rimasugli del mondo dei fenomeni», che vanno colti come «indizi», «tracce», che conducono a una dimensione che allarga l’ambito di ciò che riguarda la psiche. I lapsus, gli atti mancati, i motti di spirito vengono allora intesi come comportamenti dotati di senso, vale a dire come forme di espressione di tendenze che rimandano a un gioco di forze dinamicamente presenti nel nostro orizzonte psichico. Quel che emerge è il nostro esser sottomessi a una lotta di cui non siamo consapevoli e a partire dalla quale vanno compresi i sintomi patologici che presentano coloro che riconosciamo esser affetti da una sofferenza mentale.

    In questo terreno viene a inserirsi il discorso sulla interpretazione dei sogni che ci permette di accedere al nucleo più profondo della psicoanalisi. Interpretare vuol dire raggiungere un senso nascosto, dispiegando una tecnica che presuppone il confrontarsi con dei «sostituti», con qualcosa che sta per qualcos’altro. Quel che chiamiamo sogno è, a giudizio di Freud, un fenomeno psichico e non somatico che chiede un’opera di decifrazione presentandosi palesemente come il manifestarsi di qualcosa che resta nascosto. La chiave per svelare i segreti del sogno la possiede il sognatore stesso il quale nel dialogo con l’analista può, attraverso la scomposizione del sogno nei suoi elementi, essere sollecitato a far emergere ciò che si presume inconscio. Il terreno di questo sforzo interpretativo è allora costituito dalle associazioni libere dell’analizzato, le quali implicano una particolare forma di attenzione, una disposizione non riflessiva, che permetta l’emergere di contenuti psichici fino a quel momento non accessibili. Freud ci mette in guardia dal ritenere che il sogno ci offra semplicemente qualcosa di improprio, di non autentico; esso, al contrario, lungi dallo svolgere una funzione di semplice nascondimento costituisce la via privilegiata per accedere all’inconscio. Il punto essenziale sta nell’individuare che all’origine del sogno vi è una dinamica di desiderio (ciò è palese nei sogni infantili) alla quale si oppone una controspinta volta alla sua non accettazione. La paradossale natura del sogno sta, allora, nel lasciare che si esprimano pulsioni che normalmente restano totalmente inconsce. Esse, nella particolare condizione del sonno, riescono ad attivarsi, ma non liberamente, dovendo soggiacere all’interdetto della censura che si oppone a contenuti psichici dotati di particolare potenza e per così dire impazienti di venire alla superficie. Freud chiama «lavoro onirico» l’operatore che agisce tra i due livelli del sogno e al quale va ascritta la sua configurazione così come la ricordiamo al risveglio.

    Se nella notte ciò che conta è un «sacro egoismo», cioè ad aver importanza non è il mondo esterno, ma lo spontaneo movimento verso il piacere, che fa scegliere alla pulsione sessuale, alla libido, i propri oggetti, tuttavia questo urgere del desiderio verso la manifestazione trova, all’interno stesso della nostra psiche, una forza contraria, la «censura», che produce forme di alterazione e di nascondimento in quello stesso manifestarsi. L’operatore di questo conflitto, il lavoro onirico, agisce secondo ben precise modalità che Freud individua nella condensazione, nello spostamento e nella sostituzione e che costituiscono il terreno sul quale deve cimentarsi l’interpretazione⁵.

    Carattere decisivo del lavoro onirico è l’arcaicità, il suo dar vita a raffigurazioni plastiche, concrete, letterali: i pensieri latenti sono formulati in parole, mentre il sogno appare fatto di immagini sensorie per lo più di natura visiva. Se il lavoro onirico si esprime in forma «regressiva», come è attestato dal simbolismo che rinvia a una dimensione primitiva, pre-individuale, quel che nel sogno ci appare come un contenuto del pensiero riflessivo, vale a dire propositi, ammonimenti e quant’altro, costituisce un residuo dei pensieri latenti, qualcosa di meno significativo del conflitto desiderio-censura che agisce direttamente nel lavoro onirico.

    La grandezza e i meriti del sogno si legano, allora, proprio a questo farci tornare indietro, alla nostra infanzia e a quella dell’umanità. Il ricorrere a immagini, tipico del lavoro onirico, la riconfigurazione dei pensieri latenti in termini figurali e simbolici ci fanno accedere a una forma d’espressione pre-linguistica, che si colloca a monte della parola e delle sue modalità di funzionamento segnico e comunicativo. L’interpretazione, strettamente legata a una dimensione terapeutica, ci vuole condurre partendo da quelli che sono i contenuti manifesti, non certo soltanto ai cosiddetti «residui diurni», cioè ai pensieri della nostra vita cosciente che ritornano nel sonno, ma «a qualcos’altro proveniente dall’inconscio» e che consta di un materiale pulsionale e libidico.

    Alle critiche che immediatamente si sono levate contro la teoria del sogno come appagamento allucinatorio del desiderio, Freud risponde innanzitutto sottolineando il ruolo decisivo dell’interpretazione, non solo come imprescindibile tecnica, ma anche controspinta affettiva legata al suo concreto dispiegarsi nell’analisi, per andare al di là delle deformazioni della censura e della sua forza respingente nei confronti dei desideri. A partire da qui diventa possibile spiegare i sogni d’angoscia con il fatto che i desideri proibiti possono essere accompagnati da affetti penosi e che ciò può persistere al di là delle trasformazioni del lavoro onirico e intaccare il soddisfacimento allucinatorio, il quale a volte può presentarsi in forma carente come un tentativo non pienamente riuscito. Dobbiamo aver chiaro l’intrinseco carattere conflittuale del desiderio, per cui innanzitutto e per lo più non si vuole ciò che si desidera e l’appagamento non comporta automaticamente l’affermarsi del principio del piacere. Nel sogno d’angoscia abbiamo la vittoria di un desiderio inconscio che prevale sulla censura al prezzo di un affetto penoso suscitato proprio dall’imporsi di ciò che prima era sottomesso in modo rassicurante e la cui affermazione viene avvertita come segnata da una inquietante estraneità. Angoscia e desiderio sono direttamente contrari, ma proprio per questo particolarmente vicini nelle associazioni e coincidenti nell’inconscio. Freud a più riprese sottolinea questo funzionamento polare e oppositivo della psiche, l’estrema prossimità in essa dei termini di una contraddizione. Inoltre, l’istanza di censura, in quanto alterità che si fa valere all’interno di noi stessi, può spingerci potentemente verso dimensioni negative quali il senso di colpa e la punizione.

    Freud chiama dunque «sogno» le configurazioni deformate attraverso l’azione del lavoro onirico. I sogni non nascono dai pensieri del giorno precedente, bensì dal desiderio inconscio: ad esso dobbiamo la forza propulsiva, l’energia generatrice. La costante è l’appagamento del desiderio a cui, però, possono aggiungersi gli innumerevoli contenuti psichici che ogni uomo nella sua esistenza produce costantemente. L’interpretazione dei sogni ci accompagna verso l’inconscio e i suoi «meccanismi», dai quali si sprigiona quel conflitto di forze tra i poteri della vita psichica che ci rende vulnerabili ed esposti alla sofferenza mentale. Si presenta quello che potremmo chiamare un circolo ermeneutico tra sogno e nevrosi: quanti più progressi faremo nella comprensione dei processi nevrotici, tanto più ci renderemo conto dell’importanza dei sogni e, all’inverso, la nostra familiarità con i sogni sarà un grande contributo all’ininterrotta ricerca sulle radici dell’ammalarsi psichico dell’uomo.

    3. La seconda serie di lezioni e la svolta

    A questo punto vorrei riprendere quella che all’inizio ho dichiarato essere la chiave di lettura più proficua per questa Introduzione alla psicoanalisi, vale a dire concentrarmi sull’intervento che con la seconda serie di lezioni Freud compie su se stesso. Questo testo mostra di avere dei meriti indiscutibili segnalandoci l’estrema lucidità freudiana nel dar conto dell’andamento travagliato e tortuoso delle ricerche psicoanalitiche. Non abbiamo quindi una trattazione autonoma che si proponga di sostituire quanto era stato detto quindici anni prima, ma l’iscrizione di un secondo discorso all’interno di un’esposizione considerata aperta. Emerge una «revisione critica» dei contenuti più importanti, volta a dar conto degli approfondimenti e soprattutto dei mutamenti più significativi intervenuti nel corso degli anni.

    Nei confronti del sogno Freud vanta la stabilità della sua impostazione, di ciò che viene ribadito essere il nucleo più caratteristico e peculiare della psicoanalisi. Direi che emerge al riguardo quanto sia inappropriato parlare in astratto semplicemente di una teoria freudiana del sogno, mostrandosi la sua trattazione sempre in una connessione inscindibile con l’analisi, vale a dire con la concreta pratica terapeutica. Freud ribadisce che è l’attività interpretativa a offrirci quegli elementi che permettono di determinare la struttura del sogno, a individuare il dinamismo che è l’espressione di un conflitto di forze che coinvolge la dimensione onirica, ma in generale riguarda l’intera realtà psichica.

    Nel sottolineare in particolare il ruolo della censura, Freud fa di questo aspetto il punto di convergenza delle sue ricerche sul rapporto tra il conscio e l’inconscio e sulle relazioni reciproche tra le diverse istanze psichiche. Il sogno è «un figlio della notte» e nasce da quel «ritiro dal mondo» che è il nosto sonno, in questo modo esso incarna un momento di diverso equilibrio tra l’interno e l’esterno, tra il nostro rivolgerci a noi stessi o verso la realtà. Le istanze di censura nascono innanzitutto dai nostri rapporti col mondo, dalle costrizioni inscindibili dal nostro essere sociali, immersi in relazioni che condizionano inesorabilmente i nostri impulsi. Questo conflitto con l’esterno si riproduce però all’interno della psiche con il dispiegarsi di un’istanza critica la cui potenza si oppone alle dinamiche del desiderio. Il sogno è allora una vittoria, sempre parziale e segnata da compromessi, del desiderio contro questo doppio nemico: nella sua trama effimera ed evanescente si esprime qualcosa che altrimenti con tutta probabilità non vedrebbe mai la luce.

    La forma dialogica mantenuta nella seconda serie di lezioni ha il merito di non dissimulare i problemi, accettando di non occultare quanto ancora resti di oscuro nello sviluppo delle ricerche freudiane. Quel che viene segnalato è un allargamento dei confini che implica un innalzarsi dai fatti ai concetti, con il rischio di muoversi in una dimensione definita «speculativa».

    La «svolta» esplicitamente dichiarata nasce da un riorientamento dello sguardo dal rimosso al rimuovente, da un concentrarsi sulle funzioni dell’Io, la nostra istanza psichica centrale. L’Io «può prendere come oggetto se stesso», ma questa caratteristica tante volte segnalata nei discorsi sulla soggettività non è da Freud sviluppata nella direzione dell’affermazione della sua potenza, di un aumento della sua forza. Lungi dal tessere le lodi dell’autocoscienza e della riflessività ciò che viene indicato è innanzitutto una scissione costitutiva: accanto all’Io si forma un’istanza osservatrice autonoma, il Super-io. Freud indica nella coscienza morale quel vissuto che ci può far comprendere qualcosa che è nel nostro animo, ma che ci parla con una voce che non è immediatamente la nostra, alla quale possiamo magari sottometterci, ma non smettendo di sentirla come altra. Questa istanza che è in noi e che non coincide con il nostro Io è spiegata come un’erede delle «figure parentali», delle quali assume il potere e anche i metodi. È come se dei nostri genitori ci restasse dentro solo la funzione proibitrice e punitiva e non anche il loro amore, la loro sollecitudine e il loro accudimento.

    Il Super-io si sviluppa attraverso un processo di identificazione che ha i tratti di un’incorporazione, di una assimilazione, vale a dire i caratteri primitivi dell’oralità, per cui abbiamo attraverso di essa la forma più arcaica di relazione. La formazione di questa istanza superiore all’Io si lega profondamente al destino del complesso edipico che comporta appunto il passaggio da una scelta oggettuale a un’identificazione. In questo modo emergono tutti i rischi presenti nello stesso processo costitutivo della nostra crescita psichica, facendoci comprendere che già in Freud non esistano sviluppi lineari, per cui l’accettazione di un interdetto che ci preclude al soddisfacimento non ci conduce solo verso un progresso, ma lascia in noi elementi che possono svolgere un ruolo regressivo, quale appunto quello svolto dall’identificazione.

    Freud, inoltre, fa convergere il complesso edipico e la lunga dipendenza dai genitori del piccolo dell’uomo. Questa connessione della dimensione «psicologica» con quella «biologica» permette di affermare che la riduzione – tante volte denunciata – della molteplicità complessa dei fenomeni psichici alla sessualità e al romanzo familiare incentrato sull’Edipo è meno ovvia di quanto a un primo sguardo possa apparire. Il collegamento tra l’Edipo e la dipendenza apre alla più generale questione delle norme di comportamento culturali e sociali, al ruolo del sistema di proibizioni nel quale l’individuo umano è fin dalla sua nascita inserito. Oltre il doppio limite del riduzionismo biologico, che fa dell’uomo solo uno sviluppo dell’organismo vivente, o della sua variante psicologica che ritiene il triangolo familiare l’unico asse di riferimento, il discorso freudiano si misura con una problematica antropologica che mette al centro il confine mobile che il soggetto istituisce tra interno ed esterno, così da poter indagare tanto la tensione tra il singolo e il suo contesto di appartenenza, tra l’individuo e la dimensione relazionale che lo avvolge, quanto i processi psichici conflittuali che parallelamente vengono a svilupparsi. Il soggetto freudiano deve cioè sempre fare i conti con un’alterità esterna e una interna. Quest’ultima però è ben lungi dall’esaurirsi nel Super-io: l’altro in noi è innanzitutto l’inconscio, al quale ora viene dato il nome di Es. La nuova topica mostra sempre più di esser figlia dell’accresciuta convinzione freudiana dei limiti della nostra coscienza e della ristrettezza del perimetro della nostra consapevolezza. Bisogna fare i conti non solo con il rimosso, ma con fenomeni inconsci che tendono a restare tali. La dinamica tra l’Io e l’Es è allora descritta come un conflitto con «la parte oscura e inaccessibile della nostra personalità», con un fondo caotico in cui trovano espressione psichica i bisogni pulsionali dotati di una ineliminabile radice somatica. Attraverso le pulsioni l’Es assume un’energia contrassegnata dalla mobilità e dalla tendenza alla scarica, vale a dire non organizzata e conforme al principio del piacere, qualcosa che urge al soddisfacimento.

    L’Io è da intendere soltanto come una parte dell’Es, quello strato che si è modificato per influenza del mondo esterno. Se gli investimenti oggettuali scaturiscono dalle richieste pulsionali dell’Es, l’Io non può non rivelarsi estremamente debole sul piano energetico e dinamico. Mostra di soggiacere a una sorta di pathos costitutivo, di essere affetto da una passività strutturale sia verso l’interno che verso l’esterno, di subire la doppia tirannide dell’inconscio e della realtà. Qui si inserisce la grande scoperta freudiana della non coincidenza tra l’Io e la persona, sulla natura per la gran parte inconscia dello stesso Io. Le sue difese nei confronti delle rivendicazioni pulsionali sono processi per lo più inconsci, inadeguati, generatori di conflitti. Se intendiamo la soggettività individuale come costitutivamente affetta dalla tensione tra l’indipendenza e la dipendenza, tra l’autonomia e l’eteronomia, questa visione, presente in alcuni grandi discorsi filosofici, subisce in Freud un decisivo approfondimento, per il quale a partire dall’antinomia tra il nostro essere rapporto con l’altro e rapporto con se stessi, è in quest’ultima dimensione che va indagato il conflitto decisivo per il destino della nostra esistenza. Freud accosta la relazione contraddittoria tra l’Io e l’Es a quella tra ragione e passione, ma si tratta solo di un’analogia, dal momento che il risultato più significativo della svolta sta nell’affermazione che non si può più opporre all’Io il sistema inconscio, così che viene definitivamente meno la coincidenza tra Io e Super-io e conscio e interviene una divisione della personalità priva di confini netti. L’Io nella sua doppia ricettività nei confronti dell’interno e dell’esterno è innanzitutto soggetto alle richieste pulsionali dell’Es e incalzato dal Super-io, il quale esige determinate forme di comportamento che prescindono dall’Es e dalla realtà esterna, quella realtà della quale, nel suo sorgere dal sistema percettivo, l’Io si erge a rappresentante. La fragilità dell’Io segna la precarietà del nostro procedere nel mondo ed è in suo aiuto che accorre la psicoanalisi, facendosi carico di quest’istanza alla quale, comunque, dobbiamo il fatto che la tensione verso il soddisfacimento dell’Es non finisca con il distruggerci. Va allora sottolineato il compito fondamentale della terapia, cosa voglia dire rendere l’Io più ampio e organizzato, cosa significa la famosa frase «dove era l’Es deve diventare l’Io» incautamente accostata dallo stesso Freud al «prosciugamento dello Zuiderzee». Quel che mi sentirei di affermare è che il senso del discorso sta proprio nella sottolineatura dei limiti della coscienza e non certo in una sua sopravvalutazione, è che l’insistenza sulla capacità di sintesi e di unificazione del pensiero, sulla sua funzione di dilazione del desiderio, ha innanzitutto lo scopo di indicarci il compito di superamento delle forme di difesa inconscia verso le pulsioni. Se quel che può aiutarci è una attenuazione della loro carica energetica, inquadrando la loro rappresentanza psichica in una unità più ampia, ciò evidentemente è possibile solo attraverso un processo in cui la componente affettiva avrà un ruolo ugualmente importante. Freud insomma potrebbe essere letto in connessione con la tesi di Spinoza per la quale solo un’altra passione può vincere una passione, che tradotta nel suo linguaggio suonerebbe come il richiamo al fatto che la psiche è sede di un conflitto tra forze differenziali senza che l’equilibrio possa mai davvero realizzarsi e senza che il pensiero e il momento cognitivo possano da soli pretendere una qualche egemonia⁸.

    4. La psicoanalisi può essere una concezione del mondo?

    Credo che la cautela critica che ho appena manifestato rispetto ai rischi di sopravvalutazione del ruolo del momento cognitivo o razionale, in vista di una crescita psichica dell’uomo, vada mantenuta anche nei riguardi delle considerazioni generali sul posto della psicoanalisi nell’ambito della vita spirituale dell’uomo, con cui Freud ritiene di dover concludere la sua Introduzione. La tesi di fondo che qui viene espressa è estremamente chiara: la psicoanalisi è una scienza particolare e non ritiene di dover produrre una propria concezione del mondo, ma esclusivamente di ribadire il proprio posto all’interno della Weltanschauung scientifica.

    Se le concezioni del mondo pretendono di offrire una visione unitaria dell’insieme delle questioni decisive della nostra esistenza, quella scientifica si caratterizza per la sua sobrietà, per cui l’unitarietà può essere solo un «programma il cui adempimento è differito nel futuro». Accenti questi che sembrano inconsapevolmente richiamare il Kant della Critica della ragion pura quando parla di un «focus imaginarius» a proposito dell’idea di unità sistematica, indicandola come un’esigenza della ragione, legittima in un uso esclusivamente regolativo, ma chiaramente fuori dai limiti dell’esperienza possibile. Freud dal canto suo insiste sulla natura sempre «frammentaria» della ricerca scientifica e sulla sua intrinseca «limitatezza», che le impedisce di aspirare ad essere un «tutto in sé compiuto» e di «costruire un sistema». È sulla base di questa tenace convinzione che egli si misura, in questa sede, con quelle manifestazioni spirituali dell’uomo quali la religione e la filosofia che avanzano un’indiscussa pretesa di verità.

    La filosofia, in particolare, per Freud, si «atteggia» a scienza, ritenendo di essere una forma di conoscenza, ma nei suoi confronti non vale la pena spendere molte parole dato il carattere palesemente illusorio del suo ascriversi la capacità «di poter fornire un quadro dell’universo coerente e privo di lacune». Tale visione chiaramente ristretta della filosofia è da Freud espressa in diverse occasioni, col ribadire come alla sua radice permanga una mentalità animistica, cioè il presupporre un legame diretto tra il pensiero e la realtà, tra l’ordine e la connessione delle cose e quello dei pensieri. Nei confronti di questo atteggiamento freudiano mi limiterei ad affermare che esso mi sembra dar voce esclusivamente a quello che potremmo intendere come il lato manifesto del suo pensiero, qualcosa che copre un nucleo profondo incarnato dai ben più intricati legami con la meditazione di Schopenhauer e Nietzsche¹⁰.

    Quel che preme a Freud non è comunque un confronto con la filosofia, a suo dire priva di influenza sulle masse, ma con la religione dotata di «un immenso potere» in quanto «ha a sua disposizione le più forti emozioni degli uomini». Verso la fede religiosa è ritenuta necessaria una lotta costante in nome dello spirito scientifico, mettendo in questione il fatto che essa possa arrogarsi uno spazio di autonomia per definizione sottratto alla critica razionale, un ambito nel quale possa vigere la «proibizione di pensare».

    Questo coraggioso ingaggiare una battaglia ideale nei confronti della religione, in nome del valore della conoscenza razionale, ha degli indubbi meriti, che vanno anche al di là di quello che ci viene detto sul carattere della credenza religiosa. Essa è infatti ricondotta essenzialmente a un bisogno di protezione che si costruisce a monte una spiegazione della genesi dell’universo e a valle un sistema di precetti e di prescrizioni. L’immagine mnestica del padre, nel perpetuarsi di una condizione di subordinazione infantile, costituisce il nucleo propulsore affettivo delle rappresentazioni religiose, le quali risultano così riconducibili a un atteggiamento in cui, al posto di un adeguato confronto con la realtà, a comandare è il nostro desiderio di dominio su di essa. Emerge chiaramente la struttura dell’impostazione freudiana, il suo basarsi sul trasferimento nell’ordine sociale e culturale, nell’immaginario collettivo del conflitto interno all’individuo tra i moti pulsionali del desiderio e le istanze legate alle esigenze della realtà, del mondo esterno. Da tutto ciò risulta una laica e apprezzabile rinuncia a ogni illusoria consolazione che, per coglierne i meriti, dobbiamo leggere in connessione con la lucida consapevolezza che la psicoanalisi non potrà mai essere una «saggezza», nel senso di un sapere in grado di far sgorgare da se stesso delle direttive ineludibili per la vita di ognuno.

    Se questo versante del discorso freudiano risulta ancora oggi convincente, appare invece altamente discutibile la tesi che nel dominio della ragione si possa realizzare «il più forte vincolo d’unione tra gli uomini», una efficace «coartazione collettiva» in grado di tenere a freno «l’indomabile natura umana». Certo, Freud parla di «speranza» e non prospetta quella vittoria definitiva che, alla luce di gran parte della filosofia contemporanea, non potremmo non ritenere un esito catastrofico della storia umana¹¹. Abbiamo quindi un’attenuazione di ciò che non può non apparire un’ingenua fiducia illuministica nel potere della ragione, nella «preminenza dittatoriale» dell’intelletto e dello spirito scientifico sulla vita psichica dell’uomo. Radicalizzerei, allora, l’elemento conflittuale implicito nella visione freudiana, per sostenere l’impossibilità di un soccombere del desiderio e della parte emotiva dell’uomo nel loro scontro permanente con le istanze di controllo cosciente e razionale, per cui quel che diventa auspicabile non è tanto la vittoria di una parte sull’altra, quanto la capacità di ognuna di operare quella rinuncia alla propria pretesa totalizzante che le permetta di integrare in sé anche l’altra componente. Si dovrebbe così aprire uno spazio all’affettività all’interno della ragione e rendere i desideri capaci di un’espressione non esclusivamente cieca ed immediata. Ciò coinciderebbe con l’instaurarsi di momenti di equilbrio i quali, pur nella loro precarietà, potrebbero costituire una pausa all’interno di una lotta incessante che appare indissolubilmente legata alla tragicità della condizione umana.

    PAOLO VINCI

    ¹ La più recente e autorevole presa di posizione su Freud in ambito scientifico mi sembra: E. Kandel, Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente, trad. it. Cortina, Milano 2007.

    ² La nozione di ostacolo epistemologico è stata introdotta da Gaston Bachelard per indicare le resistenze emotive-cognitive che ogni rottura del corso lineare del progresso scientifico inesorabilmente produce.

    ³ Credo, senza con questo voler sposare la posizione filosofica che vi viene espressa, che l’opera inaugurale del dibattito contemporaneo sulla soggettività sia Essere e tempo di Martin Heidegger.

    ⁴ Il testo di Freud più significativo in proposito è Das Unbehagen in der Kultur (Il disagio della civiltà, Newton Compton, Roma 2010) del 1929.

    ⁵ Tutto ciò è già presente nella Interpretazione dei sogni del 1899, Newton Compton, Roma 2010.

    ⁶ Questa parte delle lezioni è sotto il segno della svolta rappresentata da L’Io e l’Es del 1923 (trad. it. Newton Compton, Roma 2010).

    ⁷ Si apre, a mio parere, su questo aspetto antinomico della soggettività, la possibilità di un proficuo confronto tra le indagini di Freud e quello che Hegel nella Fenomenologia dello spirito delinea come il carattere dell’autocoscienza, nella sua costitutiva esigenza di riconoscimento.

    ⁸ Per comprendere questa tesi decisiva dell’Etica di Spinoza occorre muovere dalla proposizione XIV della quarta parte che afferma: «La conoscenza vera del bene e del male non può, in quanto vera, impedire alcun affetto, ma solo in quanto è considerata come un affetto».

    ⁹ E. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. Laterza, Bari 1963, pp. 513, 514. È M. Heidegger nei Seminari di Zollikon (trad. it. Guida, Napoli 1991) a indicare nel pensiero di Kant il fondamento sia ontologico che epistemologico delle ricerche di Freud.

    ¹⁰ Per una recente disamina del rapporto di Freud con Nietzsche cfr. L. Russo, Le illusioni del pensiero, Borla, Roma 2006, pp. 191-227.

    ¹¹ Mi riferisco in particolare alle analisi di Horkheimer e Adorno condotte in Dialettica dell’illuminismo.

    Nota biobibliografica

    Sigmund Freud nasce il 6 maggio 1856 nella cittadina morava di Freiberg, allora territorio dell’Impero austro-ungarico, dal terzo matrimonio del padre, Jakob, un modesto commerciante di lane ebreo nella zona di confine tra la Galizia russa e l’Austria, con Amalia Nathanson. Quando il piccolo Sigmund (sulla Bibbia di famiglia il padre gli ha attribuito i nomi Sigismund Schlomo) ha quattro anni, la famiglia si trasferisce a Vienna, dove il fondatore della psicoanalisi vivrà fino al 1938 e che lascerà solo per trascorrere l’ultimo anno della sua vita, da esule, a Londra. Nel 1873 il giovane Freud, dopo essere stato per sette anni consecutivi il miglior studente del suo Ginnasio (lo Sperlgymnasium), si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Vienna e viene accolto, per le sue doti di intelligenza e perseveranza nella ricerca, prima nel laboratorio di zoologia di Carl Claus (recandosi per due periodi di studio nella stazione sperimentale di biologia marina a Trieste) e poi nel laboratorio di fisiologia di Ernst Brücke, dove comincia ad approfondire l’istologia e la fisiologia del sistema nervoso, animale ed umano.

    Si laurea nel 1881 e nella stessa Facoltà di Medicina, grazie alle sue ricerche e alle sue pubblicazioni in campo istologico e neuropatologico, diventa nel 1885 Privatdozent, libero docente, in clinica delle malattie nervose. Di particolare significato durante quegli anni, anche per la storia successiva della nascita e dello sviluppo della psicoanalisi, è un saggio d’impostazione ancora neurologica, L’interpretazione delle afasie, che Freud dedica alle patologie del linguaggio. Subito dopo la laurea usufruisce di una borsa di studio di quattro mesi da trascorrere a Parigi per un periodo di studio presso Jean M. Charcot, il celebre medico francese esperto in psicopatologia, che aveva dato dignità scientifica alle patologie isteriche, sottraendole all’ipotesi che fossero solo recite e simulazioni. Ma già a partire da alcuni anni Freud collabora con Joseph Breuer, un medico che si occupa di malattie nervose, anch’egli di origine ebraica e con una posizione di rilievo nella comunità medica viennese.

    Attraverso Breuer Freud entra in contatto con il caso di Anna O., la giovane donna i cui gravissimi sintomi isterici vengono curati, per la prima volta, attraverso il recupero alla memoria di eventi psichici traumatici che sono stati rimossi dalla coscienza. La pratica della cura e della remissione dei sintomi non è affidata a somministrazione di farmaci o a interventi di elettroterapia sul corpo ma alla parola, alla possibilità cioè di recuperare, sotto ipnosi, alla narrazione del paziente quanto ha dovuto rimuovere e dimenticare. Si comincia così a prefigurare la specificità e l’originalità, rispetto alle terapie chimico-farmacologiche della medicina ufficiale e tradizionale, della terapia psicoanalitica quale talking cure: ossia quale terapia che si basa, appunto, solo sulla parola.

    Così è dalla consapevolezza che il malato isterico soffre, non per lesioni o patologie organiche, bensì di «reminescenze», di ricordi non elaborati, che muove l’avventura della psicoanalisi e di quella scoperta dell’«inconscio», che Freud comincia ad approfondire in termini di teoria e di pratica clinica durante gli ultimi anni dell’800, fino a giungere al libro che lo consacra come autore pienamente maturo nell’ambito di questo nuovo campo dell’esperienza umana e che è la Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) del 1900.

    Intanto Freud durante gli anni che vanno dal 1895 al 1900 ha abbandonato definitivamente per motivi economici la difficile strada della ricerca e dei laboratori universitari, pur mantenendo la libera docenza (che corrisponde alla possibilità di tenere corsi senza stipendio), ha accettato quindi un posto con un ruolo secondario nell’Ospedale generale di Vienna, ed infine si è risolto per la professione privata come medico di malattie nervose. Ha così potuto sposare nel 1896 Martha Bernays, una giovane di famiglia ebraica amburghese, con cui è fidanzato dal 1892 e dal matrimonio con la quale nascono nel giro di dieci anni ben sei figli.

    La strada verso l’inconscio è anche la strada della scoperta della sessualità infantile. L’Interpretazione dei sogni è infatti il libro che, attraverso l’analisi dell’esperienza onirica, pone in luce l’esistenza nella mente umana di una logica del pensare diversa da quella della coscienza vigile e normale e che si presenta come una logica del pensiero concreto e figurale. Ma nello stesso tempo è il libro che evidenzia quanto il darsi di un pensiero inconscio sia legato ad eventi e pulsioni di un mondo infantile, fin dall’inizio della vita animato e attraversato da tensioni sessuali. Del resto proprio per tale apertura sul mondo della sessualità, per il non aver trovato consenso da parte di Breuer su questa causa originariamente sessuale delle malattie nervose, Freud ha lasciato la collaborazione con il collega più anziano e ha stretto una intensa simbiosi intellettuale con Wilhelm Fliess, un medico otorinolaringoiatra di Berlino con il quale Freud avrà un intenso scambio epistolare che dura ininterrottamente dal 1887 al 1904.

    Fliess, con il quale alla fine Freud romperà irriducibilmente, è un uomo la cui cultura attraversa vari campi. È un erudito, con la passione eccentrica per la numerologia: crede infatti a dei cicli bioritmici di 23 e 28 giorni che dovrebbero regolare la vita, rispettivamente, di donne e uomini. Ritiene che il naso sia l’organo fondamentale da cui dipenda la condizione di salute e malattia. Ma soprattutto è l’amico, per non dire la figura paterna, che discute e dà credito alle idee di Sigmund, impegnato in solitaria nei nuovi percorsi delle ipotesi psicoanalitiche. Per altro lo stesso Fliess nei suoi scritti a metà degli anni Novanta tratta della sessualità infantile e introduce, ben prima di quanto farà Freud, il tema della bisessualità umana.

    Nel primo decennio del Novecento Freud approfondisce e consolida i risultati conseguiti con L’interpretazione dei sogni: l’esistenza della costellazione edipica, quale triangolo che ogni essere umano deve attraversare e superare per raggiungere la sua maturità, la natura energetico-pulsionale del corpo umano che vive del contrasto tra pulsioni libidiche e pulsioni di autoconservazione dell’Io, la teoria dei tre stadi della sessualità, i meccanismi patogeni di difesa a muovere dalla rimozione, la scissione della personalità. Pubblica così, tra molti altri scritti, la Psicopatologia della vita quotidiana (1901), i Tre saggi sulla sessualità (1905), Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907), in cui riduce la fede religiosa a mera nevrosi, e alcune descrizioni di patologie particolari che diverranno i famosi «casi clinici» del piccolo Hans (1909) e dell’uomo dei topi (1909).

    Ormai Freud sta acquisendo sempre più sicurezza nell’addentrarsi nella scoperta del nuovo continente dell’esistenza umana, costituito dall’inconscio e dagli effetti della vita fantasmatica sulle pratiche, i comportamenti, gli affetti degli esseri umani. Rivendica che la psicoanalisi non sia solo indagine e terapia delle patologie della mente: per esser tale è anche – deve essere – una teoria del funzionamento normale e fisiologico della vita della psiche nella sua compresenza al corpo pulsionale e desiderante. Deve essere cioè una filosofia antropologica generale dell’essere umano ed infatti l’opera freudiana sfocia tra il 1915 e il 1917 nella stesura di una Metapsicologia, ossia di un insieme di saggi di definizione complessiva della psiche umana, al di là (come indica il prefisso meta) di riflessioni psicologiche circostanziate e legate a una finalità solo terapeutica e clinica. Ne uscirà il quadro concettuale più rigoroso e completo della cosiddetta «prima topica», cioè il quadro del rapporto mente-corpo a partire dal dualismo tra pulsioni libidiche e pulsioni di autoconservazione dell’Io.

    Per altro Freud non si limita a ciò, perché il suo progetto è quello di estendere la funzione critica della psicoanalisi dall’ambito della mente individuale a quella storica e collettiva. L’antropologia psicoanalitica è ormai in grado d’interpretare, a suo avviso, anche eventi e passaggi fondamentali della storia dell’umanità, fenomeni culturali come l’arte e la religione, movimenti sociali e politici. Di questa espansione culturale della psicoanalisi sono testimonianza testi come Totem e tabú (1912-13), Il Mosè di Michelangelo (1914), Psicologia collettiva e analisi dell’Io (1921).

    Frattanto Freud consolida «il movimento psicoanalitico» – l’insieme dei collaboratori, soprattutto medici, e dei discepoli che hanno progressivamente aderito alla rivoluzione dell’inconscio – da un punto di vista organizzativo e istituzionale.Tra i suoi allevi più fedeli basti ricordare Karl Abraham, Max Eitigon, Sandor Ferenczi, Paul Federn, Ernst Jones, Otto Rank e fino a un certo momento Alfred Adler e Wilhelm Stekel. Nel 1902 è nata, all’inizio in modo informale, la cosidetta Società del mercoledì, formata da un gruppo di giovani medici che si stringono attorno a Freud, il mercoledi sera a Vienna, per apprendere, discutere ed imparare ad esercitare la psicoanalisi. Da questo nucleo iniziale nasce nel 1908 la Società psicoanalitica viennese. Nel 1910 viene fondata l’Associazione psicoanalitica internazionale organizzata secondo sezioni nazionali, che nel giro di pochi anni comprende gruppi aventi sede in Austria, Germania, Ungheria, Svizzera, Gran Bretagna, Olanda, Russia, India e negli Stati Uniti. Dal 1908 viene pubblicata una rivista dedicata ai contributi teorici e clinici di argomento psicoanalitico, lo «Jahrbuch für psychoanalitische und psichopathologische Forschungen», cui si accompagna successivamente la pubblicazione di «Imago», un periodico che si occupa delle applicazioni della psicoanalisi nel campo più vasto delle scienze dello spirito.

    Ma col consolidamento della dottrina freudiana e con il suo prendere corpo in una scuola di adepti e di studiosi non possono mancare di sorgere ben presto divisioni e scissioni, rispetto agli orientamenti teorici di fondo che Freud è venuto assegnando alla scienza della psiche. La più significativa delle separazioni è quella che si consuma tra Freud e Jung, il giovane psichiatra svizzero, non ebreo a differenza di quasi tutti gli altri suoi discepoli, cui Freud pensa a un certo punto come al suo più promettente erede spirituale e che invece si allontana dal maestro, proponendo una concezione dell’energia psichica non limitata alla sessualità e dando luogo a una scuola psicoanalitica di diverso indirizzo e ispirazione.

    Inoltre a segnare profondamente la vita e la riflessione di Freud giunge l’esperienza della prima guerra mondiale con i suoi sterminati massacri e con i gradi più alti raggiunti dalla crudeltà e dell’aggressività umana. Sul piano privato, Freud assiste, tra gli orrori della guerra, alla caduta in prigionia di uno dei due figli sul fronte italiano. Subisce egli stesso, in prima persona, per quanto privilegiato dalla professione e dalla fama raggiunta, le restrizioni nei consumi e il peggioramento nelle condizioni materiali di vita, cui l’Austria, e in particolare la città di Vienna, vanno necessariamente incontro dopo la sconfitta e la caduta dell’Impero austro-ungarico. Nel 1920 muore per un’influenza complicata da una polmonite l’amatissima figlia Sophie, ancora in attesa del terzo figlio. Ma come se non bastasse, nel giugno del 1923 muore per una tubercolosi miliare anche il figlio minore di Sophie, Heinele di quattro anni, adorato dall’intera famiglia dei Freud, e di cui il nonno Sigmund scrive: «Era un bambino incantevole, e per quanto mi riguarda, so di non avere mai amato un essere umano, e sicuramente mai un bambino quanto lui». Infine nel 1923 gli viene diagnosticato un cancro alla mascella e al palato e già in quello stesso anno subisce due interventi operatori.

    Ma questi eventi drammatici della biografia di Freud non bastano a spiegare la profonda rielaborazione della sua teoria, attraverso la quale, con due scritti fondamentali degli anni ’20, Al di là del principio del piacere (1920) e L’Io e l’Es (1923), egli giunge a mettere a tema come fortemente operosa nella vita di ciascun esser umano la presenza di una tendenza originaria all’aggressività e alla distruzione, che Freud chiama pulsione di morte (Todestrieb). Accanto alla potenza pulsionale dell’Eros e della libido sessuale la psiche, ora afferma Freud, è mossa da una forza originaria che spinge, non a creare unioni e legami, bensì a rifiutarli e a distruggerli. E appunto dalla teorizzazione della pulsione di morte prende avvio il passaggio del pensiero di Freud dalla prima alla seconda topica, con una conseguente rielaborazione dell’intera configurazione dell’apparato psichico.

    Ma tale passaggio non si spiega, come si è detto, con le sole vicende personali dell’uomo Freud, come pretenderebbero troppe semplicistiche interpretazioni, pronte a risolvere e a ridurre la complessità della teoria nella biografia e nella psicologia personale. Si spiegano con motivazioni più profonde che risalgono alle componenti di aggressività e di distruttività, la cui presenza già il primo Freud aveva rilevato nell’operare della sessualità e della libido.

    Infine, durante l’ultimo quindicennio della sua vita Freud continua a lavorare su più fronti. I congressi internazionali dell’Associazione psicoanalitica si susseguono regolarmente ogni due anni. Le sue opere vengono tradotte in più lingue. In particolare tra il 1924 e il 1925 esce in lingua inglese una raccolta delle sue opere, in quattro volumi, i Collected Papers. Nell’estate del 1918 è nata una casa editrice viennese, il «Verlag», che si occupa delle pubblicazioni di argomento psicoanalitico la cui supervisione è nelle mani di Freud. Così come s’intensifica la pubblicazione delle riviste psicoanalitiche. Dopo l’esperienza dello «Jahrbuch», sono iniziate le pubblicazioni della rivista in lingua tedesca, la «Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse», nel 1926 esce in Francia la «Revue Française de Psychanalyse», nel 1932 in Italia la «Rivista di Psicoanalisi». Uno dei più fidati discepoli di Freud, Ernest Jones, dà vita in Inghilterra all’«International Journal of Psycho-Analysis». Come ininterrotta è la cura da parte di Freud della propagazione della cultura analitica all’estero: tanto che i suoi settant’anni, nel 1926, vengono ricordati e celebrati, con una citazione sufficientemente esatta della sua attività, su un gran numero di giornali esteri.

    Ma anche per quanto concerne l’attività propriamente teorica Freud continua ad essere impegnato sia nell’ambito della problematica più tipicamente psicoanalitica, qual è quella dell’indagine sui processi e le funzioni intrapsichiche, sia nell’ambito dell’applicazione della psicoanalisi alla scienze dello spirito e della cultura. Pubblica così da un lato Inibizione, sintomo e angoscia (1926), mentre sul fronte della critica del fenomeno religioso e dell’essenza della civilizzazione umana pubblica rispettivamente L’avvenire di un’illusione (1927) e Il disagio della civiltà (1930).

    Così come ancora da un duplice campo d’interesse – uno più volto verso il consolidamento dell’identità concettuale e interiore della disciplina psicoanalitica e l’altro più verso l’esposizione della psicoanalisi riguardo alla storia e agli eventi collettivi – sono le sue due ultime opere: rispettivamente il Compendio di psicoanalisi e il romanzo storico su Mosè e il monoteismo.

    Ma questi due ultimi scritti sono composti nel precipitare, di nuovo tormentato e drammatico, della vita di Freud. Negli ultimi anni ha assistito sgomento alla nascita e allo sviluppo del nazismo hitleriano in Germania, al dilagare dell’antisemitismo e alla successiva nazistificazione dell’Austria. Frattanto il cancro alla mascella si è sempre più aggravato, malgrado le reiterate operazioni e le protesi che ormai invalidano la sua vita. Sollecitato dagli amici e soccorso dall’aiuto internazionale, per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche, va in esilio, più che ottantenne, in Inghilterra, dove trascorre l’ultimo anno della sua vita e muore il 23 settembre 1939.

    Bibliografia consigliata

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    Introduzione alla psicoanalisi

    (1916-17)

    [L’opera fu pubblicata, per la prima volta in un unico volume, nel 1917 presso l’editore Heller. Fu riprodotta in seguito nel 1924 con il titolo Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse (letteralmente Lezioni di introduzione alla psicoanalisi) in Gesammelte Schriften, vol. 7. Comparve quindi nel 1940 nel vol. 11 di Gesammelte Werke. In The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud si trova nei voll. 15-16. Con il titolo di Introduzione allo studio della psicoanalisi, trad. it. a cura di Edoardo Weiss, Editrice V. Idelson di Napoli, l’opera è apparsa per la prima volta in Italia nel 1922. Successivamente comparve nel 1976 con il titolo Introduzione alla psicoanalisi nella traduzione di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario per l’edizione Boringhieri, a cura di Cesare Luigi Musatti, vol. 8, p. 189. La presente traduzione è stata eseguita sulla base del testo di Gesammelte Werke, a cura di A. Freud, E. Bibring, W. Hoffer, E. Kris, O. Isakower, Fischer Verlag, Frankfurt (già Imago Publishing Co., London 1940 sgg.)].

    Prefazione

    Ciò che presento qui al pubblico con il titolo di Introduzione alla psicoanalisi non vuole in alcun modo competere con i trattati generali già editi in questo campo del sapere. (Hitschmann, Freuds Neurosenlehre, seconda ed. 1913, Pfister, Die psychanalytische Methode, 1913; Leo Kaplan, Grundzüge der Psychoanalyse, 1914; Régis et Hesnard, La psychoanalyse des névroses et des psychoses, Paris 1914; Adolf F. Meijer, De Behandeling van Zenuwzieken door Psycho-Analyse, Amsterdam 1915). Si tratta della fedele riproduzione di lezioni da me tenute nei due semestri invernali 1915-16 e 1916-17 per un pubblico di medici e profani di entrambi i sessi.

    Tutte le particolarità che colpiscono i lettori di questo libro si spiegano con le condizioni che gli hanno dato origine. Non era possibile conservare nell’esposizione la calma fredda di una trattazione scientifica; piuttosto l’oratore dovette assumersi il compito di non far venir meno l’attenzione degli ascoltatori nel corso di lezioni della durata di quasi due ore ciascuna. La preoccupazione per l’effetto immediato rese inevitabile che lo stesso argomento fosse trattato più volte, ad esempio una volta in relazione all’interpretazione dei sogni e in seguito con riferimento ai problemi della nevrosi. L’ordine della materia comportò anche che alcuni temi importanti, come per esempio quello relativo all’inconscio, non potessero essere trattati in modo esauriente in un unico punto, ma dovessero essere ripetutamente ripresi e di nuovo abbandonati, finché non si fosse presentata una nuova possibilità di aggiungere qualcosa alla loro conoscenza.

    Chi ha familiarità con la letteratura psicoanalitica troverà in questa Introduzione poche cose che non potrebbe conoscere grazie ad altre pubblicazioni molto più dettagliate. Ma un bisogno di completezza e di sintesi della materia ha reso necessario che l’autore prendesse in considerazione in alcuni capitoli (riguardo all’eziologia, all’angoscia, alle fantasie isteriche) anche materiale finora inedito.

    Vienna, primavera 1917

    Freud

    Parte prima.

    Gli atti mancati

    Lezione 1. Introduzione

    Signore e signori, non so quanto ognuno di voi conosca della psicoanalisi dalle sue letture o per sentito dire. Sono però obbligato dal tenore letterale del programma annunciato –Introduzione elementare alla psicoanalisi – a trattarvi come se non sapeste nulla e aveste bisogno di un primo insegnamento.

    Sono legittimato a supporre tuttavia che sappiate che la psicoanalisi è un procedimento per il trattamento medico di malati di nervi e in proposito posso darvi subito un esempio di come in questo ambito molte cose vadano diversamente – spesso in modo del tutto opposto – che nella medicina in genere. Quando in altri ambiti sottoponiamo un malato a un trattamento medico nuovo per lui, ne sminuiamo gli aspetti negativi e gli facciamo rassicuranti promesse sull’esito positivo del trattamento. Intendo dire che siamo autorizzati a farlo perché in tal modo aumentiamo le probabilità di successo. Ma quando sottoponiamo un nevrotico a un trattamento psicoanalitico ci comportiamo diversamente. Gli presentiamo le difficoltà del metodo, la sua lunga durata, gli sforzi e il sacrificio che richiede, e per quanto concerne il risultato, diciamo che non glielo possiamo garantire con sicurezza, dipende dal suo impegno, dalla sua comprensione, dalla sua arrendevolezza, dalla sua perseveranza. Naturalmente per comportarci in modo apparentemente così diverso dal normale abbiamo buoni motivi, di cui forse in seguito potrete farvi un’idea.

    Non ve la prendete dunque se inizialmente vi tratterò come questi malati nevrotici. In realtà vi sconsiglio di venire ad ascoltarmi una seconda volta. Con tale intenzione vi presenterò le imperfezioni che gravano necessariamente sull’insegnamento della psicoanalisi e le difficoltà che si oppongono all’acquisizione da parte vostra di un personale giudizio in proposito. Vi mostrerò come l’intera direzione della vostra precedente formazione e tutte le vostre abitudini di pensiero debbano inevitabilmente rendervi nemici della psicoanalisi, e quanto avrete da superare in voi stessi per vincere questa istintiva avversione. Naturalmente non posso prevedere ciò che ricaverete per la comprensione della psicoanalisi dalle mie comunicazioni, ma posso assicurarvi che il loro ascolto non vi insegnerà a intraprendere uno studio o un trattamento psicoanalitico. Se però tra di voi vi dovesse essere qualcuno che non si sentisse soddisfatto di una tale conoscenza fugace della psicoanalisi, ma volesse entrare in una relazione durevole con essa, non solo glielo sconsiglierei, ma lo metterei in guardia dal farlo. Per come stanno le cose attualmente con una tale scelta professionale egli si distruggerebbe qualsiasi possibilità di successo universitario, e se scegliesse di vivere come medico praticante si troverebbe in una società che non comprende i suoi sforzi, che tratta con diffidenza e in modo ostile chi li compie, e gli scatena contro tutti gli spiriti maligni che si annidano in essa. Forse proprio i fenomeni concomitanti della guerra che oggi infuria in Europa riescono a darvi un’idea di quanto possano essere numerosi questi spiriti maligni.

    Vi è comunque un certo numero di persone per le quali tutto ciò che può diventare un nuovo oggetto di conoscenza conserva, nonostante tali disagi, la sua attrazione. Se alcuni di voi appartenessero a questo genere di persone e, noncuranti dei miei avvertimenti, dovessero ripresentarsi qui la prossima volta, saranno i benvenuti. Ma voi tutti avete il diritto di venire a conoscenza di quali siano le difficoltà della psicoanalisi a cui ho accennato.

    In primo luogo le difficoltà della formazione, dell’insegnamento della psicoanalisi. Nelle lezioni di medicina siete stati abituati a guardare. Osservate il preparato anatomico, il precipitato nella reazione chimica, l’accorciamento del muscolo come risultato della stimolazione dei suoi nervi. In seguito vengono presentati ai vostri sensi il malato, i sintomi della sua sofferenza, i prodotti del processo di malattia, e in numerosi casi gli agenti patogeni che sono stati isolati. Nelle materie di chirurgia siete testimoni degli interventi con i quali si offre aiuto al malato e avete la possibilità di tentare di eseguirli in prima persona. Persino nella psichiatria ciò che il malato manifesta nella sua mimica facciale alterata, nel suo modo di parlare e nel suo comportamento, vi procurano una quantità di osservazioni che lasciano in voi impressioni profonde. Così il docente di medicina svolge prevalentemente il ruolo di una guida e di un commentatore che vi accompagna in un museo, mentre voi potete avere una relazione immediata con gli oggetti e credete di esservi convinti dell’esistenza di fatti nuovi grazie alla vostra percezione.

    Purtroppo le cose stanno diversamente in psicoanalisi. Nel trattamento analitico non accade nient’altro che uno scambio di parole tra l’analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta esperienze del passato e impressioni del presente, si lamenta, riconosce i propri desideri e impulsi emotivi. Il medico ascolta, cerca di guidare i processi di pensiero del paziente, lo esorta a spingere la sua attenzione in determinate direzioni, gli fornisce spiegazioni e osserva le reazioni di comprensione o di rifiuto che in tal modo suscita nel paziente. I parenti incolti dei nostri pazienti – i quali vengono impressionati solo da ciò che è visibile e tangibile, di preferenza azioni simili a quelle che si vedono al cinematografo – non perdono occasione di esprimere i propri dubbi che «si possa fare qualcosa contro la malattia solo parlando». Questo è naturalmente un modo di pensare ottuso e incoerente. Quelle stesse persone sono altrettanto sicure che i malati «s’immaginano semplicemente» i loro sintomi.

    Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora

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