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Una verità da valutare: opinione vera non erronea: Introduzione al problema della conoscenza
Una verità da valutare: opinione vera non erronea: Introduzione al problema della conoscenza
Una verità da valutare: opinione vera non erronea: Introduzione al problema della conoscenza
E-book119 pagine1 ora

Una verità da valutare: opinione vera non erronea: Introduzione al problema della conoscenza

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Info su questo ebook

Il problema conoscitivo deriva da questa affermazione di Parmenide: «Lo stesso è pensare ed essere». Se sono la stessa cosa è impossibile il falso, se sono diversi è impossibile il vero. Perché possa darsi il vero e il falso è necessario che il pensare (o conoscente) e l’essere (o conosciuto) siano tra loro correlati (non identici) e che il prodotto, cioè il pensato, sia intermedio tra i due. Bisogna scindere il rapporto tra conoscente e conosciuto come dato immediato, e per fare ciò è necessario analizzare l’atto conoscitivo per vedere come si risolve in se stesso.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2018
ISBN9788828333852
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    Anteprima del libro

    Una verità da valutare - Athos Turchi

    Athos Turchi

    UNA VERITÀ DA VALUTARE. OPINIONE VERA NON ERRONEA

    INTRODUZIONE AL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA

    UUID: d28f0cc4-6a64-11e8-9b1c-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PRESENTAZIONE

    PARTE I: LA CONOSCENZA NELLA SUA FORMAZIONE

    CAPITOLO PRIMO: COM’È CHE CONOSCIAMO?

    CAPITOLO SECONDO: LA CONOSCENZA E LA VISIONE DI MONDO

    CAPITOLO TERZO: I MEZZI DELLA CONOSCENZA

    CAPITOLO QUARTO: IL «FATTO» CONOSCITIVO

    PARTE II: TEORIA DELLA CONOSCENZA

    PREMESSA

    CAPITOLO PRIMO: LO SCETTICISMO E L’ORIGINE DELLA EPISTEMOLOGIA

    CAPITOLO SECONDO: PRIMO APPROCCIO ALLA GNOSEOLOGIA. IL TEETETO DI PLATONE.

    CAPITOLO TERZO: L’ «EPISTEME» E LA CONOSCENZA

    PARTE III: UNA DIVERSA PROSPETTIVA. TEORIA DELLA CONOSCENZA COME STRUMENTALITÀ

    CAPITOLO PRIMO: LA STRUMENTALITÀ

    CAPITOLO SECONDO: LA FALLIBILITÀ

    SINTESI CONCLUSIVA

    APPENDICE

    SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI

    PRESENTAZIONE

    Il problema conoscitivo deriva da questa affermazione di Parmenide: «Lo stesso è pensare ed essere - τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι» [1] .

    Se sono la stessa cosa è impossibile il falso, se sono diversi è impossibile il vero. Perché possa darsi il vero e il falso è necessario che il pensare (o conoscente) e l’essere (o conosciuto) siano tra loro correlati (non identici) e che il prodotto, cioè il pensato, sia intermedio tra i due. Bisogna scindere il rapporto tra conoscente e conosciuto come dato immediato, e per fare ciò è necessario analizzare l’atto conoscitivo per vedere come si risolve in se stesso.

    L’atto di conoscenza è riducibile a un moto: è il passaggio dall’ appreso-potenza al saputo-atto rispetto a un conoscente. Il conoscente è il supposito del moto, l’appreso è il dato di partenza, il saputo è il fine. Siccome l’appreso è potenziale rispetto al saputo che è il termine dell’atto conoscitivo, è perciò impossibile che l’appreso-potenza sotto il medesimo aspetto e tempo sia il saputo-atto, altrimenti non vi sarebbe bisogno di apprendimento. Quindi è necessario che vi sia una causa, uno strumento, che educa l’appreso-potenza a saputo-atto. Questa causa strumentale non può essere il conoscente, perché è il medesimo sia nell’apprendere sia nel sapere, quindi è un tertium quid che abbiamo chiamato strumento perché, pur essendo diverso dai tre elementi in questione (conoscente, appreso e saputo), tuttavia non è esterno, ma è una facoltà del conoscente. Tale tertium quid è l’intelletto, che è la causa strumentale dell’atto conoscitivo in quanto agisce sull’appreso e, grazie al ragionamento, lo educe a saputo.

    Ancora: in quanto strumento, l’intelletto è di principio fallibile ed erroneo se non perviene esattamente al suo scopo, che è quello di spiegare pienamente l’oggetto appreso e così portare il conoscente dalla simplex apprehensio alla conoscenza piena o sapere o episteme. Il fatto che la conoscenza, in ragione del suo strumento, di principio sia fallibile giustifica i giudizi falsi e di conseguenza quelli veri, nello stesso tempo elimina le obiezioni scettiche sul valore della conoscenza, qualunque esse siano, perché legittimato l’errore di principio, il vero e il falso sono le due forme possibili della conoscenza che ne consegue.

    Questo è sufficiente per giustificare il valore veritativo della conoscenza di contro ogni negazionismo.

    In questo volume tenteremo di dimostrare e di avvalorare questa ipotesi.

    Oppure.

    «Mostrerò, per chiarire la differenza fra il cammino della riflessione oggettiva e quello della riflessione soggettiva, la ricerca della riflessione soggettiva nel suo cammino all’indietro e verso l’interiorità. Il culmine dell’interiorità in un soggetto esistente è la passione, alla passione corrisponde la verità come paradosso, e il fatto che la verità diventa paradosso è precisamente fondato nel suo rapporto al soggetto esistente. Così l’un termine corrisponde all’altro. Se ci si dimentica di essere un soggetto esistente, la passione se ne va, la verità non diventa per compenso qualcosa di paradossale, ma il soggetto conoscente, da uomo che era, diventa un’entità fantastica e la verità un oggetto fantastico per questo conoscere.

    Quando si pone il problema della verità in modo oggettivo, si riflette oggettivamente sulla verità come su un oggetto al quale il conoscente si rapporta. Non si riflette sul rapporto, ma sul fatto che è la verità, il vero, ciò a cui ci si rapporta. Quando ciò a cui ci si rapporta è soltanto la verità, il vero, allora il soggetto è nella verità. Quando si pone il problema della verità in modo, soggettivo, si riflette soggettivamente sul rapporto dell’individuo; se: soltanto il come del rapporto è nella verità, allora l’individuo è nella verità, anche se a questo modo egli si rapporta alla non-verità. [...] Prendiamo come esempio la conoscenza di Dio.

    Oggettivamente si riflette sul fatto che c’è il vero Dio; soggettivamente, sul fatto che l’individuo si rapporta a un qualche cosa in modo che il suo rapporto è in verità un rapporto a Dio. Ora, da quale parte si trova la verità? Ahimè, guai a noi se qui facciamo ricorso alla mediazione e diciamo: la verità non sta da nessuna delle due parti, essa è nella mediazione. Risposta eccellente, a patto che qualcuno potesse dire come fa un esistente ad essere nella mediazione, perché essere nella mediazione significa essere compiuto, mentre esistere è divenire. Un esistente non può trovarsi in due posti ad un tempo, essere soggetto-oggetto.

    Quando egli è ad un pelo per essere ad un tempo in due posti, egli è sotto la passione, ma la passione non si produce che momentaneamente, e la passione è precisamente il vertice della soggettività. L’esistente che sceglie il cammino della soggettività concepisce nello stesso momento tutta questa difficoltà dialettica di dover impiegare qualche tempo, forse un lungo tempo, per trovare Dio oggettivamente; egli comprende questa difficoltà dialettica in tutto il suo dolore, perché egli deve nello stesso momento usare Dio, perché ogni momento in cui egli non ha Dio è sprecato. [...]

    Mentre il pensatore oggettivo è indifferente rispetto al soggetto pensante e alla sua esistenza, il pensatore soggettivo, come esistente essenzialmente interessato al suo proprio pensiero, è esistente in esso. Perciò il suo pensiero ha un’altra specie di riflessione, cioè quella dell’interiorità, della possessione, con cui esso appartiene al soggetto e a nessun altro. Mentre il pensiero oggettivo pone tutto in risultato, e stimola l’intera umanità a barare copiando e proclamando risultati e fatti, il pensiero soggettivo pone tutto in divenire e omette il risultato, in parte perché proprio questo è il compito del pensatore, poiché possiede la via, in parte perché come esistente egli è sempre in divenire, ciò che del resto è ogni uomo che non si è lasciato ingannare a diventare oggettivo, a diventare la speculazione in modo disumano».

    [S. Kierkegaard, da: Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia. [2]]

    Oppure: Appendice [C].


    [1] Fr. B 3.

    [2] Da: Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 1311-1312.

    PARTE I: LA CONOSCENZA NELLA SUA FORMAZIONE

    CAPITOLO PRIMO: COM’È CHE CONOSCIAMO?

    § 1. Una fenomenologia .

    Prima di impostare una teoria e cercar di definire che cosa sia la conoscenza, cerchiamo di vedere come avvenga [1] . A che cosa si attribuisce il termine conoscenza?

    In generale è tutto ciò di cui siamo consapevoli, e quando diciamo di conoscere qualcosa, tale cosa si fa presente «in noi». La conoscenza è un fenomeno interiore all’uomo, immanente, in quanto avviene all’interno della vita umana personale e individuale [2]. È questo il «mistero» della conoscenza: una cosa (in qualsiasi modo la si voglia intendere) si fa presente a noi, ma come altra da noi, come fosse un oggetto posto dentro di noi ma in quanto altro da noi.

    Conoscendo, noi diciamo di essere aperti alla realtà - sia altra e, di riflesso, sia nostra -rompiamo l’isolamento e entriamo nel mondo con consapevolezza: il mondo entra in noi, e noi siamo la condizione affinché quel mondo si disveli per ciò che è in sé. E ciò non come flusso di una cosa su altra cosa, per es. non come il calore del fuoco scalda un ferro, ma come significatività o, come si dirà poi, come intenzionalità: una presenza di altro, significante e intellegibile, che prendendo posto nell’io non si confonde con l’io ma vi disvela il suo essere altro. Una cosa non entra fisicamente in noi, ma grazie all’atto del conoscere si fa presente a noi nella sua intellegibilità, analogamente alla ricezione di onde elettromagnetiche che nel dispositivo prendono forma di immagini e forme.

    Perciò diciamo essere conoscenza: percezioni, sensazioni, emozioni, esperienze, immagini, illusioni, sogni, affetti, sentimenti, idee, concetti, miraggi, fantasie, ecc. e tutto quanto è per noi un dato consapevole, significante e razionale.

    E se

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