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Cuba andata e ritorno
Cuba andata e ritorno
Cuba andata e ritorno
E-book353 pagine4 ore

Cuba andata e ritorno

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Info su questo ebook


Per uno strano scherzo del destino una donna sbarca a Cuba. Il computer di un’agenzia decide che per lei, nell’ultima estate del millennio, c’è posto solo lì, in un paese che si rivela ben presto molto diverso da come aspettato. Il suo viaggiare sola suscita subito curiosità, in un villaggio turistico dove tutto è organizzato per dare di Cuba un’immagine perfetta che faccia dimenticare parole come embargo, sesso turistico, oscuramento, razionamento. E una vacanza iniziata per sbaglio, per lasciarsi alle spalle la fine di un matrimonio, si trasforma in un viaggio tra le strade dell’Avana e le pieghe del cuore. Tra una spiaggia dorata e delle verità scomode. Tra una realtà tagliente e un’anima seducente. Tra la sua anima e quella di Cuba.
Cambierà tutto l’incontro con un lui dal “nome impronunciabile”. Una storia d’amore travolgente, trasgressiva, contraddittoria, con quella passione e sensualità che solo i ritmi cubani sanno evocare. “Troppo cubano, troppo giovane, troppo bello, troppo di tutto”. Un amore senza passato e senza futuro e proprio per questo vissuto con l’intensità dello spazio di una notte. In quell’attimo dove tutto è possibile, anche andare oltre i “due mondi completamente diversi”. L’alba porterà altro, che non è la fine ma un nuovo inizio.
 
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2017
ISBN9788827523353
Cuba andata e ritorno

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    Anteprima del libro

    Cuba andata e ritorno - Ada Venturelli

    SACRO

    Ada Venturelli

    Cuba andata e ritorno

    Capii che cosa Cuba avesse rappresentato per me, soltanto quando la lasciai.

    Quando nel buio e nel silenzio di una notte, sentii che la donna che era partita, non era la stessa che era ritornata.

    In mezzo c’era stato un viaggio. Un viaggio attraverso il tempo, lo spazio, il cuore, i sensi.

    Attraverso l’anima.

    La mia e quella di Cuba.

    Cara Cuba ti scrivo, così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontana più forte ti scriverò.

    Scusa se inizio questo dialogo con delle parole che non sono mie, ma quando si tratta di te mi accorgo di non trovarne di adeguate.

    Ogni parola può essere vera, così come il suo esatto contrario.

    Ho provato a raggiungerti attraverso i canali ufficiali, ma le mie lettere non hanno mai ottenuto una risposta. Non so se è perché non ti sono state consegnate, se è perché non puoi rispondermi, o non vuoi.

    L’unica cosa certa è che non sono mai neppure tornate al mittente. Semplicemente scomparse.

    Anche tu sembri essere stata assorbita dal nulla, protetta o prigioniera da una cortina di ferro, così come prima che ti conoscessi.

    Ma io ti ho conosciuta e non posso dimenticarti. Soprattutto non voglio.

    Del resto è proprio quello che volevi da me.

    Il ricordare è il mio modo per ringraziarti di tutto ciò che mi hai dato.

    Forse è poco, e non so neppure se questo mio grazie ti arriverà mai, l’Atlantico è davvero immenso.

    Ma qualcuno più saggio di me dice che tutto quello che esce dal cuore, arriva al cuore e che l’amore è come un debito, prima o poi va restituito.

    E’ quello che sto tentando di fare, pagare un debito.

    Perché tutto quello che cercavo, adesso c’è.

    COINCIDENZE

    Avevo visitato molte città e tutte mi erano piaciute, ma soltanto una mi sarebbe mancata. Così esordiva Robert Redford nel film L’Avana.

    Io invece avevo dimenticato. Avevo dimenticato L’Avana e tutta Cuba.

    Forse per questo, il destino mi costrinse a tornarci.

    Il volo L 4 - 1960 finalmente viene annunciato.

    E’ la mia data di nascita penso raccogliendo lo zaino da terra. Un sorriso mi sfiora le labbra mentre constato l’ennesima coincidenza, una delle tante che si sono presentate dall’inizio dell’avventura.

    Non tento neanche di stupirmi, ne prendo atto semplicemente.

    Benché i segnali siano già tutti presenti e basterebbe volerli cogliere, non posso ancora sapere che questo sarà realmente il volo verso la mia nuova vita.

    Del resto, tutto intorno a me appare come sempre. Nonostante l’eclissi totale di sole.

    Aeroporto di Milano Malpensa, ultimo ferragosto del millennio, caos che regna sovrano.

    Naturalmente l’aereo è in ritardo di tre ore e il malcontento generale aumenta. Anch’io dovrei essere irritata del contrattempo per una congestione delle vie aeree che non lascia presagire nulla di buono, invece un’insolita calma mi pervade.

    Non ho fretta. Tutto sarebbe andato come doveva andare.

    Non voglio fare resistenza. Non più.

    Una voce anonima mi provoca un sussulto.

    Dov’è diretta? tuona imperiosa.

    Credo sia un agente in borghese per un banale controllo, ma la sua domanda mi rimbomba nella testa cercando una risposta che stenta ad arrivare. In una frazione di secondo, ricordo di avere in mano una stecca di sigarette e focalizzo il cartello letto distrattamente all’ingresso del duty-free. Il divieto di acquistare tabacchi a chi fosse diretto in un paese della comunità europea mi aveva stupita, ma non mi ci ero soffermata più di tanto.

    In fondo andavo altrove.

    Camagüey dico in un soffio, quasi temendo di dimenticare un nome di cui non conosco neppure l’esatta pronuncia.

    Forse dovrei dire Cuba, sarebbe più semplice, ma non ci riesco.

    La verità è che non ho la più pallida idea di dove stia andando, seguo soltanto il corso degli eventi.

    Da quando mi ero separata, le vacanze erano diventate fonte di frustrazione e angoscia. L’essere costretta a cedere mia figlia al mio ex marito e ad una perfetta sconosciuta, mi procurava un senso di sofferenza incredibile. E il pensiero di avere finalmente quindici giorni esclusivamente per me, non controbilanciava la rabbia sorda che provavo nel saperli tutti e tre insieme.

    Rabbia o semplicemente invidia per tutto ciò che era mio e mio non era più.

    Non volevo andare in nessun posto e non potevo rimanere ferma in nessun posto.

    In bilico davanti al precipizio, nella terra di mezzo dell’anima.

    Ma le cose stavano per cambiare. E fu proprio il computer di un’agenzia viaggi insieme ad una serie di situazioni a catena, a determinarne l’avvio.

    A decidere quale sarebbe stata la destinazione del viaggio che avrebbe sconvolto la mia esistenza.

    Nulla sarebbe più stato come prima.

    Non accolsi con entusiasmo la notizia di dover andare a Cuba. Anzi, mi ribellai con tutte le mie forze. Ci ero stata quattro anni prima e non avevo alcuna voglia di tornarci. Di ricordare.

    Ma esattamente come la volta precedente, sembrava che per me non ci fosse uno spazio libero in nessuna altra parte del mondo.

    A nulla valsero i tentativi di cambiare date di partenza, accordi e situazioni, arrivando persino ad implorare e ad umiliarmi.

    Fu soltanto davanti a tanto accanimento del destino, o di chi per esso, che un pensiero insistente cominciò a farsi strada .

    Forse, era proprio a Cuba che era necessario che andassi.

    GLI IRREPRENSIBILI

    Un tizio accanto a me sfoglia distratto un giornale, tanto per darsi un tono e ingannare l’attesa.

    Ha già fatto una decina di telefonate da un microscopico, ultratecnologico cellulare nero. Non può farne a meno. Poche cose fanno più paura del silenzio, specialmente in una grande metropoli dove tutto è rumore e correre. Da dove, verso dove, non importa. L’importante è non stare fermi ad ascoltare.

    Deve essersi spruzzato addosso un’intera bottiglia di pessimo profumo, perché un’ondata quasi nauseabonda, mi costringe ad osservarlo meglio. Giacca doppiopetto blu, cravatta intonata, pantaloni grigi con la piega perfettamente stirata. Scarpe di pelle tirate a lucido. Strano abbigliamento per presentarsi a Cuba.

    Avrà circa 50 anni e neanche tanto ben portati. Nessun bagaglio a mano, né macchina fotografica, né guida turistica. Io cerco di leggere la mia, se devo tornare a Cuba tanto vale che cerchi di informarmi un po’. E infatti, comincio a farmi una cultura.

    E’ già stato a Cuba? gli chiedono tre giovani arrivati nel frattempo. Zaini informi, magliette con teschio sopra, jeans sdruciti, scarpe da ginnastica senza stringhe. Altro genere.

    Sì, ci torno spesso.

    Come sono le cubane? andando dritti al sodo. Dei monumenti storici credo che importi loro ben poco.

    Te lo succhiano alla grande e puoi scoparle come ti pare. Altrettanto al sodo.

    E’ facile rimorchiare?.

    Sì, non aspettano altro. Gli fai fare la vita delle regine per qualche giorno e loro sono contente. Qualche regalo e vi assicurate una vacanza tutto sesso... e che sesso! Vanno pazze per le calze, ne ho la valigia piena.

    Di certo è un rappresentante, così risparmia pure su questo. Vi siete fatti la punta? conclude ammiccante il recidivo. Tutti ridono. Probabilmente ce l’hanno già duro. Adesso capisco perché parte per Cuba in giacca e cravatta, sulla quale vomiterei volentieri. Fa parte del gioco, una specie di biglietto da visita per la cubana di turno alla quale non sgancerà neanche un dollaro, convinto che un paio di calze sia più che sufficiente. Assolutamente disgustoso.

    Mi rimetto a leggere la guida, ma non c’è scritto che per qualche cubana, può essere realmente più che sufficiente.

    Forse Cuba cercò subito di dirmi qualcosa di sé che non avrei trovato scritto da nessuna parte. E in qualche modo ci riuscì.

    Come donna, non potei fare a meno di chiedermi che cosa provassero tutte quelle ragazze che per qualche giorno vivevano nel lusso, e poi tante grazie e arrivederci. Ancora era solo una domanda astratta, su astratti essere umani senza volto, nome, storia. Forse qualcuna ne usciva col cuore spezzato da promesse non mantenute, la maggior parte più realisticamente, si metteva in attesa del turno successivo. Altro carico di turisti scaricati negli alberghi. Altro giro, altra corsa.

    Una feccia umana maschile che come un avvoltoio sbarcava a Cuba per sfruttare un femminile precario. Che razza di uomini erano? Mi sarebbe piaciuto immaginarli, storpi, reietti, repellenti, tutto ciò che in patria sarebbe stato rifiutato. Ma no, nulla di tutto questo. Assolutamente irreprensibili con tanto di fotografia della moglie e dei figli insieme alle calze, oppure allegri e spensierati in cerca dell’avventura esotica da raccontare agli amici al bar.

    Ma il destino non esiste, perché in fondo, scelsi di tornare. Si sceglie sempre, anche quando sembra che non c’è scelta. Il destino è quello che creiamo con le nostre stesse mani. Artefici della propria vita nel bene e nel male.

    Non fu facile, detestavo Cuba con tutte le mie forze.

    Sì, lo so, che non era lei che odiavo ma me stessa e tutto quello che volevo dimenticare. Fallimenti, sensi di colpa, paure, dolore.

    Mi sentivo in trappola, scappavo dal mio passato andando incontro al mio passato. Avrei dovuto capire subito che lo scopo del viaggio, doveva essere proprio smettere di fuggire. Affrontare tutto quello che era rimasto sospeso. Il sospetto mi venne quando la Lauda Air decise di proiettare un film accuratamente evitato per mesi.

    Naturalmente fu solo una coincidenza.

    NEMICHE AMICHE

    Desidera qualcosa da bere?.

    Per fortuna, la voce di una hostess blocca un flusso di pensieri informi, su una Cuba ancora più informe. Tento di mettere insieme delle immagini che mi sfuggono imprendibili, confuse, grigie. Eppure non è trascorso molto tempo.

    La verità è che io non torno a Cuba, perché non ci sono mai stata. Non con il cuore.

    Niente mi aveva colpita, nessun suono, odore, colore, volto, nome. Tutto avvolto nel buio di un oscuro malessere.

    Forse il mio problema non è ricordare, ma dimenticare. Ero con mio marito.

    Ciò che sembrano solo cicatrici, in realtà sono ancora ferite sanguinanti. Con l’aggravante che non avendo coscienza del dolore, non faccio nulla per curarle.

    Una coca-cola, grazie.

    Ordino sempre la stessa cosa in aereo, seguendo fedelmente piccoli rituali a cui non trasgredisco mai. Il trasgredirli potrebbe alterare qualcosa dentro di me, probabilmente anche far precipitare l’aereo. L’essere sospesi nell’aria acutizza il senso di fragilità e vulnerabilità, e io mi difendo come posso, aggrappandomi a quello che posso.

    Allaccio la cintura di sicurezza al decollo e non la sciolgo fino alla fine, qualunque sia la durata del volo, fosse anche per l’eternità. Non fumo, non mi muovo, quasi non respiro.

    Pensandoci bene, lo faccio anche a terra, quello di non respirare.

    Bevo rigorosamente della coca cola perché mi aiuta a contrastare il senso di nausea che provo comunque, nonostante i cerotti di scopolamina dietro le orecchie, le pillole di xamamina nello stomaco e i bracciali che mi massacrano i polsi nell’apposito punto energetico.

    Ma ho paura, che anche per questo, il mal d’aria non c’entri. Naturalmente leggo diligentemente, coscienziosamente, le istruzioni d’emergenza dopo averle ascoltate dalle hostess. Non si sa mai.

    E non dimentico di sfogliare il catalogo del duty-free dalla prima all’ultima pagina. Chiedendomi immancabilmente se questa o quella bottiglia di profumo sia realmente conveniente pur sapendo che non la comprerò. Finendo col guardare la stessa cartina consunta con tutte le rotte aeree sognando viaggi che non farò.

    E’ così da sempre e nulla potrà cambiare.

    Soprattutto il fatto di non andare in bagno. Mai, per nessuna ragione.

    Troppo imbarazzante rimanere incollata sul water od essere espulsa ingloriosamente nello spazio dallo scarico. E’ idiota, ma non posso farci niente, e in più mi scoppia la vescica.

    Non sopporto la fragilità e la vulnerabilità, specialmente da quando sono entrata nel club delle single.

    A calci in culo, ma fa lo stesso.

    Benché mi senta un vaso di cristallo, faccio finta di essere tutta d’un pezzo, forte e razionale. Ho così intelligentemente, dignitosamente, civilmente accettato una separazione, da non sembrare neppure umana.

    Questo gli altri volevano da me. E questo ho dato.

    Questo ho preteso da me stessa.

    Fa niente se tutto dentro si contorceva e urlava.

    Il fallimento di un matrimonio è cosa quotidiana, talmente banale che non vale più la pena di prendersela. Rispetto delle regole e della forma, perché così va la vita e oggigiorno la coppia scoppia.

    E soprattutto organizzazione. Basta organizzarsi la giornata e non pensare.

    Il problema sono le notti e il caos.

    Comunque, caos o non caos, sto andando a Cuba per divertirmi. Mi sembra abbastanza lontana da tutto e da tutti. E lo è, almeno fino a quando un’impeccabile hostess non mi consegna il foglietto con il titolo del film che avrebbero trasmesso: Nemiche-amiche. Non si sfugge ai propri incubi.

    La moglie un po’ sciatta, borse sotto gli occhi, rughe anche fin troppo precoci, dedita ai figli, aspra, tagliente, piena di rancore. La nuova compagna naturalmente più giovane, curata, solare, disponibile, in carriera. Il marito in mezzo alle due, vittima in croce. Figli come pacchi postali o armi improprie nella guerra dei sentimenti. Tutto secondo copione, almeno fino a quando l’imprevisto nefasto non cambia le carte in tavola. La moglie sta per morire e fa ammenda. Perdona, comprende, aiuta la rivale a prendersi cura dei propri figli. Foto di gruppo finale. Tutti insieme appassionatamente.

    Spero che esista un’altra strada, oltre al cancro.

    Oltre la morte che all’ultimo istante aggiusta la vita.

    Fuori dal finestrino, l’Atlantico è di un turchese meraviglioso, increspato appena da piccole onde dalla spuma candida che si rincorrono l’un l’altra.

    Si fonde come per magia nel blu del cielo terso, formando un insieme sconfinato quasi difficile da sostenere. Dallo sguardo e dall’anima.

    Una luce dorata avvolge entrambi, mare e cielo.

    Calda, rassicurante, piena di forza e di energia che per un attimo avvolge anche me. Come un amante, come una risposta a lungo cercata.

    Vado verso ovest e il chiarore del giorno durerà sei ore in più.

    E’ bello il dono del tempo, quando senti che il tempo sfugge.

    Padroni dell’imprendibile. Dominare l’indomabile.

    Certo, è soltanto un prestito che al ritorno dovrà essere restituito.

    E dal quale non potrà mancare neppure un secondo.

    Impunemente qualcosa di caldo mi bagna le mani, mentre la parola fine e i titoli di coda scorrono sullo schermo, ma non nella mia vita bloccata da un macigno.

    E’ proprio vero che solo tre cose sono infinite, il cielo con le sue stelle, il mare con le sue gocce d’acqua e il cuore con le sue lacrime. Deve, esistere un'altra strada.

    E un'altra strada l'avrei trovata proprio a Cuba, la più grande, la più semplice, la più diretta. L'unica in grado di scardinare l'odio. Ma non la vidi subito. Anche se qualcuno cercò di avvisarmi.

    Il MONITO

    Sono vent’anni che vengo a Cuba dice all’improvviso il mio vicino di posto. Viaggiamo da circa dieci ore e non ci siamo rivolti una sola parola.

    " Mia moglie è de La Habana ". Scandendo bene le sillabe perché non diventino dell’Avana. E mi fa vedere una fotografia a colori un po’ consunta. Una ragazza di circa vent’anni, dall’espressione piuttosto incazzata, e uno splendido bambino dai ricci capelli biondi e gli occhi blu. Troppo piccolo, per essere già così incazzato.

    Belli vero?.

    Sì molto.

    Lui invece tanto bello non è, e avrà almeno il doppio dell’età della moglie. Niente giacca e cravatta blu, né pantaloni grigi dalla piega perfettamente stirata. Le scarpe di chi ha camminato tanto. Troppo.

    Questa, deve essere tutta un’altra faccenda.

    Trasandato, aria terribilmente stanca, barba di chi non ce la fa più. Neppure a stare zitto.

    " Adesso vengo a La Habana circa ogni mese, ma fra un paio di anni mi trasferirò definitivamente. Mia moglie non ce l’ha fatta a resistere in Italia ed è tornata a Cuba. Diceva che non sopportava il freddo, di stare chiusa in un appartamento, di non vedere mai nessuno. Voleva uscire, andare a ballare, divertirsi. I primi tempi è andato tutto bene, era euforica, entusiasta, le piaceva la vita della signora, potersi finalmente permettere ciò che aveva sempre desiderato e inseguito. Poi è cambiata, è diventata scontrosa, intrattabile, non le andava bene niente".

    Capisco dico tanto per bloccarlo, naturalmente senza riuscirci. Ormai è un fiume in piena che ha rotto tutti gli argini.

    Sai quante ragazze ho portato in Italia? Sette. Sette cubane. Ma a loro non gliene frega niente di te, vogliono solo la residenza, un passaporto per andarsene.

    Ma ne ha sposata una!. Della serie te la sei cercata.

    Sì, con questa è diverso, ma mica poi tanto. Un po’ di bene me ne vuole, mi è affezionata, abbiamo un bambino.

    Lo sguardo gli s’illumina un attimo, mentre dice Miguelito Carlo Giovanni, per poi sprofondare nell’oscurità e tormento dell’inferno.

    Ma le cubane non amano. Ci vogliono bene, ci sono grate, ma non ci amano. Noi amiamo loro, almeno all’inizio. Poi ti accorgi che se vuoi sopravvivere, devi solo prendere e non dare nulla, altrimenti sono crudeli e ti uccidono.

    Mi sembra un po’ troppo duro.

    Mi hanno spaccato il cuore tante di quelle volte, che ho dovuto indurirmi. Noi italiani siamo troppo sentimentali e non hai idea di quanto possano farti del male.

    Deve essere pazzo o fortemente masochista. Se è davvero così, perché cavolo continua a tornare a Cuba?

    Mia moglie non sa che sto arrivando con questo volo. Le ho detto che arriverò fra tre giorni, così non può prepararsi. Bisogna agire in questo modo, stare all’erta, non fidarsi, controllare. Perché quando giri le spalle, loro sono già con un altro, con un cubano naturalmente. Non dico mai a nessuno quando arrivo, neppure alla famiglia. Sono sempre tutti d’accordo, si spalleggiano l’un l’altro, un vero clan.

    Confermo l’ipotesi, deve essere scappato dal manicomio. Chi glielo fa fare a vivere così?

    Forse è solo pazzo d’amore.

    " Devo sistemare un po’ di cose. Aspettano sempre che arrivi io per sistemare le cose. Vado di qua, vado di là. Aggiusto questo, aggiusto quello. Compro questo, compro quello. Ho provato a lasciarli fare da soli, ma non si sanno gestire. Se gli dai mille dollari sono capaci di spenderli in un solo giorno in cazzate. Se gliene dai cinquemila è uguale.

    Così ho imparato, lascio solo cento dollari al mese che a Cuba bastano e avanzano. Poi quando vengo mi occupo di tutto. Adesso, quella pazza di mia moglie, ha rinunciato alla residenza italiana per avere diritto alla tessera del razionamento. Ti rendi conto...per quattro dollari...quattro miseri dollari..."

    No, non mi rendo conto.

    . ..e devo anche sistemare la questione del passaporto di Miguelito. E’ mio figlio, figlio di padre italiano, ma questo per il governo non conta. Risulta cubano e basta.

    Si regge la testa sfinito, spossato, rassegnato. In questo momento deve pesargli qualche tonnellata.

    E’ la prima volta che vieni a Cuba?.

    No, è la seconda.

    Allora non sei già più una turista. Si può essere turisti solo la prima volta, poi tutto cambia.

    Si sbaglia, io sono una turista ed è stato solo il caso a portarmi qui. Neppure ci volevo venire a Cuba.

    In mezzo a tanta amarezza gli scappa un sorriso sornione. Sembra sapere qualcosa che io non so.

    Mi fa venire la pelle d’oca.

    Stai attenta, stai molto attenta. Ricordati, non innamorarti mai di un cubano, loro sono diversi. E non innamorarti neppure di Cuba o non te ne libererai mai più.

    Forse comincio a capire perché sono vent’anni che fa avanti e indietro. Nonostante tutto.

    CUBA

    Naturalmente non diedi retta a quell’uomo.

    Non saprò mai perché proprio Cuba e perché in quel momento, ma non una sola molecola del mio corpo, della mia mente, del mio cuore, della mia anima rimase al suo posto.

    Una risonanza inspiegabile si instaurò tra me e quel paese fin dal primo istante, come se la mia realtà interiore coincidesse con quella esterna. Una sorta di specchio in cui mi vedevo costantemente riflessa. Anche quando tenevo gli occhi chiusi.

    Soprattutto quando, tenevo gli occhi chiusi.

    Più non volevo guardare, più Cuba mi costringeva a farlo. Dentro e fuori di me.

    Tanto ero stata cieca e ottusa la prima volta, tanto sarei stata ipersensibile la seconda. Tanto tutto mi era scivolato addosso senza che ne rimanesse traccia, tanto tutto mi avrebbe colpita, alterata, modificata. E non senza conflitti.

    Eccola.

    Un’immensa zona paludosa dove l’uomo non ha mai messo piede, è la prima cosa che vedo. Sotto di me, chilometri e chilometri di specchi d’acqua stagnante si susseguono veloci. In un gioco d’incastro, si alternano e fondono, a macchie irregolari di terreni incolti dove solo radi arbusti scheletrici protendono i loro rami verso un cielo tinto di viola. E’ l’imbrunire e le ombre della notte che avanza, rendono l’immagine quasi inquietante. Il cuore ha un sobbalzo improvviso. Non trovo niente di meglio che dare la colpa alla fase di atterraggio.

    Non farti illusioni Cuba, io sono qui per sbaglio e spero solo che questi giorni passino alla svelta. Stai alla larga!.

    Non voglio ammetterlo ma sono agitata, mi tremano le gambe e se credessi ai presagi, direi che è esattamente ciò che sto provando. Qualcosa d’importante mi attende.

    Lascio che la calca di gente impaziente e chiassosa fluisca davanti a me, di nuovo non ho fretta. Di avviso diverso è il recidivo in giacca e cravatta che è già scomparso. Qualcosa attende anche lui. Decisamente di più concreto del mio presentimento. Spero solo che le calze siano almeno di buona qualità. Anche il disperato che deve proseguire per La Habana , con il peso di Cuba sulle spalle, si è volatilizzato. Troppe faccende da sbrigare.

    Un’ondata di aria calda, umidiccia, mi avvolge in un primo contatto di pelle. Più che un desiderato abbraccio sensuale, è un inaspettato violento pugno nello stomaco.

    E il respiro mi si mozza, mentre rimango impietrita in cima alla scaletta dell’aereo. Grazie a Dio non so che è soltanto il primo di una lunga serie. E che è il modo in cui Cuba avrebbe comunicato con me. Forse sarei scappata o forse no.

    Si è sempre tutti dove dobbiamo essere.

    Qualcuno mi urta, una ragazza formosa dagli occhi blu e una coppia che si sbaciucchia continuamente. Faccio largo. L’euforia non mi contagia. E il serpente dei pallidi vacanzieri in attesa di cambiare pelle, si snocciola sul cemento bagnato che restituisce nuvole di vapore. Di nuovo un urto. Questa volta è uno dei tre ragazzi che ce l’hanno già duro.

    Prendo fiato. Finalmente i polmoni si dilatano da un’apnea troppo lunga. E si riempiono di polvere salata. Ma in una sorta d’istinto primordiale, comincio ad annusare come un animale in cerca del riconoscimento del proprio territorio. Annuso e annuso nell’ancestrale memoria. E di nuovo il cuore ha un’accelerata vertiginosa. Se soltanto volessi ascoltarlo, avrei già capito. Preferisco dirmi che sento solo puzza di carburante.

    Una fitta coltre di nubi plumbee sovrasta l’aeroporto e una leggera pioggia mi accoglie. Esattamente come quattro anni fa. Stesse camionette militari al bordo della pista lucida, stessi vecchi camion russi che la ruggine dilania, stesse autocisterne irrimediabilmente vuote, stesso irreale silenzio.

    Ma questa volta non provo alcun senso di desolazione o squallore. Non so se è Cuba ad essere cambiata o io che la vedo con occhi diversi.

    Decine di ombrelli gialli riempiono il piazzale

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