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Il monastero dimenticato. Rex Deus. L'armata del diavolo
Il monastero dimenticato. Rex Deus. L'armata del diavolo
Il monastero dimenticato. Rex Deus. L'armata del diavolo
E-book62 pagine50 minuti

Il monastero dimenticato. Rex Deus. L'armata del diavolo

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Info su questo ebook

Il segreto sta per essere svelato…

Nel luglio 1544 l’ammiraglio corsaro Khyar al-Dīn Barbarossa sta guidando l’armata turca all’assedio della Rocca di Campo Albo. A spingerlo è la brama di conquista ma soprattutto il desiderio di svelare il mistero del Rex Deus. Il segreto, affidato secoli prima ai cavalieri Templari, è custodito da un solo uomo, che ha trovato rifugio in un monastero vicino alla rocca. Il giovane Sinan è a un passo dalla grande scoperta, ma è anche sul punto di apprendere una sconvolgente verità sulle proprie origini e sulla missione che gli è stata affidata. Mentre sulla terraferma la battaglia infuria, Isabel de Vega, tenuta in ostaggio dal corsaro Nizzâm, pianifica la propria fuga. Ma la fitta trama d'intrighi è ben lontana dall'essere districata. Il complotto della Loggia dei Nascosti comincia a prendere forma, e nel palazzo di Piombino l'inquisitore Saverio Patrizi conduce nell’ombra un pericoloso gioco di inganni.

Dal vincitore della 60a edizione del Premio Bancarella, il terzo episodio del romanzo a puntate di Marcello Simoni

Marcello Simoni

è nato a Comacchio nel 1975. Ex archeologo, laureato in Lettere, lavora come bibliotecario. Ha pubblicato diversi saggi storici e ha partecipato all’antologia 365 racconti horror per un anno, a cura di Franco Forte; altri suoi racconti sono usciti per la rivista letteraria «Writers Magazine Italia». Il mercante di libri maledetti, romanzo d’esordio, ha superato le 300.000 copie, ha vinto il 60° Premio Bancarella ed è finalista al Premio Fiesole e al Premio Salgari. I diritti di traduzione sono stati acquistati in undici Paesi. Con la Newton Compton sta pubblicando anche Rex Deus, un romanzo a puntate in versione ebook.
LinguaItaliano
Data di uscita7 nov 2012
ISBN9788854149618
Il monastero dimenticato. Rex Deus. L'armata del diavolo

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    Il monastero dimenticato. Rex Deus. L'armata del diavolo - Marcello Simoni

    4

    Prima edizione ebook: novembre 2012

    © 2012 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4961-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Immagine di copertina: © Triff/Shutterstock

    Marcello Simoni

    REX DEUS.

    L’armata del diavolo

    3: IL MONASTERO DIMENTICATO

    Capitolo 15

    La furia degli akinci si era abbattuta sul litorale come un vento nero. Demoni armati di scimitarre, archibugi e balestre, in groppa a veloci corsieri, dovevano essere sbarcati a sud del golfo di Piombino nel grigiore dell’alba, in una cala nascosta tra le alte scogliere. Don Juan de Vega aveva appena messo piede su uno di quegli approdi, una spiaggia pietrosa che pareva intagliata tra le rocce di Capo di Troia, per trovarsi di fronte a quella che fino a poco tempo prima era stata una chiesetta affacciata sul mare. Ne restava soltanto un rudere, così come delle casupole di pescatori raccolte intorno a essa.

    Il giorno prima, l’ambasciatore spagnolo aveva convinto Jacopo

    V

    Appiani a mettersi sulle tracce della flotta ottomana. L’opera di persuasione non era stata difficile come previsto, al punto da fargli sospettare che il principe di Piombino nutrisse interessi propri a inseguire il Barbarossa. Interessi collegati a Cristiano d’Hercole, senz’ombra di dubbio, ma di natura non certo affettiva. Don Juan aveva la sensazione che quell’uomo covasse un terribile segreto, forse un complotto. Sapeva che era legato a una loggia misteriosa, gli era stato riferito dalle spie dell’imperatore, tuttavia non disponeva di elementi sufficienti per capire di cosa si trattasse con esattezza. Se non fosse stato in pena per sua figlia, avrebbe potuto ragionare a mente fredda, ma da quando Isabel era stata rapita si sentiva incapace di agire con misura, a dispetto del suo ruolo di diplomatico. Se Carlo

    V

    o il viceré di Napoli l’avessero saputo per mare, all’inseguimento dei corsari turchi come un capitano di ventura, gli avrebbero fatto pagare caro quell’abuso di potere, troncando di netto la sua onorata carriera, e forse anche la sua vita. D’altronde, non c’era stato tempo per chiedere permessi. Aveva dovuto cogliere al volo l’opportunità di imbarcarsi sulla flottiglia di Piombino, per mettersi a caccia degli infedeli insieme a Jacopo

    V

    .

    All’inizio avevano veleggiato lungo le coste orientali dell’Elba, raccogliendo testimonianze sugli spostamenti delle navi nemiche, poi si erano diretti a sud-est, verso la torre di guardia dell’isolotto dello Sparviero, dove avevano ottenuto informazioni sulla direzione presa dal Barbarossa. A quanto pareva, l’armata della Mezzaluna aveva seguito il vento di libeccio fino alla Maremma. Per gli inseguitori si era quindi trattato di controllare palmo a palmo gli insediamenti rivieraschi in seno al golfo di Piombino, finché, nei pressi di Capo di Troia, non avevano scorto i segni della devastazione. La scia di morte li aveva condotti su quella spiaggia pietrosa, cosparsa di cadaveri.

    «Devono essersi divisi», disse don Juan, camminando tra i sassi verso la chiesetta diroccata. A un cenno di Jacopo

    V

    , che gli stava a fianco, mimò con le mani aperte i movimenti di due schieramenti che avanzavano in parallelo. «I corsari turchi, intendo», precisò con voce greve. «Scommetto che i loro razziatori stanno attraversando a cavallo l’entroterra, mentre la flotta li segue mantenendosi sotto costa».

    L’Appiani annuì, sovrappensiero. «Procedono entrambi verso sud».

    «Sì, sud. Ma esattamente dove?»

    «Non è questa la domanda che mi inquieta maggiormente, al momento».

    Il de Vega lo scrutò senza ribattere. Il principe di Piombino era subdolo e facile all’ira, ma possedeva notevoli qualità di stratega, ereditate da una discendenza che nell’arco di un secolo aveva guarnito ogni punto strategico di quel tratto di mare con fortezze, bastioni e torri di guardia. Se esisteva qualcuno in grado di ritrovare sua figlia nella acque di Tuscia, ce l’aveva di fronte. «Cosa intendete? Siate chiaro».

    L’Appiani si chinò sul cadavere di un pescatore accasciato fra le rocce. Magro, con gli zoccoli ai piedi e le brache arrotolate fino alle ginocchia, impugnava ancora un piccolo coltello con cui doveva aver cercato di difendersi. Il volto non c’era più, strappato da un colpo di artiglieria. Il principe di Piombino,

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