La filosofia del giardiniere: Riflessioni sulla cura
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Il giardino è un sogno più volte ruminato, un vortice dinamico steso nel cielo come una macchia di storni, fluttuante di piccole evoluzioni imprevedibili.
Il giardino è un laboratorio dove osservare l’atelier darwiniano. Il giardiniere passeggia sempre al suo interno con un misto di stupore e riverenza, incapace di non azzardare progetti a venire.
Il giardino è attesa e, al contempo, il saper cogliere il piacere della parzialità dell’istante, non solo perché si proietta in un futuro distonico rispetto all’immaginazione, ma anche per il suo svolgersi e dissolversi, quel mettere in gioco piani differenti del dialogo ideativo in tempi diversi. Così il prato erboso sarà lucente e forte quando ancora le siepi stentano e gli alberi altro non sono che fantasmi sorretti da rigidi tutori…
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Anteprima del libro
La filosofia del giardiniere - Roberto Marchesini
mondo
1. C AMMINARE, FORSE SOGNARE
A perdita d’occhio un trapezio all’orizzonte, vestito a stoppie di frumento dopo la mietitura, sembra un enorme riccio biondo da accarezzare a passi lenti. I miei, stanchi per certi versi, tuttora inquieti, stupiti, per altri. Guardo innanzi come cercassi un po’ d’acqua fresca per immergere gli occhi, e sento lo scricchiolio dei miei passi sul fondale inaridito.
Il viaggio comincia da qui, nell’annegare lo sguardo sul mare delle possibilità. Si aprono come pagine di un libro mosse dal vento, confusamente, il caso le lascia in posa per un attimo, parole a perdere per frasi che non saprei più leggere. Il sole a picco è il nulla, un sole da qualche anno ostile, a riverberare luce ovunque, rifratta anche da un esile stelo superstite. Cornacchie saltellano qua e là, anche volando sembrano rimbalzare sulla terra secca. La campagna è morta, silenziosa nel dolore delle sue creature che si sono ritirate lontane, negli anfratti, evitando lo sferragliare dei trattori e il passo dell’uomo.
Eppure riesco ancora a immaginare. Nonostante che dissonanze seminino brividi all’infinito. Riuscirei ancora a riempire questo spazio, disvelandone l’ascoso volto, che gli è stato rubato senza pietà. Lo posso vedere. E il viaggio, allora, può davvero cominciare, sulle note della pazienza del giardiniere, della sua professione di fede nella cura, nel principio cardinale della diligenza… sapendo che pochi capiscono il lato vulnerabile della complessità, quasi un miracolo, come una nuova vita che nasce, e come sia difficile tornare a farla emergere dopo che si è seguita la strada della potatura. Un bosco, uno qualsiasi di quelli che ornano il qui intorno, ha più ordine nell’apparente confusione di quanto ne sapremmo fare con precisa metrica. Basterebbe un po’ di umiltà, la consapevolezza, seppur disattenta, della propria pochezza, per evitare che un sogno divenga un fraseggio ecoico. Si cammina sempre verso qualcosa, ma la meta è in fieri, perché il viaggio è un continuo lasciarsi stornare dalle chiacchiere del mondo.
Si fa un gran parlare nel mondo, anche in questo tratto di strada senza conforto d’ombra e anch’io amo ascoltare e poi ribattere, domandare e fare attenzione, rimanere affascinato dalle non risposte condivise, dai misteri che ci sussurriamo. Il cammino ha un che di metabolico, ciò che era alterità trasmuta in figurazioni identitarie, cosicché non vi è mai qualcosa d’interamente estraneo o proprio. La filosofia del giardiniere ha il sapore del dialogo, il piacere nell’ammettere che non è tutta farina del proprio sacco, che il testo ha un coautore