Breve storia della letteratura rosa
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Avete mai letto un romanzo rosa? No? Probabilmente, invece, lo avete letto eccome, solo che non vi vien facile associare in un unico genere Pamela di Richardson e Liala, Jane Eyre e Twilight. Questo ci dice che il mondo del «rosa», nella sua storia e nelle sue differenti espressioni, è molto più complesso e profondo di quanto forse siamo abituati a pensare. L’autrice, in questo saggio piacevole e leggero, illustra con precisione elementi ricorrenti, evoluzione, nomi celebri e recenti sviluppi della letteratura di consumo più amata di sempre, e non certo soltanto dalle donne.
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Parva [saggistica breve]
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Anteprima del libro
Breve storia della letteratura rosa - Patrizia Violi
tempi.
CAPITOLO 1
DA CENERENTOLA A PAMELA
Per partire alla scoperta di questo genere letterario bisogna innanzitutto definirlo. Incominciamo dal nome: chiamare rosa
i romanzi d’amore è una prerogativa esclusivamente italiana. Sembrerebbe che la nostra editoria abbia una predilezione per le etichette colorate. Nel lontano 1929, i polizieschi sono stati etichettati come gialli
, perché questo era il colore delle prime copertine dei thriller editi da Mondadori.
Non è mai esistita una collana di storie d’amore con la cover rosa, ma il colore è stato scelto probabilmente perché richiama l’idea del fiore profumatissimo, sinonimo di amore e passione. La rosa è simbolo di romanticismo, ma è anche la tonalità femminile per eccellenza, assegnata alle bambine e (fino a qualche decennio fa) rigorosamente vietata ai maschi¹.
La scelta definisce quindi una narrativa ispirata alla separazione sessuale, circoscrivendo un territorio da cui il maschio dovrebbe essere escluso. Discriminazione che ha avuto un senso agli albori di questo genere letterario, ma è stata poi superata dall’evolversi dei costumi.
Gli uomini attorno al rosa si avvicineranno, con cautela, come autori. Vedremo infatti che il primo romanzo considerato precursore del genere è stato creato proprio da uno scrittore, non una scrittrice.
Diventare un lettore di tali storie sentimentali era fortemente sconsigliato. Anche perché fior di intellettuali si accanivano nella critica verso i romanzi d’amore, diffidando quindi altri maschi dal leggere tale letteratura-spazzatura, creata ad hoc per sollazzare signore e signorine.
«Il romanzo rosa – scrisse Umberto Eco – nasce come merce per donne e domestiche, non dimentichiamolo». Il legame fra le lettrici e questo tipo di narrativa ha come fondamento lo spazio chiuso del mondo domestico, il territorio classico dell’intimità: la casa, i rapporti sentimentali, le fantasticherie².
Ma oltre al nome, cioè all’etichetta, come si definisce con certezza un romanzo rosa? E cosa lo distingue dalla classica storia di narrativa al femminile, quella che gli anglosassoni definiscono women’s fiction?
I due generi sono simili ma esiste una differenza fondamentale. La linea di demarcazione può essere considerata romantica, infatti è il fine ultimo dell’amore. Nel romance il sentimento che fa battere il cuore deve avere un percorso certo, non essere solo svago e passione, ma arrivare a legare gli innamorati per sempre.
Un libro di narrativa femminile può raccontare una storia di donne, di amicizia, di sentimenti. Essere anche un romanzo di formazione per l’eroina, che acquista consapevolezza di sé e delle proprie emozioni, ma non prevede necessariamente un lieto fine sentimentale. Non è obbligatorio il coronamento di una storia d’amore, il vissero felici e contenti delle fiabe può anche mancare.
Invece nel romanzo rosa la love story è il soggetto principale del plot, in primissimo piano tra comprimari e ambientazioni diverse. Lo schema deve seguire un modello ben preciso, semplice ma inflessibile, però declinabile in varie sfumature.
C’è sempre una lei, in cui le lettrici si identificano, che incontra un lui irresistibile. Capiscono, quasi subito, di essere fatti l’uno per l’altra, ma la trama prevede conflitti e ostacoli. Sarà necessaria una serie di colpi di scena, una lotta fra il bene e il male, per arrivare al tanto agognato lieto fine. Chi scrive un romanzo rosa stila un patto implicito con i lettori: l’epilogo sarà felice.
Questo schema risulta familiare? Certo, perché è lo stesso delle favole. Narrazioni che iniziano con una protagonista, un po’ inetta e inconsapevole del proprio fascino. L’orfana bella e povera, sottoposta a prove difficili e straordinarie, capace però di superarle per accedere a nozze d’amore non solo felici ma anche vantaggiose. L’archetipo perfetto è Cenerentola. In Italia la prima versione scritta della fiaba è quella di Giambattista Basile, pubblicata nel 1634 con il titolo La gatta Cenerentola. Diversa è invece la versione di Charles Perrault della seconda metà del XVII secolo. Perrault depura la versione di Basile da alcuni aspetti aspri e crudi al fine di renderla più adatta a essere raccontata a corte presso il re di Francia. La versione dei fratelli Grimm è del 1812 con il titolo di Aschenputtel, dove Cenerentola non ha la stessa dignità regale della versione di Perrault, ma è molto più umana³. Come lei, l’eroina del romanzo rosa nel corso della storia si rende conto delle proprie potenzialità, spesso attinte da un’identità segreta e sopita. «La sua umile condizione è solo il segno visibile dell’ingiusta caduta e dello stato di inferiorità che, nel dipanarsi del racconto, preludono quasi obbligatoriamente a una rapida ascesa che permette di smettere di essere crisalide per diventare finalmente farfalla»⁴. La rivelazione della vera natura di Cenerentola sarà poi completata da improvvise e stupefacenti agnizioni, perché le protagoniste di queste narrazioni sono spesso figlie perdute o rapite di famiglie nobili e potenti. Così il lieto fine oltre a far trionfare l’amore ripristina anche i diritti sociali.
Sono infatti le aspettative femminili, la speranza di un riscatto e una vita più felice, già presenti nelle favole che provocheranno poi la nascita del romanzo rosa. E quello che storicamente viene