Lady dal fiocco blu?: Cinquant'anni con Oscar
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Chi era bambino allora si trovava a porsi e porre domande nuove, tentare vie inedite di identificazione con una figura femminile diversa da tutte, nonostante l’adattamento al contesto italiano applicato alla trama e al relativo merchandising.
Silvia Stucchi analizza in modo acuto fonti storiche, differenze fra anime e manga, caratterizzazione dei personaggi e delle loro relazioni, approfondendo il rapporto particolare che si crea fra l’idea narrativa originale e gli archetipi dell’Occidente.
Sulla spadaccina in uniforme maschile è stato detto molto, eppure questo volume – oltre a fornire sull’argomento un ricco corredo di informazioni, talvolta sfuggite al grande pubblico – soddisfa soprattutto il desiderio che coglie tutti gli appassionati fan di Oscar quando si ritrovano: parlarne, esprimere il proprio punto di vista, esporre al confronto la propria interpretazione della storia e dell’energia che ne sprigiona. Un omaggio che l’autrice compie con intelligenza e significato, senza mai cadere nella chiacchiera autoreferenziale.
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Anteprima del libro
Lady dal fiocco blu? - Silvia Stucchi
1. STORIA E STORIE
Quella che per noi è la storia di Lady Oscar, come è noto, nasce come shōjo manga, ovvero, un fumetto pensato per le ragazze¹, che avrebbe dovuto avere in origine come protagonista Maria Antonietta, la cui tragica vita, apprezzata nella biografia di Stefan Zweig, aveva ispirato Ikeda. L’autrice, classe 1947, ha iniziato a disegnare manga mentre era studentessa universitaria; il suo tratto, elegantissimo, amplifica lo stile tipico del genere, come i grandi occhi luccicanti, e si concentra sui personaggi, mentre agli interni e agli sfondi verrà dedicata maggiore attenzione nelle avventure pubblicate successivamente, sotto il titolo Le storie gotiche e Gli episodi², capitoli speciali e spin-offdella serie originaria: in queste opere muteranno anche le caratterizzazioni della protagonista e dei personaggi, che diventano meno fiabeschi e più spigolosi.
Il titolo, Le Rose di Versailles, allude al fatto che cinque sono le figure femminili della storia, ognuna associata a una diversa tipologia di rosa: Maria Antonietta è la rosa rossa, la Contessa di Polignac la rosa gialla, Jeanne de La Motte la rosa nera, Rosalie la rosa rosa, e Oscar, il personaggio di invenzione che deve fare da legame narrativo fra queste donne, è la rosa bianca. L’idea iniziale, ovvero quella di raccontare la storia di Maria Antonietta, rendendola protagonista di un manga per ragazze, si trasforma via via in corso d’opera, dato il favore crescente che il pubblico dimostra per Oscar, e, soprattutto, data la forza del personaggio, che, come tutte le grandi creazioni letterarie e artistiche, acquisisce una sorta di vita propria.
Oscar François de Jarjayes, dunque, nasce il 25 dicembre 1755, figlia sestogenita di un Generale ultra-realista che, bisognoso di un erede, la cresce come il figlio maschio che non ha avuto e la educa all’uso delle armi: ella diventerà Comandante della Guardia Reale e sarà incaricata, in particolare, della protezione di Maria Antonietta, con cui svilupperà un profondo rapporto di stima, lealtà, amicizia e devozione. Accanto a Oscar c’è sempre André Grandier, un orfano, nipote della governante di Palazzo Jarjayes, che è stato allevato con Oscar come amico, modello di comportamento maschile, e poi attendente, e che è segretamente, e in apparenza senza speranza, innamorato di lei. La vita di Oscar si interseca con i grandi eventi e gli scandali della storia francese negli ultimi bagliori dell’Ancien Régime, dalla storia del matrimonio di Maria Antonietta, alla caduta di popolarità della Regina; dalla morte di Luigi XV allo Scandalo della Collana; dalla convocazione degli Stati Generali alla presa della Bastiglia, sotto le cui mura la protagonista troverà la morte. Accanto a Oscar si muovono personaggi realmente esistiti, tra i quali Hans Axel von Fersen, il nobile svedese amante della Regina, di cui, nel racconto, anche Oscar si innamora, e poi la Contessa du Barry, favorita e amante di Luigi XV, la Contessa di Polignac, favorita di Maria Antonietta, i rivoluzionari Saint-Just, Robespierre, Mirabeau, la famosa sarta Rose Bertin, eccetera.
Oscar viene caratterizzata con tratti che potrebbero forse ricordare Björn Andrésen, il giovanissimo attore cui Luchino Visconti affidò il ruolo di Tadzio nella trasposizione cinematografica di Morte a Venezia di Thomas Mann e che divenne popolarissimo, anche in Giappone. Il tema dell’identità femminile nascosta sarà comunque caro a Riyoko Ikeda, che delineerà in modo molto simile Julius, protagonista di un altro suo manga, La finestra di Orfeo (1975-1981), ambientato fra gli studenti di un conservatorio tedesco tra fine XIX e inizio XX secolo; molto simile a Oscar è anche il personaggio di Rei, detta Saint-Just, in Caro fratello (1974-1975); anche François, il figlio di Rosalie, nell’episodio 9 – Atto 1, ricorda molto da vicino i tratti di Oscar bambina. Se le uniformi di Oscar sembrano più napoleoniche che tipiche dell’Ancien Régime, è interessante il fatto che i tre colori di cui la protagonista è vestita, bianco (quando, ancora giovanissima, porta il grado di Capitano), rosso (quando Maria Antonietta, diventata Regina, la promuove a Colonnello) e blu (quando Oscar passa a comandare i soldati della Guardia) ricompongono idealmente il tricolore francese nato, appunto, dalla Rivoluzione.
Il grandissimo successo del manga fece sì che un gruppo teatrale tutto al femminile, chiamato Takarazuka Revue, mettesse in scena uno spettacolo musicale ispirato a Le Rose di Versailles: l’opera venne rappresentata per la prima volta nel 1974 e fu un successo clamoroso (si sono calcolati circa quattro milioni di spettatori in trent’anni). Nel 1979, infine, venne realizzato un film, Lady Oscar, coproduzione franco-giapponese per la regia di una gloria del cinema francese, Jacques Demy, già autore dei deliziosi Les parapluies de Cherbourg (1964) e La favolosa storia di Pelle d’Asino (1970), una trasposizione fatata del racconto di Perrault, entrambi interpretati da una magnifica Catherine Deneuve. Purtroppo, incaricato di dirigere la pellicola tratta dal lavoro di R. Ikeda, Demy doveva aver perso il suo tocco delicato, e non diede certo il meglio di sé: la protagonista, Catriona MacCall, bassa e formosa, non corrisponde affatto, al di là dei capelli biondi, alla bellezza eterea di Oscar, e André è interpretato da Barry Stokes, un ceffo lombrosiano che non serba nulla della delicata armonia di tratti del personaggio del manga. Nel film, i personaggi hanno lo spessore della carta velina: è certo difficile condensare in 124 minuti una vicenda così complessa e vasta, ma, talvolta, sembra che il regista abbia in mente un’ideale check list da cui spuntare i vari elementi da trattare, dedicando loro il minor tempo possibile pur di vuotare in fretta l’amaro calice. Ne risulta un insieme indefinibile di scene spesso giustapposte, con un finale tanto insensato quanto grottesco, privo di qualunque senso ed emozione: durante una sorta di corsa campestre – che dovrebbe rappresentare la presa della Bastiglia –, a un certo punto Oscar non vede più André; ma almeno il simbolo dell’oppressione è caduto. Titoli di coda. «Film alimentare su commissione», lo definisce Morando Morandini³. Ma da un male può sempre nascere un bene, e la pellicola, girata a Versailles con ambientazioni raffinate, è servita come base ai disegnatori dell’anime, che è di poco successivo, per sviluppare alcune scene e determinati interni, come quelli della casa e della camera di Oscar, che il manga suggeriva più che delineare con precisione.
L’anime, prodotto dalla Tokyo Movie Shinsha, andò in onda in Giappone, dall’ottobre 1979 al settembre 1980: la sceneggiatura, adattata dal manga, è di Yoshimi Shinozaki, mentre Shingo Araki e Michi Himeno si occuparono del character design; per la prima parte della serie il regista è Tadao Nagahama, sostituito in corsa con Osamu Dezaki, che subentra dall’episodio 19. Il suo tocco è evidente: i personaggi diventano più spigolosi, maturi, spariscono luccichii fatati e la storia si fa cupa e drammatica⁴; sempre dall’episodio 19 compaiono i primi, raffinati, fermo immagine quasi da cartolina. Tuttavia, la serie non ottiene il successo sperato, e in alcune aree del Paese viene interrotta all’episodio 24. In Giappone verrà riscoperta e apprezzata solo nel 1986; ma in Europa, e in Italia, Oscar è già diventata un mito.
André con tricorno, disegno di Silvia Radavelli.
2. CHI HA ISPIRATO LA FIGURA DI OSCAR?
LA STORIA…
Solitamente si dice che Riyoko Ikeda, nel mettere mano a Le Rose di Versailles, si fosse basata esclusivamente sulla biografia di Maria Antonietta scritta da Stefan Zweig, Maria Antonietta, una vita involontariamente eroica¹. Quando si tratta di ritrovare il modello per la figura di Oscar, si cita Pierre-Augustin Hulin (1758-1841), caporale delle Gardes Françaises, che, il 14 luglio 1789, si unì alla massa degli insorti e contribuì a far cadere la Bastiglia, cercando poi, inutilmente, di preservare dal furore del popolo il Comandante della guarnigione della fortezza, il marchese de Launay. Il personaggio compare anche nel manga: dopo che André è stato mortalmente colpito, Oscar, pur conscia del fatto che «un Comandante non dovrebbe mai allontanarsi dal campo di battaglia», affida al «Caporale Hulin» il comando².
Sappiamo che, per quanto riguarda il casato di Oscar, è realmente esistito un Generale François Augustin Reynier de Jarjayes (1745-1822), che, per età, non potrebbe essere il padre di un personaggio nato nel 1755, come la Oscar creata da Riyoko Ikeda. Tuttavia, il Generale Jarjayes è citato anche nella biografia di Maria Antonietta di Zweig (pp. 347 sgg.), come organizzatore di un piano per far evadere la Regina dalla Prigione del Tempio, piano che si concluse in un nulla di fatto dopo che la sovrana ebbe appurato l’impossibilità di fuggire con i due figli. Zweig ci dice, genericamente, che il Generale de Jarjayes era marito di una dama di compagnia della Regina. L’amica Ada Grossi, che ringrazio infinitamente, con la sua competenza di ricercatrice d’archivio, mi ha però segnalato delle curiose coincidenze: François Augustin de Jarjayes aveva sposato nel 1770 Marie Anne Louise de Bourcet de la Saigne; restato vedovo nel 1786, sposò nel 1787 Marguerite (come la madre di Oscar, la Contessa Marguerite) Émile Quetpeé de Laborde, dame d’honneur della Regina nonché sua arpista e femme de chambre. La donna era vedova di Philippe-Joseph Hinner, a sua volta arpista, morto a circa trent’anni³: di costui la biografia di Zweig non fa parola, si sa soltanto che era stato condotto in Francia dal Cavalier Turgot, e presentato a Maria Antonietta; era poi diventato musicien ordinarie del Re e harpiste della Regina, che gli aveva fatto sposare una sua dama di compagnia, appunto Marguerite de Laborde. Dall’unione era nata nel maggio 1777 una figlia, Laure Hinner, che aveva avuto come padrini di battesimo i sovrani, e venne in seguito adottata dal secondo marito della madre, ovvero il Generale Jarjayes, per poi sposarsi nel 1793 con Charles Gabriel de Berny. Nonostante i sei figli, il matrimonio non fu felice, e Laure ebbe un amante, il còrso André (!) Campi, da cui ebbe una figlia, Julie. Successivamente, tornerà col marito, da cui avrà altri tre figli. Laure sarà fra l’altro il primo grande amore di Balzac, nonostante la differenza d’età (lei 45 anni, lui 23), e avrà con lui una relazione di dieci anni (1822-1832), venendone immortalata nel Giglio della valle che di lei ci offre un ritratto letterario.
Se i rapporti di parentela fra i membri della famiglia Jarjayes sono simili a quelli di Laure Hinner sposata de Berny, la carriera di Oscar è abbastanza simile, mi fa sempre notare Ada Grossi, a quella del Principe di Luxembourg, nipote del Principe di Tingry, che Jeanne de La Motte nelle sue Mémoires justificatives (Londra 1789, p. 62) indica come il superiore del marito nei soldati della Guardia Reale⁴.
Si può quindi sensatamente affermare che Riyoko Ikeda avesse svolto ricerche piuttosto minuziose sulla nobiltà e sulla Corte francese della seconda metà del XVIII secolo, e non si fosse limitata alla pur pregevolissima biografia di Zweig. L’autrice, del resto, si è anche ispirata alla propria storia familiare, data la disparità di ceto che separava la madre, discendente da una famiglia di nobile tradizione, dal padre, di origine più modesta.
… E IL MITO
Va anche segnalato, naturalmente, come una delle fonti di ispirazione per Riyoko Ikeda possa essere stata la storia de La principessa Zaffiro, di Osamu Tezuka (1928-1989), detto "il dio del manga", creatore anche di Astro Boy. La storia, diventata un piccolo mito per gli appassionati di manga, fu ideata fra 1953 e 1956 e revisionata dieci anni più tardi, venendo infine pubblicata in Italia per la prima volta nel 2001⁵, mentre l’anime era stato trasmesso già nei decenni precedenti. Il racconto ci porta nel mondo fatato delle favole: la principessa Zaffiro è l’erede al trono del regno di Silverland, ma, per colpa di un angelo pasticcione, la bambina è nata con un cuore maschile e con uno femminile. Per la prima volta, si proponeva, a un pubblico di bambine e ragazzine, un’eroina poco convenzionale, con una vicenda piena di avventura, nelle quali «Zaffiro lotta per preservare il diritto a essere se stessa, e questo è il più grande insegnamento che offre a noi e alle nuove generazioni»⁶.
Non mancano nemmeno, nella figura di Oscar, riferimenti alla cultura cristiana, quasi cristologici: Oscar nasce il 25 dicembre e muore a trentatré anni; il nome significa Dio e la spada
; inoltre la tematica del sacrificio, e l’immagine della sigla, fortemente drammatica, della giovane donna circondata