Il Golf dalle stelle alle stalle
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Info su questo ebook
Luciano Roccia è un chirurgo e famoso agopuntore italiano. Ha anche scritto una coinvolgente autobiografia "Ci ho messo una vita ad avere vent'anni" e "La Vita non finisce mai-Visioni dall' aldila". Nel suo nuovo libro ci racconta le sue straordinarie avventure sui campi da golf del mondo.
Durante la sua vita, Luciano Roccia ha giocato a golf in più di cento campi in tutto il mondo: dall'Africa al Nepal, dagli Stati Uniti alla Cina. Visitando i campi da golf del mondo, ha assistito a molti eventi curiosi e ha vissuto avventure straordinarie che ora condivide in questo libro.
L'autore narra, ad esempio, di quando in Africa ha trovato una mucca sul campo da golf o quando si è trovato a giocare su uno yacht in mezzo al mare!
Questo libro nasce dalla passione dell'autore per il golf ed è dedicato a tutti gli appassionati di questa disciplina.
Ogni golfista che sa che il golf non è solo uno sport, è una passione, un modo di vivere, condividere e viaggiare, potra' riconoscersi in questo libro.
Dopo aver fondato insieme all'amico Piero Cora il Golf Club La Margherita ha visitato numerosi campi da golf in tutto il mondo, Luciano Roccia ha fondato "I Girasoli", un campo da golf a 18 buche che ospita anche un agriturismo. Il suo campo da golf è stato anche il primo campo naturale che usa solo trattamenti biologici naturali.
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Anteprima del libro
Il Golf dalle stelle alle stalle - Luciano Roccia
Houston Texas 1963. Studiavo alla Baylor University, preparavo la mia tesi di laurea con due pionieri della chirurgia cardiaca: Denton Cooley e Michael Debakey. Il governatore del Rotary di Torino, club del quale faceva parte mio padre, mi aveva dato una lettera di presentazione per il suo collega di Houston. Quando mi presentai, fui subito invitato ad una delle cene che riunivano i rotariani della città. In quell’occasione conobbi la figlia che mi fece da guida per Houston e dintorni per alcuni giorni e mi accompagnò, un sabato, in un Club di Golf dove si svolgeva una gara di beneficenza sponsorizzata dal Rotary. Era la prima volta che calpestavo un campo da golf.
Dopo tanti anni ho scoperto che chi ama il Golf lo può giocare dappertutto come potrete leggere in queste pagine e, posso affermare dalle mie esperienze per il mondo, che il Golf è bellissimo proprio quando lo si gioca come lo giocavano quelli che l’hanno iniziato secoli fa e come lo giocavano i nostri bisnonni. Ho incontrato e parlato con migliaia di giocatori: i più appassionati, quelli che avevano di più lo spirit of game
erano quelli con i quali ho giocato sulle dune del deserto del Sael, che non sbagliavano un colpo anche se soffiava il vento del deserto o dell’Oceano o se i compagni di gioco ululavano ad ogni colpo, quelli che mi dicevano on n’aime pas les parcours manicure’
o we don’t like manicured golf courses
. Amavano sfidare la natura con una pallina ed un ferro, quella sfida che ora non cè più sui percorsi dove giocano poche migliaia di campioni ma che c’è ancora in molti campi dove giocano milioni di golfisti.
In queste pagine si parla soprattutto di questi golfisti.
MICHAEL (il mio primo istruttore)
L’anno dopo, ormai laureato, stavo svolgendo il mio servizio militare quando conobbi Patricia, una ragazza inglese venuta ad abitare vicino a me. C’innamorammo. Bellissima, alta, bionda dagli occhi azzurri chiarissimi. Magnifico incrocio di razze tra un inglese ed un’egiziana.
Il padre di Patricia, il maggiore Michael Bracey Gibbon era incaricato dellIntelligence
presso il consolato Inglese di Torino. Lo invitai con tutta la famiglia a trascorrere con noi una domenica di settembre alla Margherita, l’azienda agricola di famiglia e residenza estiva di mio padre. Era il 1964 e per la prima volta fui direttamente coinvolto con il golf.
Il padre di Patricia, prima di raggiungerci in campagna, mi aveva chiesto se vi erano dei prati e se poteva portare con se la sacca da Golf per esercitarsi con qualche tiro.
Avevamo appena raccolto l’ultimo taglio di fieno, i prati erano perfettamente rasati con l’erbetta verde fresca che incominciava a ricrescere. Dopo pranzo partimmo, Michael con la sua sacca, io lo seguivo.
Come fummo sul prato lasciò cadere una pallina a terra, prese un ferro e dopo qualche swing di riscaldamento colpì la pallina che andò a cadere ai piedi dell’albero che aveva preso di mira. Aveva delle vecchie mazze con lo shaft di legno e con le teste (mi disse) forgiate a mano.
Nei prati appena tagliati vi erano ancora alcune grosse balle di fieno imballate il giorno prima. Mirò una di quelle e con un tiro perfetto la pallina vi atterrò sopra. Sembrava così facile.
Ai miei occhi Michael appariva come un ottimo giocatore. Non sapevo che il golf presentasse certe difficoltà e fosse uno sport notevolmente impegnativo, per questo, quando mi chiese se volevo provare, praticando già con successo molti altri sport, accettai con entusiasmo la proposta, intenzionato a fargli vedere quanto fossi dotato.
Al primo colpo ruppi lo shaft della mazza che mi aveva appena messo in mano e che, molto maldestramente, avevo sbattuto con la massima forza contro il terreno particolarmente duro.
La guardavo con stupore tenendola ancora tra le mie mani, accusando contemporaneamente un forte dolore al gomito ed alla spalla destra. Il forte impatta contro il terreno si era trasmesso lungo il braccio, sino al collo.
Ero imbarazzatissimo e nonostante lui sorridesse e m’invitasse a riprovare, porgendomi un altro ferro, non raccolsi l’invito.
Lo seguii per un paio d’ore portandogli la sacca, continuando a rifiutare i ripetuti inviti a riprovare, finché tornammo a casa e Michael si complimentò con mio padre dicendogli che il terreno della cascina era perfetto per un magnifico campo da golf.
Mio padre lo guardò in un modo strano e gli sorrise. Probabilmente pensava alle mucche olandesi che aveva comprato da pochi giorni. Erano appena arrivate dall’Olanda e già le vedeva pascolare sui suoi prati.
Da quel giorno Michael venne spesso a giocare alla Margherita portandosi, in seguito, alcune aste da geometra, bianche e rosse, comprate presso un negozio di ferramenta, piazzandole, a mo di bandiera, in diverse posizioni prima di iniziare a giocare.
In quel periodo ero talmente occupato nella mia attività di giovane chirurgo, sempre di guardia al pronto soccorso, che ebbi occasione di accompagnarlo solo poche volte. Cercò di insegnarmi qualcosa e non spaccai più lo shaft, ma continuai a zappare, fare air shot e quelle poche volte che prendevo la pallina, questa andava dove voleva e mai dove volevo io.
Durante l’estate lo accompagnai un giorno a giocare al mare nel Golf di Arenzano, la giornata era splendida e faceva un gran caldo. Preferii scendere per fare il bagno nella spiaggia sottostante, rinfrescandoci e nascondendoci, con Patrizia, in una piccola grotta dove il mare entrava con un sordo brusio avvolgendoci con la sua spuma su quella piccola spiaggia. Dopo l’inverno Michael lasciò Torino e lo rividi solo quando venne a salutarmi. Non volendo riportarsi in Inghilterra la vecchia sacca che lasciava sempre alla Margherita, mi disse di tenerla in suo ricordo, invitandomi a continuare nel Golf, cosa che non feci.
Alcune di quelle mazze sono oggi appese nel ristorante del mio Circolo Solo dopo tanti anni avrei ripensato a quell’episodio e alla mia prima esperienza di zappatore
di golf.
DIECI ANNI DOPO
Erano gli anni 70, Frank Warren, oltre ad esercitare la sua professione di psichiatra a New York, era anche il manager dei più famosi medici americani dell’epoca. L’avevo incontrato a San Francisco durante un seminario sull’Agopuntura che tenevo per l’Associazione degli Anestesisti Californiani.
Mi aveva chiesto se avevo un manager e, venuto a sapere che non ne avevo, e che per il seminario ricevevo solo un misero rimborso spese, mi diede praticamente dello sprovveduto dicendomi che negli States tutti i conferenzieri si facevano pagare. Divenne subito il manager delle mie conferenze e dei miei corsi per medici negli USA. Prendeva il 10% delle mie retribuzioni e mi fece guadagnare un sacco di dollari.
A Madison in Wisconsin, durante un congresso, mi chiese se giocavo a golf, ebbi la disavventura di dirgli che anni prima avevo giocato ma che non ero molto bravo. Non ci fu verso. Fui costretto a seguirlo con alcuni colleghi, nel campo municipale, al centro di un magnifico parco cittadino, dove oltre al percorso di golf vi erano alcuni campi da tennis. Non volevo giocare e fare figuracce, ma era impossibile dir di no alle loro insistenze.
Al primo colpo non colpii la pallina facendo un air shot che per poco non mi slogò una spalla, al secondo tentativo feci uno shenk ad angolo retto che, sfiorando la testa dei miei compagni di gioco, fece quasi un buco nel parabrezza del car fermandosi ai piedi della rete che circondava il campo da tennis, dove ignari tennisti si voltarono allo schianto della pallina sul car. Non insistettero più e feci da caddie a Frank.
Qualche anno dopo durante la circumnavigazione della Corsica, approdato con la mia barca a vela a Portovecchio, ero ormeggiato accanto a degli inglesi. Fummo tutti costretti per alcuni giorni a restare in porto per un vento di Maestrale che, con una forza di oltre 40 nodi, rendeva pericoloso ogni tipo di navigazione.
Feci amicizia con i miei vicini soprattutto per i profumi della nostra cucina che giungendo sino alle loro barche, mi costrinsero ad invitarli una sera, a cena. Dopo due giorni di sosta forzata, trascorsa con lunghe passeggiate e con una visita nei dintorni, un mattino vidi i miei vicini uscire dalle loro barche con alcune sacche da Golf, in attesa di un taxi. M’invitarono subito ad unirmi al gruppo e, raccolto l’invito, partii con loro. Fu così che scoprii il Golf Lo Sperone, splendido golf sugli scogli della Corsica. Uno degli inglesi volle a tutti i costi che giocassi, suggerendomi di usare solo un ferro, a suo dire molto facile e i suoi preziosi consigli riuscirono a farmi giocare alcune buche divertendomi, ma anche a perdere alcune palline in mare. Per anni non presi più una mazza in mano.
Con il golf fui in seguito ancora coinvolto, soprattutto da un punto di vista finanziario con un investimento che mi portò dei buoni frutti. Fu quando, qualche anno dopo, Allegra Agnelli mi propose l’acquisto d’azioni del Golf Club I Roveri (oggi Royal Park), appena fondato dal marito Umberto. Accolsi l’invito acquistando un certo numero di azioni che dopo pochi anni vendetti a cinque volte il prezzo che le avevo pagate, senza mai giocare a golf.