Pillole maledette: Lo sport intrappolato dalle illusioni del doping
Di Giulio Mola
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Falsi e imbroglioni i primi. Scellerati e spesso incoscienti i secondi.
Perché senza l’aiutino (che per i primi arriva anche grazie all’aiuto di mezzi sofisticati) tutti si sentono inferiori; perché invece di un bel piatto di pasta o una barretta di cioccolato questi individui hanno bisogno di pillole o iniezioni per sentirsi “competitivi“.
Le squalifiche non bastano. Le figuracce, spesso in mondovisione, neppure. Le morti e i malori improvvisi (anche) a causa dell’assunzione di certi farmaci o integratori non spaventano.
E sono sempre di meno quelli che hanno il coraggio di smettere, denunciare. O, peggio, autodenunciarsi. Questo libro racconta storie vere di atleti di ogni età dopati o costretti a doparsi. E poi pentimenti, sfoghi, accuse contro genitori ambiziosi e scriteriati e medici e dirigenti conniventi.
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Pillole maledette - Giulio Mola
FONTI
Pillole maledette
Lo sport intrappolato dalle illusioni del doping
Pillole maledette
Dedica
A mio figlio Riccardo
Le coppe si vincono in allenamento,
con la passione, il sudore e il sacrificio.
Si va in gara solo per ritirarle.
La fatica non è mai sprecata. Soffri ma sogni.
E per entrare in un sogno
devi saper volare ed essere leale.
Non è quando diventi professionista,
verso i ventuno o i ventidue anni,
che devi preoccuparti di essere competitivo,
ma molto prima
ciclista anonimo
Esistono due mestieri che si possono fare
con poca esperienza. Uno è la prostituzione,
l’altro il giornalismo.
Troppo spesso diventano la stessa cosa
Howard Cosell
PREFAZIONE
di Xavier Jacobelli, direttore di Tuttosport
No. Non sono solo maledette le pillole del doping. Sono ributtanti, disgustose, repellenti.
Tradiscono l’incultura dello sport che Giulio Mola mette impietosamente a nudo, con la precisione certosina e la professionale documentazione che distinguono il grande cronista dai somari infestanti le sterminate praterie del web, dove bufale e panzane si inseguono senza sosta. Anche quando si parla di questo autentico cancro dello sport che, contro lo sport, conduce una quotidiana, infida battaglia. Quanto mai provvido è l’ammonimento di Giulio a Riccardo, il giovanissimo erede che, certamente, crescerà nel solco delle parole paterne. Perché questo è il punto. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni. E devi essere leale
. Assolutamente leale. Il viaggio di Mola nei meandri del doping è al tempo stesso istruttivo e sconfortante. Grida vendetta al cospetto degli autentici valori dello sport, calpestati obbedendo al principio della vittoria a ogni costo e a qualunque costo, infischiandosene dei rischi che l’atleta corre per la sua salute.
E poi c’è il girone dell’antidoping, rivestito di pandette e regole spesso astruse, procedure bizantine, provvedimenti che definire cervellotici è un eufemismo. Come non pensare alla kafkiana vicenda di Alex Schwazer, perseguitato in questi anni da un’allucinante storia di provette incustodite, hacker russi, laboratori dalle porte girevoli, che non sta né in cielo né in terra.
E come non citare la surreale persecuzione di Andrea Iannone, il pilota dell’Aprilia trovato positivo per un’assunzione accidentale, colposa e non dolosa di drostanolone, causata da una contaminazione alimentare. In primo grado, pur riconoscendo la sua innocenza, gli hanno inflitto diciotto mesi.
Iannone ha presentato ricorso al Tas, il Tribunale per l’arbitrato sportivo che, per sovrammercato ha ricevuto la richiesta di squalifica di quattro anni formulata dall’ineffabile Wada. Dove l’acronimo sta per World Anti-Doping Agency e dove è auspicabile che Mola, un giorno o l’altro, si dedichi a raccontare le prodezze di un’istituzione che dovrà cambiare, e molto, poiché troppi sono i casi al centro di polemiche e interrogativi.
Esistono alcune perplessità in merito alla reale efficacia dei controlli antidoping effettuati da Cio e Wada
, ha scritto Pietro Mennea nel suo libro Il doping e l’Unione Europea .
Quelle pillole le ha sempre maledette anche lui, straordinario simbolo dello sport pulito. Anima grande. Anima unica.
INTRODUZIONE
Il doping. Le anfetamine. L’Epo. Le siringhe. Le pomate. Le bombe. I beveroni. Il caffè corretto con il nandrolone. Le farmacie. Le medaglie di latta. Gli infarti. Le morti improvvise. Gli stupidi. Gli sprovveduti. I disonesti. I pentiti.
Gli scandali del doping si susseguono senza tregua coinvolgendo campioni e beniamini, sportivi che dovrebbero essere solo modelli da seguire. È invece ormai consapevolezza diffusa che in diverse discipline il ricorso all’aiutino chimico (il doping, appunto) coinvolge gran parte degli atleti di vertice e altera i risultati acquisiti sul campo di gara, soprattutto nelle competizioni più importanti. Tutto ciò favorito da dirigenti che guardano solo al numero delle vittorie e da parte della stampa sportiva che preferisce non vedere e non sentire per non farsi nemici
. Non c’è disciplina sportiva che possa sentirsi totalmente pulita
. Qualche mela marcia spunta ovunque.
Pochi sanno, invece, che un certo andazzo ha fatto scuola
e che molti praticanti di livello amatoriale affollano da anni ambulatori dei medici dei campioni
, le infermerie delle società e le farmacie amiche
per farsi prescrivere la cura
miracolosa che può consentire loro di battere in gara il collega di ufficio o il vicino di pianerottolo. Così il doping è diventato fenomeno di grandi numeri, con molti punti di contatto con la droga e sta generando traffici internazionali manovrati dietro le quinte dalle multinazionali farmaceutiche.
E quando lo sport si sveglia e, spinto da qualche scrupoloso magistrato, apre il suo vaso di pandora, esce di tutto e di peggio. Subito si avverte la sgradevole sensazione che si è toccato il fondo, ed è dovere di ogni cronista cominciare a scavare, scoperchiare il pentolone della vergogna e mettere a nudo il circo degli imbroglioni, rovistando senza requie fra le loro nequizie, i loro errori e i loro orrori. Il fatto è che in questo mondo di ladri ha attecchito la convinzione che si possa vincere solo barando, anche con se stessi, anche con la propria salute. Il fatto è che bisognerebbe andare in campo per giocare undici contro undici, sette contro sette, quindici contro quindici, oppure da soli, basandosi sulle forze e sulla capacità che madre natura ci ha donato. Invece finisce che, spesso, da una parte o dall’altra ce ne siano quattordici, quindici o anche sedici in campo.
Oppure, quando gareggi da solo, che ci sia una manina
a darti spinta nelle gambe o nelle braccia (prima ancora di bruciarti il cervello). Dipende da quello che prendi. E se è vero che, quando viene sera, anche le ombre dei nani sembrano giganti, il guaio, per i nani che si dopano o si avvelenano, è che poi viene anche mattina. E non sempre c’è il sole a illuminarla.
Ma vincere pulito contro chi vince sporco non è facile.
Una battaglia senza fine, una battaglia che deve partire da chi segue e allena gli atleti, dai genitori, che dovrebbero, anzi devono sapere cosa succede ai loro figli e non permettere che certe cose accadano. Prima di finire nella trappola delle illusioni del doping.
Perché il perdente cerca la scusa. Il vincente trova la via.
SPOGLIATOI O FARMACIE
Spogliatoi o farmacie? Cosa hanno preso, cosa prendono e cosa (forse) prenderanno i calciatori, i ciclisti, i fondisti, i nuotatori e tanti altri sportivi per vincere la fatica, tamponare gli acciacchi e offrire una prestazione di spessore? O per correre così tanto senza avere il fiatone?
Se lo chiedono i tifosi ma pure gli stessi addetti ai lavori, gettando (più o meno in maniera giustificata) pesanti ombre su questo o quell’atleta, su una squadra di club, magari su una Nazionale intera, accennando a non meglio precisate zone grigie
. A meno di non credere a coincidenze fortuite.
È sempre così quando si parla di doping. Perciò è bene partire dai dati certi su un argomento da sempre tabù, visto che la corsa alle medicine, in Italia come in Europa, è diventata una routine. Il fatturato complessivo dei farmaci con valenza dopante parte dai 700 milioni e sfiora il miliardo di euro in uno scenario in cui il confine tra legalità e illegalità è sempre più sottile oltre che ambiguo.
Dagli atti di processi sportivi (e non) scopriamo che la somministrazione di Mepral, Orudis, Samyr, Epargriseovit, Neoton e Voltaren era una prassi divenuta abituale. Come bere un bicchiere d’acqua fresca, insomma. Tant’è che molti frequentatori, soprattutto del circo del pallone, hanno dichiarato che, in fondo, assumere qualche integratore è normale e che il Neoton non rientra nella lista delle sostanze proibite.
IL DOPING INVISIBILE
Farmacie aperte negli spogliatoi ma non solo. Perché esiste anche una sorta di doping dei poveri
, trasparente ai test e così economico (si trova su internet) che diventa facilmente accessibile a tutti: e proprio per questo più pericoloso per la salute. La strana polverina rosa che qualcuno dipinge come l’ultima frontiera possibile del doping ematico, capace di trasformare anche lo sportivo della domenica in un atleta agonista, si chiama cloruro di cobalto
. L’assunzione di questo sale attiva i geni delle cellule stimolando la produzione dell’Epo, l’ormone che a sua volta fa aumentare i globuli rossi del sangue, consentendo un maggior trasporto di ossigeno ai muscoli. I globuli rossi crescono del 40 per cento, l’ematocrito del 30 per cento. Un po’ come cambiare cilindrata al motore dell’atleta, che diventa più potente.
Economico (bastano dieci euro per acquistare due etti della polverina magica) si diceva, ma pericolosissimo, se non letale, il doping dei poveri: ad alte somministrazioni, infatti, il cobalto danneggia il sistema cardiovascolare, i reni e il fegato. Ma può avere gravi ripercussioni anche sul sistema nervoso centrale.
E ancora: paralisi dei muscoli vasali, dermatiti ed eritemi, alterazione della tiroide.
Poi ci sono i biosimilari
, nuova categoria di biofarmaci. Ovvero molecole di natura proteica prodotte biologicamente attraverso complesse tecniche di ingegneria genetica. Farmaci spesso salvavita, che comunque hanno un ruolo importantissimo nella lotta contro gravi patologie, spesso i tumori. Biofarmaci sono l’ormone della crescita (Gh) e le eritropoietine (Epo). Prodotti oggi anche come biosimilari
o biosimili
, due delle sostanze più abusate nello sport. I nuovi biosimili sono pericolosi
, l’allarme di eminenti ematologi. Questo perché l’Epo, commercializzata alla fine degli anni 80, ha perso la copertura del brevetto e le aziende che la producono non hanno più l’esclusiva. Dunque, altri possono produrla nella forma biosimile
e metterla in commercio a basso costo. E il rischio reale è che per fare concorrenza a prezzi inferiori, non si rispettino le complesse procedure di fabbricazione del prodotto e producano sostanze pericolose e dannose per la salute.
Ma c’è di più. Epo e ormone della crescita biosimili
e a prezzi più accessibili rappresentano una spinta ancora più forte per il già enorme mercato mondiale del doping. Il Gh, infatti, è ricercatissimo, ha effetti anabolizzanti, è molto usato per far fronte a carichi di lavoro pesanti e accelerare il recupero. E fino a questo momento è difficilissimo da individuare nei test.
Il pericolo maggiore è che questi prodotti biosimili
possano non funzionare esattamente come i biofarmaci di riferimento, e avere imprevedibili effetti collaterali. Per fortuna in Italia c’è abbastanza controllo. Al momento c’è un solo tipo di Gh biosimilare
. Ma eritropoietine biosimilari sono disponibili in Croazia e Romania. E già da alcuni anni sono in commercio in India, Filippine, Corea, Thailandia, Vietnam, Iran, Brasile, Argentina e Venezuela. E vista l’immancabile richiesta sportiva, è facile ipotizzare come da questi paesi si sviluppi un florido mercato nero. Potremmo andare avanti ma il vero problema sembra già chiaro. La farmacia ormai accompagna la carriera di moltissimi calciatori professionisti o atleti della domenica.
E proprio gli anabolizzanti, i cannabinoidi, gli stimolanti corticosteroidi e diuretici sono le sostanze più usate. Sotto controllo sono finite soprattutto discipline sportive come calcio, ciclismo, nuoto e le categorie di atleti di livello amatoriale e master. Negli ultimi anni è emerso un leggero trend nell’aumento del numero degli atleti che dichiarano di far uso di prodotti salutistici. In aumento anche il numero delle sostanze assunte. Gli antinfiammatori non steroidei sono i farmaci maggiormente consumati.
Qui di seguito un piccolo ma significativo (e imbarazzante) dizionario sui farmaci più ricorrenti nel libro (per elencarli tutti ci vorrebbe un’enciclopedia...).
Ecco nel dettaglio cosa prendono tanti atleti italiani. E non solo professionisti.
STANZE MAGICHE AL GRAND HOTEL DOPING
Non serve sognare al Grand Hotel Doping
, per diventare campioni basta sdraiarsi su un divano, leggere un libro, magari aprire il frigo e scegliere una a caso tra le decine di barrette energetiche a disposizione per andare sempre più forte. Dodici ore al giorno per almeno undici giorni e la prestazione migliora. Dal cinque al quindici per cento
. È quanto risulta da un approfondito reportage pubblicato da Repubblica.
Benvenuti a Goreljek, Slovenia, altopiano di Pokljuka, nel cuore del parco nazionale del Tricorno, terra di caccia all’orso. E non solo. A soli 20 minuti di auto da Bled e dai Laghi di Bohinj c’è l’albergo Villa Triglav, appena dodici posti letto. A gestirlo è un ex ciclista, Tadej Valjavec: ottimo scalatore, tre volte nei primi dieci fra Tour de France e Giro d’Italia negli anni 2000, incappato più volte nei controlli dell’Uci per possibili alterazioni nel passaporto biologico
e allievo del dottor Michele Ferrari, il più discusso preparatore sportivo del pianeta, coinvolto in alcune inchieste giudiziarie su pratiche di doping.
Tadej, quando ha ristrutturato questa baita, ha avuto un’illuminazione: farne un’enorme tenda ipossica. Così ha investito 100mila euro in un impianto senza eguali e oggi gli basta girare una manopola per far diventare l’aria delle stanze identica a quella che si respirerebbe a 4-5mila metri.
Posso regolare la percentuale di ossigeno di qualunque camera. In questo modo riesco ad abbassare la saturazione del sangue per chi si trova all’interno e quindi procurare enormi benefici agli atleti. L’ho provato su me stesso e garantisco: funziona!
In sostanza Tadej simula l’alta quota, stimolando così la produzione di globuli rossi dei suoi ospiti, contribuendo a un maggior trasporto di ossigeno ai loro muscoli e aumentando la soglia della fatica e la produzione endogena dell’ormone della crescita.
Se qualcuno avesse dei dubbi, poi, sulla qualità della cura
, può andarsi a sentire le intercettazioni proprio di Ferrari, che consigliava la struttura a uno dei suoi atleti, il ciclista Diego Caccia:
Valjavec (...) ha fatto un impianto centralizzato che pompa azoto nelle varie stanze e tu puoi regolare l’altitudine (...) aggiungi l’altitudine che vuoi ed è... cioè sicuramente funziona e lì... sei in Slovenia vaffanculo.
Ecco, qui Ferrari introduce la seconda parte del discorso. Quella fondamentale. «Sei in Slovenia», dice. E non è un particolare. In Italia il Grande Hotel Doping
non potrebbe esistere perché la legge italiana (la 376 dell’aprile 2000) dichiara illegale questa pratica, perché è dannosa per la salute e altera le prestazioni sportive. Quindi dopante. Tadej lo sa, sorride, e svela la grande ipocrisia.
In alcune parti del mondo questo è doping, in altre no. Le federazioni fanno finta di non vedere – raccontava a Repubblica mentre cucinava una saporitissima zuppa slovena, con manzo e grano saraceno –. Il risultato è che tutti lo fanno: lo faceva Schwazer, la maschera che aveva quando dormiva accanto alla Kostner era un respiratore di questo tipo qui, lo fanno tutti gli atleti. Alcuni comprano la tenda ma è scomodo vivere dodici ore al giorno sotto una tenda; altri, i più ricchi, se la costruiscono in casa. E non solo i ciclisti o i fondisti. Ho letto che Djokovic ne ha una, il Real Madrid la usa, il Barcellona anche. Lo fanno tutti, lo facevano quando io correvo e lo continuano a fare ora. Ma in Italia, a un’ora di macchina da qui, fanno ancora finta di non vedere.
A sentire il proprietario dell’hotel, i clienti sarebbero «soprattutto squadre». Vengono ciclisti e fondisti, sia dell’atletica sia dello sci. O nazionali di mountain bike dell’est Europa. Il cervellone dell’impianto è nel garage dell’hotel. Sottochiave, un uso improprio potrebbe essere pericolosissimo. I bocchettoni sono mimetizzati nelle stanze, nascosti nelle pietre a vista sulla parete.
Ma i miei clienti non sono soltanto professionisti. Pubblicizzandolo bene sui canali giusti arrivano anche molti amatori che cercano di migliorare le loro prestazioni: io lo dico sempre, non aspettatevi miracoli ma miglioramenti sì. Però dovete anche fare vita d’atleta, se no è inutile.
FUENTES, LO SCANDALO INSABBIATO
Anche in una nazione che da anni vince e stravince in tanti sport, come la Spagna, ci sono macchie scure. Incancellabili. Sono quelle che da circa tre lustri sporcano
le circa settemila pagine racchiuse in ventuno faldoni di atti giudiziari ormai impolverati e nascosti in un ufficio del tribunale di Madrid. Intercettazioni, interrogatori, analisi, report. Documenti che avrebbero potuto cambiare la storia dello sport e che invece oggi vengono chiamati da tutti, in quei corridoi giudiziari, el cadaver : il cadavere.
È quanto resta dell’Operacion Puerto, l’inchiesta della Guardia Civil che nel 2006 portò alla luce il più colossale giro di doping della storia. Un’indagine uccisa, soffocata nel momento più importante. Le è stato tolto l’ossigeno – cioè i soldi – ed è stato fatto sparire il sangue, letteralmente.
Che qualcosa si fosse inceppato nella grandiosa macchina investigativa che tra il febbraio e il maggio 2006 portò all’arresto del dottor Eufemiano Fuentes, un ginecologo noto soprattutto come mago
dell’Epo, il tenente della guardia civil Enrique Gonzales lo capì quasi subito, quando si rivolse al giudice Antonio Serrano per chiedere il permesso di perquisire la casa di Fuentes alle Canarie. Operacion Puerto era già sui giornali ed era chiaro che gli investigatori avevano imboccato la strada giusta. Per questo Gonzales stentò a credere alla risposta che si sentì dare dal giudice: «Non possiamo, non abbiamo i soldi».
Gonzales sapeva che, nello studio alle Canarie, il dottore aveva un pc con i dati dei suoi clienti e altre sacche di sangue, oltre a quelle già sequestrate dopo l’arresto. Materiale che conduceva a quello che ormai anche tutti i giornali davano per scontato: da Fuentes non ci andavano solamente i ciclisti ma anche calciatori, tennisti, cestisti, giocatori di pallamano e quelli dell’atletica. La Guardia Civil aveva trovato importanti tracce nelle intercettazioni telefoniche e seguiva un paio di piste che portavano ai vertici della Liga spagnola. Il ciclista spagnolo José Manzano, finito nel mirino dell’accusa, l’aveva confermato: «Da Fuentes io personalmente incontrai uno dei fenomeni della Liga». In un’intervista a un periodico la star dello spettacolo Johnny Halliday raccontò di essersi rigenerato grazie alle trasfusioni fatte in uno studio suggeritogli dal suo amico Zinedine Zidane. Agli inquirenti servivano prove e riscontri, però. E questi erano nello studio di Fuentes, alle Canarie. Ma Serrano bloccò tutto.
Del resto quella era l’epoca d’oro della Spagna sportiva. Il paese si identificava nelle Furie Rosse, definiti veri e propri eroi; ma pure nel Real di Capello, Zidane e Raul, in Nadal, in Alonso. Che senso aveva distruggere quel castello di emozioni? Così appena comparve la parola Liga nell’inchiesta, tutto si fermò davanti a un problema giuridico insormontabile
: il doping, al tempo, non era un reato penale. Uno scoglio fino ad allora sempre brillantemente aggirato ma che da quel momento in poi divenne una barriera insuperabile. Che mai si sarebbe sgretolata, neppure di fronte agli assalti dei giudici. E l’inchiesta si fermò.
Dal maggio 2006 in avanti – tra chiusure e riaperture formali – il procedimento non ha compiuto passi in avanti. Facendone anzi molti indietro. Del più drammatico di questi si è avuto notizia qualche anno dopo quando si venne a