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Mia Madre Era un Mito
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E-book202 pagine2 ore

Mia Madre Era un Mito

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Info su questo ebook

Aneddoti fuori dalle righe, situazioni animate da un personaggio straordinario che non esita a combattere convenzioni e bigotterie per offrire alla figlia uno sguardo inedito e profondo sulla vita. Mia Madre era un Mito è un diario, una serie di testimonianze reali sullo sfondo di panorami fantastici narrate attraverso una penna deliziosamente vivace e irriverente. Un libro che cammina in punta di piedi e che vi farà sorridere e riflettere.
LinguaItaliano
Data di uscita7 feb 2018
ISBN9788833460567
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    Anteprima del libro

    Mia Madre Era un Mito - Maria Luisa Spezia

    Capitolo I

    Il Circo e Liù

    Arrivò il circo. Mia madre, appena lo venne a sapere, uscì di gran carriera da casa e fece un giro tra le gabbie dove erano sequestrati gli animali. Quando tornò era inviperita e mi disse: «Preparati perché stanotte li liberiamo!»

    «Mamma per carità! Io sono minorenne ma tu finisci in galera!» implorai.

    «Nessuna paura! Mica ci devono sorprendere per forza!» replicò con fermezza.

    «Mammina per favore!» implorai di nuovo.

    «No. Li liberiamo e basta» affermò.

    Mia madre era gentile, educata, amorevole, ma quando c’erano di mezzo i deboli, sia che fossero bambini, anziani, persone in difficoltà, animali, diventava implacabile e determinata. E fu così che nottetempo, armata di una torcia e tutta vestita di nero, con me al seguito, si diresse a passo spedito verso il cortile dove erano le gabbie del circo e le aprì, una per una. Per fortuna non c’erano animali feroci, ma solo cavalli e una scimmietta. La scimmietta abbracciò mia madre che, come il Pifferaio Magico, condusse i cavalli nel nostro recinto, a circa 2 km da lì. La mattina del giorno dopo chiamò il Sindaco del luogo che era un suo caro amico, e gli disse: «Claudietto buongiorno! Stanotte ho liberato gli animali del circo a cui tu hai dato l’autorizzazione ad esibirsi. Sappi che dovranno passare sul mio cadavere per riaverli».

    E Claudietto rispose: «Ci avrei scommesso la testa!»

    Mia madre proseguì: «Ascolta mio buon amico. La situazione è la seguente: Liù, la scimmietta è abbracciata a me da stanotte; i cavalli: Carmelo, Giovannino, Luigi, Peppino, Ada, Claudia, in tuo onore, Rosa e Giada sono nel recinto e non si muovono da lì».

    Claudietto replicò: «Va bene. Con te non si può ragionare».

    «È vero! Qualche volta non ragiono» mia madre ammise.

    Nel pomeriggio, il proprietario del circo si presentò al nostro cancello. Mia madre lo invitò ad entrare, lo pregò di accomodarsi in veranda, gli fece portare un bicchiere di tè freddo e dei biscottini. Poi gli chiese: «A cosa devo l’onore della sua graditissima visita?»

    Il tizio rispose: «A ciò che ha fatto questa notte!»

    Mia madre lo apostrofò: «Gentile Signore, io l’ho accolta nella mia casa, le ho offerto da bere e da mangiare. La sto trattando con cura ed attenzione. Impari a fare lo stesso con tutti! Se proprio vuole un circo, che si esibiscano i circensi, giammai gli animali! Ed ora, se è comodo e soddisfatto, può tranquillamente rimanere in questa casa. La saluto e le auguro una buona serata. Devo andare a dare da mangiare ai cavalli!»

    Il circo andò via. Liù visse abbracciata a mia madre per quindici anni: nonostante si fosse preoccupata di cercare per lei una sistemazione consona alla sua natura, la piccola scimmietta non volle mai saperne di lasciare chi l’aveva presa in braccio probabilmente per la prima volta e le aveva detto: Stai tranquilla. Nessuno ti farà più del male.

    I cavalli rimasero nel nostro recinto dove vennero addestrati per la pet therapy gratuita per tutti: bambini, adulti ed anziani.

    Capitolo II

    L’Allevamento di Peppino

    Quella mattina mia madre si alzò prestissimo. Albeggiava appena. Poco dopo percepii l'aroma del caffè. Quando faceva così aveva in mente qualcosa e, questo qualcosa, non sempre era una faccenda semplice. Mi fidavo di lei, ovviamente, ma dati i numerosi precedenti, ero piuttosto circospetta. Tuttavia, mi alzai, scesi le scale, ammirando per l'ennesima volta lo spettacolo della nostra casa: gusto, classe, sobrietà, fascino, bellezza erano gli ingredienti di quella dimora, circondata da un parco curato. Meravigliosa! Varcai la soglia della cucina e vidi mia madre, seduta e con la sua immancabile tazza di caffè fumante in mano. Mi guardò con i suoi occhi viola: uno sguardo profondo, di approvazione, di ammirazione. Uno sguardo d'amore, come sempre, come ogni volta che mi guardava.

    «Come sei bella, figlia mia» mi disse.

    «Grazie mamma! Anche tu!» risposi.

    «Dobbiamo fare una cosa importante questa mattina!» proseguì.

    «Come mai l'avevo capito?» chiesi con una leggera ironia.

    «Perché mi conosci» affermò sorridendo.

    «Molto bene» concordai.

    Lei continuò: «Ho deciso di comprare tutto l'allevamento di Peppino. Sei d'accordo?»

    «Omiodio!» fu l’unica parola che riuscii a dire.

    «Perché sei preoccupata?» mi domandò guardandomi con una invidiabile serenità.

    «Sono circa 3000 capi di bestiame, mamma! Dove li mettiamo?!?!» azzardai, peraltro consapevole che non avrei ottenuto nulla.

    «Nessun problema! Li trasferiamo in montagna da Zio Cesare» asserì semplicemente.

    Zio Cesare non era esattamente mio zio: era il fattore che si occupava di alcune proprietà di mia madre. L’avevo battezzato così sin da piccola, perché mi piaceva. In realtà si chiamava Antonio. Nel corso del tempo, era diventato Zio Cesare per tutti.

    «Avrei tre domande…» dissi.

    «Prego. Esponi» mi guardò sorridendo.

    «Perché vuoi comprare l'allevamento? Zio Cesare lo sa? E come pensi di trasportare il bestiame in montagna?» chiesi.

    «Perché maltratta gli animali! Zio Cesare non lo sa ma è sicuramente d'accordo e poi le mucche camminano! Lo sapevi?» rispose.

    Appoggiai la tazzina del caffè sul tavolo fratino della cucina e mi rassegnai alla nuova avventura.

    Comprammo l'allevamento ad un prezzo da capogiro, ma mia madre disse: «Sono soldi benedetti».

    Zio Cesare venne informato e proferì le seguenti parole: «Riesce sempre a sorprendermi!»

    Imparai che le mucche camminano, lentamente, ma camminano! Arrivarono in montagna e vissero da regine. Dovemmo cercare circa tremila nomi, perché ogni mucca doveva avere il suo

    Capitolo III

    Il Lupo

    La sera era già scesa e faceva molto freddo: la pioggia e la neve tempestavano furiosamente il parabrezza della mia macchina. Stavo tornando a casa: guidavo con molta attenzione perché la pioggia rendeva ancora più pericolosa la strada che era una lastra di ghiaccio. Da giorni, ormai, nevicava e nevicava e nevicava. Arrivai nel viale di accesso a casa nostra e tirai un sospiro di sollievo: «Sono a casa, finalmente!» dissi tra me e me. Parcheggiai meglio possibile e mi accinsi a scendere dalla macchina. Il vento mi aggredì con violenza e la pioggia battente percosse il mio corpo, come una sassaiola. Raggiunsi il portone e mi accolse la nostra tata Rosa, agitatissima, come mai l’avevo vista prima…

    «Che tempo da lupi!» esclamai. «Rosa che succede?»

    E Rosa: «Tua madre! Io, prima o poi, muoio con lei!»

    «Eh… ti capisco! Che cosa ha combinato?» domandai.

    «È squillato il telefono. Era il Signor Sindaco! Nella proprietà, a nord vicino al fiume, è stato avvistato un lupo!» disse concitata.

    «Dov’è mamma?» chiesi con il cuore in gola.

    Rosa mi rifece il verso, ancora più in ansia di me: «Secondo te dov’è?»

    Io: «Dal lupo?»

    Rosa: «Dal lupo!»

    Io: «Ecco».

    Rosa proseguì: «Ha detto al Signor Sindaco che se provano a fare qualcosa al lupo lei lo ammazza!»

    Io: «Ammazza il Sindaco?»

    Rosa: «Siiii».

    Io: «Bene. Stiamo calme. Rosa chiama subito Giovanni e digli di raggiungermi al ponticello sul fiume. Digli di portare il fucile!»

    Uscii di volata, pioveva ma non me ne accorsi. Faceva freddo da morire, ma non me ne accorsi. Volevo strozzare mia madre e me ne accorsi! Salii in macchina e corsi, corsi, corsi, incurante del ghiaccio per terra, incurante della pioggia, incurante del vento. Arrivai al ponticello e trovai Giovanni in pieno assetto di sopravvivenza.

    «Tua madre vero?» furono le sue prime parole.

    «Giovanni dobbiamo proseguire a piedi! Passiamo attraverso il bosco!» suggerii.

    Giovanni concordò: «Va bene. Andiamo! Ma ti avviso subito! Io l’ammazzo!»

    Io: «Mettiti in fila! Ci sono prima io!»

    Trovammo mia madre, il lupo, e la Forestale. Fucili e pistole ovunque! Mia madre, con una calma serafica, stava dando da mangiare al lupo: gli stava dando i croccantini! «Bravo lupo, mangia!» gli diceva.

    Mi vide e mi venne incontro.

    «Oh menomale che sei qui!» mi disse con quel suo sorriso meraviglioso e disarmante.

    «Mamma!» esclamai con un filo di voce.

    «Sono certa che lui, il lupo, ha solo fame! Nevica da giorni e, poverino, ha dovuto arrivare fino a qui per nutrirsi!» argomentò.

    Io: «Sicuramente mamma!» E che cosa altro volevi dirle…

    E proseguì: «Allora, signori della Forestale, il lupo è nella mia proprietà e quindi decido io!»

    E fu così che si scoprì che il lupo era una lupa. Poco lontano c’erano due cuccioli. Nessuno sparò.

    Cuccioli e mamma lupa ricevettero tutta l’assistenza del caso. Ed io presi un raffreddore senza precedenti…

    Capitolo IV

    Gli Orsi

    Arrivarono. In pompa magna. Mercedes strapuntinata, vetri scuri. I primi a scendere dalla macchina furono i miei cugini: Luigi, otto anni, e Anna, cinque anni. Poi scese mio zio Emanuele. La zia Angela attese che qualcuno le aprisse lo sportello…

    Mi precipitai fuori: ero felicissima, al settimo cielo! Mia madre mi seguì, felicissima anche lei. Aveva invitato suo fratello e la sua famiglia a casa nostra ed era una settimana che i preparativi fervevano. Rosa, la tata, aveva stilato un programma dettagliatissimo per l’accoglienza ed il soggiorno; Dante, il nostro cuoco, aveva studiato una serie di menù che ci aveva propinato per giorni e giorni; Zio Cesare, che non era mio zio davvero, aveva portato dalla montagna ogni genere di formaggi; Giovanni si era occupato di tenere pulito ed in ordine viale e giardino tanto che mancava poco che non passasse anche la cera sui sassolini. Insomma, una baraonda mai vista!

    Era la prima volta che venivano a trovarci ed eravamo tutti sorridenti da giorni. La zia Angelina, a cui fu finalmente aperto lo sportello della macchina, scese con un sussiego degno di migliore causa e si stagliò con la sua mole poderosa nella luce prorompente di quel primo pomeriggio di primavera. Volse lo sguardo intorno a sé e capii che la faccenda non sarebbe andata benissimo. Avevo cinque anni…

    «Benvenuti!» cinguettò mia madre, con quel particolare sentimento che ti fa sentire immediatamente a casa. Seguirono baci e abbracci e numerose lacrime di commozione, quasi un torrente.

    La zia Angela aveva la faccia di una istitutrice tedesca che aveva appena pestato una cacca.

    «Venite, miei cari! Accomodatevi. Giovanni prenderà i vostri bagagli!» cinguettò di nuovo mia madre.

    Entrarono e Rosa, con il suo pettone fuori misura, tutta fiera e soddisfatta, li pilotò nel salone, dicendo: «Io sono a vostra completa disposizione per qualsiasi cosa i signori desiderano».

    I grandi trascorsero il pomeriggio in veranda. Io portai i miei cugini nella mia camera. In verità non era esattamente una camera: un architetto, neanche troppo bravo, in quello spazio avrebbe ricavato un appartamento con doppi servizi vista mozzafiato, ma questa è un’altra storia. Presentai ai miei cugini gli orsi. No no. Non gli orsi di peluche, gli orsi veri, cioè quegli amici immaginari che tutti i bambini hanno. Solo che i miei orsi erano, come dire, piuttosto particolari: c’era l’Orso del Papa, l’Orso di John Kennedy, l’Orso di John Lennon, l’Orso di Audrey Hepburn ecc. Proprio in quei giorni, spiegai ai miei cugini, si teneva la convention mondiale degli orsi a casa mia, nella mia camera! Erano venuti da tutto il mondo!

    Giocammo per l’intero pomeriggio, ridendo e divertendoci come matti.

    Arrivò l’ora della cena e la zia Angela decretò che prima di mangiare, avremmo dovuto prendere un bagno e cambiarci di abito. Non riuscii a capire come si potesse prendere un bagno tuttavia feci una doccia e sperai che andasse bene lo stesso. Nel frattempo i miei cugini, elettrizzati dagli orsi, raccontarono tutto alla loro mamma che, scandalizzata, preoccupata e con un‘ansia incontenibile, convocò mia madre, affermando, senza tema di smentita: «La bambina ha dei grossi problemi! Portala da un neuropsichiatra!» La bambina ero io.

    Mia madre rispose: «Oh mia cara Angela! Che sbadata che sono! Ho dimenticato di informarti che in questo periodo c’è il Meeting Internazionale degli Orsi! Vieni cara! Ti mostro la mongolfiera con cui sono arrivati. È parcheggiata nello spazio retrostante della casa. È stupenda! Devi assolutamente vederla!»

    Inspiegabilmente, il giorno dopo, partirono. Gli zii e i cugini partirono. Gli orsi rimasero. Ed io non fui visitata dal neuropsichiatra. Anzi, comprammo un dondolo per gli orsi.

    Capitolo V

    Le Vacanze di Natale

    Come ogni anno, in quel giorno preciso, i preparativi per trasferirci in montagna erano nel pieno del loro fervore. Rosa, sempre lungimirante, era pronta già da una settimana. Dante, il cuoco, invece, no: benché, anche in montagna, avesse una copia esatta di tutti gli utensili presenti nel suo Regno, sosteneva strenuamente che non era la stessa cosa. Giovanni, il nostro angelo custode,

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