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Darklight Souls. La Vista dell'Anima (Collana Starlight)
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Darklight Souls. La Vista dell'Anima (Collana Starlight)
E-book241 pagine3 ore

Darklight Souls. La Vista dell'Anima (Collana Starlight)

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Info su questo ebook

Jen e Mark stanno insieme, si amano e la loro storia va a gonfie vele. Almeno, questo è ciò che crede Jen fino al giorno in cui Mark decide di lasciarla: poche, fredde parole bastano a distruggere un rapporto che durava da anni e in cui aveva sempre creduto. Lei non riesce a crederci, eppure lo strano comportamento dell’ultimo periodo era stato un campanello d’allarme e il sospetto che abbia un’altra si fa largo nel suo cuore.
E proprio qui incontra Sam, un ragazzo che fin dall’inizio le sembra diverso dagli altri, gentile e misterioso...
Jen riceve in dono un potere straordinario, grazie al quale inizia a guardare il mondo con occhi diversi, che le permette di scorgere la verità dietro l’apparenza e di scoprire ciò che gli umani ignorano: il Male si annida ovunque e nessuno è davvero al sicuro, neanche Mark.
Jen non può arrendersi, deve trovare dentro di sé la forza per salvare chi ama e fermare il nemico, a tutti i costi.
Una storia che racchiude l’eterna lotta tra luce e oscurità in un urban fantasy che fa dell’Amore la sua forza. Si combatte per la Salvezza. Si combatte per la Verità.
LinguaItaliano
EditorePubGold
Data di uscita26 apr 2018
ISBN9788894839586
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    Anteprima del libro

    Darklight Souls. La Vista dell'Anima (Collana Starlight) - Melissa J Kat

    1

    Al di là del vetro

    La neve cadeva lieve trasformando il giardino in un soffice tappeto bianco. Era dicembre solo da pochi giorni, ma quell’anno il freddo era già pungente come in pieno inverno. Tirai la tenda della finestra e decisi di leggere un libro davanti al fuoco del camino. Non ebbi il tempo di sedermi sulla mia comoda poltrona che il telefonino miagolò annunciando l’arrivo di un messaggio. Colpa di Mark, che soltanto qualche giorno dopo averlo conosciuto mi aveva preso il telefono dalle mani per cambiare la suoneria dei messaggi in un incessante miagolio e da quella volta non l’avevo più modificata.

    Sorrisi leggendo il testo del messaggio.

    Cioccolata calda, pasticcini e film. Che ne dici? :) Arrivo da te alle 9. Baci, Mark.

    Avevo ancora mezz’ora di tempo per prepararmi, così decisi di fare una doccia veloce.

    Mark riusciva ancora a stupirmi. L’avevo conosciuto a un concerto due anni prima e dopo soltanto una settimana mi aveva totalmente conquistata. Una sera di agosto si era presentato a casa mia con un foulard con cui mi aveva legato gli occhi e che aveva sciolto solo quando ci eravamo trovati in cielo ad ammirare le luci della città su una mongolfiera. Ero rimasta senza fiato a quella vista, ancor di più quando aveva detto di amarmi e mi aveva chiesto di essere la sua ragazza.

    Mentre mi sciacquavo i capelli e ripensavo a quella sera, considerai di essere molto fortunata perché grazie a lui avevo passato due anni da favola. Mark era un ragazzo perfetto e non potevo desiderare di meglio; sempre premuroso, gentile, dolce e, soprattutto, con lui non ci si annoiava mai. Non avevo amici, ma non ne avevo bisogno, perché lui sapeva come riempire la mia vita.

    Alle nove e dieci minuti il campanello suonò, aprii la porta e Mark mi salutò con un dolce bacio.

    «Scusa per il ritardo, colpa della neve. Ma so come farmi perdonare». Appoggiò sul tavolino del salotto i pasticcini promessi e intanto che inseriva il dvd, andai a preparare due tazze di cioccolata calda.

    «Uhm, dolcetti e film potrebbero non bastare», scherzai dalla cucina, dove Mark mi raggiunse e sfilò dalla tasca due biglietti.

    «Concerto d’Inverno al Galaxy Stadium! Contenta? So che ci tenevi molto».

    «Stai scherzando? Sono anni che volevo andarci!»

    Gli stampai un bacio sulla guancia e presi i biglietti. Quel concerto era uno degli eventi più importanti in città, si esibivano cantanti internazionali accompagnati da spettacoli e scenografie eccezionali.

    «Grazie, sei un tesoro... Per questa volta sei perdonato».

    «Ne ero certo».

    Sorrise avvolgendomi in un abbraccio prima che tornassi ai fornelli.

    Il dvd era una commedia leggera e romantica, il mio genere preferito. Quel film in particolare mi piaceva per l’abbondanza di scene comiche e malgrado l’avessi rivisto almeno dieci volte, non riuscivo ancora a trattenere le risate. Appoggiai la testa sulla spalla di Mark e spostai lo sguardo sul suo viso. I suoi grandi occhi verdi erano fissi sullo schermo, l’espressione assente come se fosse distratto da altri pensieri. Solo in quel momento mi resi conto che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che stonava dalla normalità. Non era solo quell’atteggiamento, c’era dell’altro... durante la scena più divertente del film non aveva riso come faceva di solito, nemmeno l’accenno di un sorriso. Persino la postura era più rigida: stava dritto, con la schiena appena appoggiata al divano e non muoveva un muscolo. Pensai che forse qualcosa lo preoccupasse.

    «Mark, va tutto bene? Mi sembri teso... hai avuto problemi al lavoro?»

    Mark era il proprietario di un’agenzia immobiliare e ultimamente gli affari non erano andati bene, la settimana precedente mi aveva raccontato che era stato costretto a fare dei tagli al personale, tra i quali tre persone con famiglia e figli piccoli. Era stata una decisione difficile e anche se il mio ragazzo tendeva a nascondere le proprie emozioni, in quel caso avevo notato chiaramente quanto la cosa lo avesse turbato, malgrado fosse indispensabile per non far colare a picco tutta l’azienda che aveva costruito da solo anno dopo anno.

    «Sì, scusa Jen, credo di essere solo un po’ stanco. Ieri notte ho fatto uno strano incubo e non sono più riuscito a dormire. Tranquilla, va tutto bene». Solo allora si rilassò e mi strinse a sé. Restammo abbracciati fino alla fine del film.

    Quando mi alzai per spegnere il televisore ero mezzo addormentata e gli chiesi se volesse fermarsi a dormire. Capitava spesso che dormisse nel mio appartamento dato che abitava a due paesi di distanza, oltre al fatto che quando si faceva tardi era troppo pigro per guidare con il buio e il freddo. Quella sera però rifiutò l’invito senza ulteriori spiegazioni e dopo esserci salutati m’infilai a letto.

    Un vento gelido mi accarezzò la guancia, scese sulle braccia e poi sulle gambe, fino alla punta dei piedi. Era così freddo che sembrava mi fosse entrato dentro le ossa del corpo provocando un brivido intenso. Pensai che la coperta fosse caduta, ma quando aprii gli occhi vidi che non si era spostata e mi avvolgeva interamente. Osservando la mia camera illuminata dalla tenue luce della luna, ebbi la sensazione che ci fosse qualcosa fuori posto. Mi alzai per controllare se la finestra fosse chiusa male ma no, non passava nemmeno uno spiffero. Non riuscivo a spiegarmi da dove provenisse quell’improvvisa aria fredda. Anche la porta era chiusa, come al solito. Tornando a letto sbattei il piede contro lo spigolo del comodino, persi l’equilibrio e feci cadere la lampada. La riposi al suo posto e notai che al suo fianco mancava la cornice con la foto di me e Mark scattata al mare l’estate precedente. Era stata sopra il comodino per un anno, ero sicura di non averla mai spostata. Guardai per terra, cercai sotto il letto e in tutta la stanza, ma non c’era da nessuna parte. Stavo per rimettermi a dormire quando sentii un dolore acuto sotto al piede nudo e mi accorsi di aver pestato un pezzetto di vetro. Sul tappeto accanto alla finestra ce n’erano sparsi molti altri ed ero certa che appena qualche minuto prima non ce ne fosse stato nessuno. Magari potevano essere i resti del vetro della cornice. Dopo averla cercata, la vidi vuota sopra la scrivania, senza foto.

    Non aveva alcun senso. In casa ero da sola, nessuno era entrato nella mia camera e gli oggetti non potevano apparire e sparire da soli. Il cuore mi batteva come un tamburo, ero disorientata e spaventata. Un fruscio ruppe il silenzio della stanza. Avevo la sensazione che provenisse dall’esterno. Allungai un braccio per scostare la tenda. Solo in quel momento compresi di sapere dall’inizio che avrei dovuto guardare attraverso la finestra per trovare ciò che cercavo, ma ero troppo spaventata per farlo. Raccolsi tutto il coraggio che avevo, con mano tremante spostai la stoffa leggera e quello che vidi mi lasciò senza fiato.

    Al di là del vetro, un forte vento sbatteva contro la finestra la fotografia, dando l’impressione che ci fosse una mano invisibile a tenerla ferma. Era la foto di me e Mark: io sorridevo all’obiettivo, il volto abbronzato e occhiali da sole. Ricordavo che Mark quel giorno indossava il costume e i suoi occhi erano resi più chiari dalla luce del sole; ora invece, al posto suo, c’era solo una sagoma nera con due inquietanti pupille rosse...

    Urlai con tutto il fiato che avevo in gola e aprendo gli occhi mi misi seduta sul letto. Controllai il comodino, sul quale c’era il solito portafoto intatto. Era stato solo uno strano incubo.

    Tirai un sospiro di sollievo, mi alzai e mi preparai per andare al lavoro.

    La Herriet’s Books era per me come una seconda casa. Essendo l’unica libreria nel raggio di vari chilometri, vantava una notevole clientela, ma nonostante il costante afflusso di persone era sempre un luogo tranquillo e gradevole. La proprietaria era una gentile signora sulla sessantina di origine londinese; aveva acquistato la libreria assieme al marito e quando questo era morto, aveva deciso di continuare l’attività facendosi aiutare da una giovane ragazza. Avevo letto l’annuncio su un quotidiano locale, mi ero candidata e dopo averle raccontato che adoro leggere e conosco gran parte della letteratura classica e moderna, la signora Herriet fu ben lieta di accogliermi come assistente. Dopo pochi mesi avevo lasciato la casa dei miei genitori per trasferirmi in un appartamento vicino alla libreria, che raggiungevo comodamente a piedi. Mi recavo al lavoro la mattina e quando tornavo era quasi buio; in compenso ero libera per tutto il weekend. Mi aveva assunto appena avevo preso il diploma: era stato il mio primo e unico lavoro ed erano già passati quattro anni.

    Quel giorno era un venerdì per cui, dopo aver sistemato l’ultima pila di libri negli scaffali, mi preparai per tornare a casa e godermi il fine settimana. Pensai a cosa avrei potuto fare, se andare al centro commerciale o passare un pomeriggio al cinema con Mark. Stavo per infilare la chiave nella toppa della porta, quando il telefono suonò. Entrai, presi il cellulare dalla borsa e risposi alla chiamata del mio ragazzo.

    «Ciao Jen, hai già pensato cosa fare domani? Io avrei un’idea».

    In effetti qualche idea ce l’avevo, ma ero curiosa di sentire prima la sua.

    «No, dimmi pure! A cosa pensavi?»

    «Così sarebbe troppo semplice. Ci vediamo alle quattro, passo a prenderti in auto. Mettiti dei vestiti comodi e pesanti. Poi capirai, non ti dico altro!»

    Non sapevo cosa avesse in mente, ma decisi di stare al gioco: del resto adoro le sorprese e lui lo sapeva molto bene. Lo salutai e iniziai a preparare la cena. Sminuzzai le verdure per la minestra, chiedendomi dove mi avrebbe portata. Una gita in montagna? In tal caso avrei dovuto portarmi gli stivali imbottiti che avevo comprato il mese prima, aspettavo il momento giusto per inaugurarli. E il paraorecchie nel caso ci fosse stato vento freddo. E magari anche un thermos con del tè caldo, sicuramente anche lui lo avrebbe apprezzato. Decisi che era meglio indagare un po’ di più, così gli mandai un messaggino:

    Un piccolo indizio in cambio di un bacio? :-*.

    Intanto che attendevo la risposta, cenai e ripulii la cucina. Aspettavo un miagolio da un momento all’altro e stranamente il telefono non suonò. Restai alzata fino a tardi, infine mi misi a letto e fu a quel punto che iniziai a preoccuparmi. Da quando conoscevo Mark, lo sentivo quasi tutti i giorni e mi aveva sempre risposto: qualche volta in ritardo, a volte anche di notte, ma rispondeva sempre. Cercai di dormire con la certezza che avrei trovato un suo messaggio la mattina dopo, invece al risveglio non trovai nessuna notifica sul display del cellulare.

    Tentavo di convincermi che poteva non aver risposto per vari motivi, tipo che il telefono si era rotto, l’aveva perso, gli era caduto nell’acqua, gliel’avevano rubato... A quel pensiero sperai non gli fosse successo nulla di brutto. Forse ero solo troppo apprensiva, eppure c’era un angolo del cervello che mi diceva di stare in allerta.

    Alle quattro del pomeriggio indossai il giubbotto invernale sopra a un maglione di lana; in una borsa capiente avevo messo il paraorecchie e il thermos, e avevo infilato ai piedi gli stivali nuovi. Ero pronta per questa piccola avventura. L’unica cosa che mancava era Mark, non si era ancora fatto vivo né al telefono né al campanello di casa. Guardavo impaziente dalla finestra controllando il vialetto di accesso, cercando di allentare la tensione che aumentava a ogni minuto che passava.

    Finalmente, alle quattro e mezza avvistai la sua auto svoltare l’angolo e parcheggiare di fronte al cancello, cosa strana perché di solito era puntuale e tardava al massimo di dieci minuti. Lo vidi scendere e mi precipitai fuori casa, chiusi la porta e gli corsi incontro.

    «Ehi...! Hai così tanta fretta di scoprire la sorpresa?»

    Mi accolse con un lieve sorriso e mi aprì la porta dell’auto.

    «Più che altro ero preoccupata, perché non hai risposto al messaggio? Da ieri non avevo tue notizie, non sapevo più cosa pensare! Cos’è successo?»

    «Calmati Jen, sono qui», mi appoggiò la sua mano sul braccio per rassicurarmi e mentre mi sedetti in auto aggiunse: «Messaggio? Mmm... Sì, l’ho letto. Devo essermi scordato di risponderti. Scusami. Ora non pensarci più e vedrai che ci divertiremo, sarà una giornata diversa dal solito».

    Non ero totalmente convinta che andasse tutto bene, ma cercai di rilassarmi. A guardarlo sembrava essere sereno e in ottima forma, e questa era la cosa più importante. Se non aveva risposto subito doveva aver avuto i suoi motivi.

    «Ora puoi dirmi dove stiamo andando?»

    Lui svoltò l’auto verso il centro del paese e procedette con un’andatura lenta, forse a causa della neve che non si era ancora del tutto sciolta.

    «No, abbi ancora un po’ di pazienza e lo scoprirai molto presto».

    Non mi restava che attendere.

    Durante il viaggio mi tornò in mente una gita dell’inverno precedente e sorrisi a quel dolce ricordo: un piccolo albergo nel cuore di un bosco innevato, una camera dai mobili intagliati in legno chiaro, una soffice poltrona davanti a un camino acceso sulla quale ci eravamo addormentati, l’uno abbracciato all’altra. Mark aveva sempre adorato la montagna, quel giorno mi disse di preparare le valigie per una piccola fuga romantica, che si trasformò nel nostro primo ricordo più bello. La neve arrivava fino alle ginocchia, grossi fiocchi cadevano dal cielo posandosi sui suoi capelli scuri e fra le lunghe ciglia, lui con una mano la raccoglieva per scagliarmela addosso. A mia volta gliela rilanciai e, senza accorgermene, raccolsi fra la neve un pezzo di ghiaccio; quando lo colpì perse l’equilibrio e cadde a terra. Gli corsi incontro per scusarmi ma non ebbi nemmeno il tempo di chiedergli se gli avevo fatto male che per vendetta mi tirò verso di sé facendomi cadere a terra, su di lui. Scoppiammo entrambi in una lunga risata, finché il mio naso freddo sfiorò il suo, i suoi occhi si bloccarono nei miei, le labbra calde trovarono le mie, e non sentii più freddo. Fu la prima volta che passammo assieme una notte fuori casa.

    Come aveva detto, ci fermammo poco dopo. Quando lo vidi parcheggiare, notai che eravamo in piazza. A quel punto ero parecchio confusa: a quanto pareva non ci sarebbe stata nessuna gita in montagna. Lo seguii camminando al suo fianco finché non arrivammo davanti a una struttura rettangolare recintata da lastre di legno.

    «Eccoci arrivati! Oggi in centro hanno allestito una pista per pattinare sul ghiaccio, l’ho letto qualche giorno fa in una locandina e ho pensato di andarci assieme».

    «Cosa?? Stai scherzando? Lo sai che non so pattinare! Sono una frana anche con i rollerblade».

    Guardai la pista ghiacciata e la gente che scivolava elegantemente al suo interno e fui terrorizzata all’idea di entrarci con ai piedi delle lame sottili. Se Mark pensava di farmi una sorpresa, questa volta non era gradita.

    «Oook, che ne dici se invece andiamo al cinema? Ho anche un buono sconto. Aspetta, l’avevo messo in borsa...»

    Frugai nella mia enorme borsa e lui mi prese il braccio per fermarmi.

    «Jen, aspetta. So che non hai mai pattinato sul ghiaccio e questo ti spaventa, non ti ho detto nulla finora perché sapevo che altrimenti avresti rifiutato. Ma almeno provaci, ci sono io con te! Non ti succederà nulla, ti insegno io».

    Non ebbi il tempo di replicare che si era già fiondato ad affittare i pattini per entrambi. Controvoglia li infilai e mi alzai in piedi con l’aiuto di Mark. Entrammo in pista e restai attaccata al suo braccio.

    «Bene, ora prova a fare un passo più lungo scivolando in questo modo. Segui i miei movimenti».

    Cercai di copiarlo e un passo alla volta iniziai ad allentare la presa diventando più disinvolta. Dopo mezz’ora mi staccai da lui e pattinando vicini lungo i bordi della recinzione, dovetti ammettere che non era così male come avevo temuto.

    Il cielo era di un grigio argenteo, in piazza dagli altoparlanti avevano iniziato a uscire le canzoni di Natale, i lampioni si erano accesi di una calda luce accompagnati dai led colorati che addobbavano gli alberi. Stavo apprezzando quell’atmosfera piacevole quando d’un tratto mi ritrovai a terra: un ragazzo mi aveva spinta passando e così avevo perso l’equilibrio. Mi rialzai, in tempo per vedere Mark agguantare per la sciarpa quel tipo facendolo girare verso di lui.

    «Cosa credevi di fare? Hai visto cosa hai combinato? Hai fatto cadere la mia ragazza! Chiedile immediatamente scusa».

    «Mark, è stato un incidente, non mi sono fatta nulla, non serve che...»

    Come se non mi avesse sentito continuò alzando la voce.

    «Ti ho detto di scusarti con lei!»

    «Ehi, amico, che problemi hai? Non l’ho fatto apposta...», replicò il tizio intimidito.

    «Sei sordo o stupido? Ti ho detto di scusarti immediatamente, oppure io...»

    Gli occhi di Mark erano sbarrati e io ero rimasta a bocca aperta ad assistere a quella scena. La gente si era fermata e tutti gli occhi

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