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Il Quattrocento - Arti visive (42): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42
Il Quattrocento - Arti visive (42): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42
Il Quattrocento - Arti visive (42): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42
E-book395 pagine3 ore

Il Quattrocento - Arti visive (42): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42

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Nel suo momento più alto la civiltà figurativa del Quattrocento ha due polarità preminenti: Firenze e le Fiandre, che corrispondono a due visioni del mondo che dialogano, interagiscono ed elaborano un pensiero culturale che investe Spagna, Francia e mondo occidentale, nell’ambito di un Rinascimento che parla una lingua europea. È a Firenze, ad apertura di secolo, che si attua il punto di svolta per le arti figurative, con l’attitudine razionale e scientifica nella resa prospettica dello spazio e dei corpi e dunque l’introduzione di un metodo matematico per la rappresentazione, su due dimensioni, dello spazio tridimensionale. Insieme all’applicazione delle leggi della geometria euclidea, la nuova visione prospettica, sperimentata da Brunelleschi e teorizzata da Leon Battista Alberti, introduce il principio del rapporto armonico e proporzionale fra le parti e il tutto, in nome di una concezione antropomorfica dell’universo, in cui l’uomo è misura delle cose. Se l’arte italiana si distingue così per artisti di primo livello da Beato Angelico a Domenico Veneziano, da Paolo Uccello a Piero della Francesca, e ancora Donatello, Mantegna, il Pollaiolo, Filippino Lippi e Botticelli, dall’altra parte le Fiandre rielaborano la prospettiva italiana sulla maestà delle cattedrali della Francia Medievale, con una colorazione favolosa e arcana, testimoniata dalle miniature del Fouquet e dalla luminosità delle opere di Jan van Eyck e Rogier van der Weyden. In questo ebook viene così percorsa l’arte del Quattrocento intessuta nel dialogo fecondo tra l’Italia e le Fiandre, che con Petrus Christus e Antonello da Messina giungerà alla sintesi più compiuta delle due culture.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2014
ISBN9788897514640
Il Quattrocento - Arti visive (42): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 42

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    Il Quattrocento - Arti visive (42) - Umberto Eco

    copertina

    Il Quattrocento - Arti visive

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Quattrocento

    Arti visive

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alle arti visive del Quattrocento

    Anna Ottani Cavina

    Nel suo momento più alto la civiltà figurativa del Quattrocento ha due polarità preminenti, Firenze e le Fiandre, e due visioni del mondo che dialogano, interagiscono ed elaborano un pensiero culturale che investe la Spagna e la Francia e il mondo d’Occidente, nell’ambito di un Rinascimento che parla una lingua europea. Rinascimento come recupero di valori e di modelli di un grande passato, che lo storico svizzero Jacob Burckhardt selezionò e ricompose nel volume La civiltà del Rinascimento in Italia (1860). Quello studio è all’origine della moderna riflessione sul mito del Rinascimento e sull’immagine programmatica che il Quattrocento ha voluto dare di sé, un’immagine polemicamente ribelle e insieme innovatrice, dove la rinascita ideale è posta sotto il segno di un ritorno all’antichità (Eugenio Garin, Introduzione a J. Burckhardt , La civiltà del Rinascimento in Italia , 1955).

    Firenze, lo spazio prospettico

    È nella città di Firenze che, ad apertura di secolo, si attua il punto di svolta. Per le arti figurative, esso presuppone un’attitudine razionale e scientifica nella resa prospettica dello spazio e dei corpi e, dunque, l’introduzione di un metodo matematico per la rappresentazione, su due dimensioni, dello spazio tridimensionale.

    Insieme all’applicazione delle leggi della geometria euclidea, la nuova visione prospettica, sperimentata da Brunelleschi e teorizzata da Leon Battista Alberti, introduce il principio del rapporto armonico e proporzionale fra le parti e il tutto, in nome di una concezione antropomorfica dell’universo, in cui l’uomo è assunto a misura delle cose.

    È ovvio che tutto questo si gioca nella persistenza di un’altissima civiltà antagonista tardo-gotica e nella realtà di intrecci culturali che non consentono periodizzazioni schematiche.

    Contrario ai parallelismi forzati con i diagrammi della storia (politica, economica, sociale), un grande storico dell’arte, Federico Zeri, poneva invece una domanda paradossale e provocatoria, chiedendosi brutalmente Il Rinascimento, quanto dura?. Per concludere poi, nel suo modo di ragionare spiazzante, ma molto vicino alla verità, che a Firenze nel 1430 tutto, di quello che è il cuore del pensiero rinascimentale, era già stato formulato ed espresso: allo scadere dell’anno ’30, Filippo Brunelleschi e Donatello avevano già prodotto i testi più significativi, Masaccio era già morto…morto… era già stato indicato tutto ciò su cui, nei decenni successivi, si eserciterà la rielaborazione, l’innesto, la variazione tematica (Federico Zeri, Premessa, in La Pittura in Italia. Il Quattrocento, 1987).

    In altre parole, è su quel ceppo iniziale di razionalità che cresceranno la visione incantata di Beato Angelico e il cromatismo aristocratico di Domenico Veneziano, le geometrie immaginarie di Paolo Uccello stregato – scriveva Ennio Flaiano – dalla trigonometria degli spazi invisibili (Ennio Flaiano, Paolo Uccello, 1971), e il sublime, matematico intellettualismo di Piero della Francesca (Zeri). Senza dimenticare, nel panorama screziato dell’arte fiorentina, le molte declinazioni del termine prospettiva, che esalta l’accordo con il dato luminoso – nella pittura di Domenico Veneziano, Paolo Uccello, Fra’ Carnevale, Andrea del Castagno, Piero della Francesca – o porta alle estreme conseguenze una vocazione illusionistica e proiettiva – Donatello, Andrea Mantegna, Melozzo da Forlì – o invece si ritrae, nel secondo Quattrocento, di fronte al disegno espressivo e antiplastico di Pollaiolo, Filippino Lippi, Sandro Botticelli.

    Il mondo del Nord. La Francia, le Fiandre

    Stiamo parlando di una cultura figurativa altissima che è soprattutto cultura di città, perché uno degli elementi unificanti della civiltà del secolo XV è la dominante urbana, l’essere la città il centro di un sistema di potere che spesso coincide con lo Stato. Accade soprattutto in Italia, dove il Rinascimento ha connotazioni diverse in rapporto ai territori geografici, ma dove comunque risaltano, accanto a Firenze, alcuni grandi centri urbani di elaborazione artistica, in primo luogo Milano e Venezia, ma anche Urbino, Padova, Mantova, Ferrara, Napoli, Genova.

    Molto presto, dunque, in Italia, entro una costellazione di città-signorie, si va elaborando una concezione dello spazio fondata sulla prospettiva e su una visione strutturale e di sintesi.

    Al di là delle Alpi, invece, dalla Francia alla Germania alle Fiandre, il cambiamento privilegia piuttosto la resa analitica di un microcosmo del quale si celebra la verità lenticolare e mutevole.

    Spazio italiano, ambiente fiammingo di Cesare Brandi (1960); Prospettiva italiana e microcosmo fiammingo di Enrico Castelnuovo (I Maestri del Colore, n. 259, 1968) sono due titoli, fortunati, che hanno cercato di sintetizzare due mondi per poi raccontare la loro attrazione reciproca, e segnalare strategie parallele nel contrapporre alla bellezza forestale del gotico (Roberto Longhi), verticale ed eccessiva, un nuovo ideale rinascimentale in cui la bellezza si definisce in rapporto alla regola, al canone, in modi però profondamente diversi, che rendono ricca e complessa la storia della nuova comunità artistica europea, negli anni fra il 1440 e il 1460.

    È allora che la sintesi prospettica di forma e colore (di ascendenza toscana) conquista le Fiandre, gli Stati del re d’Aragona e il Regno di Francia, dalla Provenza alla Loira.

    Ma poiché la prospettiva è solo uno strumento, o meglio una forma simbolica, o ancora una poetica dello spazio, il grande artista francese Jean Fouquet – che in Italia è documentato nel quinto decennio del secolo – la utilizza per esprimere un mondo diverso da quello rigorosamente geometrico della Toscana, recuperando nelle sue immagini la maestosa staticità delle grandi figure di pietra delle cattedrali gotiche, il loro volume, la loro pace (Giuliano Briganti, Jean Fouquet, in Racconti di storia dell’arte. Dall’arte medievale al neoclassico , a cura di Luisa Laureati Briganti, 2002). In altre parole, riversando nella spazialità più moderna e prospettica (di derivazione italiana) lo stile monumentale dei costruttori francesi del Medioevo.

    In questo modo, accanto al segreto italiano, Fouquet introduce nel Rinascimento europeo una colorazione favolosa e arcana che emerge anche nelle sue miniature: la visione di quei castelli appena costruiti, di pietra chiara e con i pinnacoli di ardesia, cinti dall’acqua ferma e ombrosa del fossato; quelle città fitte di case che appaiono dietro le mura in mezzo alla vasta pianura coltivata, chiusa all’orizzonte da una cerchia di colline azzurre; quelle strade cittadine, di case borghesi ben costruite, con le crociere di legno appena piallato e l’intonaco ancora fresco, percorse dai cavalli ingualdrappati dei corteggi reali fra i colori araldici delle divise dei paggi e degli arcieri (Giuliano Briganti, Ibidem).

    L’Italia, la Francia e, all’interno della stessa produttiva dialettica, la polarità delle Fiandre: i grandi pittori di Bruges e di Gand, il Maestro di Flémalle (Robert Campin), Jan van Eyck, Rogier van der Weyden, la cui intensità luminosa, la nitidezza ottica e la narrazione analitica incontrano la forma astraente del Rinascimento italiano o, per usare le parole di André Chastel, la sua analisi cristallografica dello spazio. Fino ad attingere, con Petrus Christus nel Nord e con Antonello da Messina in Italia, quella sintesi fra le due culture che mai più toccherà quei livelli stellari.

    Il prestigio dell’artista

    Il secolo XV è di quelli che non si esauriscono mai perché infinite sono le angolazioni attraverso le quali leggere mutamenti e conquiste, il rapporto tra arte e umanesimo, l’incidenza del pensiero neoplatonico, la contiguità fra arte e scienza, i classici e la natura, il riscatto sociale dell’artista.

    E dove l’aspetto più radicale sta forse nell’aver infranto recinti e frontiere, nell’avere riconosciuto all’artista quella funzione di esploratore nei campi separati del sapere (matematica, geometria, anatomia, ottica) che gli avrebbe permesso di dominare, attraverso la forma organizzata, il mondo oscuro dei fenomeni (A. Chastel, Arte e Umanesimo a Firenze, 1964).

    Un artista che, al di là delle sue conoscenze tecniche specifiche, si misura con la dimensione scientifica, filosofica, umanistica delle corti signorili, accanto a letterati, poeti, filologi, matematici, filosofi. Un artista che, nel Quattrocento, è artefice di una promozione e di un prestigio mai prima di allora raggiunto.

    È dunque un secolo di innovazioni e di grande, sublime poesia, che ha esercitato un’attrazione irresistibile negli anni del decadentismo europeo, da Joris-Karl Huysmans a Joséphin Péladan (personaggio esoterico dell’età simbolista) a Walter Pater a Marcel Proust, letterati che andavano in cerca non tanto della storia reale quanto di un clima entro cui proiettare ricreazioni fantastiche e ardite insinuazioni di un fremito tutto moderno (Mario Praz, Introduzione a W. Pater, Ritratti immaginari, 1980), ai confini con l’autobiografia, e che nella pittura di Sandro Botticelli, nelle sue Veneri pallide, sfiorate dalla malinconia, immaginavano tangenze romanzesche con il male di vivere e il senso di smarrimento della civiltà contemporanea di fine Ottocento.

    Il gotico internazionale

    Lo stile della Francia cortese

    Milvia Bollati

    I regni di Carlo V e di Carlo VI di Valois segnano per la vita artistica della corte di Francia una stagione felicissima di opere e committenze alle quali è affidata, in non piccola parte, l’affermazione di uno stile prezioso e colto che ben presto si impone come modello anche per altre corti europee.

    La committenza di corte

    La morte di Carlo V di Valois non segna una rottura nella politica mecenatistica della corte, che prosegue con immutata vitalità. Artisti già al servizio del sovrano, come André Beauneveu, trovano nel duca Jean de Berry uno degli interlocutori privilegiati. Il duca non esiterà a circondarsi di alcuni tra i maggiori artisti del suo tempo, tra cui Jean le Noir e il Maestro del Paramento di Narbonne.

    Quest’ultimo deriva il suo nome da un paramento liturgico in seta dipinto a grisaille con le Storie della Passione (Parigi, Louvre, inv. M.I.1121), parte dell’arredo dell’altare di una cappella. A lato della Crocifissione, entro due strutture ad arco, sono i due committenti inginocchiati, Carlo V e Jeanne de Bourbon. Una sottile e traforata architettura gotica fa da cornice alle storie e il racconto, che inizia con un affollato Tradimento di Giuda, si conclude con l’Apparizione di Cristo alla Maddalena. Il tutto svolto con una linea ritmicamente modulata con soluzioni di grande eleganza grafica, esaltate dall’uso sapiente della grisaille.

    La committenza di corte si indirizza con pari interesse sia verso splendidi manoscritti miniati, soprattutto testi liturgici, libri d’ore e salteri, sia verso dipinti, oreficerie, arredi liturgici. Fra i manoscritti sono celebri i codici commissionati dal duca di Berry, o l’ancora più celebre Bible Historiale di Carlo V (Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 5212), miniata nel frontespizio da Jean Le Noir, allievo di Jean Pucelle, e poi donata da Carlo VI a Jean de Berry, come risulta nell’inventario della biblioteca ducale redatto nel 1413. Dipinti, oreficerie e arredi sono tutti improntati, nella scelta dei materiali e nella declinazione dei motivi, a uno stile che assume via via le forme più esuberanti e complesse del gotico rayonnant.

    Tendenze analoghe si affermano anche nell’architettura. Nel 1380 ha termine la costruzione del castello di Vincennes (Île-de-France), avviato nel 1361, vero esempio di sintesi tra architettura e decoro in scultura, al pari della Sainte-Chapelle del castello, voluta già da Carlo V, ed eretta per iniziativa di Carlo VI a partire dal 1388. L’arredo scultoreo, anche se non completato, mostra una non comune elaborazione di temi che sviluppano, attorno all’immagine centrale della Trinità , la serie dei nove cori angelici secondo la definizione dello Pseudo Dionigi.

    Oreficerie e smalti en ronde bosse

    Carlo VI si prodiga per accrescere la già ricca collezione ereditata dal padre e si fa continuatore e promotore di alcune iniziative, prima fra tutte il completamento dei lavori nella residenza di Vincennes. È munifico di doni anche verso conventi e abbazie: un reliquiario della Santa Croce all’abbazia di Saint-Denis, una croce argentea per la cattedrale di Notre-Dame e uno splendido calice in oro e smalti traslucidi che reca una bella iscrizione dedicatoria in latino e in greco, donato, nel 1411, al monastero di Santa Caterina del Sinai.

    La devozione del principe trova espressione in modo particolare in gioielli d’oro smaltati di bianco, en ronde bosse (tecnica che consiste nell’applicare la pasta vitrea su oggetti lavorati a tuttotondo o fortemente rilevati). Una produzione parigina che vanta opere celebri, presto imitate anche da orafi non francesi. Si tratta di una tecnica innovativa, sperimentata già a partire dalla metà del Trecento e che raggiunge, alla fine del secolo, effetti di insuperata bellezza nelle superfici smaltate di bianco, verde, blu e rosso traslucido. Questi oggetti sono spesso ornati con perle e pietre preziose.

    Documentati in gran numero negli inventari dei tesori di corte, se ne conservano oggi solo pochi esempi, come la Trinità (Parigi, Louvre, inv. MR 552), dono di Jeanne de Navarre al figlio Jean V, duca di Bretagna. La figura di Dio Padre – manca il Figlio –, della Vergine e dei santi sono tutte ospitate entro nicchie sovrapposte a formare un’architettura con archi trilobati, guglie e pinnacoli che gioca a emulare il vocabolario architettonico delle cattedrali. Altrettanto celebre è il Trittico (Amsterdam, Rijksmuseum, inv. RBK 17045) con al centro la figura del Cristo in pietà, sorretto da un angelo, replicato nella cosiddetta Pace di Siena (Arezzo, Museo diocesano, inv. 74). All’immagine della Pietà, realizzata en ronde bosse, si affiancano nelle valve laterali del trittico le figure dei due dolenti con due angioletti che recano i simboli della Passione, eseguite con la tecnica dello smalto detto en basse taille (tecnica che vede applicare su un motivo inciso o a rilievo leggero uno strato di smalto colorato trasparente).

    Vero capolavoro delle officine orafe parigine è il cosiddetto Goldenes Rössl, ovvero cavallo d’oro, alto 62 cm, conservato nel tesoro della cappella di Altötting (Baviera), dono di Isabella di Baviera al marito Carlo VI in occasione del capodanno 1405. Il sovrano, vestito della sua armatura sotto il manto azzurro a gigli dorati, è inginocchiato in preghiera alla presenza della Madonna con il Bambino e di alcuni santi, Caterina, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, accompagnato da un cavaliere che esibisce il cimiero reale e da un valletto che tiene a freno il cavallo del re. Due angioletti, sullo sfondo di un traliccio dorato e impreziosito da perle e pietre, incoronano la Vergine. Una composizione che ricorda quella di un gioiello perduto, ma noto fortunatamente da un disegno conservato al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco (inv. MA 2607), con la coppia reale, Isabella e Carlo VI, presentati dai santi Giorgio ed Elisabetta alla Madonna con il Bambino, coronata da due angeli. È probabile che anche questo gioiello-reliquiario fosse stato realizzato dalla stessa bottega orafa parigina.

    Tra devozione e spiritualità: il tema della Pietà

    Probabilmente dipinta da JeanMalouel, la Pietà del Museo del Louvre (inv. M.I. 692) reca sul verso le armi del duca di Borgogna Filippo l’Ardito. La figura esangue del Cristo vi appare sorretta, con invenzione iconografica assolutamente originale, da Dio Padre. Un gruppo di angioletti dolenti si stringono attorno alle due figure, mentre Maria si avvicina al Figlio, sostenendone il braccio, e Giovanni, poco discosto, non riesce a nascondere le lacrime. Spesso l’immagine è utilizzata come aiuto alla contemplazione devota e alla meditazione.

    Si tratta di piccole tavole, altaroli o anche libri d’ore, che accompagnano i laici nella recita quotidiana dell’officio. Uno dei temi privilegiati dalla devozione dei laici è proprio quello del Cristo in pietà, che gli artisti della corte dei Valois elaborano in vista anche di un coinvolgimento emotivo del fedele. All’immagine di Gesù, sorretto da Maria e da Giovanni, come già nel trittico di Chartres (Musée des Beaux-Arts, inv. 2886), si sostituisce la figura del Cristo presentato alla venerazione da due angeli, un’iconografia che a partire dalle Très Belles Heures de Notre -Dame di Jean de Berry (Parigi, Bibliothèque nationale, ms. Lat. 3093, f. 155r) è destinata a grande fortuna nell’ambiente parigino di Carlo V e Carlo VI. Nel dipinto di Jean Malouel al Louvre assistiamo a un’ulteriore variazione. Il tema della Pietà offre lo spunto per un’immagine trinitaria, ma non solo. L’accento è posto contemporaneamente sul sacrificio del Figlio, sull’offerta del Padre e sulla compartecipazione di Maria come coredentrice dell’uomo. Un’immagine per certi versi analoga è quella offerta, intorno al 1430, dal miniatore delle Grandes Heures de Rohan (Parigi, Bibliothèque nationale, ms. Lat. 9471, f. 135r). Giovanni sostiene la Vergine, il suo corpo piegato, le braccia tese verso il Figlio, adagiato sulla terra, il corpo livido e irrigidito nella morte. Il suo sguardo è rivolto a Dio Padre che appare benedicente tra azzurri serafini. È una coinvolgente rilettura sul tema dello svenimento della Vergine e della deposizione dalla croce, una meditazione per immagini destinata ad accompagnare e a sollecitare la preghiera. Capolavoro della maturità dell’artista, le Grandes Heures de Rohan nascono lontano da Parigi, nell’ovest della Francia. Anche per il Maestro delle ore di Rohan, come per molti suoi contemporanei, la carriera in anni così difficili, segnati dalla guerra dei Cent’anni, è destinata a chiudersi lontano da Parigi, nell’Anjou.

    Rimandi

    Volume 38: Il Regno di Francia

    Volume 38: L’ascesa della Borgogna

    Volume 41: Boiardo e il poema cavalleresco

    Praga e la Boemia da Carlo IV a Venceslao

    Milvia Bollati

    La corte boema conosce negli anni di regno di Carlo IV del Lussemburgo, del figlio Venceslao IV e successivamente di Sigismondo, ultimo rampollo della dinastia, una stagione artistica particolarmente feconda che fa di Praga una delle città europee più vivaci e colte. I modelli del gotico si diffondono nell’accezione elegante del Weicher Stil, mentre nuove imprese architettoniche, dal castello di Karlstein alla cattedrale di San Vito, vanno ridisegnando il volto della città.

    Carlo IV

    Educato alla corte di Francia, il futuro Carlo IV, re di Boemia, ha l’occasione di conoscere anche la cultura delle corti dell’Italia padana in uno dei suoi viaggi nella penisola. Il fascino che l’arte delle corti esercita sul giovane principe non è senza conseguenze. Artisti italiani vengono, infatti, chiamati a prestare la loro opera e il loro talento in Boemia e oggetti d’arte, usciti dalle botteghe di maestri italiani, sono ambiti dal collezionismo del re e del suo entourage.

    Nel 1344 Praga diviene sede vescovile per volere di papa Clemente VI, già precettore del giovane re alla corte di Francia. Subito

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