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L'Oro del Dragone
L'Oro del Dragone
L'Oro del Dragone
E-book380 pagine4 ore

L'Oro del Dragone

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Info su questo ebook

Alex Dal Molo è un avvocato civilista di quarantacinque anni, sposato, una figlia, la passione per il tennis.
Dopo più di vent'anni di professione una sorta di inquietudine, tuttavia, comincia ad insinuarsi ed a pervaderlo.
Come se la relativa tranquillità del suo lavoro non fosse più in grado di nutrire la sua curiosità.
Ma è proprio quella specie di noia e fastidio per l'ordinarietà dei casi che affronta che costituisce la calamita per la svolta nella sua vita.
Come se avesse chiesto l'avvento di una novità, capace di dare una qualche risposta alla sua domanda di soddisfazione.
E la risposta a quello che chiedeva arriverà attraverso Umberto Grimaldi, un collega aristocratico.
Sotto forma di un caso tanto incredibile quanto reale.
Quello portato dal Dott. Steiner, un ricco ex imprenditore dell'industria tessile austriaca, che mostrerà ai due avvocati documenti risalenti agli anni trenta.
            Un caso che costringerà Alex ad indagare nelle pieghe della Storia, in vicende nascoste alla conoscenza comune, manipolate e indirizzate da interessi superiori, intoccabili.
            Guidato dal suo scetticismo ma animato dalla volontà di rompere finalmente un muro, di avere un caso che lo trascini nelle indagini, Alex penetra, in modo talvolta apparentemente casuale, nei meandri del racconto, fino a fare la conoscenza di “Mr. Xing”, il Procuratore della White Dragon Society, mentre il suo collega Umberto, attratto dal miraggio dei milioni di dollari, gioca invece una pericolosa e sporca partita di tradimento,
             Quell'iniziativa solitaria, intrapresa senza che Alex sappia qualcosa, porterà però l'avvocato Dal Molo al centro assoluto della storia.
Alex, ultimando la sua paziente ricerca dei tasselli del puzzle, apprende gli ultimi determinanti dettagli rivelatigli dal Procuratore del Dragone e li incrocia con quanto riferitogli dal misterioso Monsieur Delacroix. Ma chi è in realtà Delacroix?
Attraverso i pensieri di Alex, le sue suggestioni, le immagini che affollano anche metaforicamente il viaggio dentro il caso dell'Oro perduto, nell'intersecarsi dei personaggi facciamo un viaggio insolito che – anche attraverso un mondo personale, quello di tutti noi, fatto di lavoro, dubbi, speranze, amore ed entusiasmi -, si scontra con la versione ufficiale di alcune pagine della Storia.
Spiazzante, inconsueto, inverosimile. 
            Il parallelismo saltuario con il tennis accompagna, come un sottile fil rouge, molti frangenti del racconto e diventa espediente derivato dalla passione del protagonista per sondare la psicologia di un personaggio o per dare enfasi concreta ad un concetto.
Il mistero di una storia e l'imprevedibilità del Caso si intrecciano in un gioco fortuito e pericoloso di domande e risoluzioni.
Ma la vera risposta è che ogni nostro desiderio può realizzarsi. Per tornare sempre a chiederci il conto.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2018
ISBN9788869826474
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    Anteprima del libro

    L'Oro del Dragone - Alex Molinari

    pregiudizievole.

    Desidero dire GRAZIE:

    a Marina, mia moglie, per esserci sempre, in ogni suo gesto, pensiero e condivisione di questa vita;

    a Matilde, perché bellezza e luce accompagnino sempre il tuo cammino;

    ai miei genitori, per essere ancora qui con il loro amore;

    a Mariuccia, che sicuramente sta leggendo con commozione;

    a mio fratello, che ha capito senza troppe parole;

    a Diane Le Dean, per la partecipazione emotiva, per averci creduto prima di me e per l'inestimabile, unica e paziente opera di editing, tra i punti di sospensione...;

    a Chris Brown, che, dal mondo downunder, ha compreso al volo questa improbabile storia, ispirandomi per la trama con preziosi consigli scenici;

    a quell'orso burbero di Riccardo, collega di studio per molti anni;

    agli amici che hanno ascoltato una storia singolare, senza giudicare.

    A quelli che hanno giudicato senza conoscere va, infine,

    la mia gratitudine per avermi rafforzato.

    E poi, un grazie al Caso, alla Fortuna, alla Provvidenza,

    agli Dei di tutti i tempi ed al Dio che possiamo trovare in noi.

    I pescatori sanno che il mare è pericoloso e la tempesta terribile, ma non hanno mai trovato questi pericoli, una ragione sufficiente per restare a riva.

    Vincent van Gogh

    Prefazione

    La storia che andrete a leggere è certamente frutto della mia fantasia.

    Ma trae origine da un caso professionale vero.

    Sappiamo bene che la fantasia ha al suo arco talvolta frecce meno acuminate e ficcanti della realtà.

    Di una realtà che si nasconde agli occhi di tutti coloro che non cercano risposte e che poche domande si pongono.

    Il mio mestiere di avvocato, mi piace definirlo mestiere per riconoscergli la dignità dell'artigiano, della fatica e della passione, mi ha portato attraverso alcuni casi insoliti, vivendo esperienze singolari e vicende inusuali. Talvolta surreali.

    Da una di queste è nato lo spunto per L'Oro del Dragone.

    Molti, sono sicuro, si domanderanno quanto c'è di vero e quanto di inventato.

    Ma, come sottolineato all'inizio, è la domanda meno appropriata.

    Questo è soprattutto un viaggio tra le domande, tra le supposizioni, tra le illusioni. Se volete è una tensione verso l'ignoto, verso una soddisfazione, non tanto materiale, ma più profonda, che pesca nell'oscurità di alcuni eventi.

    L'Incognito è tutto ciò che non conosciamo.

    Ma è anche il motore che ci determina a tentare di dominare la nostra inevitabile incompletezza, spingendoci a fare qualche passo, più o meno coraggioso, talvolta temerario, eppure inspiegabilmente necessario verso una conoscenza. O una consapevolezza.

    La mia speranza più vera è che nessuno mai si arresti sulla riva di una comoda e tranquilla pigrizia, che non ci si stanchi mai di incitare i nostri figli alla curiosità verso le miriadi di domande che aspettano di trovare soddisfazione.

    E tutto questo avrà un valore, più di ogni Oro, soltanto se un giorno o l'altro saremo finalmente consapevoli di non sapere in realtà nulla e di non dovere, in realtà, cercare le verità unicamente all'esterno di noi stessi.

    Alla fine, finzione e realtà si mescoleranno, creando la nostra storia, la mia, la vostra, quella di ogni essere.

    E questa è appunto una vicenda dove i confini tra il vissuto ed il romanzato, tra ciò che accade e ciò che può accadere, sono labili, eterei, sfumati.

    Ma non per questo meno veri.

    Buona lettura.

    Alex Molinari

    1.

    Set Point

    Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso.

    C’è sempre e solo l’io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti.

    Il ragazzo dall’altro lato della rete: lui non è il nemico. E' più il partner nella danza.

    Lui è il pretesto o l’occasione per incontrare l’io. E tu sei la sua occasione.

    Le infinite radici della bellezza del tennis sono auto-competitive.

    Si compete con i propri limiti per trascendere l’io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti: trascendi: migliora: vinci.

    Ecco la ragione per cui il tennis è l’impresa essenzialmente tragica del migliorare.

    E crescere.

    David Forster Wallace

    Set point.

    Le immagini scorrono confuse dall'ora tarda.

    Questa slovacca non è niente male.

    Intendo, non che il dritto le manchi o difetti di grinta, ma è proprio un bel vedere.

    Per il resto, odio questo palleggiare all'infinito con grugniti da pornostar.

    Guardo quindi questa partita solo per accompagnarmi nel sonno. Ho finito appena di leggere un libro di David Foster Wallace e penso: Dio, quanto questo scrittore ha afferrato della magia di questo gioco!

    Solo che qui di magia non ce n'è proprio. Nell'arco di due set non ho visto un drop shot – una smorzata -, né un rovescio di taglio, in slice.

    Chiedere a queste due tenniste una demi volée è come chiedere a un boscaiolo di scolpire come Fidia.

    Ma cosa inculcano nella mente a queste giovani figlie seriali dell'accademia di Nick Bollettieri?

    Vorrebbero emulare Andrè Agassi con il gonnellino e impugnano il ferro del mestiere come un fabbro pronto a forgiare gli zoccoli di Bucefalo, il destriero di Alessandro Magno.

    Nel mio interloquire notturno mi dico anche che non mi importava niente che quella discussa famosa tennista degli anni '80 fosse o non fosse lesbica. A nessuno dovrebbe importare. Quello che contava era per me il suo stile in campo. La amavo perché rischiava.

    Veniva a rete a cercarsi il punto. Direi la gloria. Sembrava avesse fame di vita.

    Ecco, lei e i giocatori come lei io li adoro.

    Sempre avanti. Dammi delle sacrosante emozioni. Oppure sei uguale agli altri. Un travet del tennis.

    Robotizzati dai mantra dei trainer, stay focused, believe in your game, move your brain, e simili frasi fatte del mondo dei guru coach. Indottrinamenti e litanie didattiche motivazionali. Per lo più banali, se l'estro non sostiene il tuo gioco.

    Ma dai!!! Fammi vedere che la fantasia non l'hai solo su quella improbabile maglietta multicolor.

    Voglio che tu rischi il conto della partita, che ti allunghi con l'ultima scaglia d'unghia per arrivare su quel passante.

    E che ti tuffi anche.

    Chiaro, sul campo di cemento ti farai male, ti sbuccerai, infatti non si chiama hard court per motivi pruriginosi. Tanto duro che se è di quelli anche più lenti, magari con il fondo zigrinato, ti regalerai un'originale abrasione, con la scritta WTA oppure OPEN tatuata per un bel po'.

    E invece no.

    Queste menano fendenti di sciabola entrambe.

    Belli potenti, ma in egual misura e nerbo. Ad annullarsi.

    Un gioco allo specchio. Mi sto quasi innervosendo.

    Capisco a poco a poco che questa ostentata potenza non può far male. Perché per far uso della forza ci vuole intelligenza.

    E queste vigorose tenniste non la dosano sapientemente, come una ricetta per uno splendido dolce. Se sbagli la dose, sei del gatto e non esce il gâteau che volevi. 

    Come al solito, rimpiango Johnny Mac.

    Si, dai, forza, trovami uno, uno qualsiasi nel mondo, anche uno che odi il tennis, che abbia sbadigliato di noia ad un match di John McEnroe.

    Se esiste un essere così, allora, non può che appartenere alla categoria dei normalizzati dal sistema, degli espiantati dell'anima, dei ciechi di emozione dinanzi ad una tela di Caravaggio. Sono gli uomini senza curiosità.

    Ho imparato a diffidare di chi non ama approfondire, dubitare della realtà, arrendersi alle apparenze. In genere sono soggetti tendenti all'apatia, bulimici del prodotto preconfezionato, sintonizzati prevalentemente su serie tv, soap, intimoriti dal differente, distanti da un colpo d'ala come mortificati da una botta di antidepressivo.

    Mentre questo gioco stucchevole continua e lo sparacchiare di racchette flagella ad ogni colpo la sensibilità del dio del tennis, nel suo monocorde bum bum bum, non mi accorgo di addormen-tarmi sul divano.

    Mia moglie e mia figlia riposano serene di là, conoscendo la mia notturna passione per il tennis.

    Fantasticando di chiudere io il match con un clamoroso tweener lungo linea, chiudo gli occhi con l'ultimo lampo blu digitale del campo in cemento che si stampa nella mia retina.

    Non prima di dirmi: beh, questo sarà anche il vostro tennis. Non il mio. Io gioco differente.

    2.

    Spirali di fumo

    Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l’aria ai nostri polmoni.

    Tiziano Terzani

    Dormono le mie speranze. Dormono le fatiche che sto compiendo in questo periodo.

    Sono un avvocato. Oppure. Faccio l'avvocato.

    Ho quarantacinque anni e quindi ora o mai più.

    Nel senso che devo trovare il modo di uscire dal labirinto in cui quasi trent'anni fa mi sono volontariamente addentrato.

    Gli ideali sono stati forti e come tali ti spingono fino sull'orlo del precipizio che tu non puoi scorgere dietro il dosso.

    Perché un giovane uomo, sano ed entusiasta di quello che gli riserverà il domani, debba affidare il senso della sua vita ad una professione che offre tutto meno che certezze, è un rompicapo per molti incomprensibile.

    Bisogna ogni tanto non curarsi delle conseguenze di ogni singolo passo, di ogni incontro che porterà clienti, di qualunque chance che possa migliorare la tua condizione di lottatore sul ring della professione. Alla ricerca di qualcosa, di chi o di un evento, che placherà il demone dell'insicurezza materiale connaturata a questa professione. Come il giorno perduto per impegni improduttivi, la sicumera del cliente che ti sbatte in faccia la sua arroganza, la presunzione di molti colleghi. Che devi educatamente incassare o su cui devi glissare.

    Perché anche qualora tu non fossi di quella pasta, potresti diventare anche peggio allorché il tuo personale vaso di Pandora venisse scoperchiato.  E allora, venti e saette si liberano e si librano a colpire, in modo ecumenico, il primo parafulmine inconsapevole nel raggio di un'occhiata.

    È in quelle occasioni, fortunatamente rarissime per la mia salute ed il rispetto di me stesso, che il mio dosatore di sopporta-zione va in tilt. Come il flipper dei vecchi bagni al mare o come un relais sovraccarico.

    È però una fortuna esplodere ogni tanto. Togli il tappo e puoi ripartire senza quell'oppressione di cose non dette. Mi capita di far fuoriuscire tutto questo gas nervoso quando mi accorgo e realizzo che vengo considerato soltanto come uno strumento.

    È questo il punto. Le convenzioni ci imporrebbero di tollerare un colpo di maleducazione, di protervia o prepotenza, con armi risibili. Fai un sospiro, un sorriso, un non ti curar di loro.  Dantescamente.

    E l'ho fatto anch'io per tanti anni.

    Con il salvataggio periodico dello spurgo di furia vomitato in faccia all'incauta persona, causa prossima ed ultima.

    Ecco, il soggetto che innesca la reazione liberatoria è però fondamentale per l'equilibrio ritrovato. Ed in quei casi dovrem-mo, se non esprimergliela, avere gratitudine per quel soggetto sfortunato, vittima più o meno innocente dei nostri geyser. Perché è lui lo strumento che ci riconduce alla pace con l'orbe terrac-queo, dopo il sisma delle nostre intemperanze.

    Come in una tragedia greca in cui i personaggi impersonano un principio, incarnano un concetto ed entrano nella trama per dipanare e dare un nuovo senso.

    E torna il sereno solo dopo che il deus ex machina è calato nella travagliata vicenda per fugare le nebbie, gli asti e gli attriti dall'equivoco originati.

    Così mentre la pressione del boa mentale diminuisce, sibila il fumo tra le sue spire decontratte.

    C'è sempre un principio, un nuovo iniziare, o si tratta invece di un proseguire, come fluttuati in una spirale del corso degli eventi che torrenteggia inevitabile? Ed è inevitabile?

    Come sono arrivato qui, ora, creando questa trama davvero singolare ed intricata?

    Ho perso forse di vista un sentiero diritto, in cui potevo vivere con dignità e tranquillamente impegnarmi in un lavoro di ricerca clienti, esecuzione, battaglie legali più o meno ordinarie? Senza portare il mio soma a caricare pesi ponderosi, evitando tentativi infiniti di cogliere apparenti occasioni di crescita professionale ed economica?

    Ma la domanda, la DOMANDA, Sirs, è: quanto di quello che hai fatto ti rappresenta? Sei stato sempre TU quando ti sei infilato in casi complicatissimi, al limite del credibile, quasi surreali, oppure agivi indossando il costume dell'avvocato all round, del legale sulle barricate di storie spinose?

    Ho agito per quello che sono – eppoi saperlo chi sono -  oppure ho interpretato una parte che ho accettato senza discutere troppo? Attirato magari da qualche guadagno?

    You cannot be serious. Si, sono serio invece. È giunto il momento improcrastinabile.

    E così sono arrivati giorni in cui mi sono posto davanti allo specchio e me lo sono domandato.

    E quei giorni si sono materializzati perché si è presentata l'avanguardia della QUESTIONE: cosa stai facendo?

    Che si concreta nel corpo con sensazioni di de-realizzazione, perdita di interesse per i tuoi impegni lavorativi, stanchezza e noia per quel percorso che non sai dove porterà. Una sorta di crisi di panico.

    E ti giustifichi anche dicendoti che la gran parte del mondo vive così e bisogna adattarsi alla strada che ci è stata affidata, alla particina al gran ballo che devi interpretare.

    E in verità non sono nemmeno una consolazione, sono di una falsità evidente perché luogo comune stracciato e liso.

    Figuriamoci quando si tratta di noi stessi ad essere sotto la carica della Crisi!

    DOVERE?? Faccio una fatica notevole all'inizio solo che ad accettare che...devo accettare. Si, devi accettare che questo è il campo di battaglia. Ok.

    Stiamo introducendoci alla conoscenza di un demone, di un'altra parte di me, di ognuno di noi, tra quelle evidentemente non conosciute. Crisi di mezza età?

    E come quando stai per incontrare una persona mai vista prima, sei anche curioso di una relazione nuova, di un rapporto potenziale con l'altro.

    Solo che qui il rapporto non può essere solo potenziale: è questione di dover fare conoscenza profonda e sottile, di cambiarsi d'abito.

    Di uscire, anzi, da ogni abito e abitudine. Sono stufo.

    3.

    Little Bell Bar

    Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.

    Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa.

    La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità.

    E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te.

    John Donne

    Grazie a Dio, è venerdì.

    Cosa succede solitamente in uno studio legale di un venerdì sera d'inverno?

    Dipende. Ma solitamente si verificano gli impegni del lunedì, si fanno i conti con i termini processuali, si appuntano dei memo sulla scrivania, nella speranza di non dover scoprire una falla nella tua organizzazione.

    Diciamo che si fa un sopralluogo mentale in un posto che non esiste.

    È una landa olografica creata dal tuo produttore personale - il tuo cervello -, animata dal tuo sceneggiatore di fiducia - le tue aspettative -, popolata da vicende le più trasversali immaginabili, abitato da una teoria di volti che rappresentano storie sfaccettate, travagli lunghi, casi stratificati nel tempo o lotte parentali che diventano saghe familiari.

    Di fatto, l'avvocato non è mai solo con i suoi propri pensieri. Sono i pensieri per le storie altrui che si fondono nella sua esistenza. Come esistenze in prestito.

    Intendo, i pensieri che animano la sua mente sono traslati. Non sono pertinenti alla sua stessa esistenza in quanto tale. Quei flussi cerebrali riguardano in modo predominante la vita di altri uomini, le cui aspettative sono come un bagaglio, sovente molto ingombrante. E spesso anche scomodo, da riporre in qualche angolo della tua esistenza.

    Tu sarai, per un tempo indefinito e fin tanto che la pratica di quel cliente non troverà una sua sorte, processuale o no, come un faro che può illuminare la notte incerta di un navigante senza bussola e gps. Come un padre benedettino al quale rivolgere ogni prece, riversare le confidenze meno nobili, reclamare la domenica mattina mentre vorresti godere del tuo riposo, protestare che il processo sta andando per le lunghe e amenità simili.

    È qui che arrivo alla risposta su cosa succede il venerdì.

    Anche se in realtà sei realmente appassionato del tuo lavoro e sei ancora abbastanza giovane da reggere dodici, tredici ore tra udienze, ricevimenti in studio, redazione atti, lettere, telefonate fax e mail a raffica, senti che la misura sta strabordando.

    Nelle serate più nere rovesceresti la scrivania.

    E stasera è una di quelle in cui ho voglia di uscire e incontrare gente. Voglio confondermi in un bar e ripulire i neuroni parlando d'altro, di sport, di sciocchezze, voglio parlare da uomo senza toga. Voglio che le mie parole non abbiano un peso. Leggere. Allegre. Come un banale venerdì.

    * * *

    Amo il mare e la storia mercantile della mia città.

    Frank, mentre mi serve con maestria uno dei suoi inarrivabili drink, mi regala l'opportunità di vedere cose che non ho mai avuto la ventura di conoscere.

    Ed è questo uno dei motivi per cui scendo al Little Bell Bar. Ascoltare i suoi racconti.

    Frank era il nostro barman preferito.

    Nostro, perché tutti gli avvocati o quasi del circondario, una volta assaggiati i suoi drink non faticavano a tornare lì, alla Campanella, come chiamavamo il nostro ritrovo. Frank era sulla sessantina, la pelle percorsa da molte rughe che denunciavano una vita navigata intensamente. E veramente lui aveva navigato per oltre vent'anni sulle meravigliose navi della Società Italia, l'ex compagnia di navigazione di Stato.

    Il mare mi ha sempre affascinato profondamente. Amo la vela, andare per mare senza il ronzio di un motore a schiacciare il senso di libertà, amo la storia mercantile di questa singolare e nascosta città. Amo i racconti di viaggio. E Frank è perfetto nel colmare nei suo pochi metri quadrati l'anelito di avventura ed immaginazione in chi lo sta ad ascoltare. Ma si sa, il Barman è soprattutto un confessore. Frank, però, non ti dà l'assoluzione.

    Però, ti regala, se te lo meriti, uno stralcio delle sue memorie.

    E la Michelangelo era la pagina più importante della sua biografia. Io ero tra i suoi più assidui uditori.

    Tornando alla storie che Frank amava raccontarmi c'era quella sui panfili che avevano impreziosito il mondo delle crociere per oltre cinquant'anni.

    Sotto i colori della Italia di Navigazione furono varate navi splendide e leggendarie, tutte gestite sotto l'insegna dell'eleganza e del cosiddetto Italian Style.

    All'interno arredamenti sontuosi, eleganti saloni, affreschi di grandi artisti, cabine lussuose.

    All'esterno ampi spazi aperti, verande, bar, immensi ponti in teak di passeggiata e piscine. Per entrare nel Mediterraneo, infatti, le navi italiane dovevano seguire una rotta molto meridionale: perciò, a differenza di quanto accadeva sulle navi delle altre compagnie che facevano una rotta  più  settentrionale, la cosiddetta lossodromica, evitando così il pericolo di cicloni, le piscine sulla Michelangelo potevano invece essere usate per quasi tutto l'anno, anche in pieno Atlantico, godendo del sole ad illuminare i ponti aperti.

    La nave più famosa della Società Italia fu senza ombra di dubbio il Rex che, nella sua filante livrea bianca, conquistò il Nastro Azzurro nell'agosto 1933, quando la nave salpò da qui, da Genova, la città Superba, alla volta di New York.

    Il Nostro barman, quindi, andava fiero della sua carriera su quella linea di navigazione. Aveva fatto tutta la trafila da piccolo di camera sulla Giulio Cesare, sulla Augustus, sulla Cristoforo Colombo, per diventare dapprima cambusiere, poi Bottigliere ed infine Maestro di Casa sulla Michelangelo, dove presidiava la lussuosa bar room di prima classe.

    Frequentare i bar di bordo gli aveva dunque regalato un mestiere che conciliava la sua inclinazione naturale per la chiacchiera, per il contatto umano - e naturalmente le belle donne - con la passione per l'eleganza, la cura dei dettagli.

    E con la frequentazione della clientela internazionale, invero soprattutto dell'universo femminile francese ed americano, aveva imparato qualche lingua che, insieme alla sua abilità tra shaker, vini e liquori, gli era valsa la promozione a Bartender di prima classe. Lui era il Chief Bartender, ossia il capo dei Barman di tutta la Michelangelo.

    Non faccio fatica ad immaginarlo nel suo inappuntabile completo bianco e cravatta blu, con solito fermaglio dorato, orchestrare il Gran Bar del salone Florence, la più scintillante sala alcolica galleggiante del mondo, sormontata da lampadari in vetri bianchi e blu di Murano.

    Ma alla fine degli anni settanta, quando ormai si era giunti in un'epoca in cui gli gli aerei avevano superato di molto le navi nel trasporto dei passeggeri attraverso l'Atlantico e il periodo di emigrazione verso le Americhe era terminato da anni, le due gemelle viaggiarono con sempre meno passeggeri.

    La loro fine era ormai prossima.

    La Michelangelo - ormai ridotta all'ombra di sé stessa, dopo che il governo iraniano l'aveva utilizzata come alloggio per gli ufficiali durante la costruzione dei porti militari di Bushehr e di Bandar Abbas - terminò la sua gloriosa storia sulla sabbia. Frank raccontava questi fatti con gli occhi tristi di chi aveva subito un lutto in famiglia o un torto ingiusto.

    In uno dei suoi ultimi imbarchi, infatti, l'aveva vista da lontano, dalla rada di Karachi, in Pakistan, addormentata sul fianco ormai non più candido. Come un capodoglio esausto sulla spiaggia.

    Eppure, seppur vilipesa nella sua integrità, offesa nella sua perduta magnificenza, Frank la ricordava ogni tanto come si ricorda un vecchio amico di cui hai conosciuto in gioventù la forza e l'eleganza.

    Quel venerdì, prima di dare l'ultima passata sul banco lucido di metallo ed ottone, con quella cura professionale che gli proveniva dal suo indimenticato ruolo sul main deck, il ponte principale della nave più bella del mondo, Frank mise su un cd.

    Ti piace avvocato?. Sai chi è?.

    Sembra un Sinatra giovane, annuisco, scandendo il ritmo con il ghiaccio nel mio special lime vodka tonic. "Stesso groove, grande swing. Però, ha uno stile, come dire, più antico".

    Infatti. Questa è Anything goes. Lui è il grande Tony. Tony Bennet.  È ancora vivo, sai? È italo americano, in realtà si chiama Antonio Benedetto. Eravamo diventati amici durante una crociera della Michelangelo nei Caraibi. Io lo chiamavo Antonio. Gli piaceva che lo chiamassi in italiano davanti ai suoi amici. Non c'era verso di fargli prendere una sbronza tosta. Io servivo e mescevo i suoi cocktail. Rusty Nail, Canadian, White Spider, Montgomery. Niente, stava sempre su. Beveva e fumava, rideva e cantava. Raccontava barzellette e faceva impazzire le donne al suo tavolo.

    Gli portavo io un grandioso Bloody Mary in cabina, la mattina, dopo qualche serata tirata tirata. Ma mica un fucking Bloody" come quelli che ti servono ora, eh! Un Bloody con i controfiocchi! Una boule géante della mia ricetta, con vodka finlandese e passata di pomodorini dolci. Tutte le spezie giuste e poi, mica il limone! Ma il lime caraibico! E un cucchiaio di consommé, naturalmente. Roba da rimetterti in piedi bello lucido dopo una notte da leoni".

    Lui – continuò Frank - in mio onore lo chiamava il Frankie Snapper. Sai no? Snap! Lo schiocco delle dita? Ecco, l'effetto benefico dei buoni vecchi cocktail. Mica sta roba da fighetti che mi ordinano i tuoi colleghi avvocatini. Ingredienti veri, non mascherati, distillati certificati e materia eccellente. Si, insomma…roba come Tony. Di quelle che non ne fanno più. Come questa canzone, o come la Michelangelo.

    Lo ascolto, sempre calandomi nelle scene che Frank sa suscitare. È forse anche per questo che vengo qui, per immaginare orizzonti di luce blu, per farmi raccontare di una vita vera, una vita apparentemente svincolata.

    So che non è stato facile neanche per Frank, lontano dalla famiglia, dai figli piccoli. E il premio postumo per lui, ora, sono questi ricordi vitali, ancora vividi, nei suoi occhi oggi un po' ammaccati dalla fatica ma di nuovo brillanti e giovani ancora per qualche istante quando racconta le pagine sfolgoranti, forse anche un po' romanzate – ma che importa - della sua vita galleggiante.

    Frank non lo poteva sapere in quei giorni che proprio frequentare il suo Little Bell Bar avrebbe segnato la mia di vita. Come la Michelangelo fece con la sua.

    Di lì a qualche tempo, la campana avrebbe suonato. Come quella del Little Bell Bar. Questa volta per me.

    4.

    Ultime normalità

    Domattina alle sei sarò giustiziato per un crimine che non ho commesso.

    Dovevo essere giustiziato alle cinque, ma ho un avvocato in gamba.

    Woody Allen

    Ciao Alex! Che ne diresti di due ore su terra rossa?.

    La telefonata di Umberto mi risveglia dal mondo delle mie elucubrazioni sul fascicolo che ho disseminato di post-it, appunti e richiami.

    Hey! Allora, come andiamo? Sempre sul pezzo anche tu?, rispondo, da un lato infastidito per quell'interruzione, dall'altro, in verità, grato all'amico tennista che mi recupera dal mondo degli altri.

    Sto finendo. Per stasera è abbastanza. Declino la sfida, caro Lendl della mutua! Ho intenzione di farmi un paio di birrette. Ci stai?.

    Beh, guarda, volevo giusto parlarti di una cosa. E forse è meglio avere un po' più tempo per discuterne tranquilli.

    Umberto è un

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