L'attrazione degli opposti
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Anteprima del libro
L'attrazione degli opposti - Benedetta Caridi
L’ATTRAZIONE DEGLI
OPPOSTI
Hai mai desiderato segretamente un’altra vita?
Non esiste la cosa giusta in amore, esiste solo la felicità.
Se dunque al mondo tutti i grandi amori sono stati in eterno contrastati, vuol dire che è decreto del destino; e questa prova, cui siam sottoposti anche noi due ci sia di ammonimento che ci dobbiamo armare di pazienza, pensando ch’è retaggio dell’amore, d’esser sempre impedito, come lo sono i sogni, i desideri, i pensieri, le lacrime, i sospiri che fan corteggio all’amore conteso
.
Wiliam Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate
.
Prologo
Corri, Fiamma. Corri. Non ti fermare mai. Corri fino a perdere i sensi.
I rovi mi tagliano i piedi. Mi artigliano le caviglie, i polpacci…
Continua a correre.
Mi sono persa. È un labirinto, non ho riferimenti.
Vai avanti. Basta che ti allontani il più possibile, il più possibile. Sì, ma da dove?
Solo quando sarai sfinita ti sveglierai e capirai che è stato tutto un incubo. Un terribile incubo.
Sono sola nel bosco.
Apri gli occhi, svegliati.
Muschio e foglie in bocca, sono caduta. Non ce la faccio più. Non respiro, ho i polmoni ghiacciati, mi brucia la gola.
Ora i ricordi si fanno, se possibile, più confusi.
Devo continuare a correre? No. Quello che devo fare è concentrarmi.
Alex ed io, abbracciati sul divano, sotto la coperta di cachemire color cammello. Guardiamo per l’ennesima volta Un tram che si chiama desiderio
, adoriamo quel film.
Nei momenti clou, lui fa la voce di Marlon Brando e io alterno Blanche e Stella. Naturalmente m’importa solo di Blanche.
L’amore è una scommessa che prima o poi perderai.
Drin, drin, drin…
Alex si alza per andare ad aprire la porta.
Aspettavi qualcuno?
chiede.
Sarà Marlon Brando…
Rido, ma con lo sguardo seguo Alex con una certa curiosità (forse apprensione?).
Foster è acciambellato sulla poltrona di fianco a noi e neanche il campanello lo ridesta.
È passata la mezzanotte, non ho idea di chi possa essere. Qui a Sabaudia, fuori stagione. Tra noi e la civiltà c’è solo una pizzeria chiusa, un gabbiotto abbandonato e una lunga strada non illuminata fiancheggiata da pini disordinati e vivai.
Signora Fiamma Ferrante?
.
Il berretto del giovane carabiniere è troppo grande e le sue mani troppo tozze. Alex mi guarda e non riusciamo a non ridacchiare, aiutati anche dalla bottiglia di Dom Pérignon che circola nelle nostre vene.
Il carabiniere fissa me e poi Alex. Le sue pupille guizzano curiose da me a lui e da lui a me. Sono abituata a quegli sguardi indagatori e giudicanti e ormai me ne frego.
No, non è mio figlio e sì, è il mio fidanzato. Finalmente è il mio fidanzato. Sì, ha ventitré anni meno di me, ven-ti-tré. No, non lo pago. Altre domande? Cos’altro vuole sapere, appuntato?
Il ragazzino in divisa ha la bocca secca, è imbarazzato, cerca di valutare se la situazione sia congrua alla solennità dell’annuncio di cui è ambasciatore: Purtroppo devo darle una brutta notizia
.
Porta la fede e la divisa è inamidata e tirata a lucido. Un giovane sposino. Uno di quelli che fanno il servizio prematrimoniale in alta uniforme con le stesse pose che poi riprodurranno con i vestiti da cerimonia.
Avvocato Ferrante, ci dovrebbe seguire in questura
.
Noto solo ora un altro carabiniere che è rimasto sulla soglia. Ancora più rigido e più a disagio del suo collega.
Il secondo militare si rivolge ad Alex: Anche lei, signor …
Credo di aver detto: Concedetemi solo un minuto, allora
.
Per uscire dal retro e scappare. Nella pineta.
Il resto sono frammenti di parole scoppiati nell’aria.
Caserma-arresto-corpo-solo-incidente-avvocato-preliminari-domanda-qualche-viene-noi-il ragazzo-con…
Lui. È morto.
Sei mesi prima…
Fiamma
1001, 1002, 1003, 1004, 1005, 1006, 1007…
Mi sembra che oggi stia durando più del solito. Decido di ricominciare a contare.
Da piccola mi dicevano che la distanza giusta per contare i secondi è farli precedere dal mille, e le suore mi avevano talmente terrorizzato che ancora oggi eseguo alla lettera: 1008, 1009, 1010, 1011…
Mmh uff sì, ecco ecco ecco…
Lui si lascia andare ad un ultimo rantolo vittorioso ed esce da me rotolando verso l’altra metà del letto.
Mi tiro su e appoggio la schiena contro la testiera. Prendo una sigaretta, infilo il bocchino e l’accendo. Dopo il sesso faccio sempre i tiri più intensi e più ispirati della giornata. Mi rilassa e sento i polmoni più aperti, più liberi.
Guardo Edoardo annoiata e penso che a me dedica tre minuti di amplesso e un orgasmo da sedicenne, alle sue accompagnatrici regala performance da superuomo. Strafatto di Cialis e Viagra, le fa impazzire tutta la notte. Una volta, approfittando del tasso alcolico extra large di un party di capodanno, ho chiesto a uno dei nostri amici di famiglia, nonché suo testimone di nozze, cosa facessero nelle serate solitarie durante i lunghi viaggi a Londra, Hong Kong, New York e Singapore.
Andiamo a mignotte
, fu la risposta inframmezzata da sguaiate risate.
È incredibile come gli uomini, anche i più impegnati a brillare nell’Empireo della carriera e delle relazioni sociali, abbiano un unico divertimento: procacciarsi più femmine possibile. Ma la cosa che mi colpì non fu quella rivelazione così scontata, piuttosto i dettagli che aggiunse mentre descriveva il tenore delle nottate – dovrei dire orge, più correttamente – che condivideva con mio marito nei loro viaggi di affari.
Fu così brutale e diretto nella descrizione che finii col pensare che lo facesse per mettere Edoardo in cattiva luce. In effetti la serata si concluse con una sua vigorosa manata sotto il mio vestito. È dal giorno del tuo matrimonio che voglio scoparti
.
Un’offerta diretta e scortese, ma non la più brutale che ho ricevuto in quasi cinquant’anni di vita. Comunque l’unica frase che mi rimase impressa dei racconti che mi fece, fu rispetto alla durata delle prestazioni di Edoardo.
Ormai lo chiamiamo capotreno, una notte ha tenuto l’asta in alto per dieci ore consecutive, neanche sotto la doccia scendeva!
Ecco le famose controindicazioni del Viagra, pensai subito, prima o poi gli verrà un infarto. Speriamo che il notaio per quel giorno abbia già sistemato le proprietà del trust familiare.
Comincio a sentire Edoardo russare, non è proprio un rumore netto e prepotente, più un sibilo.
Il sesso tra noi è diventato una routine borghese, l’unica cosa che ci tiene uniti, oltre al patrimonio e all’amore per Andrea, è lo studio che abbiamo fatto nascere e crescere insieme. Edoardo resta a Roma dieci giorni al mese, in quel periodo di tempo facciamo sesso una volta, ormai è una consuetudine fissa.
Avrei voglia di un massaggino…
Sempre questo stupido approccio, senza futuro e senza fantasia. I nostri amplessi sono da manuale del perfetto matrimonio, pochi preliminari, zero creatività, posizione sicura che garantisca ad entrambi spiccioli di piacere.
Sono infelice. Non mi sento desiderata. A volte vorrei. Poter ricominciare da capo.
Ho quasi cinquant’anni e mi sento piena di voglie. Di vita. Di passione. E questo desiderio non lo rinnegherò mai, neanche davanti al tribunale dei benpensanti. Amo la passionalità, amo sentirmi desiderata, amo giocare con il mio corpo. A questo grigio compromesso non mi abituerò neanche tra dieci anni. Non voglio i suoi regali costosi, non voglio i gioielli di Bulgari e le pochette di Hermes, non voglio le decolleté di Jimmy Choo e il fuoristrada personalizzato con le mie iniziali, voglio essere amata. Voglio essere la regina del mio uomo, non una comparsa da terza fila.
Il nostro è stato un matrimonio perfetto, abbiamo un figlio stupendo e amorevole, uno Studio di avvocati tra i più importanti di Roma, una villa ripresa dalle riviste di moda. E a nostro modo ci amavamo. Ma mai da amanti, sempre da professionisti. In fondo abbiamo firmato un contratto venticinque anni fa e ci stiamo impegnando a rispettarlo. Lo viviamo così il nostro matrimonio. Forse lavorare insieme non ci ha aiutato, perché col tempo siamo stati sempre più colleghi e sempre meno coppia.
Quando mi sono sposata ero vergine. Questa storia fuori tempo e surreale, ha sempre fatto ridere tutte le mie amiche, eppure è vera. Educata, direi frustrata, da un’educazione cattolica repressiva e fuorviante, avevo sempre deciso di conservare la mia verginità come dono per il mio futuro marito. Credo che questo aspetto della mia rigida educazione sessuale, della mancata scoperta delle pulsioni e delle fantasie adolescenziali, abbia contribuito a rendermi un’adulta insoddisfatta.
Fin dall’inizio della nostra storia, Edoardo aveva avuto delle amanti. Occasionali, o fisse: collaboratrici dello studio, hostess dei congressi, colleghe straniere, persino qualche mia amica. Tutte gli riconoscevano un fascino indiscutibile e lui si sentiva in diritto di poter sfoggiare la sua virilità senza ritegno. Come se in qualche modo io dovessi essere fiera di avere un marito così desiderato e corteggiato. Stronzate, ci soffrivo maledettamente. Ma ero incapace di reagire.
Fino al giorno in cui incontrai Thiago. E, per la prima volta in vita mia, conobbi il demone della passione.
Alex
Prima di chiudere l’armadietto, mi soffermo a guardare l’immagine che mi rimanda lo specchio che ho appeso sulla faccia interna dell’anta. Quello che vedo mi piace. Ho lo sguardo giusto, vedo di nuovo il guerriero. Sono tornato ad allenarmi fino a sfinirmi. E ritrovo la forza nei muscoli, la volontà di non mollare mai, la stanchezza che ti sfibra e ti appaga. Ultimamente mi ero lasciato andare, devo tornare ad alimentarmi in modo regolare e con cibi sani, devo cercare di dormire di più.
Nello spogliatoio non c’è più nessuno, i ragazzi se ne sono andati. Resta questo odore di umido, nell’aria aleggia il profumo di cento saponi diversi, cento deodoranti. Cento corpi che qui ogni giorno entrano ed escono.
A me piace la palestra di notte, quando gli ambienti diventano improvvisamente silenziosi. Un silenzio però che non è totale, sembra piuttosto che le grida, il vociare della giornata sia rimasto nell’aria, come un vento carico di aspettative.
A quest’ora il borsone pesa il triplo. E mentre tiro su la sacca, sento pizzicare il braccio destro. Come al solito.
Istintivamente mi guardo l’avambraccio. Lo stringo con l’altra mano.
Ogni volta che lo specchio mi rimanda le mie cicatrici rivivo ad occhi aperti l’incubo che ho attraversato.
Non passava anima viva. Taxi nemmeno a pensarci.
Dieci anni fa, sembrano passate ere geologiche.
Io e mamma tornavamo da un centro commerciale sulla Portuense, si era fatto buio senza che nemmeno ce ne accorgessimo. Avevamo due possibilità, rientrare a Roma sulla Roma-Fiumicino, oppure passare per la Portuense e tagliare poi per Monteverde. Volevamo stare un po’ insieme, fare qualcosa, negli ultimi mesi ero stato spesso impegnato con gli allenamenti e gli incontri. Dopo essere entrato nella classifica italiana, mi ero un po’ montato la testa.
Sera dopo sera, Walter mi parlava di quanti pugili promettenti si erano bruciati per colpa delle donne, dell’alcol, della pigrizia, si erano bruciati perché senza motivo avevano pensato di essere invincibili. Invece nello sport agonistico non sei mai invincibile. Mai. Ma il pugilato è strano, ti rintrona e ti riempie di adrenalina, ti manda in trance e ti fa sentire un dio. Quando vedi la luce fuori dalla palestra nella quale ti sei tumulato, ragioni come se da quei quattro scalini alla luna ci fossero solo una manciata di incontri.
Invece sulla strada puoi anche incontrare tre bastardi che ti spezzano il braccio destro in tre punti.
Mentre tu lotti come una bestia feroce per tentare di salvare tua madre…
Fiamma
Ci siamo conosciuti per motivi di lavoro, Thiago era un sommelier originario di Lisbona e aveva costruito una piattaforma e-commerce per vendere vini on-line. Era interessato ad entrare sempre di più nel mercato italiano ma si era rivolto al partner sbagliato. Era venuto nel nostro studio per cercare di recuperare qualcosa dei due milioni di euro che un sedicente produttore cinematografico di Treviso gli aveva rubato.
All’inizio ci detestavamo. Io non sopportavo la sua presunzione, quell’aria arrogante di chi ha vissuto una vita tutta in discesa. Figlio di una importante politica e di un imprenditore, la sua famiglia aveva una tenuta in cui si produceva il miglior rosso del Portogallo. E poi olive, olio, conserve. Allevavano anche pastori tedeschi che, naturalmente, erano campioni in tutte le categorie. Thiago aveva avuto l’opportunità di studiare nelle migliori scuole, vivendo a metà tra Londra e Lisbona e parlava fluentemente quattro lingue. Per me che, invece, avevo avuto una vita tutta in salita era irritante tutto quello che diceva e come lo diceva. Eppure mi intrigava. I capelli mori si arricciavano proprio sulla fronte e lui li spostava in modo vezzoso. Il fisico esile ma ben proporzionato definito da anni di surf sulle spiagge dell’Oceano Atlantico. Aveva modi gentili e cavallereschi e un sorriso che ammaliava. Tutto quello che Thiago faceva si rivelava giusto e perfetto. Era un vero principe azzurro, ben educato e colto.
E io lo detestavo.
Sono orfana di madre, ho cresciuto mia sorella e accompagnato il dolore di mio padre, mi sono laureata mantenendomi, con mille lavori. Babysitter, cameriera, insegnante di ripetizioni, commessa, anche vice portiera di uno stabile. Poi la laurea, il master, l’incontro con Edoardo e la scalata sociale. Non avevo mai avuto molta fortuna con gli uomini che mi rimproveravano di non essere abbastanza femminile, morbida, accogliente.
Tutti gli uomini che avevo frequentato prima di Thiago, compreso mio marito, mi trovavano troppo aggressiva. In realtà sono semplicemente diretta e ironica. La risposta sempre pronta e i modi spicci infastidiscono gli uomini che sentono di non avere potere su di me. Thiago era diverso, trovava sexy il mio distacco, il mio cinismo, la mia indipendenza.
Più io lo detestavo, più Thiago si incapricciava di me.
Alla terza riunione in cui io proponevo una strategia processuale e lui si opponeva, decisi di mollare tutto.
Signor Coelho, le consiglio di rivolgersi ad un altro studio perché non ci sono le condizioni per proseguire il rapporto
, sentenziai per convincerlo a sparire per sempre dalla mia vita.
Thiago mi si avvicinò percorrendo a passo felpato tutto il perimetro del lunghissimo tavolo di cristallo della sala riunioni dello studio Ripa e Associati
. Era vestito in maniera informale, da sempre allergico a cravatta e giacca, sembrava più adatto ad un party con gli amici piuttosto che ad un meeting di lavoro. Non si poteva dire fosse fuori luogo ma sicuramente osava essere sportivo laddove tutti erano con vestito scuro e cravatta d’ordinanza. In un certo senso sfidava i suoi interlocutori, fin dal suo ingresso in scena.
Fiamma, perché non ne parliamo di fronte ad un piatto di spaghetti al nero di seppia e ad un calice di Barolo del '64?
In genere questi approcci semplicistici mi indispongono, ma con lui era diverso. Mi faceva sentire diversa, la mia parte femminile poteva finalmente esplodere, essere valorizzata, apprezzata.
Mantenni lo sguardo dritto nei suoi occhi e poi con tono deciso: Possiamo anche organizzare ma non cambierà nulla per me
.
Le cene si moltiplicarono e la causa fu un successone.
Cominciammo ad essere amanti, anche se io, al mio primo tradimento, continuavo a non lasciarmi andare del tutto, ad essere mentalmente fedele ad Edoardo.
Fino a quando questo viaggio dei sensi non si concluse nel più burrascoso dei modi.
Alex
Arrivo nella sala degli incontri. I grandi finestroni in alto lasciano filtrare solo la vaga luminescenza arancione dei lampioni sulla strada. Il pavimento è leggermente appiccicoso. Sul fondo verso l’uscita, oltre il ring e gli attrezzi, si nota la luce dell’ufficio di Walter. Lo raggiungo. Busso, lui bofonchia qualcosa e io entro.
C’è odore di fumo freddo.
Walter è chino su un faldone di carte, lo sguardo corrucciato e confuso. Si capisce che i numeri e le scartoffie non sono il suo mondo.
Qui è un casino
, dice.
So a cosa allude. È più di una settimana che lo vedo fare tardi, so che i conti della palestra sono in rosso da un po’. Anche durante il giorno, Walter si aggira come un prigioniero in quello che un tempo era il suo regno: ha perso passione, ha anche abbassato il tono della voce, pare distratto. I conti lo preoccupano sempre di più e lui è tornato a deprimersi. Era già capitato, un paio di anni fa, quando la moglie l’ha mollato come un naufrago da un giorno all’altro senza troppe spiegazioni.
Ma alla fine Walter si era ripreso, era tornato alla sua palestra, alla sua routine, ai suoi sogni di talent scout: anche se, a quanto ne so, l’atleta più promettente mai passato di qui è il sottoscritto.
Non è una soddisfazione.
Vattene a casa
, gli dico. Ci torni domani ad ingolfarti sui numeri...
Lui mi scocca uno sguardo penoso da sopra gli occhiali stretti che gli sono scivolati sulla punta del naso.
Buonanotte
, fa lui tagliando corto.
Il solito testone. Mai una volta che ascolti gli altri. Gli devo un lavoro, gli devo la speranza di restare nel mondo dello sport che adoro, la boxe, ma a volte è così cocciuto che mi verrebbe voglia di prendere quelle cartacce che ha sulla scrivania e strappargliele sotto il naso, buttargli tutto all’aria. Mi vuole bene. Lo so. Tra le foto che tiene incorniciate nel suo ufficio ce ne sono due che ci ritraggono insieme. Avevo diciott’anni, avevo appena vinto i campionati juniores Italiani.
Il fulmine nero, mi chiamava. Saltellavo, sul ring, saltellavo come mi aveva insegnato lui e gli avversari andavano nel pallone, sferrando colpi all’aria. Gli giravo intorno, li facevo ammattire.
Non sarai mai un picchiatore
, mi disse una volta Walter. Ma hai quelle gambe... Sei come un corridore delle praterie, solo che stai su un ring...
Era lo stesso Walter che ora se ne sta ingobbito sui bilanci, col bruciore di stomaco, a intossicarsi di pastiglie antiacido, col pensiero fisso alla ex moglie.
Gli anni