È tutta una follia Raymond Bosco: romanzo
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Alessio Biagi
Alessio Biagi è nato nel 1980 a Massa dove vive e lavora. Cresciuto con la passione della poesia, si è dedicato alla narrativa dopo il fortunato incontro con lo scrittore fiorentino Marco Vichi. Nell’ottobre 2006 ha pubblicato, per la casa editrice Pensa, un primo racconto nell’antologia La città che narra ed un secondo, contenuto nell’antologia La legge del desiderio a cura di Giulio Milani, presso la casa editrice Transeuropa. In tutti i respiri che ti ho preso è il suo primo romanzo.Alessio Biagi was born in Massa in 1980 where he lives and works. He grew up with a passion for poetry and devoted himself to writing fiction after the successful meeting with the Florentine writer Marco Vichi. In March 2009 he published the novel “In all breaths i've taken” for the Meligrana Giuseppe Editore Publishing House, the novel “Never loved enough” in December 2010, the novel "Let me be your eyes" in July 2012 and the last "Take everything I have" in november 2013.
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È tutta una follia Raymond Bosco - Alessio Biagi
È tutta una follia Raymond Bosco
romanzo
Alessio Biagi
Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2018
Copyright Alessio Biagi, 2018
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788868152802
Foto di copertina: DUST © Luca Amedei
Supporto tecnico: Chiara Giffoni
https://luca-amedei-photographer.jimdosite.com
Facebook: Luca Amedei Photography
Meligrana Editore
Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)
Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041
www.meligranaeditore.com
info@meligranaeditore.com
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Alessio Biagi
Alessio Biagi è uno scrittore nato a Massa nel 1980. Dal marzo 2009, ha pubblicato per la Meligrana Editore i romanzi: In tutti i respiri che ti ho preso (2009 - tradotto anche in lingua inglese); Mai amato abbastanza (2010); Lascia che sia io i tuoi occhi (2012) Prenditi tutto quello che ho (2013) Non so più dove cercarti (2015) ed ha curato due antologie di racconti. Ha fondato assieme al poeta Gabriel Del Sarto la Fredoom Writers, scuola di scrittura creativa e storytelling. È vicepresidente dell’Associazione Culturale Viva!
, collabora con Sail (una storytelling agency) ed è uno degli storyteller dell’associazione filodrammatica Fabula.
Contattalo:
biagi.alessio@libero.it
Seguilo su:
Visita:
www.alessiobiagi.com
Ad Anna Cristina.
E tu mia vita salvati se puoi
serba te stessa al futuro.
Vittorio Sereni – Periferia 1940
Felicità è sfuggire alla tempesta,
del mare, raggiungere il porto
felicità è trovarsi oltre il dolore.
Euripide – Le Baccanti
Prima Parte
1.
(Martedì)
Chi mischierebbe, con uguali proporzioni, dosi robuste di whisky a caffè annacquato? Chi tirerebbe tardi, investigando con lucidità sbronza la propria anima nel tentativo di rimediare un salario grazie alle vendite di un nuovo romanzo?
Risposta: Raymond Ray
Bosco, cinquantatreenne, evidentemente italo-americano, un piede per terra e l’altro a mollo nell’inchiostro, nel bel mezzo di una zuffa da bordello con trama, personaggi e intrecci che, martellata l’ultima pagina con la fidata e anacronistica macchina per scrivere, ingurgitò una compressa di Ramelteon assicurandosi lunghe ore di sacrosanto riposo.
Il sonnacchioso risveglio da quella letargia chimica fu comodo, finché un intirizzito Ray, grugnendo, scalciò via quell’unico lenzuolo. Anna era schizzata via da un pezzo con la consueta fretta da ritardo e il rischio di mancare il battello per la città. Ray sistemò al meglio i lunghi capelli inumiditi di sudore, rastrellò ruvidamente la barba incolta e rischiosa come una trincea, per poi aggirare il perimetro del letto grattando la pancia opulenta.
Lo spesso tendaggio concesse alla stanza una lieve rifrazione settembrina e null’altro, così che Ray potesse ritardare l’incontro impari col soleggiato martedì che spumeggiava là fuori.
Uscì dalla stanza oltrepassando il corridoio che terminava con l’ingresso di casa, ciondolando in soggiorno con un incedere da pistolero diretto al frigorifero ma, in quell’attraversamento, nella coda appiccicosa dell’occhio, un’impressione attirò l’interesse sonnacchioso di Ray che, ripercorrendo a ritroso qualche passo, riaffacciò sul corridoio dove Raymond Ray
Bosco, una vita di grandi ruvidità impiegata sulla tastiera, trovò qualcosa che gli ammollò il cuore nell’aceto.
Anna, immobile, ricoperta da uno strato informe di terriccio misto a calce che in grumi polposi si appiccicava al tailleur blu, decolorato da quell’impasto polveroso in un grigio cementifico. Sullo sguardo legnoso una maschera di fuliggine cancerosa. La borsa a tracolla e le braccia distese lungo i fianchi dalle quali continuava a staccarsi quella consistenza abominevole e indecifrabile, mentre l’espressione terrificata di Anna somigliava a quella di un animale in fuga.
Ray le andò incontro, sbigottito e vigile d’un tratto, fermandosi di fronte.
«Che t’è capitato?» le chiese, sfiorandola e imbrattandosi di quella polvere oleosa. Anna, totalmente dissociata, restò muta, l’espressione tirata. Solamente quando Ray l’afferrò scuotendola, insudiciando di detriti e terriccio l’ingresso, Anna rinvenne.
«Che t’è capitato?» ripeté Ray.
Faticosamente, Anna scollò le labbra essiccate e sudice per bisbigliare:
«Le Torri».
2.
(Altri impegni)
L’appartamento di Ray e Anna a Port Liberte, quartiere di palazzine in stile europeo sul Caven Point nel New Jersey, è prospiciente la baia di New York, la Statua della Libertà e la skyline di Manhattan. Dal terrazzino, Ray osservò l’esteso nugolo di fumo spirare in direzione sud che, innalzandosi dal versante occidentale dell’isola, nascondeva gran parte dei grattacieli del Financial District a Lower Manhattan e, al contempo, rivelava a Ray l’assenza delle Twin Towers.
Nella pancia, un impulso mobile gli acidificò l’intestino, alimentando un panico tattile e un’improvvisa mancanza di certezza.
Ray provò l’insicurezza del mollusco senza più un guscio. Poi, un moto di rabbia disgustoso come un caffè salato e, infine, diventò furioso per quella violenza disumana, quello stupro, quella decapitazione.
Anna, nel frattempo, sotto il getto d’acqua gelida, singhiozzava con ancora indosso il tailleur mentre sul piatto di porcellana si erano depositati una poltiglia fangosa e un dolore decompresso. Nelle orecchie i suoni sguaiati, roboanti delle esplosioni, delle sirene, delle cadute sorde sull’asfalto dell’Austin J. Tobin Plaza, il borboglio rauco dello sbriciolamento della WTC 2, il rantolio disperato del mostro in caduta libera e le urla del fuggifuggi.
Raymond, in boxer spiegazzati, i lunghi capelli castani, zigrinati da ciocche grigie e spazzati da una brezza mefistofelica, l’addome esposto all’Upper Bay e quella boccaccia sempre arredata di parole, ora forzata al silenzio di fronte a uno spettacolo avvilente come gli animali del circo.
E poi, di nuovo Anna, che strappava via gli abiti con un’ira funesta, strillando e schiumando rabbia per quello strano senso di colpa tipico dei sopravvissuti.
Cosa albergasse nel cuore di Ray e cosa ci fosse in quello di Anna non è dato saperlo neppure a me, né tantomeno riuscirei a immaginarlo. Posso soltanto supporre ciò che passava nella mente di un uomo come Raymond Bosco, risvegliatosi in un mondo capovolto, e l’imponderabile umano che s’accalcava in quella di Anna che aveva vissuto quell’incubo in prima persona, riuscendo miracolosamente a sopravvivere. Qualche parete li divideva: Anna, fuggita subito nel bagno, e Ray, fuori sul terrazzino con indosso soltanto le mutande, che valutava l’ineluttabile sciagura che accompagna da sempre la specie umana.
«La Terza Guerra Mondiale» balbettò il vicino di Ray, dall’adiacente balcone, andato fuori per condividere quella visione immonda. «Ray?» chiamò.
«Ah?» biascicò Raymond, totalmente assuefatto dal cortocircuito d’emozioni che gli s’alternavano in pancia.
«Dovrebbero cancellare dalle cartine geografiche il buco di culo da dove provengono i bastardi che hanno combinato questo!» ringhiò l’uomo mentre Ray portava le mani sui fianchi, senza proferir parola. Annuiva soltanto, la lingua impastata. «Quei fottuti bastardi! L’ammazzerei tutti!» berciò iroso l’uomo nonostante Ray sapesse alla perfezione che non sarebbe riuscito neppure a centrare una tazzina di caffè col cucchiaio. Fu soltanto per non fargli un torto che disse la prima frase che gli passò per la mente:
«Mi si gelano le palle!»
«Come?» ribatté l’altro. Ray tossì lusingando la barba.
«Devo occuparmi di Anna» mormorò rientrando.
«Ringraziamo Dio che è salva!»
«Come?» domandò Ray.
«Ringraziamo Dio che è salva!» ripeté l’uomo.
«Dio?» suggerì Ray.
«Sì, Dio!»
«Non è evidente?» aggiunse Ray indicando in direzione di Manhattan «Dio oggi ha altri impegni...»
In realtà, quella battuta d’uscita servì a Raymond per raggiungere il televisore, sprofondare nella poltrona e recuperare le notizie che gli mancavano. Chi diavolo aveva provocato quel disastro?
rimuginava cercando il telecomando. Hanno usato una bomba come nel 1993? Stavolta così potente da provocare il crollo di una delle due torri poi collassata sull’altra? Com’era scampata Anna a quel disastro?
L’ipotesi dell’uso di un furgone esplosivo, però, gli sembrò subito improbabile, tuttavia trascorse pochissimo prima che uno dei telegiornali che trattavano l’argomento gli mostrasse la feroce verità dei fatti, ben più terrificante di qualsiasi ipotesi e indiscutibilmente al di là della fantasia di un romanziere, seppur capace, come Raymond Bosco.
«Oh Cazzo!» berciò quando trasmisero il video del Boeing 767 volo 175 della United Airlines che trafiggeva la pancia della Torre Sud.
Ray assistette incredulo al susseguirsi isterico dei filmati che gli raccontavano ciò che era accaduto a Manhattan. Dal Boeing 767 della United Airlines Boston-Los Angeles, fino al crollo del WTC 1 delle 10:28 con quel grande cappello di fumo e detriti, che si sbriciolò assieme all’ottantunesimo piano, sede dell’ufficio di Anna, così miracolosamente scampata all’orrore. Allora, scattò veloce per raggiungerla.
La trovò distesa sul materasso, supina e nuda, le caviglie incrociate, la testa nella conca del braccio destro piegato a uncino e il sinistro disteso sul cuscino. Un granaio di capelli bruni e quel corpo nudo che, in verità, era un involucro vuoto impossibile da confortare.
Ma insomma...
rifletté Ray Non puoi certo definirti un uomo soltanto perché apri un barattolo di cetriolini o assembli un armadio!
Avrebbe dovuto far la propria parte o, quantomeno, gli toccava provarci.
Ray, un bicchiere di squisito whisky abbandonato al tavolo, cominciò a elaborare un approccio; considerò pure l’idea di fare l’amore con Anna. Sì, proprio così, giusto per farle provare la sensazione della vita che ti preme addosso. C’era qualcosa di perversamente erotico in tutto ciò e lo capiva alla perfezione: fuori, di là dalla baia, disperazione e angoscia e lì, in quella stanza, su quelle lenzuola, un vero incanto per nulla collaborativo.
D’altronde, sarebbe risultata una circostanza coerente con il personaggio: a distanza di tempo, avrebbe confessato che mentre la polvere avviluppava Manhattan, Raymond Bosco, conformemente al protocollo, ripudiava la morte... Scopando.
Quando si sedette sul bordo del materasso, poggiando il palmo sulla schiena di Anna, carezzandola gentilmente come l’archetto sulle corde del violino, questa sospirò e Ray, non trovando parole adatte per l’occasione, pronunciò la prima frase che gli passò per la mente:
«Ringrazio Dio che sei salva».
Anna replicò senza neppure guardarlo:
«Da quando credi a questo genere di cose?»
«Da qualche parte si dovrà pur cominciare» ribatté Ray. Anna si rovesciò pigramente come una vascello sul fianco di babordo.
«Le lenzuola erano ancora calde».
«Che significa?»
«Quando ti sei svegliato, Ray?»
«Ha importanza?»
«Sì» ribatté Anna.
«Perché?»
«Mentre io rischiavo di crepare...» mormorò «Tu dov’eri?»
Dopodiché s’alzò cambiando stanza, lasciandolo appeso come un prosciutto da stagionare.
***
Ray sprofondò di nuovo davanti alla tv, girando ossessivamente tra i canali dei grandi network come un’ape attorno al fuco. Le stesse orribili immagini si ripetevano di continuo, con sempre qualche nuovo filmato amatoriale che aveva registrato la tragedia da una differente angolazione o luogo della città.
Le ore trascorsero velocemente assieme al susseguirsi delle informazioni che continuavano ad arrivare in un sequela convulsa di conferme, smentite, aggiornamenti sui fatti avvenuti a New York, ma anche quelli del Pentagono a Washington e dell’aereo schiantato