Fobia sociale
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Nella prima parte del saggio, Chiara Impilloni descrive gli elementi che caratterizzano la Fobia Sociale, considerandone l’incidenza, la patogenesi, i criteri diagnostici e le manifestazioni cliniche ad essa associate. Particolare attenzione è stata posta ai confini diagnostici del disturbo con le ipotetiche sovrapposizioni con altri quadri clinici di severa entità (ad es. psicosi schizofreniformi). Nella seconda parte invece, analizza l’importante ruolo che l’infermiere assume nella gestione e nella cura del disturbo. L’infermiere, in quanto professionista della salute, ha il potere e il dovere di relazionarsi con il fobico sociale, di collaborare attivamente nel percorso terapeutico, supportando il paziente in tutte le varie fasi del progetto stesso.
Importante e minuziosa è la descrizione che l’autrice rende al Case Management nell’approccio al paziente fobico-sociale, facendo riferimento ai vari tipi di tecniche di organizzazione assistenziale.
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Anteprima del libro
Fobia sociale - Chiara Impilloni
Tucidide
Capitolo I
La fobia sociale
Inquadramento storico del disturbo
La Fobia Sociale (FS) è un disturbo d'ansia caratterizzato dall'intensa paura e dall'evitamento di situazioni in cui l'individuo è esposto al giudizio degli altri, per il timore di mostrarsi imbarazzato, di apparire ridicolo ed incapace o di comportarsi in modo goffo, inopportuno ed umiliante (Cassano et al. 2002). Alla base di questo timore vi è, da un lato, il forte desiderio di dare una buona impressione agli altri e, dall'altro, l'incertezza riguardo al raggiungimento di questo obiettivo. In genere, la conseguenza immediata è l'istaurarsi di uno stato d'ansia che può in alcuni casi raggiungere l'intensità di un attacco di panico (APA, 2000).
Già nel V secolo a.C., il medico greco Ippocrate descriveva in questi termini un soggetto alle prese con tale disturbo: ‘‘Non è facile vederlo in giro: non sopporta la luce o il frequentare posti illuminati; porta il copricapo calato sugli occhi, non vede e si adopera in ogni modo per non esser visto. Non s’arrischia di entrare in una compagnia nel timore di esser maltrattato o umiliato, di lasciarsi andare in atti o discorsi, o di far sì che lo reputino un poveraccio. Egli pensa che tutti siano lì per guardare lui."
Le prime descrizioni ufficiali del disturbo risalgono agli inizi del '900 quando Janet (1903) definì la fobia delle situazioni sociali come la paura di parlare in pubblico, suonare il piano e scrivere di fronte ad altri
.
La specificità di tale disturbo venne poi negata con lo sviluppo delle teorie psicoanalitiche (secondo le quali le diverse fobie avrebbero meccanismi patogenetici comuni) e la FS venne classificata genericamente all'interno della nevrosi fobica.
Più avanti, lo sviluppo e l’impiego delle tecniche di terapia comportamentale provocarono un crescente interesse per lo studio dei quadri fobici specifici. Sulla base di nuovi dati raccolti, Marks e Gelder (1966) distinsero la FS dalle altre manifestazioni fobiche, definendola come paura di mangiare, bere, ballare, parlare, scrivere, ecc. in presenza di altre persone per il timore di risultare ridicoli
. Inoltre Marks (1970) evidenziò che i quadri fobico sociali differivano dall’agorafobia e dalle fobie specifiche per età e modalità di esordio, decorso, sintomatologia ed evoluzione, quindi ipotizzò l’esistenza di meccanismi patogenetici differenti per i vari disturbi fobici.
Nel definire la FS, egli incluse sia quadri clinici con condotte di evitamento limitate ad alcune situazione o attività (es. parlare o mangiare in pubblico), sia quadri con ansia sociale generalizzata a molteplici situazioni interpersonali (es. timore di partecipare ad una conversazione o di intrattenersi con altre persone, in particolare estranei o persone del sesso opposto).
L’evoluzione del concetto di Fobia Sociale nell’ambito della psicologia clinica ha seguito un percorso piuttosto atipico, o quantomeno curioso.
Dopo una prima concettualizzazione del disturbo negli anni Sessanta/Settanta, la FS scompare quasi del tutto dalle riviste scientifiche; riapparendo poi grazie ad un articolo, apparso nel 1985 sull’Archives of General Psychiatry, intitolato ‘Review of a neglected anxiety disorder’ (Liebowitz e coll, 1985).
In questo articolo, gli Autori denunciano che, mentre tutti gli altri disturbi d’ansia erano divenuti oggetto di ricerche sempre crescenti, la Fobia Sociale era stata quasi del tutto dimenticata e ingiustamente trascurata. L’articolo catturò l’attenzione di numerosi ricercatori che da allora fino ad oggi non hanno mai smesso di trovare nella fenomenologia della Fobia Sociale un fertile terreno per la ricerca.
L'autonomia della FS è stata, dunque, riconosciuta nei sistemi diagnostici internazionali (ICD-9, DSM-III) solo tardivamente, a partire dagli anni '80, comprendendo inizialmente solo la fobia limitata ad alcune specifiche situazioni; Le forme generalizzate, considerate autonome ed alternative, vennero invece inizialmente classificate separatamente all'interno dei Disturbi di Personalità, nella categoria diagnostica del DEP (Disturbo Evitante di Personalità).
Successivamente, a partire dalla metà degli anni '80, si è assistito ad un crescente interesse per lo studio della FS sia negli Stati Uniti che in Europa e ciò consentì la raccolta di una considerevole mole di dati. Tali dati e tali ricerche permisero di definire meglio le caratteristiche cliniche, epidemiologiche e di risposta ai trattamenti di questo disturbo.
Sulla base di queste osservazioni empiriche effettuate da vari gruppi di ricerca, i sistemi diagnostici internazionali hanno nel tempo ampliato il concetto di FS, aumentando anche il numero di criteri necessari per porre la diagnosi, ed è stata introdotta la distinzione tra la forma circoscritta e quella generalizzata, in base al numero e all’estensione delle situazioni sociali evitate, con la creazione di un sottotipo specifico.
Epidemiologia della Fobia Sociale
I primi studi che fornirono dati sufficientemente attendibili sull'incidenza della FS nella popolazione generale sono relativamente recenti. Gli studi antecedenti la pubblicazione del DSM-III, infatti, analizzavano in modo generico la presenza di fobie, considerandole una grande categoria unitaria, fornendo così valori di incidenza solo approssimativamente rappresentativi della realtà clinica dei disturbi fobici, certamente più complessa.
Dati più attendibili sono disponibili dalla metà degli anni '80, in seguito all'introduzione dei sistemi moderni di classificazione.
Tra i principali studi degli anni 80 troviamo l'Epidemiologic Catchment Area Study, commissionato dal National Institute of Mental Health (NIMH), uno studio epidemiologico su vasta scala mirata a valutare la prevalenza dei disturbi psichici nella popolazione generale degli USA. Lo strumento diagnostico utilizzato era la DIS (Diagnostic Interview Schedule) che, per quanto riguarda la FS, indaga solamente tre situazioni quali mangiare in pubblico, parlare di fronte ad un piccolo gruppo di persone conosciute e parlare ad estranei o incontrare nuove persone. La DIS non esplora altre caratteristiche tipiche della FS come, ad esempio, il timore dell'imbarazzo o dell'umiliazione in contesti e situazioni sociali. Myers e coll. (1984) fornirono alcuni risultati preliminari dello studio, da cui risultava che la prevalenza della FS era stimata allo 0,9-1,7% nell'uomo e all'1,5-2,5% nella donna. Allo studio ECA sono seguite altre ricerche che utilizzavano lo stesso strumento di valutazione e che riportarono risultati variabili nei diversi Paesi.
Altri studi epidemiologici non hanno utilizzato la DIS per la diagnosi: tra questi troviamo lo studio realizzato da Faravelli e coll. (1989) a Firenze tramite una intervista semistrutturata derivata dalla Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia-lifetime version (SADS-L). Tale ricerca riporta una prevalenza lifetime intorno allo 0,99%.
Nel 1988, utilizzando uno strumento di indagine telefonica, Pollard e Henderson condussero una ricerca per indagare la presenza di ansia sociale nella popolazione generale. Essi, attraverso uno strumento in linea con i criteri del DSM-III per la diagnosi, riscontrarono una prevalenza del disturbo intorno al 2%. In seguito, nel 1994, Stein e coll., avvalendosi di un’intervista telefonica che soddisfaceva i criteri del DSM-III-R, stimarono una presenza del disturbo vicina al 7%. In questo studio, l’impiego di una definizione più ampia della FS, in linea con i criteri del DSM-III-R, oltre al fatto di aver indagato un numero maggiore di situazioni, potrebbe spiegare il risultato ottenuto, notevolmente più alto dei valori riportati in precedenza.
Tra gli studi recenti, uno tra i più accurati dal punto di vista metodologico è stato il National Comorbidity Survey (NCS) effettuato da Kessler e McGonagle (1994; Kessler et al. 1998). Essi usufruirono di una versione modificata e aggiornata della DIS, un’intervista altamente strutturata chiamata Composite International Diagnostic Interview (CIDI) tramite cui rilevarono una prevalenza di FS a 12 mesi del 7,9% e una presenza lifetime della FS del 13,3%. Poiché furono utilizzati criteri diagnostici più ampi, ispirati alla nuova edizione del DSM, i risultati dello studio NCS furono più elevati rispetto a quelli ottenuti con lo studio ECA.
Inoltre, in Italia, tra il 2001 e il 2002, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha disposto e sostenuto il primo studio epidemiologico sulla prevalenza dei disturbi mentali, nell’ambito del Progetto Nazionale Salute Mentale (De Girolamo et al., 2005), parte di un più ampio progetto europeo, lo European Study on the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD, 2004).
È stato innanzitutto scelto un campione rappresentativo della popolazione generale, con età superiore ai diciotto anni; successivamente, al campione è stata somministrata l’edizione italiana della CIDI (Kessler, Ustun, 2004), un’intervista strutturata computerizzata che permette di formulare le diverse diagnosi psicopatologiche sulla base dei criteri dell’ICD-10 e del DSM-IV.
Riguardo la prevalenza lifetime, la FS si colloca al quinto posto con un risultato del 2,1% ( le più frequenti risultano il Disturbo Depressivo Maggiore con il 10,1% e la Fobia Specifica con il 5,7%); mentre, rispetto alla prevalenza a 12 mesi, la FS, con l’1%, è il terzo disturbo più comune dopo il Disturbo Depressivo Maggiore (5,1%) e la Fobia Specifica (3%). Studi più recenti ottenuti confrontando i criteri diagnostici del DSM-IV con quelli del DSM-5 hanno dimostrato che utilizzando questi ultimi la prevalenza del disturbo potrebbe essere superiore alle stime precedenti poiché vengono presi in considerazione anche casi di fobia sociale lieve, precedentemente non inclusi (Björn e coll., 2016) ; nonostante ciò sono necessari ulteriori studi che prendano in considerazione tutti i criteri diagnostici del DSM-5 per valutare le stime effettive della prevalenza del disturbo.
I tassi di incidenza della FS nei due sessi non sono molto diversi. Nei campioni epidemiologici la FS è più frequente nelle donne di 1-3 volte (Andrews et al., 1999), mentre nei campioni clinici il rapporto tra i tassi è più vicino a 1,0. La più alta percentuale di uomini nei campioni clinici rispetto a quelli epidemiologici è probabilmente dovuta a diversità nella richiesta di trattamento. Weiller e al. (1996) hanno osservato che gli uomini con fobia sociale si rivolgono allo psicologo più frequentemente rispetto alle donne. La causa di tale differenza va ricercata nella differente accezione che la timidezza ha nei due sessi: nelle donne è comunemente considerata indice di pudore e sensibilità, comportando una maggiore tolleranza sociale del disturbo e una minore percezione nel disagio che si riflette in una minore richiesta di aiuto e supporto; negli uomini, invece, la timidezza può essere interpretata come mancanza di forza e sicurezza causando più frequentemente disagio e quindi richiesta di aiuto specialistico (Dell’Osso, 2005). Un’altra differenza esistente riguarda la prevalenza del disturbo nei diversi Paesi; risulta, infatti, che i tassi più bassi siano nei paesi orientali, in particolare in Cina (Brockveld et al., 2014). Questa differenza può scaturire dal fatto che, in determinati paesi, la timidezza e, in parte, il ritiro sociale siano considerati elementi normali e addirittura positivi mentre in altri paesi la visione è nettamente opposta.
In conclusione si può affermare, grazie agli studi e alle varie ricerche condotte, che la FS è in disturbo relativamente comune, in particolare nell’infanzia e nell’adolescenza (Burstein et al, 2011; Lawrence et al, 2015); Risulta quindi evidente che la reale prevalenza della FS nella popolazione generale è elevata ed è causa di disadattamento marcato.
Quadro sintomatologico
Il quadro clinico della Fobia Sociale è ampio e soprattutto variabile. Come già anticipato nel precedente paragrafo, clinicamente è possibile distinguere due forme di FS: la forma specifica (o circoscritta) e la forma generalizzata. Nella forma specifica, la sintomatologia si manifesta in corrispondenza di situazioni limitate in cui, generalmente, il soggetto si trova a svolgere un’azione o una performance mentre è osservato.
Sono esempi di FS specifica il timore di parlare in pubblico (per paura di apparire goffi e impacciati e quindi di generare negli altri una opinione negativa), di scrivere, bere, mangiare di fronte ad altre persone (per paura di apparire goffi, imbarazzati e generare negli altri una opinione negativa), urinare nei bagni pubblici (per paura di essere visti o sentiti, questo disturbo è detto paruresis, urofobia o sindrome della vescica timida). Spesso, in queste circostanze, subentrano anche sintomi neurovegetativi quali tremori, rossore del viso, aumento della sudorazione, che peggiorano ulteriormente il disagio del soggetto.
La FS generalizzata è invece caratterizzata dalla comparsa del disturbo e quindi della sintomatologia ansiosa in molteplici situazioni e circostanze sociali tali da causare vere e proprie condotte di evitamento e un livello di disagio e disadattamento più marcato rispetto alla forma circoscritta. Può capitare, inoltre, che i pazienti risultino letteralmente terrorizzati dall'idea di incontrare persone nuove, specie se di sesso opposto, e in alcuni casi perfino amici e parenti; Come conseguenza sviluppano vere e proprie tecniche di evitamento e di ritiro. La distinzione tra la forma circoscritta e quella generalizzata non sempre è semplice o possibile in quanto vi sono numerosi quadri clinici intermedi. Infatti, soprattutto allo scopo di definire un trattamento più adeguato, ultimamente sono stati