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Il pianeta Venere e i suoi abitanti – Gli abitanti di Marte
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E-book295 pagine3 ore

Il pianeta Venere e i suoi abitanti – Gli abitanti di Marte

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Info su questo ebook

Dalla terrazza del dottor Torresi, sotto il limpido cielo di una notte d’estate romana, la giovane Clelia sogna di fantastici mondi che potrebbero celarsi nell’immensità dell’universo al di là delle stelle. Poi un’idea: Clelia aveva già dato mostra in vita sua di straordinarie doti di veggenza, e perché dunque non andare con la mente lassù dove nessuno prima aveva osato? Attraverso un «sonno magnetico» indotto in ipnosi dal dottore, Clelia conosce così l’eden venusiano, abitato da una razza evoluta di uomini altissimi e sempre giovani, e le lande dei marziani, pigmei dall’aspetto primitivo eppure dotati di tecnologie avanzatissime.
*Il pianeta venere e i suoi abitanti* (uscito a fascicoli nel 1904) e *Gli abitanti di Marte* (pubblicato a puntate fra il 1905 e il 1906), sfruttando una curiosa variante sul tema dell’ipnosi mesmerica tanto in voga nelle ricerche scientifiche e nella letteratura popolare a cavallo fra Ottocento e Novecento, ci raccontano in chiave fantastica di utopici e idee di progresso. E per l’essere umano è, in entrambi i casi, una lezione di civiltà e altruismo.
Con la prefazione di Matteo Maculotti e le illustrazioni originali di Ottavio Rodella.
LinguaItaliano
EditoreCliquot
Data di uscita25 lug 2018
ISBN9788899729202
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    Anteprima del libro

    Il pianeta Venere e i suoi abitanti – Gli abitanti di Marte - Gaspare Freddi

    Generi

    9

    Gaspare Freddi

    Il pianeta Venere e i suoi abitanti

    Gli abitanti di Marte

    Copertina di Riccardo Fabiani

    Ebook designer: Cristina Barone

    Titolo originale: Il pianta Venere e i suoi abitanti

    Gli abitanti di Marte

    Autore: Gaspare Freddi

    ISBN: 9788899729202

    © 2018 Cliquot edizioni s.r.l.

    via dei Ramni, 26 – 00185 Roma

    P.Iva 14791841001

    www.cliquot.it

    cliquot@cliquot.it

    Prefazione

    Sulle tracce della protofantascienza

    Lo scandaglio di quella terra incognita che è la protofantascienza italiana, secondo la metafora con cui Gianfranco de Turris definì la narrativa avveniristica a cavallo tra Ottocento e Novecento, è affare piuttosto recente e ancora in corso d’opera. Lo stesso de Turris, coadiuvato da Claudio Gallo, raccolse nel volume Le aeronavi dei Savoia (2001) un’antologia utile per tracciare una prima mappatura del campo, delimitando l’orizzonte temporale fra due estremi: da un lato il termine ante quem del 1952, anno in cui nelle edicole italiane fecero il loro esordio le riviste Scienza fantastica e Urania, e su quest’ultima Giorgio Monicelli coniò il termine fanta-scienza; dall’altro il 1891 cui risale il più antico racconto protofantascientifico rintracciato sulle pagine de La Tribuna illustrata, supplemento che sul finire del XIX secolo rifletteva l’emergere di un nuovo modello di pubblicazione popolare e ad ampia diffusione.

    Posto che l’origine di alcuni topoi fantascientifici può essere indagata in ottica comparatistica alla luce di fonti ben più remote, passando dal resoconto parodico di un viaggio sulla Luna nella Storia vera di Luciano di Samosata (II secolo d.C.) alla secolare tradizione letteraria dell’utopia, è con l’età moderna che comincia a prendere corpo la fantasia scientifica e tecnologica di un altrove connotato in senso spaziale – nell’immagine di altri corpi celesti visitabili – o temporale – nell’idea di un futuro passibile di immaginazione. Diversi esempi notevoli apparvero già nel Seicento e nel Settecento, a seguito delle rivoluzioni fisiche e astronomiche, sotto forma di scritti divulgativi, racconti filosofici e prose satiriche a firma di autori come Keplero, Bacone, Swift e Voltaire, ma il filone fantastico scientifico conobbe uno sviluppo cruciale in ambito romanzesco solo nell’Ottocento, ovvero nell’età delle grandi rivoluzioni industriali, delle prime applicazioni dell’energia elettrica, dell’evoluzionismo e del positivismo.

    I due maestri indiscussi dell’epoca furono il francese Jules Verne, che dalla metà del secolo firmò numerosi romanzi scientifici e avventurosi ma anche opere più specificamente ascrivibili al filone protofantascientifico, come Dalla Terra alla Luna (1865) e il suo seguito Intorno alla Luna (1870), e il britannico H. G. Wells, che in romanzi come La macchina del tempo (1895) e La guerra dei mondi (1897) diede vita a suggestioni destinate a influenzare in modo ancora più decisivo l’immaginario della fantascienza nei decenni a seguire.

    Tra le opere che conobbero una risonanza maggiore meritano una menzione anche il romanzo Guardando indietro (1888) dell’americano Edward Bellamy, dove un sonno più che centenario trasporta il protagonista nel futuro di un’utopia socialista, e gli scritti del francese Camille Flammarion, astronomo che nella seconda metà dell’Ottocento utilizzò l’immaginario cosmico sia in sede di divulgazione scientifica, sia all’interno di narrazioni fantastiche. Altri autori meno celebri consentono poi di ricostruire in modo più preciso una genealogia del filone. Al francese Félix Bodin, nella prefazione del suo Le roman de l’avenir (1834), si attribuisce la prima riflessione programmatica sulla necessità di sviluppare un nuovo tipo di romanzo futuristico dove il divenire temporale fosse oggetto di una rappresentazione plausibile. L’americano Edward Page Mitchell, sulle pagine del New York Sun, pubblicò invece a partire dal 1874 svariati racconti che anticiparono molti motivi fantascientifici, come quello del viaggio nel tempo per mezzo di un dispositivo tecnologico.

    Il panorama italiano

    Una narrativa avveniristica conobbe una significativa fioritura anche in Italia, in parallelo alla crescente diffusione di romanzi avventurosi e fantastici e di traduzioni dai principali autori stranieri. Il tema del viaggio nel futuro comparve ad esempio in un racconto di Ippolito Nievo pubblicato come strenna della rivista L’Uomo di pietra (Storia filosofica dei secoli futuri fino all’anno dell’era volgare 2222, 1860), nei romanzi di Antonio Ghislanzoni (Abrakadabra, 1864), di Agostino Della Sala Spada (Nel 2073!, 1874) e dell’illustre medico e antropologo darwiniano Paolo Mantegazza (L’anno 3000, 1897), mentre per il tema del viaggio nello spazio si possono ricordare le opere di Ulisse Grifoni (Da Firenze alle stelle, 1885, ampliato poi in Dalla Terra alle stelle, 1887), Yambo (pseud. di Enrico Novelli, che scrisse Dalla Terra alle Stelle, 1890 e Gli esploratori dell’infinito, 1906) e F. Bianchi (Dalla Terra a Marte, 1895).

    Quanto all’esponente più celebre della narrativa popolare dell’epoca, Emilio Salgari, la fama di Verne italiano che allora lo accompagnava è da considerarsi come l’effetto di un accostamento tendenzioso promosso a scopo commerciale dai suoi editori, se a un esame delle loro opere risaltano molte più divergenze che consonanze. Rispetto a Verne, Salgari non nutrì un particolare interesse nei confronti di un immaginario tecnologico, scientifico e avveniristico, al quale piuttosto contrapponeva una poetica dell’esotismo e dell’avventura legata all’azione concreta e drammatica, più che alla speculazione fantastica.

    Le narrazioni avveniristiche salgariane si contano sulle dita di una mano, e furono originariamente scritte sotto pseudonimo nel periodo in cui l’autore, avendo firmato un contratto con l’editore genovese Donath, non poteva utilizzare il suo nome per altri testi che forniva a editori concorrenti. È il caso dei racconti La Stella filante (1903) e Alla conquista della Luna (1904), pubblicati col nome Guido Altieri nella collana Bibliotechina aurea illustrata dell’editore palermitano Biondo, e del romanzo Le meraviglie del Duemila, scritto nel 1903 con lo stesso pseudonimo ma poi pubblicato nel 1907 a suo nome, per via della cessazione del contratto con Donath e della stipula di un nuovo contratto con l’editore fiorentino Bemporad.

    Il lettore in cerca delle consuete suggestioni straordinarie resterebbe sorpreso e forse in parte deluso di fronte a queste storie, il cui fascino risiede soprattutto nel loro carattere anomalo. In Alla conquista della Luna il racconto è concepito dal punto di vista di un osservatore esterno, che non prende parte al tentativo di spedizione dei due scienziati impegnati nella costruzione di un’astronave. Per questo motivo non vi è alcuna descrizione dello spazio cosmico né della superficie lunare, e soltanto attraverso il vaglio di alcuni documenti rinvenuti in mare il racconto tenta di ricostruire l’esito del viaggio, finché il ritrovamento di un uomo, che si ipotizza essere uno dei due dispersi, non lascia presagire la disfatta, evocando peraltro una prospettiva capovolta rispetto a quella iniziale, ovvero una caduta dal cielo verso la Terra: «Disgraziatamente quell’uomo era pazzo e non riusciva a dare chiare spiegazioni sul modo con cui era giunto su quella terra. La sola frase che ripeteva, era sempre la medesima: Sono caduto dal cielo».

    Analogo è il destino che in Le meraviglie del Duemila attende i due protagonisti risvegliatisi nel 2003, dichiarati pazzi a causa di quella che un medico ipotizza essere l’influenza fatale della tensione elettrica, che nel futuro ha ormai saturato l’aria dell’intero pianeta. Ma al di là della critica e della diffidenza tematizzate in queste storie nei confronti della tecnologia, il rapporto di Salgari con l’immaginario avveniristico può essere comunque valutato anche a partire da un’iniziativa che risale proprio agli stessi anni, e che indicherebbe se non altro un suo interesse per tale filone narrativo. Nel 1904 l’editore Donath affidò a Salgari la direzione del settimanale di avventure e viaggi Per Terra e per Mare, che avrebbe portato avanti fino al 1906. In questo breve lasso di tempo, sulle pagine del periodico trovarono spazio diversi racconti e romanzi a puntate di ispirazione protofantascientifica, tra cui Gli abitanti di Marte di Gaspare Freddi, comparso tra il 1905 e il 1906, che seguì a breve distanza la pubblicazione di un altro romanzo dello stesso autore, Il pianeta Venere e i suoi abitanti, pubblicato nel 1904 in quattordici dispense dalla Società editrice La Milano, con illustrazioni di Ottavio Rodella. Ma chi era Gaspare Freddi, e perché le due opere meritano di essere rispolverate a distanza di più di un secolo?

    Le visioni di Gaspare Freddi

    Nato nel 1844, Gaspare Freddi fu ufficiale d’artiglieria nell’esercito italiano. Una nota biografica contenuta in Armi e armaioli d’Italia di Enzio Malatesta (1939) ripercorre in questi termini le tappe della sua carriera: «Sottotenente nel 1864, specializzatosi nel ramo tecnico, prestò servizio presso la fabbrica d’armi di Terni. Tenente colonnello nel 1895, nel 1901 divenne colonnello nella riserva». Nella memoria degli appassionati del settore, però, il nome di Freddi è connesso soprattutto ad alcuni studi sulle armi, e in particolare ai pionieristici progetti di fucili semiautomatici, che tuttavia furono realizzati solo in forma di prototipi».

    Di altra natura sono i lavori con cui Freddi fece il suo ingresso, a sessant’anni, sulla scena della letteratura popolare, ovvero una coppia di romanzi dedicati rispettivamente alla descrizione della vita e degli abitanti dei pianeti Venere e Marte. Data l’assenza di un’effettiva esplorazione fisica dei pianeti, è opportuno specificare che non si tratta in senso stretto di veri e propri viaggi spaziali: prima dell’avvento delle astronavi, per gran parte della narrativa dell’epoca, l’espediente più utilizzato in storie di questo genere era in effetti quello del sogno straordinario. Gaspare Freddi scelse comunque una variante più insolita, e richiamandosi alla teoria del magnetismo animale elaborata dal medico tedesco Franz Anton Mesmer (1734-1815) concepì un particolare tipo di visione medianica propiziata dal «sonno magnetico» di una giovane veggente.

    Due autorevoli riferimenti alle teorie di Mesmer compaiono in altrettanti racconti di Edgar Allan Poe, Rivelazioni mesmeriche (1844) e La verità sul caso del signor Valdemar (1845), dove il tema è messo in relazione coi motivi del trapasso e della vita dopo la morte. L’intreccio di teorie scientifiche e parascientifiche, finzioni letterarie e cronache sensazionalistiche che a quel tempo nutriva la fantasia dei narratori, e che si ritrova nei romanzi di Gaspare Freddi come in molta letteratura popolare, conosce però anche un altro precedente a firma dello stesso Poe, dedicato peraltro proprio al topos del viaggio spaziale. Nel 1835, il suo racconto L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall descrisse un curioso viaggio sulla Luna sotto forma di cronaca giornalistica, anticipando di pochi mesi, e probabilmente ispirando, la comparsa sul New York Sun di una serie di articoli sulla scoperta della vita sulla Luna, falsamente attribuita all’astronomo inglese John Herschel e nota oggi, per la grande risonanza che ebbe all’epoca, come the great moon hoax (la grande burla lunare).

    Una suggestione analoga e ancora più vicina alle fantasie di Freddi è poi quella legata alle osservazioni del pianeta Marte e alla presunta esistenza di una civiltà di marziani. In L’astronomia popolare (1880) Camille Flammarion descrisse Marte come un pianeta simile alla Terra, con fiumi, valli e catene montuose, sulla scorta di una visione che derivava dalle prime scoperte al telescopio di Giovanni Schiaparelli, allora direttore dell’Osservatorio astronomico di Brera, e che diede origine alla clamorosa controversia sui canali di Marte. Schiaparelli aveva rilevato sulla superficie del pianeta una fitta rete di depressioni rettilinee che chiamò canali, e pur restando cauto nel definirne la natura si spinse a ipotizzare che potesse permettere la diffusione dell’acqua e della vita organica. Il passo successivo consistette nel supporre – come fece soprattutto l’americano Percival Lowell – che tali canali costituissero una prova della presenza sul pianeta di una civiltà progredita. La stessa fantasia popolare, del resto, si affezionò facilmente all’idea che Marte fosse un pianeta abitabile e abitato, e anche quando fu accertato che i canali erano soltanto il prodotto di un’illusione ottica non cessò di sfruttare in senso letterario l’immagine evocativa del pianeta rosso che aveva forgiato negli anni.

    Nei romanzi di Gaspare Freddi, come si è detto, i pianeti Venere e Marte sono descritti sotto forma di visioni medianiche, in un contesto del tutto analogo a quello delle sedute spiritiche. Posto che i confini tra la scienza, lo spiritismo e la fantasia erano all’epoca ben più labili di oggi, e per questa ragione fenomeni metapsichici erano oggetto dell’interesse scientifico così come di narrazioni fantastiche, è probabile che la fonte di ispirazione per il personaggio della giovane veggente Clelia sia stata la celebre medium Eusapia Palladino, alle cui sedute parteciparono anche scienziati come Cesare Lombroso e lo stesso Schiaparelli, e che a quanto pare, alla presenza di quest’ultimo, si prestò almeno in un’occasione a fare da tramite per un esperimento di comunicazione con i marziani.

    Al di là delle influenze che hanno ispirato la cornice narrativa della storia, vale infine la pena di osservare più da vicino il nucleo propriamente immaginifico dei due romanzi, ovvero il modo in cui Freddi ha scelto di rappresentare i due pianeti e i loro abitanti. Nel caso di Venere, ci troviamo di fronte a un vero e proprio Eden abitato da una razza evoluta di uomini e donne altissimi e sempre giovani, capaci di esercitare un controllo assoluto sul territorio, sulle bestie più o meno feroci che li circondano e su qualsiasi fenomeno atmosferico. Gli abitanti di Venere, spiega il dottore, «nascono adulti e non muoiono né deperiscono», «possono dare vita a uomini e animali e possono modificare a piacer loro la conformazione di questi. Dispongono delle energie della natura a loro talento e non hanno bisogno di ricorrere al cibo per nutrirsi; anzi considerano l’alimento come causa deleteria. Vivono tra loro in piena armonia».

    Dalla sublimazione degli impulsi animali (compreso l’appetito) alla creazione artificiale dell’uomo, passando per cerimonie augurali, canti, musiche e monumenti, l’intera visione del pianeta sembra rielaborare in chiave di idillio extraterreste l’immagine mitologica di Venere intesa come divinità civilizzatrice, foriera di una generale armonia platonica. Lo scenario è poi arricchito dalle descrizioni di animali immaginari, spesso scelte da Rodella come spunto per le sue illustrazioni, e da alcune trovate singolari, come l’idea di una comunicazione ottica a distanza tra Venere e la Terra per mezzo di un grande riflettore parabolico, una catena montuosa utilizzata come strumento musicale e la nuvoletta di un saggio Mentore che trasporta la veggente in giro per il pianeta, lasciando supporre che la sua visione medianica si accompagni a un fenomeno di bilocazione.

    Anche per Marte, abitato da pigmei umanoidi con la faccia e le mani ricoperte di pelo, Freddi immagina un pianeta dove le condizioni morfologiche del luogo rimandano alle ere primordiali della Terra, mentre lo stato della civiltà è incomparabilmente più avanzato rispetto a quello terrestre dell’epoca. Più che dagli impieghi creativi dell’energia elettrica, dai «meccanismi automatici» adibiti a portieri delle abitazioni e dalle aeronavi romboidali con cui marziani si muovono su terre in massima parte ancora sommerse dalle acque, ciò è testimoniato dalle vaste gallerie trasparenti che ospitano luoghi di ritrovo, empori commerciali, officine e laboratori, emblemi di un’efficientissima organizzazione della vita sociale fondata sul principio di un’equa distribuzione del lavoro.

    Un breve excursus storiografico rende poi conto di un passaggio epocale, da un’antichità dominata da stirpi di guerrieri all’attuale età di pace, iniziata secoli prima a seguito della comparsa di un genio benefico. Così come per l’ordine sociale e il progresso tecnologico, il paragone con la Terra è immediato e impietoso se, come osserva il dottore, si è «alla vigilia di una grande guerra, che dovrà costare la vita e il benessere a migliaia e migliaia di persone». La visione del pianeta lontano assume allora connotati tipici della tradizione utopica, ma la sua funzione non si risolve in un’ottica contemplativa: posti di fronte ai vari aspetti di una civiltà più giusta e maggiormente organizzata, tutti coloro che partecipano alle sedute danno vita a vivaci dibattiti, ricchi di riflessioni e proposte operative, incentrati sulla possibilità di prendere spunto da quei popoli per cambiare in meglio la propria società.

    Al giorno d’oggi può far sorridere l’ingenuo ottimismo che a questo gruppetto di borghesi ispira su due piedi la fondazione di società filantropiche, ma durante la lettura dei due romanzi, tra le pieghe dell’affabulazione fantastica, è difficile non provare una certa meraviglia nei confronti di ciò che in passato rappresentava il futuro, in termini di promesse, desideri e aspirazioni. In questo senso, in un tempo in cui numerose innovazioni perlopiù futili si succedono a un ritmo talmente rapido da tendere alla simultaneità, la riscoperta di voci e fantasie dimenticate si rivela tanto più preziosa perché in grado di riavvicinarci non solo al nostro passato, ma anche a un futuro di cui forse ci siamo scordati l’esistenza, o perlomeno la possibilità di assumerlo come oggetto dei nostri pensieri.

    Matteo Maculotti

    Bibliografia critica essenziale

    AA.VV., Le aeronavi dei Savoia. Protofantascienza italiana 1891–1952, a cura di Gianfranco de Turris, con la collaborazione di Claudio Gallo, Milano, Nord, 2001.

    AA.VV., Viaggi straordinari tra spazio e tempo, a cura di Claudio Gallo, catalogo dell’omonima mostra, Biblioteca Civica di Verona (23 giugno–29 settembre 2001).

    AA.VV., Dalla terra alle stelle. Tre secoli di fantascienza e utopie italiane, a cura di Giuseppe Lippi, catalogo dell’omonima mostra, Biblioteca di via Senato, Milano (18 maggio–30 ottobre 2005).

    AA.VV., Futuro italiano. Scritture del tempo a venire, a cura di Alessandro Benassi, Fabrizio Bondi, Serena Pezzini; Lucca, Pacini Fazzi, 2012.

    Claudio Gallo, Giuseppe Bonomi, Emilio Salgari. La macchina dei sogni, Milano, Rizzoli, 2011.

    Giovanni Virginio Schiaparelli, La vita sul pianeta Marte. Tre scritti di Schiaparelli su Marte e i marziani, a cura di Pasquale Tucci, Agnese Mandrino e Antonella Testa, Milano, Mimesis, 1998.

    Riccardo Valla, Il viaggio spaziale nella prima fantascienza, Robot, anno XI, n. 28, primavera 2013, pp. 139-147.

    Nota dell’editore

    Il pianeta Venere e i suoi abitanti è stato pubblicato per la prima e unica volta in 14 dispense dalla Società editrice La Milano nel 1904, mentre il suo seguito Gli abitanti di Marte uscì in 11 puntate su Per Terra e per Mare dal n.50 del 1905 al n. 8 del 1906.

    Le versioni qui riprodotte fanno riferimento ai testi originali, fatte salve alcune minime correzioni di refusi e punteggiatura per rendere la lettura più agevole al pubblico odierno.

    Il pianeta Venere e i suoi abitanti

    Parte prima

    Gli abitanti di Venere

    I. Il dottore Torresi

    Il dottore Cosimo Torresi è un giovane simpatico, sui 30 anni, alto e snello, dalla maschia figura e dalla fronte spaziosa e intelligente.

    Egli esercita la sua professione, da parecchi anni, nella capitale d’Italia, dove gode la fiducia e la stima della numerosissima sua clientela.

    È specialista per le malattie epilettiche e nervose, e le cura con un suo metodo originale, basato sul magnetismo.

    I profondi studi da lui accuratamente seguiti negli ospedali delle principali città di Europa lo hanno messo in grado di concretare questo nuovo metodo di cura da cui ha potuto ottenere rilevanti successi a sommo vantaggio e beneficio degli ammalati, e a confusione degli invidiosi rivali, che osavano dapprincipio di tacciare le sue cure perfino di empirismo.

    Alla guerra mossagli da’ suoi avversari, rispondeva serenamente con fatti incontestabili, con guarigioni sorprendenti di ammalati che altri ritenevano inesorabilmente perduti.

    Tutto ciò senza darsi la minima importanza, né l’aria di uomo superiore. No; anzi, egli discuteva bonariamente sul suo metodo, e alle obiezioni che

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