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Il mistero della Sfinge Gialla
Il mistero della Sfinge Gialla
Il mistero della Sfinge Gialla
E-book215 pagine2 ore

Il mistero della Sfinge Gialla

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Info su questo ebook

Una Londra brumosa e fredda, un medico che riceve una misteriosa telefonata la sera dell’ultimo dell’anno, un veleno che non perdona e un viaggio nelle terre dell’Estremo Oriente per fermare i piani criminali del terribile Fu-Mang-Yu e sgominare la sua diabolica setta. Il mistero della Sfinge Gialla è un “romanzo d’avventure”, come recita il sottotitolo dell’edizione originale del 1935, in cui però l’autore si discosta per una volta dal salgarismo imperante per prendere spunto dalle esotiche vicende del dottorFu Manchu di Sax Rohmer, e proporre così al lettore una storia di spionaggio dai toni fantastici che è anche uno dei primi esempi italiani del genere. E gli ingredienti della formula usata da Ciancimino, dal supercattivo all’isola misteriosa dotata di avveniristici congegni difensivi, sono talmente universali che quando il noto studioso salgariano Felice Pozzo, che qui cura la prefazione, individuò notevoli corrispondenze con Il dottor No di Ian Fleming, ci fu chi ipotizzò che il padre di James Bond avesse addirittura copiato…
Ciancimino ripropose gli eroi di questo romanzo anche nel seguito Le bare di granito (1935), ripubblicato in digitale in questa stessa collana.
LinguaItaliano
EditoreCliquot
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788894073867
Il mistero della Sfinge Gialla

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    Anteprima del libro

    Il mistero della Sfinge Gialla - Calogero Ciancimino

    Generi

    4

    Calogero Ciancimino

    Il mistero della Sfinge Gialla

    Ebook design: Cristina Barone

    Copertina di Riccardo Fabiani

    Titolo originale: Il mistero della sfinge gialla

    Autore: Calogero Ciancimino

    isbn: 9788894073867

    © 2018 Cliquot edizioni s.r.l.

    via dei Ramni, 26 – 00185 Roma

    P.Iva 14791841001

    www.cliquot.it

    cliquot@cliquot.it

    La Sfinge Gialla

    Tra i beniamini del pubblico, per quanto riguarda le più datate avventure poliziesche, va annoverato Arthur Henry Sarsfield Ward, noto come Sax Rohmer. Ben tredici dei suoi romanzi, apparsi tra il 1913 e il 1959, sono dedicati alle malefatte del dottor Fu Manchu, personaggio che ha conosciuto altrettanta fortuna nel mondo dei fumetti e del cinema.

    Il primo della serie, intitolato Il mistero del dottor Fu Manchu, fu pubblicato in Italia nel 1931 da Bemporad e anche da noi ebbe successo la serie contenente le gesta di questo misterioso cinese, capo del Consiglio dei Sette, organizzazione che raccoglie le bande di criminali e assassini di tutto il mondo.

    Di pochi anni dopo è Il mistero della Sfinge Gialla, a firma Calogero Ciancimino, nato a Sciacca (Agrigento) il 14 marzo 1899 e mancato prematuramente, per malattia, a Milano, il 14 gennaio 1936.

    Il suo primo romanzo, La nave senza nome, era stato pubblicato nel 1932; dopo di allora aveva dato alle stampe un romanzo dietro l’altro, così che nel 1935 la sua produzione annoverava già otto titoli.

    Si trattava per lo più di romanzi avventurosi sulla scia di Salgari e di Luigi Motta; ricordiamo Il bandito del Rio delle Amazzoni e Il figlio di Buffalo Bill, cui seguiranno altri a sfondo fantascientifico, come Il prosciugamento del Mediterraneo e Come si fermò la Terra (che rivedranno presto la luce in formato digitale grazie alla lodevole iniziativa di Cliquot) e altri ancora di divulgazione della guerra marittima nel periodo 1914-1918: Sommergibili nella guerra mondiale, Incrociatori corsari e Corazzate: le più grandi battaglie navali, editi a Milano dalla Editrice Le Grandi Avventure.

    Nel citato romanzo sulla Sfinge Gialla, denominazione d’una setta segreta e criminale, naturalmente di cinesi, secondo una moda dell’epoca, è più che mai evidente la fonte d’ispirazione, identificabile facilmente in Sax Rohmer, tanto più che il capo della setta si chiama Fu-Mang-Yu.

    A questo romanzo Ciancimino diede un seguito, intitolato Le bare di granito, anche questo ripubblicato da Cliquot in questa stessa collana. Il titolo è dovuto al fatto che nel suo covo il terribile cinese tiene prigionieri, appunto in bare di granito e in stato di morte apparente, generali, ammiragli, ministri e nobili; risvegliati a comando grazie a un ritrovato chimico inventato da Fu-Mang-Yu, diventeranno mostri di perversità e restituiti al mondo libero dovranno inaugurare l’era del delitto al servizio del crudele cinese.

    Nel romanzo, Fu-Mang-Yu si è asserragliato nell’Isola dell’Inferno, dotata di complicati e sofisticati (considerando l’epoca) sistemi di vigilanza, fra cui macigni girevoli e potenti catapulte. Uno dei segreti dell’isola è un congegno avveniristico che consente d’immobilizzare i motori degli aerei. L’eroe di turno riesce ad approdare sull’isola e, tra le altre insidie, si trova alle prese con un mostruoso sorvegliante tenuto in serbo nei sotterranei: un enorme polipo di trenta quintali! Caratteristica sorprendente di Fu-Mang-Yu è quella di avere un artiglio d’acciaio al posto della mano sinistra. Ora, se vogliamo ricordare un noto romanzo di Ian Fleming, Il dottor No, che risale al 1958, troviamo coincidenze curiose.

    Queste le vicende: 007 è inviato in missione all’isola di Crab-Kay tra la Giamaica e Cuba, proprietà di Julius No, un losco figuro di origine cinese che al posto delle mani ha pinze d’acciaio. Nell’isola, protetta da severi sistemi di vigilanza fra cui un finto drago, James Bond scoprirà una potente attrezzatura in grado d’interferire nei voli spaziali, deviando o interrompendo le traiettorie dei missili. Catturato dall’avversario, il super agente segreto con licenza d’uccidere dovrà affrontare le fatiche di Ercole, culminanti con la lotta contro un polipo gigante tenuto per occasioni del genere nei sotterranei dell’isola.

    Da questo romanzo, com’è noto, Terence Young trasse nel 1963 il primo film dedicato a Bond, consegnando ai fasti della gloria Sean Connery e Ursula Andress, prima d’allora pressoché sconosciuti. Nel film è peraltro omesso l’episodio del polipo.

    Non v’è dubbio, comunque, che a Ciancimino spetta il merito d’aver anticipato in qualche modo romanzo di spionaggio; d’altra parte è evidente che il Consiglio dei Sette, la Sfinge Gialla e la Spectre di bondiana memoria sono in pratica la stessa cosa.

    Se si considera, d’altro canto, che agli ordini di Fu Manchu agiscono anche i Thugs indiani e i Dacoiti birmani, eterni nemici di Sandokan, anche senza scomodare Salgari si vede bene come non si faccia altro che assistere all’eterna lotta tra il bene e il male. Restano comunque le numerose somiglianze tra il romanzo di Ciancimino e quello, successivo di oltre vent’anni, di Fleming. Un’ultima annotazione, priva questa volta di coincidenze, bensì appetitosa per i conoscitori di Ciancimino, annidati fra coloro che collezionano i testi dei precursori italiani di fantascienza: la situazione delle bare di granito è assai simile a quella riscontrabile nel film Futurworld: 2000 anni nel futuro (1976, con Peter Fonda), ambientato nel mitico mondo di Delos, dove uno scienziato duplica i visitatori più illustri sostituendoli con androidi programmati, che, restituiti al mondo libero, opereranno secondo i suoi voleri.

    Felice Pozzo

    Capitolo I

    Una telefonata originale

    L’avventura straordinariamente fantastica capitata al medico Paolo Berri ebbe inizio allo spirare dell’anno 1931, precisamente la notte del trentuno dicembre, tre ore prima del nascere dell’anno nuovo.

    Quella data doveva restargli impressa nella memoria, come inchiodata, per lungo tempo e per quanto i suoi nervi fossero a posto, per parecchi mesi, la notte, si svegliava sobbalzando con la sensazione di qualcosa d’opprimente, di greve, come un incubo che gli alitasse intorno, nell’oscurità profonda della sua camera.

    Quella sera era seduto nel suo salone, davanti il fuoco del camino monumentale e guardava la legna che crepitava giocondamente, dandogli un senso di benessere e di silenziosa soddisfazione.

    Fuori nevicava lentamente e le strade di Londra erano deserte come se la grande metropoli fosse stata abbandonata improvvisamente; nei pubblici locali, invece, i gaudenti si divertivano, in attesa della mezzanotte che avrebbe dato un addio al vecchio anno, salutando il nuovo.

    Il medico aveva rifiutato i numerosi inviti che gli erano pervenuti. Non che fosse un misantropo, ma perché quella sera aveva deciso, dato che non aveva potuto recarsi in Italia, di trascorrerla insieme alla sua Dolly, la mite fidanzata che attendeva da un minuto all’altro e che doveva arrivare con la vecchia zia e con tre o quattro amici intimi comuni.

    Vedere morire il vecchio anno, nell’intimità più perfetta, con Dolly e con quei pochi amici, gli sembrava più bello, quasi come un culto e una comunione di spirito con i suoi parenti lontani.

    Il grande orologio a pendolo batté nove colpi, sordi, ovattati, accompagnati dallo stridio di una molla che si svolgeva: Berri si alzò e appoggiò la fronte ai vetri di un’ampia finestra.

    Quel vecchio quartiere che, ordinariamente, era tranquillo ora sembrava addirittura morto sotto la neve che continuava a cadere, illuminato da scialbe luci a gas che davano la precisa impressione di essere dipinte sullo sfondo di uno scenario teatrale.

    Berri, sorpreso dai suoi ricordi, vicini e lontani, non si accorgeva che il tempo passava come al solito, senza accelerare né ritardare di un secondo; scorreva con quel suo solito e fatale ritmo che nessuna potenza umana può fermare.

    Quando alzò gli occhi e li posò sul pendolo osservò con sorpresa ch’erano quasi le nove e mezzo.

    Con una mossa nervosa, suonò il campanello.

    Di lì a qualche minuto il suo fedele servitore Leonardo si presentò discretamente davanti l’uscio:

    «Comandi, signore».

    «Leonardo, a che ora doveva venire la signorina Dolly?»

    «Dalle nove alle nove e mezzo, signore.»

    «Allora non è in ritardo?»

    «Certamente no.»

    «Bene, attizza il fuoco e appena verrà avvertimi subito.»

    «Benissimo.»

    Trascorsi cinque minuti, Leonardo si fece vedere di nuovo, annunziando:

    «La signorina Dolly».

    Berri, il quale non aveva lasciata la sua posizione, si volse e andò incontro alla fidanzata che in quel momento entrava in salone.

    Dopo averle baciate le punte delle dita di una manina adorabile, le chiese:

    «E gli altri?».

    «Ci attendono nella grande sala del White House; sono venuta a prenderti e stasera faremo un po’ di baldoria, spero che sarai contento.»

    «Contentissimo; però avrei preferito…»

    «Basta, incorreggibile uomo scienziato!» lo rimproverò Dolly, con grazia fanciullesca, mettendogli due dita sulle labbra. «Stasera, almeno, bisogna scacciare tutti i pensieri, tutte le preoccupazioni, dimenticare tutti gli ammalati (e sottolineò la parola) che si hanno in cura e divertirsi come fanciulli; domani torneremo seri e penseremo alle cose normali della vita e, poiché dovremo sposarci fra qualche settimana, stavolta, spero che il signorino, finalmente, si degnerà di darmi la lista dei suoi amici che dobbiamo invitare.»

    «Sì, cara; domani te la manderò a casa.»

    Lei sorrise con grazia, osservando:

    «È già la quinta o sesta volta che mi dici sempre domani e poi ti dimentichi».

    «Hai ragione, ma stavolta…»

    «Speriamo che non sia come le altre perché ormai siamo agli sgoccioli: mancano solo quindici giorni.»

    «No, assolutamente! incaricherò Leonardo di ricordarmelo.»

    «Ricordatelo una buona volta!» e lo minacciò con l’indice teso. «A proposito, la zia ti ha invitato per passare il capodanno con noi.»

    «Ho parecchi ammalati.»

    «Anche domani?»

    «Dolly cara, gli ammalati vi sono anche nelle feste; però potrò venire nel pomeriggio…»

    «Con la lista…»

    «Con la lista.»

    Il cameriere bussò all’uscio.

    «Che c’è, Leonardo?»

    «Hanno telefonato per lei.»

    «Ammalati?»

    «Non so; non mi sembra: debbo dire che lei è in casa?»

    «Sì, fai attendere qualche secondo.»

    E rivoltosi a Dolly:

    «Scusami, torno subito».

    «Fai presto!»

    «Prestissimo.»

    Il medico prese la cornetta in mano e la accostò all’orecchio:

    «Pronto?».

    «Parlo con il professore Paolo Berri?»

    «Con lui in persona.»

    «Ho bisogno urgente di parlarvi.»

    «Di che si tratta?»

    «Non posso dirvelo per telefono.»

    «Come?»

    «Non posso parlare perché sarebbe lungo a spiegarvi e poco prudente; fra un quarto d’ora la mia macchina verrà a prendervi.»

    «Posso sapere con chi sto parlando?»

    «Col baronetto Kingston; il numero del mio telefono è 18151 e potete telefonare a vostra volta; potete assicurarvi consultando la guida telefonica.»

    «Ma, insomma, si tratta di qualche malattia o di ferite?»

    «Né l’una né l’altra; ma la cosa è più grave.»

    «E avete bisogno del medico?»

    «Sì, e come vi ho già detto, d’urgenza.»

    «Non riesco a comprendere.»

    «Comprenderete quando sarete qui; vi prego di venire! Non temete di nulla! la mia macchina porta il numero 20705. Confermate!»

    La voce, anche attraverso il filo, si rivelava alterata e piena di angoscia; Berri tentennò e fu sul punto di dire di no; non perché gli mancasse il coraggio, anzi, ma perché quella telefonata gli sembrava fatta da un demente oppure da qualcuno che voleva scherzare stupidamente.

    La voce chiese di nuovo:

    «Allora verrete?».

    «Verrò.»

    E dopo avere attaccato con violenza il ricevitore, rientrò nel salotto. Dolly lo vide in qualche modo preoccupato e gli chiese con affettuosa premura:

    «Devi uscire?».

    «Purtroppo! Ma spero di tornare fra un’ora, al massimo.»

    «Ti attendo qui e fai in modo di tornare prima della mezzanotte.»

    «Non dubitare.»

    Non volle togliersi nemmeno la marsina, e mentre indossava la pelliccia una tromba suonò a lungo, nella strada.

    «Ecco la macchina; arrivederci Dolly.»

    «Arrivederci.»

    Berri scese in strada e vide una macchina poderosa e lussuosissima; il conducente aveva aperto una porta e attendeva col berretto in mano.

    «Copritevi subito!» intimò il medico. «Fa un freddo polare.»

    «Grazie milord.»

    Appena Berri montò, la macchina s’illuminò internamente e cominciò a muoversi, raggiungendo in pochi secondi una forte velocità. Dopo mezz’ora era uscita dalla città e ora s’inoltrava in piena campagna.

    Correva verso ovest, su una strada che si snodava rettilinea, larga e asfaltata. Essendo cominciato a nevicare due ore prima, mentre i campi avevano una coltre bianca, appena formata, la strada era ancora senza neve (si scioglieva appena vi si posava) e, sotto la potente luce dei fari, si distingueva bene e con sicurezza. Il conducente doveva avere ricevuto gli ordini in proposito perché aveva lanciata la macchina a una velocità financo pericolosa; il canto rombante del motore indicava che si correva almeno a centoventi chilometri l’ora.

    Ma dove diavolo mi si sta portando? si chiese mentalmente il medico che, avendo dimenticato di guardare la guida telefonica, non aveva veduto che quello strano cliente abitava così lontano.

    Finalmente, dopo un’altra mezz’ora, la macchina rallentò ed entrò in un cancello, percorrendo un viale di poche decine di metri fiancheggiato da alti e poderosi platani.

    Si fermò avanti una costruzione ampia e cupa, una specie di castello che nella notte si stagliava vagamente, come un’ombra indecisa. Non si vedevano luci e parte dell’ala sinistra era a metà diroccata, con le aperture superiori senza imposte, come occhiaie vuote e sinistre.

    Berri saltò a terra e, dopo avere considerato quello spettacolo poco allegro, chiese all’autista:

    «È proprio qui che dovevo essere portato?».

    «Sicuramente, milord!»

    «Fatemi allora da guida; andate avanti.»

    L’uomo aprì una porta mal connessa e imboccò un corridoio appena illuminato; poi salì un piano e fece entrare il medico in un salone vastissimo, riscaldato, illuminato dal gas ad acetilene. Vi era abbastanza luce per distinguere le pareti nude, senza un quadro, screpolate dal tempo; i mobili, invece, pur essendo vecchi, erano in buono stato, comodi, pratici e ampi; il pavimento abbondava di soffici tappeti. Accanto a un gigantesco camino, ove ardeva la metà di un tronco di un grosso albero, vi era un tavolo largo e basso, carico di bottiglie di liquori piene e vuote, di sigari e di fiammiferi, sparsi un po’ qua un po’ là, di portacenere e di gingilli più o meno inutili. Attorno al tavolo vi erano cinque poltrone di cuoio.

    Berri si rivolse all’autista che attendeva davanti la porta, chiedendogli:

    «Dov’è il baronetto?».

    «Verrà a momenti. Vostra signoria abbia la compiacenza di attenderlo.»

    «Va bene, potete andare ma attendetemi con la macchina pronta.»

    «Sì, milord.»

    Berri si sedette su una poltrona, si tolse la pelliccia e accese una sigaretta, esaminando il locale con maggiore attenzione.

    Le imposte delle quattro finestre erano chiuse ermeticamente ed ecco perché non filtrava nessuna luce all’esterno; lunghe fenditure attraversavano i

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