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La macchina del tempo - L'isola del Dottor Moreau
La macchina del tempo - L'isola del Dottor Moreau
La macchina del tempo - L'isola del Dottor Moreau
E-book305 pagine4 ore

La macchina del tempo - L'isola del Dottor Moreau

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Info su questo ebook

Traduzioni di Tullio Dobner e Gianni Pilo
Edizioni integrali

Creatore di veri e propri miti destinati a durare nel tempo, Wells ottenne uno straordinario successo, che prosegue fino a oggi ininterrotto, perché i progressi della conoscenza e della tecnica non hanno minimamente intaccato la capacità di emozionarci, esaltarci o spaventarci davanti a queste mirabili storie. In La macchina del tempo appare per la prima volta un mezzo meccanico in grado di trasportare avanti e indietro nel tempo chi sappia maneggiarlo. Un gentiluomo inglese, scienziato dilettante, racconta agli amici il viaggio nel lontano futuro che è riuscito a realizzare attraverso quest’ingegnosa macchina. 
Negli esseri creati in laboratorio dal Dottor Moreau, invece, rivive l’incubo della creatura di Frankenstein ma l’atmosfera è del tutto mutata: l’istinto animale e la lotta per la sopravvivenza rendono la storia di Wells decisamente più moderna ma altrettanto emblematica di quella della Shelley.
H.G. Wells
Herbert George Wells nacque a Bromley, nel Kent, nel 1866. Frequentò la Normal School of Science di Londra, e dalle conoscenze scientifiche seppe trarre linfa vitale per i suoi romanzi. È considerato il padre della fantascienza moderna, insieme con Jules Verne. Morì a Londra nel 1946. La Newton Compton ha pubblicato La guerra dei mondi, L’uomo invisibile e La macchina del tempo – L’isola del Dottor Moreau.
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2016
ISBN9788822703514
La macchina del tempo - L'isola del Dottor Moreau
Autore

H.G. Wells

H.G. Wells (1866–1946) was an English novelist who helped to define modern science fiction. Wells came from humble beginnings with a working-class family. As a teen, he was a draper’s assistant before earning a scholarship to the Normal School of Science. It was there that he expanded his horizons learning different subjects like physics and biology. Wells spent his free time writing stories, which eventually led to his groundbreaking debut, The Time Machine. It was quickly followed by other successful works like The Island of Doctor Moreau and The War of the Worlds.

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    Anteprima del libro

    La macchina del tempo - L'isola del Dottor Moreau - H.G. Wells

    e-classici.jpg

    575

    Titoli originali: The Time Machine,

    traduzione di Tullio Dobner;

    The Island of Dr. Moreau,

    traduzione di Gianni Pilo

    Prima edizione ebook: gennaio 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0351-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Il Paragrafo, www.paragrafo.it

    Herbert G. Wells

    La macchina del tempo

    L’isola del dottor Moreau

    Traduzione di Tullio Dobner e Gianni Pilo

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    Nota biobibliografica

    LA VITA

    Herbert George Wells nacque a Bromley (Kent) l’11 settembre 1866, da modesta famiglia. Fino a diciassette anni fu garzone apprendista presso un magazzino di tessuti; nel 1884 venne ammesso con una borsa di studio alla Normal School of Science di Londra, dove seguì con passione i corsi di Thomas H. Huxley, convinto seguace delle teorie di Darwin. Questa formazione scientifica si rivelerà fondamentale nell’attività letteraria di Wells, che inizia, appunto, con il connubio tra l’elemento scientifico e il fantastico: The Time Machine (1895), The Island of Dr. Moreau (1896), The Invisible Man (1897), The War of the Worlds (1898), The First Men in the Moon (1901). In questi libri Wells unisce ai suoi studi scientifici un’immaginazione straordinariamente fertile e vivace, dando nuovo impulso al genere dello «scientific romance», di cui insieme a Jules Verne è considerato il padre.

    Successivamente, Wells si cimentò anche in romanzi di impronta naturalistica e di ambientazione borghese, molto popolari e apprezzati nel periodo edoardiano: Love and Mr. Lewisham (1900), Kipps (1905), Ann Veronica (1909), Tono-Bungay (1909), The History of Mr. Polly (1910). Alcune opere escono dichiaratamente dal tipo del romanzo, come The War that will End the War (1914), Mr. Britling Sees it Through (1916), The Soul of a Bishop (1917), Joan and Peter (1918), The Salvaging of Civilization (1921), The World of William Clissold (1926), The Shape of Things to Come (1933). Notevolissimo documento d’epoca e di costume è l’Experiment in Autobiography (1934). Wells morì a Londra il 13 agosto 1946.

    LE OPERE

    Ci si limita, in questa sede, a fornire un elenco delle opere narrative di H.G. Wells, trascurando quelle a carattere prettamente saggistico o giornalistico.

    The Chronic Argonauts, Science Schools Jnl, aprile-giugno 1888.

    Select Conversations with an Uncle, now Extinct, and Two Other Reminiscences, 1895.

    The Time Machine: an Invention, 1895.

    The Wonderful Visit, 1895.

    The Stolen Bacillus, and Other Incidents, 1895.

    The Red Room, 1896.

    The Island of Dr. Moreau, 1896.

    The Wheels of Chance: a Holiday Adventure, 1896.

    The Plattner Story, and Others, 1897.

    The Invisible Man: a Grotesque Romance, 1897.

    Thirty Strange Stories, 1897.

    The War of the Worlds, 1898.

    When the Sleeper Wakes: a Story of the Years to Come, 1899.

    Tales of Space and Time, 1899.

    Love and Mr. Lewisham, 1900.

    The First Men in the Moon, 1901.

    The Sea Lady: a Tissue of Moonshine, 1902.

    Twelve Stories and a Dream, 1903.

    The Food of the Gods, and How It Came to Earth, 1904.

    A Modern Utopia, 1905.

    Kipps: the Story of a Simple Soul, 1905.

    In the Days of the Comet, 1906.

    The War in the Air, and Particularly How Mr. Bert Smallways Fared While It Lasted, 1908.

    Tono-Bungay, 1908.

    Ann Veronica: a Modern Love Story, 1909.

    The History of Mr. Polly, 1910.

    The New Machiavelli, 1910.

    The Country of the Blind, and Other Stories, 1911.

    Marriage, 1912.

    The Passionate Friends, 1913.

    The World Set Free: a Story of Mankind, 1914.

    The Wife of Sir Isaac Harman, 1914.

    Bealby: a Holiday, 1915.

    The Research Magnificent, 1915.

    Mr. Britling Sees It Through, 1916.

    The Soul of a Bishop: a Novel – With Just a Little Love in It – about Conscience and Religion and the Real Troubles of Life, 1917.

    Joan and Peter: the Story of an Education, 1918.

    The Undying Fire: a Contemporary Novel, 1919.

    The Secret Places of the Heart, 1922.

    Men Like Gods, 1923.

    The Dream, 1924.

    Christina Alberta’s Father, 1925.

    The World of William Clissold: a Novel at a New Angle, 1926.

    Meanwhile: the Picture of a Lady, 1927.

    Mr. Blettsworthy on Rampole Island, 1928.

    The King Who Was a King: the Book of a Film, 1929.

    The Adventures of Tommy, 1929.

    The Autocracy of Mr. Parham: His Remarkable Adventure in This Changing World, 1930.

    The Bulpington of Blup, 1932.

    The Shape of Things to Come: the Ultimate Resolution, 1933.

    Things to Come: a Film Story Based on the Material Contained in His History of Future, The Shape of Things to Come, 1935.

    The Croquet Player: a Story, 1936.

    Man Who Could Work Miracles: a Film Story Based on the Material Contained in His Short Story (in Tales of Space and Time), 1936.

    Star Begotten: a Biological Fantasia, 1937.

    Brynhild, 1937.

    The Camford Visitation, 1937.

    The Brothers: a Story, 1938.

    Apropos of Dolores, 1938.

    The Holy Terror, 1939.

    Babes in the Darkling Wood, 1940.

    Two Film Stories, 1940 (il volume riunisce Things to Come, pubblicato nel 1935 e Man Who Could Work Miracles, pubblicato nel 1936).

    All Aboard for Ararat, 1940.

    You Can’t Be Too Careful: a Sample of Life 1901-51, 1941.

    The Desert Daisy (pubblicato postumo nel 1957).

    The Wealth of Mr. Waddy: a Novel (pubblicato postumo nel 1969).

    Un’ottima edizione delle opere fino al 1927 è la «Atlantic Edition», 28 voll., Londra 1924-27; tra le antologie, vanno segnalate: The Complete Short Stories, Londra 1966; Selected Short Stories, 1958 (Penguin); H.G. Wells, Journalism and Prophecy 1893-1946: an Antology, a cura di W.W. Wagar, Boston 1964.

    TRADUZIONI ITALIANE

    Fra le numerose edizioni italiane delle opere di H.G. Wells vanno almeno ricordate:

    Tutti i racconti e i romanzi brevi, a cura di F. Ferrara, Milano, Mursia, 1966 (rist. 1980), 4 voll.

    Breve storia del mondo, Bari, Laterza 1931.

    «L’uomo invisibile» (selezione), a cura di O. Volta, in Frankenstein & Company, Milano, Sugar 1965.

    L’isola del Dottor Moreau, Roma, Casini 1966.

    L’uomo invisibile e altri casi straordinari, Milano, Mursia 1967.

    Racconti, a cura di M. Flores, Milano, Garzanti 1976.

    La porta nel muro, a cura di J.L. Borges, Milano, Ricci 1980.

    La visita meravigliosa, Latina, L’Argonauta 1986.

    L’uomo invisibile, con una pref. di G. Finzi, Milano, Bompiani 1988.

    Gli Astrigeni, Latina, L’Argonauta, 1988.

    La macchina del tempo, Milano, Mursia 1990.

    Un’utopia moderna, Milano, Mursia 1990.

    Piccole guerre, Palermo, Sellerio 1990.

    L’isola del Dottor Moreau, Milano, Mursia 1991.

    La guerra dei mondi, Milano, Mursia 1991.

    L’uomo invisibile, Milano, Mursia 1991.

    STUDI E CONTRIBUTI

    Per una bibliografia, si veda A. Borrello, in English Literature in Transition, II, 1968. Utilissimo il Dictionary of the Characters and Scenes in the Novels, Romances and Short Stories of H.G. W. compilato da G. Connes (Dijon 1926). Per una biografia, oltre a An Experiment in Autobiography, dell’A. (Londra 1934), si veda: V. Brome, H.G. W.: A Biography, Londra 1951; N. e J. Mackenzie, The Time Traveller: the Life of H.G. W., Londra 1973. Un’introduzione generale a W. e al romanzo dell’epoca si trova in J. Hunter, Edwardian Fiction, Londra 1982; sulla fortuna critica ha scritto J. Raknem in H.G. W. and His Critics, Oslo 1963. Tra gli studi e i saggi, si veda E. Guyot, H.G. W., Parigi 1920; R.T. Hopkins, H.G. W., Londra 1922; G. Connes, Études sur la pensée de H.G. W., Parigi 1926; P. Braybrook, Some Aspects of H.G. W., Londra 1928; N.C. Nicholson, H.G. W., Londra 1950; A. Vallentin, H.G. W.: Prophet of Our Day, New York 1950; M. Belgion, H.G. W., nella serie «Writers and Their Work», Londra 1955; B. Bergonzi, The Early H.G. W., Manchester 1961; J.P. Venier, H.G. W. et son temps, Rouen 1971; J.R. Reed, The Natural History of H.G. W., Athens 1982; J. Huntington, The Logic of Fantasy: H.G. W. and Science Fiction, New York 1982; D. Bleich, «Utopia: the Psychology of a Cultural Fantasy», Ann Arbor 1984 (in A Modern Utopia), W.J. Scheick, The Splintering Frame: the Later Fiction of H.G. W., Victoria 1984; H.G. W: Reality and Beyond, a cura di M. Mullin, Campaign (Ill.) 1986.

    Tra gli studi in italiano: M. Praz, «Vita di H.G. W.», in Studi e svaghi inglesi, Firenze 1937; B. Sabatini, H.G. W., un pioniere della fantascienza, Firenze 1969; B. Melchiori, «H.G.W, in I contemporanei – Letteratura inglese, I, Roma 1977; A. Monti, Invito alla lettura di W., Milano 1982.

    R.R.

    LA MACCHINA DEL TEMPO

    1.

    Il Viaggiatore del Tempo (perché così sarà opportuno definirlo) ci stava esponendo una questione astrusa. Nei suoi occhi grigi brillava una luce ammiccante e l’animazione aveva tinto di rosa il suo naturale pallore. Il fuoco bruciava vivace e il bagliore delicato diffuso dai gigli d’argento accendeva le bollicine che nascevano e fluttuavano nei nostri bicchieri. Le poltrone di sua creazione su cui sedevamo, piuttosto che sottomettersi al nostro peso, ci abbracciavano e coccolavano in quella lussuosa atmosfera del dopocena quando i pensieri scorrono deliziosamente liberi dai vincoli della precisione. Così dunque ci parlava, marcando i punti con un indice affusolato, e noi ammiravamo pigramente la passione con cui ci esponeva questo suo nuovo paradosso (così lo vedevamo) e il fervore della sua fantasia.

    «Dovete seguirmi con molta attenzione. Sarò costretto a disputare una o due idee che sono accettate quasi universalmente. La geometria che vi insegnano a scuola, per esempio, si fonda su un equivoco».

    «Non è una questione un po’ troppo ponderosa da cui pretendere di farci cominciare?», obiettò Filby, un individuo polemico dai capelli rossi.

    «Non vi chiedo di accettare nulla senza averne stabilito un fondamento ragionevole. Presto ammetterete quanto ho bisogno che mi concediate. Sapete naturalmente che una linea matematica, una linea di spessore zero, non ha un’esistenza reale. Ve l’hanno insegnato? Lo stesso vale per un piano matematico. Sono mere astrazioni».

    «Su questo non ci sono dubbi», disse lo psicologo.

    «Altrettanto un cubo, non avendo lunghezza, larghezza e spessore, non può esistere nella realtà».

    «Su questo non sono d’accordo», intervenne Filby. «È ovvio che un corpo solido può esistere. Tutte le cose reali…».

    «Così pensa la maggioranza delle persone. Ma aspettate un momento. Può esistere un cubo istantaneo

    «Non vi seguo», disse Filby.

    «Può un cubo, che non dura alcun lasso di tempo, esistere realmente?».

    Filby si mise a riflettere. «Chiaramente», proseguì il Viaggiatore del Tempo, «un qualunque corpo reale deve avere estensioni in quattro direzioni: deve avere lunghezza, ampiezza, altezza e… durata. Ma per una naturale limitazione del nostro modo di essere, che vi spiegherò fra poco, siamo inclini a trascurare questo fatto. Ci sono in realtà quattro dimensioni, tre delle quali definiamo i tre piani dello spazio, e la quarta è il tempo. C’è tuttavia la tendenza a determinare un’irreale distinzione tra le prime tre dimensioni e l’ultima, perché natura vuole che la nostra coscienza si muova in maniera incostante in una sola direzione lungo la quarta dimensione dall’inizio alla fine della nostra vita».

    «Questo», commentò un ascoltatore molto giovane che faceva sforzi spasmodici per riaccendere il suo sigaro sulla fiamma della lampada, «questo… è senz’altro molto chiaro».

    «È molto interessante che tale fatto venga normalmente trascurato», continuò il Viaggiatore del Tempo con una punta di allegria nella voce. «In realtà è questo che si intende con quarta dimensione, anche se certe persone parlano della quarta dimensione senza sapere a che cosa si riferiscono. È solo un altro modo di guardare al tempo. Non c’è nessuna differenza tra il tempo e le altre tre dimensioni dello spazio, a parte il fatto che la nostra coscienza si muove lungo di esso. Qualche sciocco però se ne è fatta l’idea sbagliata. Avete sentito che cosa dicono di questa quarta dimensione?»

    «Io no», rispose il sindaco della provincia.

    «È molto semplice. Che lo spazio, come lo intendono i nostri matematici, è costituito da tre dimensioni, che possiamo chiamare lunghezza, larghezza e altezza, ed è sempre definibile facendo riferimento a tre piani, ciascuno ad angolo retto rispetto agli altri. Ma certe menti filosofiche si sono domandate come mai tre dimensioni in particolare, come mai non un’altra direzione ad angolo retto con le prime tre, e hanno persino cercato di costruire una geometria quadridimensionale. Questa tesi è stata esposta alla Società matematica di New York dal professor Simon Newcomb solo un mese fa. Sapete che su una superficie piana, che ha solo due dimensioni, possiamo rappresentare una figura solida a tre dimensioni; e analogamente questi pensatori sostengono che tramite modelli a tre dimensioni se ne possa rappresentare uno di quattro, se solo riuscissero a coglierne la prospettiva. Capito?»

    «Io credo di sì», mormorò il sindaco e, aggrottando le sopracciglia, scivolò in uno stato di introspezione muovendo le labbra come fa chi ripete versi mistici. «Sì, ora credo di sì», disse dopo qualche tempo rasserenandosi, ma solo per pochi istanti.

    «Ebbene, posso confessarvi che è da qualche tempo che lavoro a questa geometria di quattro dimensioni. Alcuni dei risultati a cui sono giunto sono curiosi. Per esempio, abbiamo qui il ritratto di un uomo a otto anni, un altro a quindici, un altro a diciassette, un altro a ventitré e così via. Tutte queste sono evidentemente delle sezioni, rappresentazioni tridimensionali del suo essere quadridimensionale, che è una cosa fissa e inalterabile.

    «Gli scienziati», seguitò il Viaggiatore del Tempo dopo la pausa necessaria perché il concetto venisse adeguatamente assimilato, «sanno molto bene che il tempo è un modo dello spazio. Ecco qui un diagramma scientifico popolare, una misurazione metereologica. Questa linea che traccio con il dito mostra il movimento del barometro. Ieri l’indice era molto alto, ieri sera è sceso, poi stamattina è salito di nuovo, molto lentamente, arrivando fin qui. Chiaramente il mercurio non ha tracciato questa linea in nessuna delle dimensioni dello spazio che vengono generalmente riconosciute, giusto? Ma ha senza dubbio tracciato una linea, e pertanto dobbiamo concludere che quella linea era compresa nelle tre dimensioni».

    «Ma», osservò il medico con lo sguardo fisso su un tizzone nel focolare, «se il tempo non è altro che una quarta dimensione dello spazio, come mai ora e da sempre viene considerato come qualcosa di diverso? E perché non possiamo muoverci nel tempo come ci muoviamo nelle altre dimensioni dello spazio?».

    Il Viaggiatore del Tempo sorrise. «Siete sicuro che possiamo muoverci liberamente nello spazio? Possiamo andare a destra e a sinistra, abbastanza liberamente in avanti e indietro, ed è quello che gli uomini hanno sempre fatto. Ammetto che ci muoviamo in libertà in due dimensioni. Ma su e giù? In questo caso siamo limitati dalla gravità».

    «Non esattamente», obiettò il medico. «Ci sono le mongolfiere».

    «Ma prima delle mongolfiere, a parte i salti inconsulti o le irregolarità della superficie, l’uomo non aveva libertà di movimento verticale».

    «Però un po’ su e giù ci possiamo muovere», insistette il medico.

    «Più facilmente giù che su, molto più facilmente».

    «E non ci si può muovere per nulla nel tempo, non ci si può allontanare dal momento presente».

    «Mio caro signore, è proprio qui che vi sbagliate. È proprio qui che il mondo intero sbaglia. Noi ci spostiamo in continuazione dal momento presente. Le nostre esistenze mentali, che sono immateriali e non hanno dimensioni, transitano per la dimensione tempo a una velocità uniforme dalla culla alla tomba. Precisamente come viaggeremmo all’ingiù se iniziassimo la nostra esistenza cinquanta miglia al di sopra della superficie terrestre».

    «Ma la grande difficoltà è qui», lo interruppe lo psicologo. «Ci si può spostare in tutte le direzioni dello spazio, ma non si può andare in giro per il tempo».

    «Questo è il germe della mia grande scoperta. Ma vi sbagliate nel dichiarare che non possiamo muoverci nel tempo. Se per esempio io ricordo un episodio con molta chiarezza, torno all’istante in cui è avvenuto: mi distraggo, come si suol dire. Per un momento spicco un salto all’indietro. Naturalmente non abbiamo modo di restare nel passato a lungo più di quanto un selvaggio o un animale possa restare nell’aria due metri al di sopra del suolo. Ma da questo punto di vista un uomo civile è avvantaggiato rispetto al selvaggio. Può alzarsi contro la forza di gravità in una mongolfiera, e perché non dovrebbe sperare di potersi un giorno fermare o di accelerare il suo viaggio nella dimensione tempo o addirittura girarsi e viaggiare in senso opposto?»

    «Oh», cominciò Filby, «questo è tutto…».

    «Perché no?», insisté il Viaggiatore del Tempo.

    «È contro la ragione», decretò Filby.

    «Quale ragione?», ribatté il Viaggiatore del Tempo.

    «Con l’eloquenza potrà arrivare a dimostrarmi che il nero è bianco», disse Filby, «ma non riuscirete mai a convincere me».

    «Forse no», gli concesse il Viaggiatore del Tempo. «Ma ora cominciate a vedere anche voi qual è l’obiettivo delle mie ricerche nella geometria delle quattro dimensioni. Anni fa mi è venuta la vaga idea di una macchina…».

    «Per viaggiare attraverso il tempo!», esclamò l’ascoltatore molto giovane.

    «Che possa viaggiare indifferentemente in tutte le direzioni dello spazio e del tempo, a seconda della volontà del guidatore».

    Filby si accontentò di ridere.

    «Ma io l’ho verificato con degli esperimenti», disse il Viaggiatore del Tempo.

    «Sarebbe estremamente utile allo storico», commentò lo psicologo. «Potrebbe tornare indietro e sincerarsi fino a che punto è veritiera la ricostruzione della battaglia di Hastings, per esempio!».

    «Non pensate che attirereste l’attenzione?», chiese il medico. «I nostri antenati non amavano molto gli anacronismi».

    «Uno potrebbe imparare il greco dalle labbra stesse di Omero e Platone», rifletté a voce alta il giovane.

    «Così verreste certamente bocciato al primo degli esami. Gli studiosi tedeschi hanno migliorato notevolmente il greco antico».

    «Poi c’è il futuro», osservò il giovane. «Ma pensateci! Uno potrebbe investire tutto il proprio denaro, lasciare che accumuli gli interessi e correre in avanti a incassarli!».

    «Per scoprire una società», dissi io, «fondata su basi rigorosamente comuniste».

    «Di tutte le teorie più stravaganti!…», cominciò lo psicologo.

    «Sì, così sembrava a me, e per questo non ne ho mai parlato prima…».

    «Esperimenti!», esclamai io. «Avete intenzione di darne dimostrazione?».

    «L’esperimento!», proruppe Filby, che stava cominciando a sentirsi intellettualmente provato.

    «Vediamo il vostro esperimento, dunque», propose lo psicologo, «anche se è tutta trita fantasia, sapete?».

    Il Viaggiatore del Tempo ci guardò sorridendo. Poi, con un residuo di sorriso sulle labbra e le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, uscì lentamente dalla stanza e udimmo il fruscio delle sue pantofole nel lungo corridoio che portava al laboratorio.

    Lo psicologo ci guardò. «Cosa può avere?»

    «Qualche trucco da prestidigitatore», disse il medico, e Filby cercò di raccontarci di un illusionista che aveva visto a Burslem, ma prima che finisse il preambolo della sua storia, il Viaggiatore del Tempo era tornato e l’aneddoto di Filby soccombette.

    L’oggetto che il Viaggiatore del Tempo teneva in mano era un luccicante giocattolino di metallo, poco più grande di un piccolo orologio e dalla struttura assai delicata. Vi si vedevano parti in avorio e di una trasparente sostanza cristallina. Ora devo dire con tutta sincerità che, a meno di prendere per buone le sue spiegazioni, quanto segue è assolutamente inesplicabile. Prese uno dei tavolini ottagonali che c’erano in giro per la stanza e lo piazzò di fronte al caminetto, con due gambe sul tappetino davanti al focolare. Su quel tavolo posò il meccanismo. Poi avvicinò una sedia per accomodarsi. Sullo stesso tavolino c’era soltanto un piccolo abat-jour, la cui luce brillante cadeva sul modellino. C’erano altre fonti luminose nel salotto: una decina forse di candele, due in candelabri d’ottone sulla mensola del caminetto e altre in candelieri a parete, cosicché l’ambiente era ben illuminato. Io sedevo in una poltroncina molto vicina al fuoco, che trascinai in avanti fino a trovarmi quasi tra il Viaggiatore del Tempo e il caminetto. Filby era seduto dietro di lui e guardava da sopra la sua spalla. Il medico e il sindaco lo osservavano in profilo da destra, lo psicologo da sinistra. L’ospite molto giovane era seduto dietro lo psicologo. Eravamo tutti concentratissimi. Ritengo impossibile che in simili condizioni si potesse mettere in scena un gioco di prestigio, per quanto astutamente concepito e presentato con destrezza.

    Il Viaggiatore del Tempo guardò prima noi e poi il meccanismo. «Allora?», lo incalzò lo psicologo.

    «Questa cosuccia», disse il Viaggiatore del Tempo appoggiando i gomiti al tavolo e unendo le mani poco sopra il misterioso congegno, «è solo un modellino. È il mio progetto di una macchina con cui viaggiare nel tempo. Noterete che è un po’ storto e che questa barretta emette uno strano luccichio, come se non fosse del tutto reale». Indicò la parte a cui alludeva con la punta del dito. «Qui c’è poi una levetta bianca e qui ce n’è un’altra ancora».

    Il medico si alzò dalla sua poltrona per vedere meglio. «Molto ben realizzato», commentò.

    «Mi ci sono voluti due anni», rivelò il Viaggiatore del Tempo. «Ora», riprese dopo che tutti noi imitammo la manovra del medico, «voglio che sia ben chiaro a tutti che questa leva, spinta in avanti, spedisce la macchina nel futuro, mentre con quest’altra si ottiene il movimento inverso. Questo è il sedile dove prende posto un viaggiatore del tempo. Ora io spingerò la leva e la macchina partirà. Scomparirà, passerà nel tempo futuro e non la vedremo più. Guardate bene il modello. Guardate anche il tavolo e assicuratevi che non ci siano trucchi. Non voglio che questo modellino vada sprecato per poi sentirmi dare del ciarlatano».

    Ci fu una pausa di forse un minuto. Mi sembrò che lo psicologo volesse rivolgermi la parola, ma che cambiasse idea. Poi il Viaggiatore del Tempo avvicinò il dito alla leva. «No», disse all’improvviso. «Prestatemi la vostra mano». E, volgendosi allo psicologo, gli prese la mano e gli disse di allungare l’indice. Fu dunque così che toccò allo psicologo spedire il modellino di Macchina del Tempo nel suo viaggio interminabile. Tutti noi vedemmo la leva muoversi. Io sono assolutamente certo che non ci fu alcun trucco. Si udì uno sbuffo di vento e la fiammella della lampada vacillò. Una delle candele sulla mensola si spense e il modellino di macchina ruotò a un tratto su se stessa, perse definizione, fu visto per non più di un secondo come un fantasma, un vortice di labili riflessi di ottone e avorio, dopodiché… svanita! Sul tavolino c’era solo la lampada.

    Tutti rimasero in silenzio. Poi Filby imprecò.

    Lo psicologo si riprese dallo sbalordimento e guardò improvvisamente sotto il tavolo. Al che il Viaggiatore del Tempo scoppiò in un’allegra risata. «Allora?», disse quasi scimmiottando lo psicologo di poco prima. Poi si alzò, andò alla tabacchiera sulla mensola del caminetto e, volgendoci le spalle, cominciò a caricare la pipa.

    Noi ci scambiammo un’occhiata. «Sentite un po’», disse il medico, «state facendo sul serio? Credete davvero che quella macchina sia in viaggio nel tempo?»

    «Altroché», rispose il Viaggiatore del Tempo chinandosi a porgere l’estremità di uno stecchino sulle fiamme del focolare. Poi si girò a guardare in faccia lo psicologo mentre accendeva

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