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Come si fermò la Terra
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E-book205 pagine2 ore

Come si fermò la Terra

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Info su questo ebook

Nell’anno 3000 il mondo ha finalmente trovato il suo equilibrio perfetto: l’energia atomica pulita e illimitata ha permesso uno sviluppo tecnologico prodigioso e tutti gli esseri umani convivono in pace e armonia in città smisurate e magnifiche, finalmente liberi dalla schiavitù del lavoro. Un giorno però, inspiegabilmente, il moto di rotazione della Terra rallenta sempre più, fino a fermarsi: un emisfero piomba nel gelo e nel buio perenne, l’altro è bruciato dalla potenza distruttiva del Sole, ed è la morte per milioni di persone. Soltanto lungo la sottile striscia di territorio della zona crepuscolare la vita è ancora possibile, e poiché l’aiuto dei marziani tarda ad arrivare, per accaparrarsene un lembo i governi della Terra si dichiarano guerra fra loro, e i popoli cadononella barbarie. E se, per il giovane Sherry Dikson, c’è in ballo anche la misteriosa scomparsa della fidanzata, il dramma globale diventa anche un incubo personale senza fine.
Ultimo romanzo di Ciancimino, pubblicato postumo nel 1936, Come si fermò la Terra è uno dei più noti esempi dell’ingenua ma sempre divertente protofantascienza italiana di inizio Novecento.
Con la prefazione di Edgardo Rodia e le illustrazioni originali di E. Gallieni.
LinguaItaliano
EditoreCliquot
Data di uscita14 feb 2020
ISBN9788899729318
Come si fermò la Terra

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    Anteprima del libro

    Come si fermò la Terra - Calogero Ciancimino

    Generi

    10

    Calogero Ciancimino

    Come si fermò la Terra

    Racconto fantastico

    Prefazione di Edgardo Rodia

    Copertina di Riccardo Fabiani

    Copertina originale e illustrazioni di E. Gallieni

    Ebook designer: Nicolò Cattaruzzo

    Titolo originale: Come si fermò la Terra – Racconto fantastico

    Autore: Calogero Ciancimino

    ISBN: 9788899729318

    L’editore non è riuscito in alcun modo a rintracciare eventuali titolari dei diritti delle illustrazioni qui pubblicate; rimane a disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.

    © 2018 Cliquot edizioni s.r.l.

    via dei Ramni, 26 – 00185 Roma

    P.Iva 14791841001

    www.cliquot.it

    cliquot@cliquot.it

    Capitani e avventurieri

    A differenza di altri autonominati capitani, Calogero Ciancimino, nato nella sua Sicilia (Sciacca) allo spirare del secolo XIX (1899), uomo di mare e capitano lo fu davvero.

    Dopo un esordio romanzesco da mozzo, «conclusosi con un naufragio al largo della Guyana francese», sul quale peraltro manca una precisa documentazione; compiuti gli studi nautici e conseguiti i relativi brevetti (capitano di lungo corso), si impiegò come ufficiale nella marina mercantile e, per tutti gli anni Venti, navigò, se non proprio i proverbiali sette mari, certo molti mari, anche lontani dal bacino del Mediterraneo.

    Ma all’inizio degli anni Trenta il seme dell’avventura, depositato nella sua mente e nella sua fantasia dalle letture salgariane e dei molti salgariani, improvvisamente mise radici e fiorì. In due direzioni specifiche, nessuna delle quali corrispondente al genere o sottogenere delle avventure di mare, pur diffusissimo a cavallo tra i due decenni, bensì, specificamente, nella direzione del sottogenere avventure del West (personaggio dominante: Il figlio di Buffalo Bill, a dispense e in volumi); nonché nella direzione di un altro sottogenere, che è quello che giustifica questa breve introduzione.

    Alla fioritura certo contribuì il rapporto che si instaurò, e durò per alcuni dei pochi anni residui di una breve vita con un altro avventuriero della penna, il capitano (autonominato) Luigi Motta, autore presente anche editorialmente nel mondo dell’avventura da quasi tre decenni: per il bene e per il male, il rapporto con il Motta fu, per Ciancimino, in qualche modo decisivo: persino il volgersi verso l’avventura western può essere stato pilotato dal ben più anziano capitano, che nella sua fluviale produzione, se mai aveva lasciato un varco, era proprio in quella direzione, mentre aveva, ad esempio, completamente saturato l’Oriente (prossimo, medio ed estremo), con un mare di storie.

    Un’altra direzione in cui il capitano, all’inizio dei Trenta, non si sentiva forse del tutto a suo agio, era quella che allora si sarebbe chiamata semplicemente del fantastico, mentre oggi rientra a pieno titolo nella categoria della proto-fantascienza.

    Quale migliore occasione, poi, poteva esserci per il Motta, che sfruttare le indubbie competenze marinare del Ciancimino per una incursione fantastico-marittima di tipo planetario? Prese corpo così un’impresa che – per farla breve – si chiuse con successo nel 1932: e cioè con la pubblicazione del romanzo proto-fantascientifico Il prosciugamento del Mediterraneo, a firma congiunta Motta-Ciancimino, edito da Ceschina (una bella edizione con illustrazioni di Tarquinio Sini, oggi particolarmente ricercata dai collezionisti).

    Entrambi gli apparenti autori (ma il giovane aveva dato un apporto assolutamente prevalente) furono soddisfatti: ma Ciancimino incominciò a capire 1) che era nelle sue potenzialità e nelle sue corde scrivere romanzi fantastici di probabile successo; 2) che era dunque il caso, non essendoci alcuna utilità se non pubblicitario-editoriale nella firma-avallo del maturo avventuriero, di cercar di evitare la firma congiunta di opere che uscivano dalla propria testa¹.

    Fra le opere successive a sua firma esclusiva (mentre la firma congiunta continuava per le storie dell’Ovest almeno al tutto il 1934 presso le Edizioni Grandi Avventure, o EGA), quelle che costituirono la sua prosecuzione più originale, e cioè quella protofantascientifica e quella spionistica, apparvero dunque esclusivamente a sua firma: così Il mistero della sfinge gialla (recentemente ripubblicato da Cliquot), così Le bare di granito (idem), così Il corsaro dell’aria, tutti del 1935, il suo grande anno; così infine il testo che qui oggi si ripresenta, Come si fermò la Terra, la cui storia è del tutto particolare e , in un certo senso, unica: del resto, si tratta di un testo di grande originalità, come si vedrà co-fondatore della space opera in Italia.

    Come si fermò la Terra², scritto fra il 1934 e il 1935, fu pubblicato dalla Tribuna Illustrata in 24 puntate dal n. 41 del 13 ottobre 1935 al n. 12 del 22 marzo 1936 (particolare toccante: mentre la pubblicazione era in corso il giovane autore morì); poi in volume, nello stesso 1936 (edizione Le grandi avventure, finito di stampare il 30 giugno 1936, con commossa e molto appropriata prefazione dell’editore). Nella sua breve, ma assai feconda vicenda autoriale il Ciancimino aveva trattato molte tematiche di letteratura popolare e fra esse, come sopra detto, anche alcune fantascientifiche. Con Come si fermò la Terra questo percorso, che era stato nel Prosciugamento del Mediterraneo planetario, diventa anche interplanetario. Ora, non si vuol certo sostenere che il libro sia un capolavoro, ma al di là di molte ingenuità più che evidenti, e della presenza anche di un romanzetto sentimentale di scarsa caratura, sembra qualificare il Ciancimino, se non come il fondatore³, certo come uno dei fondatori della space opera italiana.

    Il libro è costruito sull’ipotesi che, per l’attrazione gravitazionale di un importante corpo celeste non identificato, il moto dei pianeti del Sistema solare sia turbato al punto che il pianeta Terra ne abbia prima rallentato e infine azzerato il moto di rotazione: finisce così per presentare al Sole sempre la medesima faccia, mentre l’altra è perduta in un’eterna notte. Con catastrofiche conseguenze, a cominciare dalla crescita enorme delle temperature nella faccia assolata e dal congelamento della faccia nascosta, in ombra: tutto ciò audacemente (per un verso), ma anche prudentemente (per un altro) collocato nell’anno 3000 (si consideri che Salgari aveva immaginato un salto temporale di soli cento anni). Nel libro entrano anche in scena, stante appunto la suddetta dimensione interplanetaria, i marziani – autori di una prima sfortunata, poi inutile spedizione di soccorso per i fratelli terrestri – la cui descrizione viene prudentemente posposta a una delle ultime pagine del volume. Del quale si è già detto che è ricco di ingenuità, più o meno divertenti, ma non sembra esser questo che conta. E del resto, c’è qualcuno che ricordi quante migliaia di ponti contava l’incrociatore-astronave di A.E. Van Vogt? O, per restare in Italia, e spostandoci nell’ambito fraterno del fumetto, qualcuno ricorda la conclusione della grande saga di Saturno contro la Terra (testo di C. Zavattini, sceneggiatura di F. Pedrocchi, illustrazioni di G. Scolari, anni 1935/46), con quella Terra spaccata in due come un melone e che tranquillamente si ricompone, rimettendosi insieme?

    Si ripete: non è questo che conta. Sembra invece essere degno di queste veloci note il rilievo che – se è vero che tutte le space opera sono piene di ingenuità e che questo, in fondo, non le danneggia granché – non sembra proprio che possa esser negato al Nostro un posto di rilievo fra i fondatori del sottogenere in discorso, con i suoi libri cronologicamente anteriori a entrambi gli esempi, di poco successivi, sopra descritti. Col tempo, chiaramente, anche il sottogenere maturò, evolvendosi (in USA per merito soprattutto di Campbell). Ma non sarebbe giusto negare al nostro Ciancimino quel posto, fra i soci fondatori della space opera, che sicuramente gli spetta.

    Edgardo Rodia

    1 Del resto, è documentato che proprio alla fine del 1933 il sodalizio fra i due scrittori era sull’orlo dello scioglimento.

    2 Il romanzo non va confuso con il mottiano Quando si fermò la Terra, pubblicato vent’anni dopo: come ricorda Umberto Bartocci nella sua immensa bibliografia mottiana, i due romanzi hanno in comune «soltanto l’idea di partenza» (che è di Ciancimino) mentre «lo sviluppo è alquanto diverso».

    3 Tale, semmai, fu l’incredibile, inarrivabile Yambo.

    Calogero Ciancimino

    Come si fermò la Terra

    Racconto fantastico

    Prefazione di Edgardo Rodia

    Copertina originale della prima edizione (1936).

    Prefazione alla prima edizione (1936)

    Ai lettori

    Collo stesso senso di dovere, collo stesso cordoglio, colla stessa tristezza che ci ha ispirato quando abbiamo dovuto comunicare la funesta notizia a quanti lo amarono e lo tennero in alta stima, così a voi, suoi innumerevoli amici, annunciamo la morte del capitano Calogero Ciancimino, avvenuta a Milano il 14 gennaio di quest’anno, mentre si pubblicava ancora sulla Tribuna Illustrata la presente opera.

    Era nato a Sciacca, in Sicilia, il 14 marzo 1899.

    Da giovanetto cominciò gli studi classici, essendo intenzione del padre di farne un dottore per continuare una tradizione di famiglia; ma come quasi tutti i grandi scrittori di fervida fantasia, anche lui cominciò col dimostrarsi un allievo mediocre, turbolento, insofferente della disciplina, sì da meritare un castigo severissimo che doveva cambiare tutto il corso della sua vita e decidere della sua carriera. Fu affidato a un amico armatore di Palermo, che lo imbarcò senz’altro sul primo bastimento in partenza: era il brigantino a palo Il Vincitore, comandato da un vecchio lupo di mare, e salpava il giorno 15 febbraio del 1913, diretto a Caienna nella Guyana francese.

    Così il giovanetto Ciancimino, a quattordici anni, appena uscito dal quarto ginnasio, doveva subire la ferrea disciplina della gente di mare, mettersi a contatto colle dure realtà della vita, scontare amaramente le sue piccole marachelle, per poi ascoltare col dovuto rispetto il latino dei professori e conciliarsi colle dottrine di Esculapio. Per il momento doveva lavare il ponte e lustrare gli ottoni colla massima coscienza, perché il vecchio capitano Serra, comandante del veliero, non scherzava e aveva fatto intendere chiaramente all’amico armatore che per quel viaggio doveva imbarcare un mozzo e aveva dunque bisogno di un mozzo di bastimento e non di ginnasio, per cui non avrebbe nemmeno tollerato il bagaglio superfluo dei libri di latino a bordo.

    Per qualche mese, mentre l’inverno infuriava, e ai piedi della collinetta, dove sorgeva al paese la casa paterna, il mare muggiva paurosamente, i giorni passavano tristi, senza alcuna novella. La mamma, ogni giorno più, guardava lungamente la vasta distesa delle acque verdi e qualche volta piangeva di nascosto; il padre cominciava a pentirsi di essere stato tanto severo e inviava continuamente telegrammi all’armatore.

    Finalmente un bel giorno le tanto sospirate novelle del piccolo avventuroso figliolo vennero: Il Vincitore, dopo una lunga, difficile navigazione nell’Atlantico, si era incendiato in vista delle coste della Guyana. L’equipaggio si era salvato a stento sulla fragile imbarcazione di bordo e aveva raggiunto a forza di remi la terra, in una delle coste più selvagge dell’America del sud, vivendo mille peripezie e mille pericoli prima di arrivare a Caienna, da dove sarebbero stati rimpatriati col primo piroscafo.

    Il nostro piccolo eroe aveva già vissuto il suo primo romanzo!

    Ritornò in Italia niente affatto impaurito, né rinsavito della sua terribile avventura, anzi entusiasta della vita e della gente di mare, della infinità degli oceani, della grandiosa bellezza delle foreste tropicali, del fascino dei paesi nuovi. Sentiva già che il suo naturale carattere più si avvicinava a quegli ambienti e a quegli uomini rudi, scorridori dei vasti mari, capaci di tutte le arditezze, di tutti gli eroismi, abituati a guardare freddamente la morte in faccia, a lottare senza spavalderia, ma con tenacia, con volontà superba, contro le furie della natura sovrana e prepotente.

    Meno che mai pensava di riconciliarsi col greco e col latino, perché la sua decisione era già presa: volle diventare marinaio.

    Fatti gli studi nautici, questa volta molto brillantemente, si laureò Capitano di lungo corso a venti anni.

    Da allora scorrazzò per tutti i mari del mondo e fu navigante ardito e di grande perizia; comandante energico ma giusto; di quelli che sanno cattivarsi tutte le simpatie, ispirare dedizioni,

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