Il segreto delle costellazioni
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Anteprima del libro
Il segreto delle costellazioni - Damiana Belvedere
Profondo
1.
Contrasti
Dal Santuario della Verna a Faenza il percorso non era dei migliori. Il manto stradale sconnesso, pericoloso, oltre che scomodo, recava diversi sobbalzi all’automobile in corsa. La superstrada malmessa e i lavori in corso riducevano le corsie a normali strade cittadine. Luca si era fatto incantare dalle moine di Silvia. Dopo un rettilineo pieno di buche imboccarono alla curva una profonda galleria. Quel percorso era semplicemente orribile e del luogo dove San Francesco aveva vissuto la sua vita con i confratelli, le stimmate e robe varie a Luca non gliene importava un fico secco, insomma non gliene importava un bel niente, ma Silvia era un bocciolo di rosa e per lei sarebbe potuto andare persino nel deserto. Il gioco, però, era valso la candela: Silvia era al settimo cielo per la gita. Realizzare il desiderio di andare a vedere i capolavori in ceramica dei fratelli Della Robbia era stato come toccare il cielo con le dita. Davanti l’Annunciazione c’erano rimasti mezz’oretta buona.
Va bene, belle ceramiche, ma cosa ci trovasse di così meraviglioso nello stare a osservarle per tanto tempo era un quesito inspiegabile, si disse Luca in silenzio, nel contorto percorso, sorridendo placidamente alla ragazza al suo fianco.
Un luogo incantevole, certo per passarci una giornata piacevole in compagnia delle suore però. Tutto questo candore e odore di santità lo irritavano profondamente. Certo, Silvia era la sua ragazza ma dello spirito o dell’anima non gliene importava men che meno: era ateo, per lui si trattava di una certezza granitica ma come dirlo alla giovane e ardente cristiana era ancora un dilemma irrisolto che, insolente, lo tormentava continuamente e senza tregua.
La guardò sottecchi e lei sorrise in modo splendido, appoggiando una mano al suo collo e stampandogli un bacio con lo schiocco sulla gota. Risero di gusto. Il cielo infuocato del tramonto volgeva verso sera mentre a una velocità sostenuta imboccarono un’altra galleria. Lampeggiavano luci rosse e fari accesi, altre auto ferme e un paio di triangoli in mezzo alla carreggiata che, a fatica, riuscì a evitare. Frenò malamente di colpo e si accorse di quanta follia vi era al mondo: degli uomini camminavano a piedi persino nella galleria, qualcuno era al telefono e c’era chi scattava delle foto all’incidente, a quanto pare avvenuto da poco. Increduli Luca e Silvia osservavano la scena che si svolgeva davanti ai loro occhi da dentro l’abitacolo accostato rasente al muro della galleria. Il silenzio calò, simile a un fotogramma in bianco e nero apparso per puro caso in mano, dopo tanti anni di dimenticanza. Luca era paralizzato: gli si parò davanti la morte di suo fratello Andrea avvenuta anni prima in un incidente automobilistico. Si riprese dallo stato catatonico per merito di Silvia che lo strattonava chiamandolo per nome.
«Luca che hai?» gli chiese diretta.
«Niente, non ho niente, non vedi in che razza di posto siamo e che situazione incresciosa? Aspetta qua, non muoverti, vado a dare un’occhiata».
Così, sceso dall’auto, dopo pochi metri intravide un fuoristrada e un’utilitaria che si erano urtati malamente.
Pezzi di vetro, lamiere accartocciate e la strisciata nera dei copertoni sull’asfalto che, consumati, avevano tentato la frenata, vi erano persino dei viveri e degli indumenti sparsi: pareva evidente che fossero volati via a seguito del terribile impatto dei due mezzi. La scena raccapricciante dei corpi riversi e i lamenti, difficile capire di chi. Si accorse di avere un senso di nausea alla gola e si allontanò veloce per tornare alla sua auto.
La dinamica dell’incidente era poco chiara, inesplicabile la causa e poca la luce e la visuale per poter vedere bene cosa fosse accaduto e le condizioni delle auto. Voleva capire se l’incidente era stato causato da un errore di distrazione, a causa di un sorpasso o uno speronamento. Si avvicinò il più possibile, l’odore di scarico dei motori iniziava a diventare insopportabile, era molto pungente, smaniava, fece per tornare indietro quando lo vide.
Il conducente di un’auto lesionata era fermo e immobile al volante, sembrava morto, ma nessuno dei presenti aveva il coraggio di avvicinarsi e altri sembravano feriti, nell’altra auto si sentivano i lamenti; l’ambulanza avrebbe fatto fatica a passare con le automobili ferme e i lampeggianti accesi. Si aspettava l’arrivo dei soccorsi e intanto il tempo pareva eterno e immobile e l’evento tragico appariva come uno dei peggiori incubi. Abbassò appena lo sguardo, stava per inciampare in qualcosa, si trattava di una valigetta nera ai suoi piedi, subito la prese e, senza pensare, tornò alla sua macchina, senza proferire parola aprì il bagagliaio posteriore e vi mise la ventiquattrore, lo richiuse e tornò al suo sedile dalla parte del guidatore. Silvia lo guardò aspettando qualche suo cenno, ma nulla.
«Allora cosa è successo e perché hai aperto il bagagliaio di dietro?»
Lui la guardò e le accarezzò la gamba: «Stai tranquilla, non è niente. Volevo controllare le luci posteriori, aspettiamo che arrivino i soccorsi, qualcuno si è fatto male sul serio».
Rimasero in silenzio per poco e udirono le sirene dei mezzi di soccorso che cercavano di farsi spazio in tutti i modi per caricare i feriti e la polizia, intanto, cercava di sviare il traffico. Passarono un paio d’ore, si guardarono sottecchi senza parlare per diverso tempo.
Appena i feriti furono soccorsi, Silvia tirò un sospiro di sollievo dicendo: «Che Dio li aiuti, potevamo esserci noi al loro posto, siamo stati fortunati».
Luca la osservò attentamente: le pieghe della bocca con il labbro superiore perfetto e quello inferiore turgido e roseo con il suo rossetto color rosa damascena. Lo pronunciava con la sua inflessione particolare quel particolare che le donava un fascino unico; il naso perfetto e gli occhi splendidi con delle ciglia perfette. Un fisico da strafiga. Luca si chiese perché a volte la bellezza non è tutto… ma il suo pensiero morì lì, preferì pensare ad altro, come alla valigetta che gli venne in mente proprio in quel momento e si chiese perché l’avesse presa e perché era lì… forse l’incidente era stato causato da quell’oggetto, ma no, era una normale ventiquattr’ore nera non avrebbe potuto causare un incidente di quella portata ma forse sarebbe servita alla polizia per i rilievi, ma basta scervellarsi per una banalità simile: l’avrebbe buttata al primo cassonetto appena sviato il traffico di quell’odioso inghippo. Passò un’oretta buona fino a quando piano piano uscirono dalla galleria e, per evitare il traffico, al primo svincolo si immisero sulla statale. Era già buio fitto e arrivarono a Faenza a notte fonda.
«Guarda» disse Luca. «Il Kebab è aperto, potremmo fermarci a prendere qualcosa».
«Luca, è ormai l’una di notte e i miei genitori, nonostante la telefonata, saranno in pensiero per me» disse Silvia, pur sapendo di raccontare un’enorme bugia.
Luca sbuffò.
«E dai con questa santità».
Non aveva dubbi sul fatto che i genitori di Silvia fossero in trasferta come al solito. Lei lo guardò male.
«Va bene! Ti porto a casa» rispose pronto all’occhiataccia.
Ultimamente la sua bella se la tirava un po’ troppo.
E va bene, lasciamo perdere tanto è già tardi domani ho l’esame, pensò Luca irritato e fermò l’auto davanti al cancello di casa della ragazza.
Abitava in una bella villa piena di quadri, sculture e ceramiche firmate. Fuori il giardino appariva curatissimo, le luci soffuse delineavano i perfetti accordi tematici fra gli arbusti persino di notte; la struttura architettonica della casa era una chicca e il merito era degli architetti, i signori Bucci, i genitori di Silvia che Luca non sopportava proprio e cercava di vedere e frequentare il meno possibile a causa della loro apparenza di coppia in perfetta sintonia e incastrata alla perfezione, nei minimi particolari, nel carattere e nell’andare sempre d’accordo, almeno, dinnanzi ai suoi occhi. Parcheggiò davanti al cancello, in cima al quale capeggiavano le iniziali dei padroni di casa alla cui sola vista Luca si innervosiva per l’evidente e ingombrante presenza invisibile tra lui e l’amata.
Cosa ci trovasse in Silvia glielo aveva persino detto, a chiare lettere, una volta durante uno dei loro tanti litigi: la sua ferrea volontà e quella parte nascosta, misteriosa e oscura che sentiva aleggiare in lei, quella parte invisibile eppure palpabile e vera, che la rendeva sempre attraente, un inspiegabile enigma, come se dentro quella donna si nascondesse un inesplicabile rovo di nascosti delitti del cuore. All’apparenza sembrava una ragazzotta come tante, con la sua particolare inflessione dialettale e le sue fisime sulla parrocchia e le associazioni incluse, a letto invece una pantera da far paura, non riusciva a capacitarsene. Avrebbe voluto avere una spiegazione per quella evidente discrepanza tra una facciata da santarellina e la parte fisica volitiva, con la quale doveva fare i conti tutte le volte che si ritrovavano nudi da soli.
La dicotomia di quell’aspetto, che solo pochi potevano conoscere della ragazza, lo teneva in scacco, sempre in bilico, sempre in attesa di una nuova mossa nella scacchiera della loro relazione. Le parole non sarebbero bastate a spiegare la profonda inquietudine che lo pervadeva al pensiero di lei. Scesa dall’auto, fece un giro e se la ritrovò dalla parte del finestrino, gli fece cenno di aprirlo e, una volta aperto il vetro, ai suoi ordini gli si strinse al collo e lo baciò alla francese con trasporto, poi girò i tacchi e, infilata la chiave nella toppa, aprì il cancello di ferro battuto, lo richiuse con un tonfo sordo e sparì tra le fronde degli alberi e dei rampicanti, disposti ad arte per nascondere la villa dagli architetti di paesaggi agresti chiamati per realizzare il giardino quando Silvia era ancora piccola.
Premette il pulsante e tirò su il vetro del finestrino, l’aria era fredda in quell’autunno anomalo che si protraeva in splendide giornate di sole e in colori che sfoggiavano la molteplice e flessibile tavola cromatica di colline e prati invasi da paesaggi da cartolina che, a parer suo, stridevano con la razionalità minimalista del mondo moderno, là nessun architetto sarebbe potuto intervenire ma l’ingegneria, forse, avrebbe potuto spiegare e piegare la natura. Aspettò un po’, per guardare e capacitarsi della residenza lussuosa della sua bella, alla fine riaccese piano il motore per andare a casa dei suoi. Vivevano in un condominio quasi in centro, in via Laghi. Gli era sempre parso bello ma, dopo aver visto la casa di Silvia, l’appartamento dei suoi genitori di certo sfigurava. Parcheggiò accostando la vettura quanto più possibile al marciapiede e si precipitò in casa, tuffandosi nel letto sfinito anche se di dormire non se ne parlava. Iniziò a pensare all’università, ai prossimi esami e a quanto trascurasse gli studi per vagare nel centro della città di Bologna in cerca di un valido motivo per andare avanti e si rese perfettamente conto di quanto in quel periodo fosse demotivato, gli mancava l’adrenalina delle novità. Si rigirò nel letto e, infine, si alzò per andare in cucina a farsi un panino.
La radiosveglia dava a tutto volume l’ultima canzone di Lady Gaga e Dua Lipa,