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Lei, vampira
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E-book408 pagine5 ore

Lei, vampira

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Info su questo ebook

Due persone più diverse al mondo non potevano esistere.

Amber è miracolosamente sopravvissuta al massacro della sua famiglia ma il prezzo da pagare è stato alto. Non ha idea di cosa sia diventata dopo quella tragica notte, sa soltanto che deve placare la sua sete o morirà. Confusa e fragile incrocerà la strada di Ben, un liceale timido e impacciato ma con un cuore in grado di sciogliere anche il ghiaccio più freddo.

Gli imprevisti quotidiani della nuova vita di Amber trasformeranno quella di Ben, legandoli in un modo che nessuno dei due avrebbe mai immaginato.

Alcune vecchie leggende sono fatte per spaventare… altre per fare innamorare.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2020
ISBN9788831672825
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    Anteprima del libro

    Lei, vampira - Federico Zilli

    633/1941.

    Prologo

    Questa non è una storia sui vampiri.

    Non solo almeno.

    E la storia di una lotta. La lotta per conservare la mia umanità, la lotta per camminare di giorno in mezzo alle persone normali, la lotta per trovare il mio posto nel mondo. Ma soprattutto la lotta per conservare l'amore di chi mi sta accanto.

    Credo che mettere nero su bianco le proprie ansie e le proprie paure possa aiutare a focalizzarle e a dare loro la giusta prospettiva, in modo da affrontarle con maggiore chiarezza e serenità.

    Non penso che buttare giù queste righe impedirà ai miei demoni di affacciarsi ogni tanto alla porta dei miei sogni. Oltretutto non sogno più da molto tempo.

    Scrivo questa storia per rendermi conto che è reale, che la mia nuova vita non è un sogno, che adesso le cose stanno così, nel bene e nel male. E devo accettarle.

    Mi chiamo Amber Akerman e questa è la mia storia.

    1.

    C'era una casa sul limitare del bosco.

    Un fabbricato di legno a due piani con il tetto di ardesia scura, circondato su tre lati da un ampio cortile dove qualche albero dal busto ancora fragile cresceva qua e là. Il lungo viale di accesso che arrivava dalla strada asfaltata era costeggiato da alberi. La casa era buia, tranne che per una luce che filtrava da una delle finestre del secondo piano.

    Ben Latimer era chino sul suo libro di matematica e cercava di studiare gli appunti buttati giù il giorno prima. Diversamente dal solito gli riusciva difficile studiare quella sera. Anzi, era da almeno qualche giorno che una strana sensazione occupava i suoi pensieri e gli impediva di concentrarsi su qualsiasi cosa.

    Mise giù la penna, tirò un poco le tende e guardò fuori dalla finestra. Scrutò l'oscurità del bosco, lasciando che i suoi occhi si abituassero al buio. Spense la lampada sulla scrivania e si sistemò gli occhiali spingendoli all'insù, erano ormai vecchi e allentati e tendevano a scivolargli lungo il naso. La luna era a metà e non sarebbe stato difficile scrutare tra gli alberi, non fosse stato per il banco di nuvole che aveva parcheggiato proprio sopra casa sua.

    Cos'era quella viscerale sensazione di non essere solo, perché l'idea di essere osservato non lo abbandonava? Suo padre non sarebbero tornato a casa prima di una settimana, per via del suo lavoro. Restare da solo non era una novità e in genere non gli creava problemi. Aveva un buon rapporto con suo padre e avere la casa tutta per sé non era un fastidio, anzi gli permetteva di godere di una certa libertà. A patto che la tenesse pulita e in ordine. Era la prima volta che trovava la solitudine così inquietante.

    La sua mente tornò a un anno prima, quando frequentava il secondo anno al liceo W. Madison di Blake Falls. In una sera molto simile a quella, dei bulli gli avevano teso un'imboscata mentre tornava a casa.

    Stava percorrendo il viale, senza pensieri per la testa se non decidere cosa avrebbe mangiato per cena. Era calmo di natura, motivo per cui i bulli non si facevano problemi a rendergli la vita difficile a scuola. Non lo impensieriva nemmeno il fatto che la strada, nel punto in cui si trovava, era a soli pochi metri da una macchia di alberi molto fitta e buia.

    All'improvviso udì un movimento tra gli alberi, poi il rumore di rametti spezzati. In un attimo in quattro gli furono addosso. Era troppo buio per vederli in viso e comunque era spaventato a morte. Identificarli non era stata la sua priorità in quel momento.

    Gli ci volle quasi tutta la notte per cancellare la scritta NERD che quei gradassi gli avevano fatto con la vernice spray sul petto. La pelle gli bruciò per una settimana, aveva esagerato con acetone e detersivo.

    Mentre era immerso in questi pensieri, i suoi occhi catturarono un movimento tra gli alberi. Non c'era vento quel giorno ed era quindi poco probabile che si trattasse dell'ombra di qualche ramo che si fletteva. Forse un animale, ma era altrettanto strano. In quel periodo dell'anno le colline boscose attorno a Blake Falls erano pressoché disabitate, molti animali erano in letargo oppure giravano al largo dalle zone abitate, senza contare che gli uccelli se n'erano andati da un pezzo. Qualunque cosa fosse ciò che aveva visto, era protetta da un silenzioso e sinistro manto di oscurità.

    Forse non è niente, sto solo viaggiando con la mente, pensò.

    Si allontanò dalla finestra, si sedette alla scrivania e osservò la sua stanza illuminata. La luce era rassicurante. Poteva vedere chiaramente ogni cosa: la parete con il poster di Einstein, il letto, l'armadio, la cassettiera, il porta DVD e… la figura che si stagliava nella cornice della porta.

    La luce non era poi così rassicurante.

    2.

    Amber Akerman era affamata. No, non affamata… assetata.

    Era già da alcuni giorni che osservava quella casa, standosene nascosta fra gli alberi, cercando di capire chi ci vivesse e se questo qualcuno avrebbe potuto mettere fine alla sua sete. Abbassò lo sguardo, vergognandosi di quel pensiero.

    Ma che sto facendo?

    Vide i suoi piedi, erano scalzi e sporchi. Il resto di lei non era messo meglio. I capelli, un tempo biondi, erano lerci e cadevano disordinatamente sulle spalle e giù fino a sfiorare il seno. Indossava una maglietta a maniche corte e una gonna di lino chiare, che quei mesi in mezzo ai boschi avevano trasformato in pezzi di stoffa bagnata, chiazzata di tutti i colori che il bosco poteva offrire. Le sue mani erano pallide, incrostate di terra e resina d'albero.

    Da quanto tempo si stava nascondendo nei boschi attorno a Blake Falls non lo ricordava nemmeno lei. Era estate quando iniziò tutto, ora l'inverno stava passando.

    La sua nuova natura le permetteva di vedere chiaramente anche nel buio più completo, poteva distinguere flebili suoni a grande distanza e, cosa più straordinaria, non sentiva il freddo. Avvertiva la gelida temperatura dell'inverno ma questo non le causava il minimo disagio. Lei stessa era gelida, in un modo innaturale per un corpo umano.

    Umana… lo sono ancora? Pensò.

    Un essere umano non aveva la sua forza, ne la sua velocità. Un essere umano non aveva sete di sangue umano.

    Mentre cercava in tutti i modi di scacciare questi pensieri, i suoi occhi e tutti gli altri sensi furono irresistibilmente attratti vero la casa, o meglio, verso l'unico inquilino che in quel momento la abitava.

    Era allo stremo. Troppo tempo era passato dall'ultima volta che aveva soddisfatto la sete. A breve non avrebbe più avuto la forza nemmeno di stare in piedi.

    Scattò verso la casa.

    Ormai conosceva bene i punti di accesso. La porta del garage era uno di questi.

    Quello stupido la lascia sempre aperta.

    Ne era certa perché aveva passato le ultime tre notti a studiare i rumori della casa, memorizzandoli. La serratura era stata fatta scattare la sera prima (chiusa) e poi la mattina dopo (aperta), quando il ragazzo era uscito per andare probabilmente a scuola. Poi più nulla.

    Era la sua occasione.

    Si mosse tanto rapidamente che un occhio umano avrebbe avuto difficoltà a scorgerla anche in pieno giorno. Se fosse stata al massimo delle sue forze sarebbe stato perfino impossibile.

    Entrò in casa.

    Come una fragranza irresistibile, il sapore del sangue del suo ospite la inebriò. Era dolce e invitante come miele. Barcollò, quasi stordita dai suoi stessi sensi, e nello stesso istante sentì acuirsi la sete. Attraversò tutto il garage, da lì si ritrovò in un corridoio. Alla sua sinistra una rampa di scale saliva al piano superiore.

    Si diresse in quella direzione.

    Mentre i piedi calpestavano gli scalini rivestiti di parquet, la sua mente era come intontita; stava correndo o andando a rallentatore? Il mondo intorno era ovattato, confuso. Non era nemmeno sicura che fosse la sua volontà a guidare il proprio corpo. Un bisogno terribile e opprimente guidava i suoi arti in quel momento, rubandole l'ultimo barlume di umanità che ancora albergava in lei.

    Era l'invincibile forza della sete.

    Seguì la luce fino a che si ritrovò sulla soglia di una camera da letto.

    Non aveva certo bisogno di un invito per entrare.

    3.

    Tutto si svolse troppo rapidamente perché il cervello di Ben potesse farsi un'idea di ciò che stava succedendo. In meno di un secondo quella cosa gli fu addosso, afferrandolo e scaraventandolo contro la parete. Una mensola di legno venne staccata dai supporti nel muro, libri e oggetti volarono un po' dappertutto nella stanza, il porta DVD cadde a terra. La lampada sul tavolo oscillò, gettando strane ombre sulle pareti della stanza.

    Ben rovinò a terra e subito dopo avvertì una fitta dolorosa al braccio sinistro. Averlo usato per attutire l'impatto contro la parete non era stata una buona idea.

    Meglio il braccio che la faccia, pensò. Quello fu il suo ultimo pensiero razionale, prima di rendersi conto di essere terrorizzato.

    Che stava succedendo? Quella cosa lo stava malmenando, era li per derubarlo? O magari solo per divertirsi? Quell'ultima idea gli gelò il sangue.

    Una mano gelida come la neve gli afferrò il collo ed ebbe l'improvvisa certezza che la seconda ipotesi fosse quella corretta.

    Amber afferrò la gola del ragazzo e cominciò a stringere, era spinta da una bramosia disumana e benché fosse allo stremo delle forze riuscì a schiacciarlo contro il pavimento, negandogli ogni possibile reazione. Annusò l'odore inebriante del nettare che scorreva in quelle vene, pregustandone il delizioso sapore.

    Ben era spaventato a morte, il suo corpo era premuto a terra da una forza incredibile. Tremava e faceva fatica a respirare. Ancora non sapeva chi l'aveva aggredito e decise di azzardarsi a scoprirlo, ormai aveva poco da perdere. Si dimenò quel tanto che bastava per mettersi su un fianco e poter così vedere in faccia il suo aggressore.

    E rimase impietrito.

    Era una ragazza! Il volto era in ombra ma non poteva sbagliarsi. Era una lei la furia che lo stava aggredendo. Due occhi lo fissavano intensamente, quasi a volerlo scrutare nel profondo. Solo allora Ben si rese conto del ringhio basso e acuto che proveniva da lei. Era vittima di pauroso scherzo o davvero quella ragazza aveva poco di umano? E poi quegli occhi… erano la cosa più sconcertante che avesse mai visto.

    Brillavano!

    Erano di colore rosso acceso e le iridi brillavano come fossero incandescenti, due rubini incastonati  nell'oscurità del suo volto.

    Ma che stava succedendo?

    Non ebbe il tempo di darsi una risposta, la figura scura sopra di lui si piegò in avanti, lentamente ma inesorabilmente. La mente di Ben fu attraversata da un pensiero assurdo ma che forse rappresentava l'ultimo barlume di speranza. Lei era indecisa, per questo non gli aveva dato ancora il colpo mortale.   

    Ciò che avvenne poco dopo fu uno strano scherzo del destino.

    Il cellulare di Ben, caduto anch'esso dalla mensola, si trovava adesso per terra accanto a lui. Vibrò per l'arrivo di un messaggio e il display si accese, illuminando il volto della ragazza quanto bastava per scorgerne i lineamenti. Il ragazzo batté le palpebre un paio di volte, incredulo per ciò che aveva appena visto.

    Al di là dei vestiti strappati e un aspetto decisamente sudicio, la ragazza che aveva di fronte era semplicemente stupenda. La pelle sembrava di alabastro e i capelli, dove non erano incrostati di fango, erano biondi e straordinariamente lucenti. Ed infine, cosa che lo meravigliò non poco, trovava quegli occhi i più belli che avesse mai visto in vita sua. Pensò di essere stato aggredito da un angelo. Un inquietante, bellissimo angelo.

    Qualcosa in quel volto gli era familiare.

    Nonostante si fosse perso per un attimo in tali pensieri, Ben non dimenticò la situazione in cui si trovava. Lei si era ulteriormente avvicinata. Il display del cellulare si spense e quel volto feroce tornò scuro e anonimo.

    D'improvviso, Ben ebbe la certezza di conoscerla.

    Ma se era davvero lei, cosa le era successo? Come poteva essersi ridotta in quella maniera? E poi cos'era diventata esattamente? Era tutto assurdo.

    Intanto il dolore al braccio si acuì, riportandolo al presente.

    Lei era ormai china su di lui. Emise un altro ringhio, stavolta più profondo e minaccioso. Contemporaneamente due canini aguzzi affiorarono dalle labbra.

    Ben era frastornato oltre che terrorizzato. Il respiro gli si bloccò in gola. Tre quarti del suo cervello erano convinti di stare sognando mentre la restante parte non riusciva a negare una fondamentale verità: nei sogni non provi dolore.

    Amber spalancò la bocca ringhiando, il suo istinto di predatrice era come impazzito, l'odore del sangue che scorreva nelle vene del ragazzo le stava dando alla testa. Questa volta non avrebbe affondato i denti in un'ispida pelliccia ma sulla pelle morbida di un umano. Il solo pensiero la eccitò.

    Ben sentì una mano gelida premere la sua testa contro il pavimento. Niente poteva impedire alla creatura di avventarsi sulla sua gola esposta. Quel pensiero ebbe il tragico effetto di farlo respirare  più affannosamente e di accelerare i battiti del suo cuore, facendo pulsare vistosamente l'arteria del collo.

    Il corpo di lei ora aderiva completamente al suo e quando sentì dei capelli sfiorargli il viso capì di essere prossimo a un dolore più acuto di quello che sentiva nel braccio. Chiuse gli occhi e urlò, svuotando i polmoni della poca aria che ancora contenevano. AMBER, NO!!

    Amber rimase paralizzata.

    Cosa?… Che nome ha pronunciato?

    Ben non era nemmeno sicuro che le parole gli fossero uscite di bocca. Si rassegnò e attese il dolore.

    Un secondo, due secondi… ma non accadde nulla.

    Riaprì gli occhi dopo quella che gli parve un'eternità.   

    Lei era immobile.

    E improvvisamente quel leggero e al tempo stesso inquietante corpo di ragazza si accasciò su di lui.

    Rimase immobile, impietrito dalla paura e dalla sorpresa.

    Difficile dire quale delle due prevalesse in quel momento.

    Amber era sconvolta.

    Possibile che stesse davvero aggredendo un essere umano? Stava spezzando una vita innocente che non aveva fatto niente se non trovarsi sulla sua strada?

    Era ormai allo stremo delle forze, le era difficile anche solo rimanere lucida. Senza rendersene conto, si ritrovò china e afflosciata su quella che aveva rischiato essere la sua prima vittima umana, e la sua salvezza.

    Non era la prima volta che si confrontava con l'idea della morte. Stavolta però vivere avrebbe significato sacrificare qualcuno. E quel qualcuno non era certo in debito con lei.

    Forse stavolta è arrivato il momento di lasciarsi andare, pensò.

    Tutto il peso di quella nuova, terribile ed effimera vita sarebbe scivolato via.

    4.

    La mente di Amber galleggiava nell'oscurità.

    Un'immensa, leggera e dolce oscurità. Ne era completamente avvolta, ogni pensiero razionale si stava allontanando. Finalmente avrebbe rivisto la sua famiglia, il suo fratellino… sua madre.

    Ma è concesso ai mostri andare in paradiso? Pensò. Forse non è posto per quelle come me. Ero una ragazza viziata e superficiale e adesso sono qualcosa di mille volte peggiore.

    Cacciare, uccidere, cacciare, di nuovo uccidere, ogni muscolo, ogni pensiero era spinto dalla brama di sangue. Mesi passati in solitudine girovagando per i boschi e le colline, addentrandosi negli anfratti e nelle grotte, senza quasi mai riuscire a pensare razionalmente per colpa della sete. Aveva vissuto in un freddo mondo ovattato. Un inferno bianco, un limbo.

    Adesso tutto questo stava finalmente per finire.

    Perché non sono morta quel giorno, con mio fratello e i miei genitori?

    Dal primo giorno in cui si era svegliata in preda alla sete, l'unico istinto era stato quello di sopravvivere, non importava come, ma voleva sopravvivere.

    Anche a costo di perdere la mia umanità?

    Ora che aveva finalmente incontrato un essere umano, per poco non l'aveva dilaniato.

    Stava morendo ma si sentiva stranamente in pace. C'era ancora qualcosa di buono in lei, dopotutto. L'ultimo soffio di umanità che ancora possedeva l'aveva spinta a risparmiare la vita di una persona a scapito della sua.

    In quel momento avrebbe voluto dormire per sempre.

    E fu allora che udì quella voce.

    Prima lontana e quasi impercettibile, poi sempre più vicina. Era una bella voce e le trasmetteva una piacevole sensazione.

    Chi la possiede deve essere fortunato.

    All'inizio non ci fece caso ma poi divenne chiaro che era una voce preoccupata… e chiamava il suo nome.

    Amber, è il tuo nome. Qualcuno ti sta chiamando. È bello sentirsi chiamare per nome dopo tanto tempo.

    Aprì gli occhi e vide altri due occhi fissarla.

    5.

    Ben era disteso di schiena sul pavimento, schiacciato dal peso di Amber che non sembrava volersi muovere.

    Lentamente si tirò su a sedere. Il corpo di lei scivolò di lato e si afflosciò sul pavimento. Una mano  rimase appoggiata al suo petto, quando la prese per spostarla si irrigidì all'istante.

    Era fredda… davvero troppo fredda.

    Afferrò il cellulare e accese il display, illuminando il volto della ragazza per guardarlo meglio.

    Non si era sbagliato.

    Quella strana e inquietante ragazza che l'aveva aggredito in piena notte era veramente Amber Akerman, che tutti fino a quel momento consideravano scomparsa dall'anno precedente. Ricordava bene i servizi alla TV: i corpi dei suoi genitori erano stati ritrovati in una radura tra le colline a nord di Blake Falls, dilaniati dagli animali selvatici. Di lei nessuna traccia e dopo tre settimane le ricerche erano state sospese.

    Che le sarà successo? Si chiese. Forse qualcosa l'ha scombussolata a tal punto da farla impazzire, forse è stata rapita e i suoi aguzzini l'hanno segregata e torturata, o peggio ancora… no, no, non pensiamoci!

    Doveva svegliarla.

    Quando Amber aprì gli occhi, Ben ebbe un sussultò. Le iridi erano ancora rosse ma non brillavano più e lo sguardo di lei sembrava cupo e senza vita.

    Mi senti, Amber?

    Lei annuì quasi impercettibilmente.

    Chiamo un'ambulanza ok?

    Ben si guardò attorno, era vicino al letto e afferrò un cuscino. Sentì una scarica elettrica attraversargli la spalla. Era il braccio che aveva attenuato lo schianto contro la parete, quando  Amber lo aveva colpito la prima volta.

    Accidenti, picchia forte la ragazza, pensò.

    Le sollevò delicatamente la testa e l'adagiò sul cuscino. Fece per alzarsi ma una mano fredda come la neve lo afferrò per il polso. Dovette trattenere un gemito, il polso faceva parte del braccio malandato.

    No! esclamò la ragazza. Voleva essere un grido ma fu più che altro un sussurro, con le ultime forze che aveva ancora aveva in corpo.

    Cosa? boccheggiò Ben.

    Non… chiamare nessuno.

    Lui la guardò, senza capire il motivo di quella richiesta. Stai male e hai bisogno di cure e…

    No! Ho bisogno di…, non ebbe il coraggio di finire la frase.

    Cosa? la incalzò Ben, sempre più preoccupato.

    Lei chiuse gli occhi, prese coraggio, poi lo guardò di nuovo.

    Ho bisogno di sangue.

    Ben non era del tutto sicuro di aver capito la richiesta. Aveva una mente razionale ma tutto quello che era successo negli ultimi cinque minuti di razionale non aveva assolutamente nulla. Era ancora assorto nei pensieri quando sentì un ringhio basso e flebile. Vide spuntare dal labbro superiore di Amber due canini bianchi e appuntiti.

    Dio mio!

    Ho bisogno di sangue. Disse con la voce ormai ridotta a un sussurro disperato.

    Lui non riuscì a risponderle e per un attimo si chiese se non stesse vivendo un sogno. Era tutto decisamente troppo assurdo. Ma, sogno o realtà, non poté ignorare quegli occhi disperati. Quei bellissimi occhi si stavano spegnendo. Si guardò le mani e, dopo un attimo di esitazione, pensò: tanto vale usare quello già fuori uso. E le avvicinò il polso destro alla bocca.

    Amber sentì l'odore della sua pelle, della sua carne… del suo sangue. Nei suoi occhi, le iridi erano di nuovo due anelli incandescenti, accesi dal fuoco della bramosia. Fissò il ragazzo con sguardo implorante: voleva il suo permesso.

    Ben non disse nulla, fece segno di si con la testa e si preparò al dolore.

    Un attimo dopo sentì due aghi incidere la sua pelle.

    6.

    Ben Latimer si svegliò mentre fuori era ancora buio.

    Si sfregò il viso con le mani e stette un momento a pensare al sogno assurdo che aveva fatto.

    O forse era un incubo?

    Gettò un occhio alla sveglia sul comodino: le 7:15. Aveva ancora quindici minuti prima della sveglia e decise di starsene coricato. Si girò sul fianco destro e sentì una leggera fitta di dolore che lo fece alzare di scatto. Istintivamente si portò la mano sinistra a tastare la spalla destra. Gli faceva male.

    Amber, pensò.

    Si alzò velocemente, forse troppo velocemente, tanto che barcollò ed ebbe la sensazione di essere più intontito del solito. Fece per prendere i pantaloni ma si accorse di averli già addosso e non erano quelli del pigiama. Erano gli stessi pantaloni che indossava la sera prima, come anche la maglietta.

    Poi ebbe un pensiero e si guardò le braccia. La sinistra era apposto, la destra no. Due piccoli segni rossi perfettamente uguali era ciò che rimaneva del morso di Amber. Ormai del tutto sveglio, non poté fare a meno di pensare che quella giornata sarebbe stata tutto fuorché noiosa. Nello stesso momento che ebbe formulato il pensiero si girò verso la porta.

    Appoggiata allo stipite, Amber lo guardava.

    Fu lei a rompere il silenzio.

    Sono molto contenta di vedere che stai bene. Sul suo viso comparve un lieve e malinconico sorriso.

    Ben si rese conto di stare impiegando più tempo del dovuto a rispondere. Del resto era sempre stato timido e schivo con le ragazze normali, figurarsi con una ragazza di normale aveva ben poco. E quegli occhi poi… ne era ipnotizzato.

    Ben, ci sei?

    Il ragazzo tornò sulla terra. Scusa. È che mi sento un tantino a disagio. Tentò di sorridere ma il risultato fu alquanto misero. Faccio un po' fatica a mettere a fuoco la faccenda. Sperò che le sue parole non l'avessero offesa e tentò un salvataggio in extremis. Inoltre i tuoi occhi sono… davvero belli. Mi rendo conto che sono strani ma… soprattutto sono belli. 

    Amber abbassò lo sguardo e sorrise, sulle guance apparvero due deliziose fossette. Credo sia meglio se ne parliamo. Ti aspetto giù in cucina così hai il tempo di fare le tue cose, ok?

    Detto questo, letteralmente, scomparve.

    Ben rimase a bocca aperta. Aveva visto una cosa simile nei film, ma erano appunto dei film.

    Amber se ne stava a braccia conserte e fissava un punto indefinito oltre la finestra. Era una vista magnifica e malinconica allo stesso tempo. Al di là del viale e degli alberi che segnavano la fine del cortile, svettavano alcune delle colline più alte, che in quel periodo dell'anno erano ancora chiazzate di neve. Quei luoghi erano stati la sua casa e la sua prigione fino a quel momento.

    Percepì la presenza di Ben dietro di lui. Anche se sazia, non riusciva a togliersi dalla testa il profumo del suo sangue. Era un aroma dolcissimo. E il sapore poi… nessuno degli animali che aveva cacciato fino a quel momento possedeva un'essenza vitale tanto deliziosa.

    Amber.

    Lei si voltò. Ben notò che si era pulita e cambiata, ma non perse tempo a chiedere spiegazioni. Non sapeva se essere contento o spaventato nel vederla di nuovo in forze, ma su una cosa non aveva dubbi.

    Era bellissima

    Aveva i capelli di un biondo lucente, lunghi e leggermente mossi. La pelle era pallida, sembrava di porcellana, il che risaltava gli zigomi di un viso leggermente paffuto. Ad occhio era poco più alta di lui, arrivava probabilmente al metro e ottanta. Indossava un vestito celeste con dei fiorellini disegnati, con le spalline sottili e la gonna che arrivava poco sopra il ginocchio. I piedi erano scalzi, particolare che però non stonava con tutto il resto, anzi li trovava carini e affusolati.

    Lui, invece, faceva pendere l'ago della bilancia decisamente dalla parte opposta. I suoi capelli scuri erano perennemente spettinati e indossava un paio di occhiali dalla montatura spessa. Era magro di costituzione ma indossava una maglietta grande almeno una taglia in più.

    Come sapevi il mio nome? chiese lei.

    Beh, era sui giornali vicino alla tua foto. La notizia della tua scomparsa ha tenuto banco per tutto l'autunno. E poi appartieni a una delle famiglie più ricche del paese, è un po' difficile non sapere chi sei. Il suo tono si fece più serio. Cosa ti è successo? E che cosa è successo ieri notte?

    Amber abbassò lo sguardo, non sapeva proprio da dove iniziare. "Quella cosa che hai visto ieri notte… sono io quando sto morendo di fame. O, per essere più precisi, di sete."

    Ben rimase immobile, rigido, sperando di sentirsi dire che era uno scherzo. Sapeva però la verità, l'aveva vista e non poteva negarla. Non si era trattato di un incubo, lei era reale come il dolore che sentiva alla spalla. Non aveva sognato. Quindi tu saresti una…

    Ti prego non dirlo. Non dire quella parola.

    Ok.

    Amber si voltò di nuovo verso la finestra. Ben vide che si sfregava le mani ed era palesemente a disagio.

    Mi dispiace se ho detto qualcosa di sbagliato.

    Non sei tu, davvero. Ti chiedo scusa per tutto quello che è successo, io… non avrei mai dovuto fare quello che ho fatto.

    Hai detto che stavi morendo di fame.

    Questo non mi giustifica. E, per qualche assurda ragione, il fatto che tu non sia arrabbiato con me mi da ai nervi.

    Saresti più contenta se fossi arrabbiato con te?

    Mi aspettavo una scenata. E credo di meritarla. Lo disse con un tono talmente abbattuto che per un momento fece sentire Ben il cattivo della storia.

    Sono piuttosto impegnato a sperare che tu non mi aggredisca di nuovo. Se mi prometti di chiedere la prossima volta che ti serve ancora… se hai ancora fame, allora è tutto apposto. Ok?

    Amber era perplessa a tal punto che non aveva idea di cosa rispondere. Posso sapere perché mi hai salvato la vita se ti faccio così paura?

    Tu al mio posto che avresti fatto? Sei una persona dopotutto.

    Lei aprì la bocca per rispondere ma per la seconda volta non aveva idea di cosa dire. Nella sua mente cominciarono ad affacciarsi le teorie più disparate. Era un tipo terribilmente ingenuo? Era forse matto? Non ricordava bene quello che era successo? Era straordinariamente sicuro di sé?

    Amber.

    Lei si voltò, il flusso di pensieri si spense. Gli occhi del ragazzo, messi in risalto dalla montatura scura, erano seri e la fissavano.

    Non sono ne pazzo ne stupido. Mi baso su quello che vedo e se posso aiutare qualcuno lo faccio.

    Tu che cosa vedi esattamente?

    Potevi uccidermi ma non lo hai fatto. Guardandoti adesso si vede lontano un miglio che ti vergogni per quello che è successo. Per questo non me la sento di odiarti. 

    Sono una vampira, Ben. Ecco, avevo pronunciato quella parola. Le lacrime le salirono agli occhi e premevano per uscire. Mi dispiace. Riportò di nuovo lo sguardo al di là della finestra. In quel momento avrebbe voluto fuggire. Non sono una persona che dovresti aiutare.

    Negli ultimi quindici minuti Ben si era preparato un caffè un paio di toast con marmellata e ora sedeva al tavolinetto della cucina. Amber era rimasta sempre accanto alla finestra, poco distante da lui. Il suo modo di rimanere assolutamente immobile lo rendeva perplesso. Sembrava più una parte dell'arredamento che una persona in carne e ossa. Aveva bevuto mezza tazza e si accingeva a mangiare il secondo toast quando Amber iniziò il suo racconto. Alla fine dell'estate scorsa mio padre ci portò nel bosco per un campeggio, ai piedi delle colline. Forse doveva farsi perdonare da mia madre l'ultima delle sue scappatelle. Mia madre amava il campeggio e le attività all'aria aperta, trovando piena solidarietà in mio fratello più piccolo. Io invece ero più il tipo da boutique e centro commerciale, puoi quindi immaginare il mio entusiasmo. Per tutto il tempo mio padre disse cose sull'importanza delle famiglia, dello stare uniti e di quanto avrebbe fatto bene a tutti noi quell'esperienza. Le solite stupidaggini. Il suo volto divenne cupo. Era un bastardo. Era scortese con la mamma e non era mai a casa. E questa è forse la parte migliore della storia. Per lui gli affari venivano prima di ogni altra cosa.

    A metà del secondo toast, Ben non aveva più molta voglia di mangiare.

    La seconda notte successe. Venimmo aggrediti da qualcosa, era troppo buio e non vidi chiaramente. Prese mia madre, poi mio fratello. A mio padre squarciò la gola…, la voce di Amber si incrinò, … lo ha fatto a pochi metri da me, è stato orribile. Io sono corsa via, cercavo di scappare ma la foresta era buia, mi impigliavo nei rami e cadevo continuamente. Quella cosa invece mi vedeva, mi vedeva chiaramente.

    Come sai che…, chiese Ben.

    Perché adesso anch'io vedo così. In quel momento i suoi occhi si accesero e fissarono Ben, che se ne stava immobile con uno sguardo indecifrabile.

    Vedo ogni cosa, anche al buio. Sento ogni odore, ogni rumore, sento l'umidità alzarsi o abbassarsi… sento davvero ogni cosa. Poi continuò. Ricordo che mi prese, mi sbatté a terra e mi azzannò alla gola. Mi svuotò letteralmente le vene, fu atroce, desideravo solo che finisse il più in fretta possibile. Amber si strinse nelle spalle e chiuse gli occhi. "Ma il dolore durò tutta la notte. Quando arrivò giorno mi ricordo che cominciò a piovere, io ero ancora distesa a terra ma il dolore non c'era più. Ero fradicia e avevo una sete tremenda. Girovagai in cerca della tenda, ma non riuscivo ad orientarmi. Mi accorsi un poco alla volta che avevo qualcosa di strano.

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