Pirandello tra Leopardi e Roma
Di Nicola Longo
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Info su questo ebook
Questi sono preceduti da una brevissima riflessione su alcuni snodi della sua visione del mondo e della letteratura.
Due saggi sono dedicati al rapporto di Pirandello con la scrittura di Giacomo Leopardi. In particolare si offre alla lettura un saggio che ha avuto sempre scarsa circolazione in cui Luigi riflette sullo Zibaldone che Carducci stava editando per la prima volta alla fine del XIX secolo.
Quindi si esamina la presenza delle Operette morali non solo nella trama della scrittura pirandelliana ma nelle pieghe della sua
antropologia e della sua filosofia (quella che Croce, in maniera certamente deformata, definiva “da marciapiede”).
Gli ultimi tre capitoli sono dedicati alla presenza della città di Roma nella vita dello scrittore agrigentino; nei testi delle sue novelle e nei testi dei romanzi.
Pirandello dimostra di conoscere a fondo la topografia e la toponomastica della città in cui ha scelto di vivere ma il segno
distintivo della sua Roma è dato dal tono costantemente antiretorico con cui racconta non solo le strade e i palazzi ma i grandi
monumenti della romanità.
Sempre egli riesce a parlare di quella realtà romana ammantata di gloria rendendo normale (potremmo dire “borghese”) ciò che è stato tramandato come eroico o addirittura epico.
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Anteprima del libro
Pirandello tra Leopardi e Roma - Nicola Longo
Nicola Longo
PIRANDELLO TRA LEOPARDI E ROMA
ISBN: 9788838247446
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http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Nota al testo
Premessa
ESERCIZIO DI LETTURA: SU PIRANDELLO
1. Essere / apparire
2. Riflessione / azione
3. Vedersi vivere senza specchio
4. Pirandellismo e critica letteraria
5. Riconquista della tradizione: il leopardismo
6. L’Autore e i personaggi
7. Bruttezza / vecchiaia – bellezza / gioventù
8. La vecchia signora
I. LEOPARDISMO PIRANDELLIANO, UN ARTICOLO DIMENTICATO
II. LE OPERETTE MORALI NELLA SCRITTURA DI LUIGI PIRANDELLO
1. Del pirandellismo
2. Dell’operettismo
3. Citazioni incrociate
4. L’uomo copernicano
5. Della vita e della morte
III. ROMA, NELLA VITA DI PIRANDELLO E IN QUELLA DEI SUOI PERSONAGGI
1. Intorno a Piazza del popolo
2. I caffè
3. Le abitazioni della famiglia Pirandello
4. L’asse di Via Nomentana
IV. ROMA NELLE NOVELLE PIRANDELLIANE
1. Prati di Castello, il fiume e la morte
2. La Sapienza
3. Fuori di Porta Pia
V. ROMA NEI ROMANZI PIRANDELLIANI
Premessa
1. Mattia Pascal: Roma col cuore frantumato
2. Un pezzo di Roma sparita
3. A Roma: un groviglio di rissanti
4. Passeggiate romane
5. Suo marito: l’arroganza dei provinciali inurbati
6. Tumulto popolare
7. La tragica solennità delle rovine
8. Un’altra terra desolata
9. I vecchi e i giovani: il Risorgimento tradito
10. Mauro Mortara: Roma, la città del sogno risorgimentale
11. La Roma antieroica dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore
12. Notturni romani
Indice dei luoghi
Indice dei nomi*
Universale
Studium
93.
Nuova serie
Letteratura - Studi / 6.
Nicola Longo
PIRANDELLO
TRA LEOPARDI E ROMA
Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura
ed Universale
sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.
Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma
ISBN 9788838247446
www.edizionistudium.it
Questo libro è dedicato a
Alessio, Livia, Cecilia
Nota al testo
Esercizio di lettura : Su Pirandello è inedito
I. Leopardismo pirandelliano. Un articolo dimenticato di Pirandello, in «Rivista di studi pirandelliani», XI (1993), pp. 103-111.
II. Le Operette morali nella scrittura di Luigi Pirandello, in «Quel libro senza uguali». Le Operette morali e il Novecento italiano, a cura di N. Bellucci e A. Cortellessa, Bulzoni, Roma 2000, pp. 27-42.
III. Roma, nella vita di Pirandello e in quella dei suoi personaggi, in Sylva. Studi in onore di Nino Borsellino, a cura di G. Patrizi, II, Bulzoni, Roma, 2002, pp. 725-734.
IV. Roma nelle Novelle pirandelliane, in Immagini riflesse. Studi sul moderno in letteratura, a cura di M. Olivieri, in Studi (e testi) italiani, Semestrale del Dipartimento di italianistica e spettacolo dell’Università di Roma La Sapienza
, Bulzoni, Roma 2000, pp. 79-96.
V. Roma nei romanzi di Pirandello, in «Studi romani», LVIII (2010), 1-4, pp. 334-358.
Premessa
Era il 22 maggio 1986 quando ho avuto la fortuna di poter svolgere una conferenza presso la Sala Borromini alla Chiesa Nuova (Santa Maria in Vallicella) per l’Istituto Nazionale di Studi Romani sul tema: La Roma dei romanzi di Pirandello .
Si trattava di una supplenza che il professore e amico Riccardo Scrivano mi aveva affidato pochi giorni prima e in quei pochi giorni avevo riletto tutto quello che era possibile, di quanto avevo già attraversato, degli scritti di Pirandello in cui era presente la città di Roma.
Nel 1994 il grande romanista Giovanni Gigliozzi mi offrì di pubblicare sulla sua rivista «Roma ieri, oggi e domani» (VII, 1994, 72, pp.86-89), un piccolo articolo che uscì col titolo Pirandello per le strade di Roma. Nel 2001, rivisto e ampliato, quello scritto, col titolo Roma, nella vita di Pirandello e in quella dei suoi personaggi, appare in un volume miscellaneo in onore di Nino Borsellino, importante studioso di Pirandello ( Sylva. Studi in onore di N. Borsellino, a cura di G. Patrizi, II, Bulzoni, Roma 2001, pp.725-34) il saggio costituisce il terzo capitolo di questo volume.
La mia idea è che la Roma di Pirandello sia certamente il luogo eletto della sua vita quotidiana, nonostante la forte nostalgia, che si ricava dalle sue pagine, verso la terra in cui è nato. Roma è la città dei suoi studi universitari (nonostante i dissidi con un professore della Sapienza di quei tempi); della sua vita famigliare; del rapporto stretto e talvolta fraterno con i colleghi scrittori; della scoperta della sua vena teatrale.
Ma Roma è, soprattutto, la scenografia essenziale per alcune novelle e per certe pagine dei romanzi. Altre avranno bisogno, per coerenza narrativa, della collocazione nelle terre di Trinacria.
Quale Roma però? Certo non la Roma epico-eroica dei sette re o della repubblica consolare o dell’impero romano. Tanto meno della Roma dei papa-re o della monarchia sabauda e, ancora meno della marionettistica Roma fascista (l’adesione dello scrittore al regime è certamente un atto di comodo, privo di ogni trasporto che venga meno al suo naturale anarchismo).
La Roma di Pirandello è la città piccolo borghese degli impiegatucci ministeriali, degli affittacamere, dei professori sventurati; degli osti e dei turisti a bassa spesa, dei viaggiatori in tram, dei passeggiatori solitari. È una Roma che, nonostante le sue bellezze naturali e la sovrabbondanza di monumenti antichi (deformati da una scrittura totalmente antieretorica e antieroica) si presenta come una città che nel suo fiume offre un perfetto scenario per tanti silenziosi o eclatanti suicidi.
Posso dire, da lettore di scrittori di cose romane, viaggiatori viandanti o appassionati abitanti, che la Roma di Pirandello, almeno da Goethe in poi, non ha nulla di simile. Le parole scelte per raccontarla sono quelle del linguaggio quotidiano. Il sentimento che i personaggi esprimono verso la città oscilla lungo un’ampia scala che va dall’indifferenza al disprezzo.
Le pagine più indicative di quanto sto cercando di dire si trovano nel romanzo I vecchi e i giovani e in particolare nelle parole di Mauro Mortara, vecchio garibaldino, erede dell’idea di Roma che ha percorso il Risorgimento e che ha la fortuna di non comprendere il tradimento degli ideali per cui era disposto a dare la vita, a opera di arrivisti senza scrupoli che nella Roma parlamentare di tanti romanzi, a cominciare da Daniele Cortis fogazzariano fino a Vita e avventure di Riccardo Joanna di Matilde Serao, trovano il terreno adatto per i loro traffici.
Sicché il fascino di questa Roma sta nel suo essere volutamente senza ornamenti e senza alcuna intenzione di esaltarne la realtà nella sua umile e indifesa miseria, pur nella straordinariamente sobria scrittura, raffinata ed elegante.
Devo un ringraziamento a Fabio Pierangeli che mi ha suggerito la possibilità di editare questo libretto presso la illustre casa editrice Studium e al dott. Simone Bocchetta che ha voluto accettare di promuovere questa pubblicazione.
Fra un mese Riccardo Scrivano compie novant’anni, nel congedare questa raccolta di saggi pirandelliani, a lui va il mio pensiero.
Roma, 28 giugno 2018
ESERCIZIO DI LETTURA: SU PIRANDELLO
1. Essere / apparire
Ormai più di sei decenni fa, Leonardo Sciascia aveva scoperto lo straordinario nesso ideologico, ma anche l’infinita distanza fra la riflessione pirandelliana e la letteratura raffinatissima dello scrittore ucraino di Sorocˇincy, quando scriveva:
Un secolo prima, Nicola Gogol avvertiva: «non è colpa dello specchio se i vostri nasi sono storti». E invece sì è colpa dello specchio: Nicola Gogol non lo sapeva, non poteva saperlo, non sapeva di Girgenti, lui. La colpa è di quello specchio che sono gli altri [1] .
Verso dove s’indirizza, infatti, Gegè Moscarda, per avere una conferma o una smentita alla rivelazione fattagli dalla moglie circa il suo stato e, in particolare dello stato del suo naso? Non certo verso lo specchio, come ci si sarebbe aspettati, ma piuttosto si rivolge ad un amico incontrato per caso.
La conferma che crede di ricevere da uno sguardo incredulo e derisorio del suo primo interlocutore, rappresenta «il germe del male» che s’impadronirà totalmente del suo «spirito» e che costituisce il tema dominante dell’ultimo romanzo dello scrittore di Girgenti: Uno nessuno, centomila. Il cruccio e la malattia di Moscarda si riassumono nella consapevolezza di non essere mai stato, di non essere e di non poter essere per gli altri, quello che, dentro di sé, aveva sempre ritenuto di essere.
Tante volte questo tema della corrispondenza fra la propria immagine fisica e/o morale, così come è vissuta nella scrittura letteraria, rispetto a quella che appare agli altri e che determina poi la vera sostanza di ciascuno, si ritrova già nella coscienza dei personaggi più tormentati e lucidi del repertorio narrativo pirandelliano. Si legga una battuta di Flaminio Salvo de I vecchi e i giovani:
Invecchio, sì; perdo il gusto di comandare. Me lo fa perdere la servilità che scopro in tutti. Uomini, vorrei uomini! Ma vedo attorno automi, fantocci che devono atteggiare così e così, e che mi restano davanti, quasi a farmi dispetto [2] , nell’atteggiamento che ho dato loro, finché non lo cambio con una manata. Soltanto di fuori però, capisci? Si lasciano atteggiare! Dentro…eh, dentro, restano duri, coi loro pensieri coperti, nemici, vivi solamente per loro [...] ho assegnato la parte a questo e a quello, a tanti che non hanno mai saputo vedere altro in me che la parte che rappresento per loro. E di tant’altra vita, vita d’affetti e di idee che mi s’agita dentro, nessuno ch’abbia mai avuto il più lontano sospetto…. Con chi vuoi parlarne? Sono fuori della parte che devo rappresentare [3] .
Qui siamo nell’universo della maschera, nel quale domina la contraddittorietà e l’ambiguità, insieme alla consapevolezza della differenza fra l’essere e l’apparire ed è l’unico universo nel quale è ipotizzabile una possibilità di incontro civile
(fondato proprio sui principi della finzione e della repressione degli istinti), di commercio fra gli uomini che, non a caso, tante volte, lungo il percorso delle loro auto-riflessioni, hanno usato parlare del mondo come teatro [4] .
Molti anni prima del romanzo di Vitangelo Moscarda, dunque, è espressa con chiarezza l’idea che la sostanza reale dell’individuo sta tutta e solo nella parte che gli altri gli attribuiscono e gli impongono di sostenere. Ancora nello stesso romanzo del 1896 ( I vecchi e i giovani), del personaggio di Francesco D’Atri si dice che
Da un pezzo [...] non aveva più la guida di sé, né più lui soltanto comandava in sé a se stesso. Non eran più suoi gli occhi con cui si guardava; eran d’un altro Francesco D’Atri che dallo specchio gli si faceva incontro ogni mattina con aria rabbuffata e di sdegnoso avvilimento nel vedergli gonfie e ammaccate le borse delle palpebre, e tutte quelle rughe e quel bianco attorno alla faccia... Era ormai un povero vecchio che volentieri si sarebbe rannicchiato in un cantuccio per non muoversene più; ma tanti altri lui spietati che gli sopravvivevano dentro approfittando di quel suo smarrimento, non volevano lasciarlo in pace [5] .
Dove le diverse e tutte possibili incarnazioni dell’io, si pongono a confronto in un solo personaggio, in un caleidoscopio di volontà altre e alienate che lo avevano costretto a comportamenti involontari e disconosciuti: mentire, sorridere, pararsi, tingersi la barba, prender moglie, amare una figlia non sua. I centomila sé, in questo caso di disintegrazione e di disgregazione del soggetto, ormai non sembrano più il risultato dei tanti antichi perentori messaggi ricevuti dagli altri ma ormai introitati dalla coscienza per sempre ed ai quali è impossibile disubbidire o sottrarsi.
[1] L. Sciascia, Pirandello e il pirandellismo, Salvatore Sciascia, Caltanisetta 1953, p. 79. Sul tema dello specchio mi permetto di richiamare le mie poche pagine intitolate Frammenti di un discorso sullo specchio in N. Longo, Letture novecentesche, Bulzoni, Roma 2001, pp. 167-179.
[2] Fin qui potrebbero essere le parole di uno specchio parlante che vede innanzi a sé tanti uomini meccanici riflessi in sagome vuote, immagini mute d’una specie vivente priva d’interiorità, d’intelligenza, di anima; puri simulacri, insomma.
[3] L. Pirandello, I vecchi e i giovani, in Id., Tutti i romanzi, II, Mondadori, Milano 1956, pp. 11-433: 221-222. In seguito citato come Tutti i romanzi.
[4] Ho qui adoperato i termini di simulacro e di maschera nell’accezione argomentata da Giulio Ferroni nel saggio Fantasma, maschera, simulacro, contenuto nel volume Ambiguità del comico, a cura di G. Ferroni, Sellerio, Palermo 1983, pp. 56-60. Il riferimento al teatro del mondo mi obbliga a rinviare ad uno studio fondamentale sul tema, sia pure focalizzato su di un periodo diverso cronologicamente quale è quello del Manierismo, di un critico che tanto lavoro ha dedicato a Pirandello: si veda M. Costanzo, Il gran theatro del mondo: schede per lo studio dell’iconografia letteraria nell’età del Manierismo , V. Scheiwiller, Milano 1964; a proposito di questo testo si vedano le riflessioni che si leggono in R. Scrivano,