Vinokrazia: Estetica del gusto e dell'impostura
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Vinokrazia - Manlio Della Serra
Manlio Della Serra
Vinokrazia
Estetica del gusto e dell'impostura
Vinokrazia. Estetica del gusto e dell’impostura
© Manlio Della Serra, 2020
© 2020 Armillaria
I edizione digitale Armillaria - maggio 2020
isbn 978-88-99554-38-5
Progetto grafico: Armillaria
armillaria.org
armillariaedizioni@gmail.com
Armillaria è un progetto di
Mara Bevilacqua & Manlio Della Serra
ISBN: 9788899554385
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Sommario
Vinokrazia
Un problema senza soluzione
Estetica del gusto
Sulla necessità del gusto
Kantare
L'esecuzione del nobile
Cartesianesimo. Un tempo e un luogo per tutto
Parla, se ti riesce
Fucare vini faciem
L'arroganza del paradiso. Della dismisura
Culture del vino. Distanti pochi minuti
Estetica dell'impostura
Storiella sul gusto
Il vino di Porfirio
Vini senza ieri. Intervista al grande assente
Numerologia. Vino al mercato
Il gesto dell'impostore
Iugulat Sommelier
Collezionismo
De-dicare
Armillaria Edizioni
Collana I Cardinali 9
Vinokrazia
Estetica del gusto e dell'impostura
a Karl,
ma solo al suo intelletto,
che non ho avuto il tempo di conoscere
Un problema senza soluzione
Con questo riconosceva di non intendere:
e riconosceva che nessuno dovesse parlare con lui;
infatti con gli esseri bruti, con gli alberi e in generale
con quanti non dotati di intelletto non si deve parlare.
Egidio Romano, In II Sententiarum, XVII, q.2, a.1
La probabilità di trovarsi alle prese con questioni impronunciabili e maledette è sempre così elevata da avvicinare più al sofisma che alla nuda risposta ragionata. Trattare come soluzione l’assenza di ogni soluzione. Con la stessa tensione del ragionamento percorso dal lampo luminoso e istantaneo della profezia, questo modo di procedere è insano perché non accetta la famigerata ‘ultima parola’, perché non spartisce le opinioni tra i contendenti né accoglie la sicurezza dell’organico che da sempre si organizza. Se è lecito domandare, non è doveroso rispondere. E così dubbi, convinzioni, allusioni, provocazioni, stratagemmi, citazioni giacciono nel limbo omertoso della parola prima provocata, poi lasciata stare. Questo dovrebbe sapere e condividere una letteratura filosofica disposta a fare i conti con il vero e convinta dell’esistenza di una verità impossibile. Ma questo distingue anche un letterato da un filosofo perché il secondo sceglie di dedicarsi al vero ma non alla verità. Alla verità è costretto.
Verità e parola, parola alla verità e verità di parola sono tutte occasioni di situabilità per il vino come dispositivo di potere al quale è sempre opportuno affiancare un altro potere. Così il vinokrate, sfidato da queste premesse, è dell’idea che prima di trattare qualcosa sia opportuno definire un campo d’azione, un confine non superabile, un limite non estendibile. Così fece Matteo Ricci quando provò a collocare la Cina sul mappamondo ignorato, sull’intero universo non visitato e senza tempo, forse più mitizzato dalle genti di laggiù che dal viaggiatore assetato di iperboli e sconfinamenti. Cristalline anche le parole ad lectorem che Francisco Suarez pubblicò come nota introduttiva alle Disputationes: «Ho sempre pensato che la capacità di intendere e di penetrare una cosa risieda in gran parte nel metodo di indagine e di valutazione ad essa conveniente». Per fuoriuscire da queste strettoie, al vinokrate non resta che un moto di rivolta, almeno verbale. Una proposta che ritrovi nella retorica la sua spinta definitiva perché, superata la decenza del concetto, non c’è più da prendersi sul serio.
La voce fuori campo del vinokrate sceglie il pretesto del vino per articolare un discorso di protesta. Contro chi o cosa non è così rilevante quanto che qualcuno ci si riconosca. Ma chi ha ancora tempo per ascoltare un ribelle, un teoreta senza-dio e senza-patria pronto a smontare vecchi sistemi? Per il momento, solo un altro blasfemo, un praticante di vino che non sa argomentare. È ora che il blasfemo smetta di essere ribelle e pagano solo per sentito dire. Così pure le vanterie dell’era globale, in cui tutto sembra decomprimersi in un grande relativismo, facilitano l’incontro del nuovo teoreta e del praticante. Se invece un altro pubblico sarà il destinatario di questo commento, che almeno impari da qui l’arte di argomentare prima di rinnegarla.
La trovata di un titolo è quasi sempre ingannevole perché assolve una funzione sintetica. Non un manuale sul vino, né un prontuario per dirigere il neofita durante la degustazione. Vi è comunque predisposto un principio di orientamento, una suggestione che prova a svolgere, aiutata dalla parola, il più romantico concetto di degustazione, ma secondo pertinenza e rigore etici. La parola e il suo nesso con la ragione, il fondale etico nel cui ventre ha cura di essere, di trovarsi e di reagire come voce del vivente, la parola è la sintesi non ritardabile che lega alle sue intime ragioni tutto ciò che sta a questo mondo. In fondo, colui che dovrebbe condurre l’esperienza del vino, il sommelier, conserva qualcosa di sommo solo a parole.
L’attitudine a procedere per parole consente di corteggiare l’estetica di una tesi o di una serie di tesi da difendere. Una parte del lato eversivo del vino è dovuta al fatto che l’esperienza del gusto svanisce dopo qualche istante. Ciò che resta è la parola che pretende di fissare questa esperienza, di ricordarla in modo ragionevole. Ma tra due argomentazioni concatenate può esserci perfetta aderenza nonostante ciò che ne risulta in termini di evocazione possa rimanerne privo. Sottratta all’immaginazione o al sogno, l’attendibilità degli argomenti sul vino si fa tangibile solo se qualcuno è disposto a seguirla con la propria vita. Parlare di vino al di fuori di categorie oggettivanti e di parametri descrittivi come acidità e dolcezza. Allo stesso tempo, non parlarsi addosso di vino, ossia non parlarne solo nel confessionale che accoglie tutte le nostre intimità. Il mestierante della degustazione o l’indovino non avranno pertanto molto da imparare. Anche il parroco resterà deluso dai nostri silenzi.
Degustare significa in modo esplicito una combinazione tra la ricerca e il piacere che ne può derivare. Architetto, gastronomo, profumiere o sarto sono all’opera quando inseguono una legge di perfezione, quando la praticano per includerla nella lunga vicenda della creazione: creare, non generare, ma anche entrambi i momenti... ci si tornerà.
Così il vinokrate è un degustatore senza amici né vendette da esercitare, un amante del piacere orientato al concetto e felice di frequentare l’abisso della conoscenza del gusto e delle sue ragioni per poi poter riemergere. Un bevitore solitario nel giudizio, che prima di gioire del vino pretende di scovare il tranello nascosto e godere per averlo fatto. L’ossessione per il reperimento di una regola armonica serve solo in parte a costruire i riflessi di quel piacere atomico che fuoriesce dalle sue idee elementari. Senza degustazione, senza il faticoso apprendistato che allena i sensi al riconoscimento degli stadi della complessità, non sarebbe possibile farsi ambasciatori del gusto e certificare – questa volta con metodo – quale complesso sistema di materiali, valutazioni, contrappesi e accorgimenti regga quella meravigliosa struttura che mai il vinokrate è stanco di celebrare.
La celebrazione è il fine ultimo della degustazione, il gesto del raccoglimento che incontra la persistenza del piacere. Celebrare è ricordare e insistere sulla necessità dell’evento che si ripete. Inoltre, il fine per il quale la celebrazione si fa indispensabile si manifesta al massimo grado nella condivisione. Se reso comune e quindi
comunitario, il vino sembra indicare meglio la coesione del gruppo e finisce per rinsaldarlo con la sottoscrizione di uno statuto. Resta, tuttavia, un rischio imbarazzante. Pur soddisfacendo la sua ultima ragione, l’aspetto comunitario cui la degustazione è destinata rischia spesso di vanificarne la ‘ragione prima’ cioè l’urgenza che l’ha fatta scaturire. L’esperienza omologante del piacere in comune diverge dall’intrinseca nozione di piacere e rilascia tutte le imprecisioni che non possono sorgere tra maestro e allievo, tra chierico e discepolo. Resa pubblica, la degustazione è data in pasto a registri, tabelle, quantità, per occultare la sua impronunciabile portata. Facendosi ripetibile diventa oggetto di comunicazione, non di