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Nietzsche, l'antipolitico e i regimi totalitari del '900
Nietzsche, l'antipolitico e i regimi totalitari del '900
Nietzsche, l'antipolitico e i regimi totalitari del '900
E-book358 pagine4 ore

Nietzsche, l'antipolitico e i regimi totalitari del '900

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Info su questo ebook

Quest'opera mette in luce il pensiero nietzscheano a confronto con la disdicevole deformazione propagandistica da parte degli ideologi della realtà totalitaria del '900, attraverso l'analisi delle opere del Tedesco, tradotte e curate nell'edizione critica di Colli e Montinari, comparate con alcune delle più importanti letture novecentesche sui totalitarismi in Europa (Heidegger, Arendt, Foucault, Orwell, Mann, Lacoue-Labarte e Nancy, Hitler, Bauemler, Vattimo, Losurdo, Cacciari, la Scuola di Francoforte, ecc. ecc.).  Si troveranno molti riferimenti di critica alle società di massa democratico borghese del XXI secolo. 
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2018
ISBN9788829555048
Nietzsche, l'antipolitico e i regimi totalitari del '900

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    Anteprima del libro

    Nietzsche, l'antipolitico e i regimi totalitari del '900 - marco purita

    Sotto il nazismo si costringevano folle enormi a sprecare quantità enormi di tempo marciando dal punto A al punto B, e poi di nuovo al punto A. Questo tenere la popolazione in marcia pareva un insensato spreco di tempo e di energia. Solo più tardi si scoprì in tutto questo una sottile intenzione, fondata su di un ben calcolato adattamento dei mezzi ai fini. La marcia distrae i pensieri dell’uomo. La marcia uccide il pensiero. La marcia pone fine all’individualità. La marcia è un colpo magico, che serve ad avvezzare il popolo a una attività meccanica, quasi rituale, che a un certo punto diviene la sua seconda natura.

    Huxley, Ritorno al mondo nuovo

    Ringrazio il Professore Gian Mario Bravo per i preziosi consigli sulla metodologia della ricerca, per le osservazioni e le correzioni critiche, nonché i suggerimenti delle opere da analizzare, confrontare e discutere. Ringrazio la Professoressa Maria Teresa Pichetto per il sostegno personale che mi ha dato durante il mio percorso di elaborazione dei testi, per l’interesse e l’incoraggiamento nei confronti dell’argomento. Ringrazio la Professoressa Manuela Ceretta per la sua attenta analisi in sede di visitazione bibliografica e note.

    Un filosofo del '700 disse che non bisogna rispettare altro che la saggezza. A tutti e tre i professori va la mia più sincera stima e il mio più affettuoso rispetto.

    Al mio Amore,

    il dolce amore che in prigione è giudicato un  crimine

    INDICE

    Introduzione

    1- Nietzsche e il totalitarismo

    1.1 L’antipolitico e la politica totalitaria                                                                                                             

    1.2 L’uomo superfluo e il valore dell’uomo                                             

    1.3 L’uomo e lo Stato                                                                               

    1.4 Nietzsche e Foucault. Critica antipolitica alla lotta per il potere         

    1.5 Nietzsche, Orwell, Mann. Considerazioni antipolitiche                     

    1.6 Nietzsche e la metapolitica                                                                 

    1.7 Critica alla metapolitica                                                                     

    1.8 Il mito ariano e il soggettivismo                                                         

    1.9 Ragione, dominio totale e violenza.                                                   

    L’antimetafisico nietzscheano                                                                   

    1.10 Considerazioni sull’antisemitismo                                                       

    2- Nietzsche nel dibattito filosofico-politico

    sul totalitarismo

    2.1  La Grande Politica                                                                                                                       

    2.2  Il politico «reazionario»                                                                             

    2.3  Il pensiero antipolitico dell’oltreuomo.                                                 

          Le riflessioni di G. Vattimo.

    2.4  Nietzsche e la Scuola di Francoforte                                                   

    2.5 L’ineguaglianza nietzscheana                                                                 

    Conclusioni                                                                                                       

    Bibliografia                                                                                                 

    Introduzione

    Primo Levi, in una pagina dell’opera I sommersi e i salvati, scrive: «La razionalità cessa, e i discepoli hanno ampiamente superato (e tradito!) il maestro, proprio nella pratica della crudeltà inutile. Il verbo di Nietzsche mi ripugna profondamente; stento a trovarvi un’affermazione che non coincida con il contrario di quanto mi piace pensare; m’infastidisce il suo tono oracolare: ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza altrui; […] mai la gioia per il danno del prossimo, né tanto meno la gioia del far deliberatamente soffrire. […] Ben diversi erano il verbo e la prassi hitleriana¹».

    La grande guerra segna radicalmente la coscienza delle uomini. L’odore costante della morte nelle trincee, la mutilazione dei compagni d’armi sul campo di battaglia, gli unici rimasti dopo il distacco dal mondo borghese, l’abitudine a ricevere ordini e la convinzione che la sopravvivenza dipenda dalla disciplina, trasformano le folle studiate da Lebon in masse organizzate e disciplinate dall’esperienza bellica. Il sentimento della precarietà del tutto, dell’intercambiabilità degli uomini e della potenza uguagliatrice della morte suscitano il bisogno di colmare il vuoto prodotto. Sotto l’incalzante crisi economica e sociale, a guerra terminata, una simile forma mentis viene trasposta dalla sfera militare alla vita civile. Nazioni sconfitte come la Germania o convinte di aver ottenuto una vittoria mutilata come l’Italia sono pronte a sacrificare altre migliaia di vite umane. L’individualità svanisce nella massa politicamente gerarchizzata e subordinata alle direttive di un capo. Se nei regimi liberali e democratici si mantiene la separazione tra individuo pubblico e individuo privato, «nei regimi totalitari si creano luoghi deputati a favorire la trasformazione programmata dell’anima individuale nell’anima cellulare di folle deresponsabilizzate o, meglio, fortemente responsabilizzate verso un solo uomo e un solo Partito. Si preparano adunate oceaniche davanti a Palazzo Venezia, sfilate notturne e diurne a Norimberga o a Berlino, parate nella Piazza Rossa²».

    L’anonimo sostituisce l’individuo ormai reso intercambiabile, funzionale alla macchina e alla «mobilitazione totale³». Il suo volto, ricoperto, secondo Junger, da una maschera metallica, si confonde in colonne marcianti di uomini che identificano la libertà con l’obbedienza totale. Si avvia un programma di produzione di un nuovo tipo umano destinato a trascendere la realtà dei regimi totalitari: dall’affermarsi della fabbrica taylorista-fordista del primo dopoguerra alla cosiddetta «società opulenta».

    Compaiono sulla scena politica uomini che pretendono d’incarnare la Razza, lo Stato, la Storia e che, per legittimare il loro potere, si richiamano alle più complesse e affascinanti teorie filosofiche. Nietzsche è uno degli autori più letto e più travisato dai teorici fascisti e nazionalsocialisti. L’esaltazione del superuomo in Mussolini e il richiamo alla volontà di potenza in Hitler rappresentano utili strumenti per forgiare il corpo e l’anima delle masse, il materiale umano per la creazione dell’«uomo nuovo» e per la conquista del potere mondiale, in nome del potere. Il mezzo diventa il fine e la ragione svanisce di fronte alla follia politica dei regimi totalitari. Ecco il «male radicale» come il prodotto di una politica estrema fondata sul mito vuoto della violenza.

    Il mio saggio, che non ha la pretesa di essere esaustivo, si propone anche di mettere in luce la disdicevole deformazione propagandistica del pensiero nietzscheano da parte degli ideologi della realtà totalitaria del XX secolo. Con l’analisi delle opere dell’autore tedesco, tradotte e curate nell’edizione critica da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che annoverano in ordine rigorosamente cronologico tutti gli scritti, gli appunti e l’epistolario dell’autore presentando l’edizione come punto di riferimento, il mio lavoro tenta di rileggere il pensiero di Nietzsche per ascoltarne il carattere autenticamente antipolitico nonché la sua più completa estraneità rispetto alla violenza dei regimi totalitari. Attraverso l’esame comparato della speculazione nietzscheana con alcune tra le più importanti letture novecentesche sui totalitarismi in Francia, in Germania e in Italia, intendo sottolineare l’anti-antisemitismo di Nietzsche e il valore che egli attribuisce alla persona umana, le contraffazioni e gli pseudoaforismi da parte della sorella Elisabeth Förster Nietzsche e la creazione leggendaria di una supposta opera capitale dell’autore, cioé Wille zur Match⁴. Considerando che la struttura del pensiero politico è determinata dalla lotta storica per il potere, e i regimi totalitari del XX secolo rappresentano il momento in cui l’interesse per la lotta raggiunge livelli parossistici, il mio lavoro conferma la critica nietzscheana verso ogni «gruppo di potere di carattere istituzionale» e il tentativo da parte dell’Autore di rivoluzionare il concetto medesimo di politica.

    Colli ricorda: «per capire questi filosofi [Nietzsche, Schopenhauer] significa operare nella direzione da essi indicata, in modo che l’«inattualità» della loro vita, il loro «distacco» dagli uomini e dagli interessi storici che li circondavano non si riproducano in altri filosofi solitari, simili a loro, ma siano il principio di un rivolgimento, che faccia risorgere la cultura come vita vivente, essenza di una società, sia pure ristretta, di uomini⁵»

    PRIMA PARTE

    NIETZSCHE E IL TOTALITARISMO

    1.1

    L’antipolitico e la politica totalitaria

    Nulla fu più caratteristico in Germania del tentativo di politicizzare il pensiero di Nietzsche in genere e, in un secondo tempo, di annoveralo tra i partigiani della cultura nazista in specie.

    Il termine politica deriva dal termine greco polis che significa comunità cittadina o città-Stato. Dalle antiche città-Stato è scaturito il primo pensiero politico. Esso si è poi sviluppato in relazione a un determinato contesto storico pratico, creando istituzioni sempre nuove e tradizioni giuridico sociali diverse. Esso si è formato sulla logica che abita la storia da quando le società sono divise in uomini che danno ordini e uomini che li eseguono: la logica del potere. Dalla costituzione delle prime città-Stato fino alla nostra epoca il pensiero politico si è tradotto in una lotta per il potere: la lotta tra le razze per il dominio del mondo e la lotta fra classi per il potere dei vari paesi nei regimi totalitari del XX secolo.

    Il carattere autenticamente antipolitico del pensiero nietzscheano deriva dal tentativo dell’autore di mutare il concetto stesso di politica: dalla lotta per il potere alla lotta per la cultura, dalla costituzione di uno Stato fondato sulla supremazia burocratico-militare e dal desiderio dell’uomo di dominare a una situazione dominata dall’istinto del popolo di essere libero. Se Apollo rappresenta il dio dello Stato e della politica, Dioniso rivela la menzogna insita in ogni struttura stabile e istituzionale. Se lo Stato apollineo è una macchina di potere che perpetua la sopraffazione dei popoli, il dominio dell’individuo sull’individuo, allora l’eversione dionisiaca nega una realtà storica e concreta, politica, e acquisisce un contenuto antipolitico: l’uguaglianza, la solidarietà, il popolo, la rivoluzione.

    Abbasso quell’arte che di per se stessa non spinge alla rivoluzione della società, al rinnovamento e all’unione del popolo⁶.

    La rivoluzione operata dai regimi totalitari presenta un carattere prettamente politico, sia dal punto di vista istituzionale sia da un punto di vista sociale. Nel 1942, nella temperie culturalmente caotica del totalitarismo nazista, S. Neumman⁷ indica, nell’opera Permanet Revolution, il carattere distintivo (rispetto alle autocrazie del passato) dei movimenti totalitari nel tentativo di istituzionalizzare la rivoluzione, penetrando la vita sociale e coinvolgendo costantemente e politicamente gli individui atomizzati in manifestazioni pubbliche di attivo sostegno al regime. Nel 1951 Hannah Arendt, con la sua opera⁸ della scuola essenzialista, descrive il fondamento (o l’essenza) del totalitarismo come un progetto metapolitico volto alla trasformazione della natura umana. Un progetto che necessita di un clima costante di tensione rivoluzionaria, messo in atto dalla polizia segreta e da un movimento unico di massa (che l’autrice non chiama partito per dare l’idea del dinamismo perpetuo), le cui élite s’impegnano senza riserve a promuovere la più ampia accettazione dell’ideologia ufficiale, e le cui organizzazioni istituzionali operano la politicizzazione di tutti i gruppi e associazioni, nonché la sincronizzazione delle aree più remote della politica con le attività di tempo libero e con lo sport.

    Le condizioni sociali che si sono realizzate nel mondo contemporaneo e che, a loro volta, hanno reso possibile il regime totalitario, sono la formazione della società industriale di massa, la persistenza di un’arena mondiale divisa e lo sviluppo della tecnologia moderna. Come afferma Mario Stoppino⁹, l’industrializzazione tende alla dissoluzione dei legami, sia istituzionali sia informali, producendo l’atomizzazione degli individui, e per questa via rende possibile un incremento della penetrazione politica. L’urbanizzazione, l’alfabetizzazione e la secolarizzazione culturale, rese possibili dallo sviluppo industriale, provocano un deciso aumento della mobilitazione politica attraverso l’ingresso delle masse nella politica. La tecnologia moderna applicata agli strumenti di violenza, ai mezzi di comunicazione di massa, ai mezzi di trasporto, favorisce un accrescimento esplosivo della penetrazione-mobilitazione politica. Tale aumento è sostenuto altresì dalla formazione di un’arena mondiale divisa, insicura e minacciosa, che trasforma le nazioni in macchina da guerra coinvolgendo nella preparazione bellica risorse ed attività e gruppi sempre più grandi della nazione.

    Nietzsche percepisce il carattere alienante delle condizioni sociali create dall’industrializzazione nel 1874:

    Le acque della religione defluiscono e si lasciano dietro stagni e paludi; le nazioni si dividono di nuovo nel modo più ostile e aspirano a macellarsi. Le scienze, coltivate senza nessuna misura e nel più cieco laisser faire, frantumano e dissolvono quanto era fermamente creduto; e i ceti civili e gli Stati civili sono travolti da un’economia del denaro gigantesca e spregevole. Mai il mondo è stato più mondo, mai è stato più povero di amore e di bontà. I ceti colti non sono più fari o asili in mezzo a tutta questa inquietudine di secolarizzazione; essi stessi diventano ogni giorno più inquieti, più privi di idee e di amore. […] L’uomo colto è degenerato nel più grande nemico della cultura¹⁰.

    Lungi dall’essere legata a un programma politico o a un’ideologia di partito, lungi dall’essere l’espressione di un semplice odio tra razze, come ha reclamato la pretesa nazista, la rivoluzione nietzscheana presenta un carattere squisitamente antipolitico, culturale, disalienante.

    Antipolitico, perché si propone di costituire un contro-movimento di uomini liberi, fondato non su un’opposizione politica ma su un’opposizione alla politica, in quanto luogo privilegiato dei demagoghi, dei propagatori d’idee commerciali e correnti, nel senso in cui si chiama corrente una moneta.

    Culturale, perché la cultura è «liberazione», l’essenza di una società. Come Nietzsche indica, l’industrializzazione non è altro che cultura applicata al lavoro, alla produzione. L’industrializzazione rappresenta la struttura della moderna società borghese, una tipologia di società apollinea. In quanto apollinea la società borghese è sempre fondata sulla forza e sul dominio, ma cambia la legittimazione. Il potere apollineo è legittimato dalla forza del vincente che s’impone ai più deboli. Il potere borghese è legittimato dalla proprietà e dal sapere. La proprietà deriva dal lavoro e il lavoro che produce più ricchezza è quello di chi sa applicare il suo sapere, la sua cultura, alle risorse disponibili. Sicché sapere di più significa possedere di più, avere diritto al potere. Lo schiavo è sempre schiavo, ma cambia la radice della sua schiavitù. Questa non è dovuta a una fatalità o alla sconfitta di un nemico più forte. La schiavitù è ora una colpa: quella di non essere abbastanza sapiente. Ma chi nasce ricco non ha bisogno di dimostrare la propria sapienza, chi nasce povero non ne ha il diritto. Per la prima volta lo schiavo può sentire la sua condizione come ingiusta, illegittima, come una menzogna borghese.

    Disalienante, perché la rivoluzione antipolitica non si prefigge di conquistare il potere statale per dominare, ma è rivolta in primis all’educazione e alla formazione dell’uomo. Nietzsche scrive:

    I tuoi educatori non possono essere nient’altro che i tuoi liberatori. È questo il segreto di ogni formazione, essa non procura membra artificiali, nasi di cera, occhi occhialuti: piuttosto ciò che potrebbe dare questi doni è soltanto l’immagine degenerata dell’educazione. Essa invece è liberazione, rimozione di tutte le erbacce, delle macerie, dei vermi che vogliono intaccare i germi delicati delle piante, irradiazione di luce e calore, benigno rovesciarsi di pioggia notturna, essa è imitazione e adorazione della natura là dove questa ha intenzioni materne e pietose, essa è compimento della natura quando ne previene gli attacchi crudeli e spietati e li volge al bene, quando getta un velo sulle manifestazioni dei suoi propositi di matrigna e della sua triste follia¹¹.

    L’uomo libero, sia questi un filosofo o un individuo «ingranaggio¹²», costituisce la coscienza aristocratica di un contromovimento che si oppone all’esito disfattista e nichilista della società industriale borghese, all’alienazione dell’uomo e alla logica dominante dell’economia. L’aristocrazia nietzscheana non è intesa come una differenziazione biologica o sociale, ma è puramente spirituale, culturale. L’uomo aristocratico per Nietzsche è incarnato in colui che ha la coscienza di poter criticare le «idee moderne»: il nichilismo, il cristianesimo, il nazionalismo, il socialismo, l’anarchismo, il positivismo, l’antisemitismo, ecc., maschere politiche che nascondono la lotta per il potere. La coscienza aristocratica appartiene all’uomo che non risparmia finanche se stesso dalla critica, che supera qualsiasi pregiudizio, qualsivoglia determinazione, inclusa quella che vorrebbe fissarlo nella formula di soggetto. Cosicché, se è impossibile concepire l’oltreuomo o il superuomo come soggetto, è altresì inammissibile intenderlo come uomo forte, despota o razza superiore.

    Nietzsche scrive:

    Non avere rapporti con nessuno che prenda parte alla bugiarda impostura delle razze¹³.

    E ancora:

    Noi senza patria siamo per razza e provenienza troppo multiformi e ibridi, […], e di conseguenza scarsamente tentati a prender parte a quella mendace autoammirazione e libidine razziale che si mette oggi in mostra in Germania, quale indice di sentimenti tedeschi¹⁴.

    Il carattere disalinenante della rivoluzione antipolitica è offerta da Nietzsche in termini di «emigrazione». L’uomo risvegliato, liberato dallo sfruttamento politico congiunto a quello economico e sociale nella moderna società industriale, dovrebbe emigrare «in selvagge e fresche contrade» per esprimere la sua protesta morale contro la macchina della produzione capitalista, la diffusione dei bisogni, l’alienazione degli individui e la tirannia di un’«industria culturale» preda «dell’egoismo degli affaristi» e «dell’egoismo dello Stato».

    Scrive:

    Non siete voi i cospiratori, nell’attuale pagliacciata delle nazioni che vogliono soprattutto produrre il più possibile, ed essere il più possibile ricche? […] Quali grandi somme di valore interiore vengono dissipate per un tale obiettivo esteriore! Ma dov’è il vostro intimo valore se non sapete più cosa significa respirare liberamente? Se non avete neppure un poco, voi stessi, in vostro potere?¹⁵.

    Un potere politico che raggiunge il vertice della sua affermazione fra le due guerre mondiali con la sacralizzazione della politica. Come scrive Emilio Gentile in Le religioni della politica, le Weltanschauungen del XIX secolo hanno fatto somigliare i regimi totalitari a «nuove Chiese dedicate alla propaganda della fede nella verità assoluta e indiscutibile delle loro ideologie, alla persecuzione degli infedeli e al culto di entità umane sacralizzate¹⁶». Il totalitarismo è concepito dall’Autore italiano come un «esperimento di dominio politico» che ambisce al monopolio del potere statale, per conquistare la società sulla base del principio «della politicità integrale dell’esistenza», per omologare i governati secondo i miti e le credenze di un’ideologia istituzionalizzata nella forma di una religione politica, ed attuare una rivoluzione antropologica dove l’uomo nuovo sia dedito anima e corpo alla politica interna ed esterna di un partito militarmente organizzato. Dove all’esigenza politica interna di soggiogare e liquidare sempre nuovi gruppi umani corrisponde l’esigenza politica estera di conquistare sempre nuovi territori.

    Hitler aveva progettato una «soluzione finale» per la razza semitica, uno «spazio vitale» da conquistare per la razza ariana: «Lo Stato germanico di nazione tedesca s’impone con una politica economica che, esteriormente populista, è strettamente collegata nella realtà a quella dei grandi gruppi economici e finanziari e soprattutto tramite la politica razziale, che consente alla razza tedesca, ariana, di esercitare il suo dominio naturale¹⁷». Nel 1928 Stalin, per realizzare una modernizzazione dell’economia sovietica in tempi brevi, inasprì la lotta di classe contro i kulaki che provocò, fino alla fine del ’32, più di sette milioni di morti, decretò l’inizio del grande terrore a metà degli anni Trenta e istituì i Gulag, con il relativo organismo che si occupava dell’amministrazione centrale di campi di lavoro coatto. Ma Stalin «è anche colui che, più degli altri esponenti del socialismo reale, prima e dopo il 1945, si allontana di fatto maggiormente dall’insegnamento di Marx. Così avviene in tema di estinzione dello Stato, poi per ciò che riguarda la rivoluzione, l’autoemancipazione dei lavoratori, infine l’umanesimo¹⁸». E se lo Stato per Mussolini è inteso hegelianamente «come sostanza etica consapevole di sé», lo Stato fascista esprime una politica imperialista per l’espansione sul Mar Mediterraneo e sul continente africano, adotta seppur in modo tardivo (1938) le leggi razziali di stampo nazista per la salvaguardia del «sangue latino», trascende le vite individuali e rappresenta la coscienza immanente della nazione. Scrive Mussolini: «Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono pensabili in quanto sono nello Stato¹⁹».

    L’appello di Nietzsche per l’emigrazione dei filosofi e degli operai che anelano a muoversi contro le politiche moderne del nazionalismo e dell’antisemitismo fuoriesce dall’astrazione intellettuale per divenire prassi fin dal 1870. La guerra franco-prussiana aveva favorito il militarismo e l’atteggiamento sciovinista dei tedeschi nei confronti dell’Europa. Bismarck aveva dirottato in quel periodo le risorse culturali della Germania per la fondazione di uno Stato militare, unitario e imperiale: il Reich. E la vittoria sulla Francia aveva portato la Germania a una supremazia militare ma innanzitutto a una posizione di subalternità culturale. L’emigrazione, col conseguente rifiuto del lavoro, della produzione, dell’appiattimento degli uomini ridotti a ingranaggi e ad accessori più o meno superflui, avrebbe dovuto portare all’estinzione dello Stato industriale, democratico, borghese. La sua lotta per la cultura era appena all’inizio.

    Nietzsche scrive nel 1884:

    Una vita libera è ancora possibile e aperta ai magnanimi. In verità colui che poco possiede è tanto meno posseduto: sia lodata la piccola povertà. Solo dove finisce lo Stato comincia l’uomo che non è superfluo²⁰.

    1.2

    L’uomo superfluo e il valore dell’uomo

    Hannah Arendt scrive: «Un’unica cosa sembra certa: possiamo dire che il male radicale è comparso nel contesto di un sistema in cui tutti gli uomini sono diventati egualmente superflui. I governanti totalitari sono convinti della propria superfluità non meno di quella altrui, e i carnefici sono così pericolosi perché gli è indifferente vivere o morire, essere nati o non aver mai visto la luce²¹». Secondo l’autrice i regimi totalitari sono forme di dominio essenzialmente diverse dalle forme di autocrazia conosciute del passato, poiché esse non tendono a un governo dispotico sugli uomini ma mirano «al dominio permanente di ogni singolo individuo in qualsiasi aspetto della sua vita²²». I regimi totalitari non aboliscono o riducono determinate libertà, come facevano i vecchi dispotismi, ma distruggono il presupposto di ogni libertà: la capacità di movimento e l’attività del pensiero dell’uomo. Il suddito ideale non è identificato dal nazista o dallo stalinista convinto ma dall’individuo isolato dalla vita pubblica ed estraniato fin dentro il proprio io. Il fine dei regimi totalitari consiste nella trasformazione della natura umana in un «fascio di reazioni animali e un adempimento di funzioni» attraverso un sistema che li renda superflui. Siffatto sistema è realizzato attraverso una combinazione specificatamente totalitaria di ideologia e di terrore. E se il terrore totale raggiunge il proprio culmine nel momento in cui investe l’intera popolazione, i Lager (o i Gulag) rappresentano il «banco di prova» dell’ideologia totalitaria. Attraverso l’annientamento della personalità giuridica, morale e dell’individualità della persona umana l’universo concentrazionario diventa l’epifania dei regimi totalitari.

    Nietzsche scrive:

    Ogni uomo è un miracolo irripetibile. […] Egli è bello è degno di considerazione, nuovo e incredibile come ogni opera della natura, e niente affatto noioso²³.

    Nietzsche sostiene altresì che l’uomo è qualcosa che deve essere superato, benché con questa affermazione egli non intende di certo disprezzare l’uomo in sé per allevare una nuova razza umana, più forte e dai capelli più chiari. Il disprezzo di Nietzsche è rivolto in questo senso contro l’uomo filisteo, colui che si ritira nella sfera privata e pensa esclusivamente alla sicurezza e alla carriera, il «borghesuccio» che è pronto a sacrificare la fede, l’onore e la dignità per salvaguardare la sua sicurezza personale. È l’uomo schiavo dei suoi bisogni, alienato dalla macchina come

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