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L'uomo che sfidò i nazisti
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E-book330 pagine4 ore

L'uomo che sfidò i nazisti

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Info su questo ebook

Da questo libro la docufiction in onda su Netflix

La vera storia della coppia che ha salvato centinaia di ebrei dalla persecuzione nazista

Nel 1939 Waitstill Sharp, giovane ministro della Chiesa unitariana, e sua moglie Martha accettano di partecipare a una delicata missione in Europa. Lasciano così i propri figli a Wellesley, in Massachusetts, e vanno a Praga per tentare di aiutare i tanti rifugiati perseguitati dal regime di Hitler. Con un budget iniziale di 40.000 dollari, Waitstill e Martha imparano presto a operare in segreto e ad affrontare situazioni ad alto rischio. Sfuggiti per miracolo alla Gestapo, i coniugi Sharp non si arrendono ma sono costretti ad abbandonare la Cecoslovacchia e a ripiegare l’anno dopo nella Francia occupata dai nazisti, dove continuano il loro lavoro paziente e coraggioso. Una storia di resistenza che descrive come una semplice coppia, ispirata dai principi della propria fede e dal sentimento di giustizia sociale, riuscì a salvare centinaia di ebrei e dissidenti politici dall’orrore nazista. 

Un’incredibile testimonianza di coraggio e sopravvivenza nell’inferno nazista

«Un libro che narra e celebra giustamente una coppia di persone che ha rischiato la vita per gli altri.»
Kirkus Reviews

«I veri eroi non nascono dalle pagine dei romanzi ma dall’inferno della vita quotidiana.»
William F. Schulz, direttore di Amnesty International
Artemis Joukowski
È scrittore e regista. Nipote di Waitstill e Martha Sharp, ha speso anni a cercare testimonianze e documenti sulle imprese dei nonni in Europa durante la seconda guerra mondiale. Con il regista Ken Burns ha realizzato il film documentario Defying the Nazis, tratto da questo libro, che ha tra le voci narranti Tom Hanks ed è distribuito in Italia e in tutto il mondo da Netflix.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mag 2017
ISBN9788822706898
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    L'uomo che sfidò i nazisti - Artemis Joukowsky

    Capitolo uno

    La diciottesima scelta

    Una gelida domenica sera dell’inverno 1939 il reverendo Waitstill Sharp si era appena messo a sedere davanti al caminetto, quando il telefono della canonica si mise a suonare.

    Sharp fissò per un istante l’apparecchio.

    La sua estenuante domenica era iniziata con il solito sermone – energico, ponderato, mirabilmente articolato e a tratti poetico – all’Unitarian Society di Wellesley Hills, Massachusetts, a ovest di Boston. Poi aveva celebrato una cresima ed era arrancato nella neve per fare visita a vecchi parrocchiani costretti in casa. Al calare della sera Sharp era sfinito e restio a staccarsi dal calore e dal comfort del caminetto.

    «Pronto?», rispose alla fine Waitstill a quella che avrebbe definito in seguito «la telefonata più memorabile che abbia mai ricevuto».

    «Pronto, Waitstill!», tuonò una voce che il reverendo Sharp riconobbe all’istante. Era Everett Baker, vicepresidente dell’American Unitarian Association (AUA) e membro della sua congregazione.

    Il reverendo Baker arrivò subito al dunque.

    «Hai avuto una giornata troppo stancante per venirmi a trovare insieme a Martha?».

    La convocazione – Baker non aggiunse altro – era singolare. Dopo il presidente dell’AUA Frederick May Eliot, Baker era la seconda carica più importante della chiesa unitariana. Waitstill Sharp era un astro nascente nella gerarchia, ma a trentasette anni era relativamente nuovo nella congregazione, quello era soltanto il suo secondo anno pastorale. Perché una domenica sera?, si chiese. Com’è possibile che ci abbiano invitati così, all’ultimo momento?.

    Martha Sharp, trentatré anni, moglie di Waitstill da dieci, era anche lei sorpresa e perplessa. Chiamò una ragazza del quartiere per fare da babysitter ai loro due figli – Hastings di sette anni e Martha Content di due – e poi uscì con il marito nella gelida notte, chiedendosi come lui il motivo di quella strana convocazione.

    Ev Baker non li avrebbe delusi.

    Fece accomodare in salotto Martha e Waitstill e annunciò loro che erano stati scelti dalle «più alte autorità della chiesa» – ovvero il presidente Eliot e il consiglio dell’AUA – per svolgere un servizio unico e storico. Waitstill e Martha dovevano recarsi al più presto in Europa per una missione umanitaria nella Cecoslovacchia minacciata dai nazisti. Nei centoquattordici anni di storia dell’AUA gli unitariani americani non si erano mai spinti fino a questo punto. Baker spiegò loro che erano stati scelti per «il primo intervento contro il male intrapreso dalla congregazione».

    Waitstill era abbastanza scaltro da capire che Baker stava cercando di ingraziarselo, ma poiché era un ardente internazionalista, sia per fede sia per inclinazione personale, l’idea di una missione di soccorso in Cecoslovacchia non mancò di entusiasmarlo. Gli ostacoli, però, sembravano insuperabili.

    Prima di tutto c’erano i due figli e la congregazione, e poi gli Sharp non sapevano nulla sulle operazioni di soccorso all’estero (specialmente in una potenziale zona di guerra). Ma Sharp nutriva una profonda ostilità personale nei confronti dei nazisti, e quell’improvvisa opportunità di agire direttamente anziché predicare contro di loro dal pulpito era una forte tentazione.

    Lui e Martha ascoltarono attentamente Baker, che spiegò loro come l’idea della missione era nata l’autunno precedente. I leader unitariani erano rimasti scioccati e indignati dal patto di Monaco, sancito nel settembre 1938, con cui gli inglesi e i francesi cedevano formalmente la regione cecoslovacca dei Sudeti ai nazisti.

    Il patto di Monaco era un’altra mossa sconsiderata del primo ministro britannico Neville Chamberlain, che preferiva placare Hitler anziché opporsi al suo espansionismo. Chamberlain (che era casualmente unitariano) era convinto che la riconciliazione avrebbe assicurato «la pace nella nostra epoca». Gli eventi successivi dimostreranno il suo tragico errore.

    Il tradimento di Monaco fu un duro colpo per i leader internazionalisti dell’AUA e per i sessantamila unitariani americani.

    Gli enormi costi economici e umani della prima guerra mondiale avevano alimentato un forte sentimento isolazionista, guidato da personaggi del calibro di Charles Lindbergh, capo dell’America First Committee. Inoltre, gli americani erano troppo preoccupati dal protrarsi dei rigori della Grande depressione per prestare attenzione ai remoti eventi d’oltreatlantico.

    Poche voci si levarono in America negli anni Trenta mentre Hitler consolidava il proprio potere assoluto in Germania, avviava la campagna di persecuzione contro gli ebrei e iniziava a diffondere metodicamente il virus nazista nei Paesi vicini.

    Nel 1935, negli Stati Uniti pochi sembrarono notare che con le leggi di Norimberga Hitler aveva privato gli ebrei dei loro diritti e della loro nazionalità. L’anno seguente l’annessione della Renania demilitarizzata non suscitò particolare scalpore. E lo stesso avvenne con l’Anschluss del marzo 1938, quando l’Austria fu inglobata nel Terzo Reich.

    Questi eventi, tuttavia, non passarono inosservati agli unitariani americani, che per tutti gli anni Trenta espressero la propria indignazione sulle pagine del loro mensile, il «Christian Register». Gli unitariani condannarono il fascismo in Spagna, Italia e Germania, e le invettive antisemite del predicatore radiofonico Charles E. Coughlin, le cui trasmissioni erano seguite da dieci milioni di americani.

    Nel numero del 1° dicembre 1938 il «Christian Register» pubblicò un saggio del reverendo Henry Wilder Foote intitolato The Deadly Infection of Anti-Semitism. Foote predisse che i nazisti avrebbero esiliato tutti gli ebrei che potevano permettersi di emigrare e sterminato gli altri. «I secoli che verranno», scrisse, «ricorderanno questa campagna antisemita come una delle pagine più oscure della storia»¹.

    L’unitarianismo ha espresso nel corso dei secoli una voce di dissenso all’interno del cristianesimo, costando l’esilio e in alcuni casi anche la condanna a morte per eresia a molti dei suoi membri.

    La fede unitariana fu fondata nel XVI secolo, durante la Riforma, da alcuni teologi che dissentivano dal dogma trinitario pur riconoscendo l’insegnamento morale di Gesù. A differenza della maggior parte dei dissidenti dell’epoca, gli unitariani sostenevano la libertà religiosa per tutti i non conformisti, non soltanto per se stessi.

    La chiesa moderna promuove un’attiva democrazia partecipatoria a tutti i livelli dell’organizzazione politica, oltre che un’uguaglianza più ampia possibile. Gli unitariani hanno preso parte a quasi tutti i movimenti di riforma americani, inclusa l’abolizione della pena di morte, il suffragio universale, le lotte per i diritti civili e dei gay e quelle contro la guerra.

    Gli unitariani sono concordi anche su un altro punto: considerano gli uomini, non Dio, i responsabili della maggior parte dei mali della terra, e sono quindi convinti che spetti a loro ripararli.

    «La terra sarà giusta», disse il reverendo Howard Brooks, un collega di Waitstill, «soltanto se noi la renderemo tale».

    Il patto di Monaco indignava in modo particolare gli unitariani americani per tre ragioni principali. La prima era che molti membri dell’AUA ammiravano profondamente il governo cecoslovacco. La moderna Cecoslovacchia era stata fondata nel 1918 sui modelli democratici della Francia e degli Stati Uniti e fino al 1935 era stata guidata dal suo fondatore, il presidente Tomáš Masaryk, un ex pastore battista, la cui moglie americana, Charlotte Garrigue, era un’unitariana di Brooklyn.

    La seconda ragione era che Praga era la sede di Unitaria, una chiesa unitariana con 3500 membri fondata da Norbert F. Čapek, un ex pastore battista che si era convertito all’unitarianismo negli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale.

    Unitaria, portata a termine nel 1932, era ospitata in due edifici che Čapek aveva acquistato con un considerevole aiuto finanziario dell’AUA. Le due strutture – una antica e una relativamente nuova – erano state trasformate in una sorta di centro spirituale e comunitario unitariano. Oltre a una cappella e sale di riunione, il complesso includeva gli alloggi dei pastori in formazione e un ristorante biologico nel seminterrato. Ma Unitaria non aveva più fondi, e senza un aiuto finanziario nel maggio 1939 rischiava la liquidazione.

    Una delle figlie di Čapek, Bohdana, e suo marito Karel Haspl, che facevano parte della congregazione di Unitaria, si erano laureati alla Pacific Unitarian School of Religion di Berkeley, in California, ed erano ben noti nei circoli unitariani americani. Le visite dei correligionari statunitensi a Praga avevano rafforzato i legami di amicizia. Waitstill ricordò in seguito l’ansia che il patto di Monaco aveva destato tra gli unitariani d’oltreatlantico. Quelli sono nostri amici!, pensò. Che cosa dobbiamo fare?.

    La terza ragione per cui gli unitariani americani guardavano con preoccupazione il patto di Monaco era che molti fedeli della liberale chiesa nazionale cecoslovacca, con la quale mantenevano stretti legami, risiedevano nella regione a maggioranza tedesca dei Sudeti, che i nazisti bramavano da tempo. Già prima di Monaco i membri della chiesa nazionale cecoslovacca, molti dei quali erano socialdemocratici (sia liberali sia di sinistra), erano stati molestati da un’organizzazione nazista locale, la Sudetendeutsche Partei (SdP), guidata da Konrad Henlein, «dal naso appuntito e le labbra tirate», come lo descrisse il «Time». «Il nazista numero uno dei Sudeti»².

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    Ritratto di Waitstill Sharp, 1936.

    (Per gentile concessione della Andover-Harvard Theological Library)

    Il canadese Robert Cloutman Dexter, direttore del dipartimento relazioni sociali dell’AUA, aveva quindici anni più di Waitstill ed era uno dei suoi amici più stretti nella congregazione. Dexter si trovava a New York quando apprese della capitolazione di Chamberlain a Monaco. In seguito scrisse: «Da quando lo venni a sapere, vissi in una sorta di nebbia».

    Dexter prese il battello della notte per Boston ma non riuscì a dormire. E da quelle angosciose ore d’insonnia nacque una decisione. «Sapevo che nei territori occupati dai nazisti ci sarebbero state indicibili sofferenze», scrisse, «ed ero convinto che bisognava fare qualcosa, che avevamo l’obbligo di aiutare i nostri amici che erano stati traditi»³.

    Nell’arco di un mese il comitato esecutivo dell’AUA decise di inviare Dexter in Europa per valutare la situazione. Il 16 novembre 1938, al ritorno dalla sua missione, Dexter riferì che la situazione in Cecoslovacchia era critica. Con l’approssimarsi dell’inverno, stimava che un quarto di milione di rifugiati dalla Germania, dall’Austria e dalla regione dei Sudeti si fossero già riversati in quello che restava del Paese. Secondo Dexter, 26.000 di questi rifugiati avevano bisogno di assistenza immediata. Ebrei, intellettuali, artisti, leader sindacali, politici e altri ricercati dalla Gestapo, che se non fossero riusciti a uscire in qualche modo dalla Cecoslovacchia avrebbero rischiato l’internamento e la morte.

    I nazisti offrirono un’anticipazione del loro programma la notte del 9 novembre, cinque settimane dopo il patto di Monaco, quando Hitler scatenò un pogrom per terrorizzare gli ebrei tedeschi che diventò noto come la Kristallnacht, la Notte dei cristalli. Brandendo mazze e martelli, squadre di SA in borghese mandarono in frantumi le vetrine dei negozi degli ebrei, saccheggiarono e incendiarono sinagoghe e vandalizzarono cimiteri ebraici in Germania, Austria e nei Sudeti. 267 sinagoghe furono distrutte e 750 negozi di ebrei saccheggiati. Si stima che 91 ebrei furono uccisi e 30.000 maschi ebrei spediti nei campi di concentramento, dove morirono a centinaia. Gli altri furono rilasciati a condizione che avviassero le procedure, spesso inutili, per emigrare dalla Germania e dai Paesi occupati⁴.

    Waitstill e Martha avevano seguito con attenzione l’evolversi della crisi. A Wellesley Hills facevano parte di un club di relazioni internazionali che si riuniva regolarmente per discutere temi di attualità. La relazione presentata dagli Sharp alla riunione di metà novembre si intitolava «Lo stupro della Cecoslovacchia».

    «Più cose apprendevamo sulla Cecoslovacchia», scrisse in seguito Martha in un memoir inedito, «più ammiravamo quella piccola e coraggiosa democrazia. A nostro parere, il suo progressivo benessere sociale e i suoi programmi economici l’avevano trasformata nel Paese leader e finanziariamente più solido dell’Europa centrale».

    Gli Sharp avevano naturalmente molte domande da fare a Everett Baker.

    «Aspetta un attimo, Ev», rispose prontamente Waitstill. «Chi si occuperà delle cresime? Chi prenderà il mio posto alla scuola? E le prediche? Chi farà visita ai malati, celebrerà i funerali e unirà le coppie in matrimonio?»

    «Lo farò io», rispose Baker.

    Questo sembrò soddisfare Waitstill, che gli fece subito un’altra domanda, più spinosa.

    «A quante persone l’hai già offerto?», chiese.

    Baker si agitò sulla sedia.

    La leadership dell’AUA aveva deciso da tempo chi avrebbe inviato in Cecoslovacchia, ma poi era giunta alla conclusione che era meglio mandarci una coppia. Secondo un documento elaborato durante quelle riunioni, erano necessari anche altri requisiti, come la buona salute e la disponibilità a lasciare subito gli Stati Uniti e trasferirsi da quattro a sei mesi in Cecoslovacchia. Il documento sanciva inoltre che i candidati «dovevano fare una buona impressione sulla gente e sul governo del Paese» ed essere «abbastanza conosciuti da far approvare i loro rapporti» dai membri della chiesa negli Stati Uniti. Dovevano anche avere «una certa conoscenza dell’Europa, e preferibilmente della Cecoslovacchia», e «possibilmente nomi anglosassoni e non certo cechi, tedeschi o ungheresi».

    Molti sacerdoti unitariani e le loro mogli soddisfacevano questi requisiti, offrendo alla chiesa un’ampia scelta di potenziali candidati. Sfortunatamente, tutti quelli che Baker aveva interpellato fino a quel momento avevano declinato l’onore.

    «Diciassette», rispose a Sharp.

    Seguì una pausa.

    «Vuoi dire che io sono la diciottesima scelta?», chiese Waitstill.

    «Sì».

    «Perché gli altri non hanno accettato?»

    «Per tre ragioni», rispose Baker. «Non volevano pregiudicare la loro carriera professionale. Non volevano separarsi dai familiari. Pensano che la guerra sia imminente e non vogliono correre pericoli».

    Anche Waitstill aveva le stesse preoccupazioni. E poi c’era Martha. Non poteva andare senza di lei.

    Quarant’anni più tardi Waitstill ricordò che lui e Martha avevano accettato quasi subito l’incarico. «Mentre rientravamo a casa sotto il cielo stellato», disse, «decidemmo che l’avremmo fatto». Per Martha la decisione fu però più complicata. Waitstill era ansioso di partire e dava per scontato che lei l’avrebbe accompagnato. Lui le ricordò tuttavia che i missionari dovevano lasciare a casa i figli. Era una toccante espressione del suo amore, del suo rispetto e del suo bisogno di Martha. Ma la costringeva anche a scegliere tra lui e i figli. E lei sapeva che qualunque scelta avesse fatto sarebbe stata dolorosa.

    Nonostante nutrisse molti seri dubbi, Martha condivise il senso di responsabilità di Waitstill. Come scrisse in seguito: «Mio marito e io sentivamo che bisognava fare qualcosa. Nei Sudeti i tedeschi uccidevano e imprigionavano i rifugiati». La sua maggiore preoccupazione era però per il figlio di sette anni e la figlia di due: «Non mi era mai passato per la mente neppure per un istante che avrei potuto lasciarli». Ma sapendo che Waitstill non sarebbe partito senza di lei, si sentiva «divisa tra il mio amore e i miei doveri per i miei figli e mio marito».

    Martha ne parlò con una vecchia amica, Edna Stebbins, che per lei era una specie di zia. Edna le consigliò di andare. «Se impedirai a Waitstill di assumere questo incarico», le disse, «rimpiangerà per sempre l’occasione perduta. Potrebbe anche accusarti inconsciamente di non averlo aiutato a lottare contro i nazisti. Sarebbe una grande esperienza per tutti e due. Penso che dovresti andarci».

    Poi Edna la convinse definitivamente dicendole che si sarebbe trasferita con il marito Livingston a casa loro per prendersi cura di Hastings e Martha Content durante la loro assenza.

    L’incoraggiamento e l’offerta di aiuto della vecchia amica persuasero Martha ad accettare. In seguito, nei suoi discorsi e nei suoi scritti, espresse spesso la propria ambivalenza nella scelta di lasciare i figli. Chi la conosceva sapeva che il senso di colpa per avere anteposto il servizio alla famiglia l’avrebbe perseguitata fino alla vecchiaia.

    L’AUA prenotò due posti per gli Sharp e uno per la segretaria, Virginia Waistcoat, a bordo dell’Aquitania, che sarebbe salpata da New York per Southampton il 4 febbraio, lasciando loro soltanto due settimane per prepararsi.

    Oltre agli appuntamenti, le riunioni e le commissioni, c’era anche la congregazione a cui pensare. Priscilla (Puss) Sweet, la segretaria part-time di Waitstill e compagna di tennis di Martha, ricordò che la congregazione di Wellesley Hills approvò unanimemente la missione, anche se con qualche timore. «Eravamo preoccupati per la loro sicurezza», disse, «perché ignoravamo che tipo di problemi avrebbero incontrato. E sapevo anche che dispiaceva loro molto lasciare i figli».

    Alcuni espressero dubbi sull’opportunità e l’adeguatezza della missione, in particolare sul ruolo della moglie di Waitstill.

    «Molti pensavano che Martha fosse un’irresponsabile e che doveva rimanere a casa per prendersi cura dei figli», ricordò Marnie Mette, una giovane madre della congregazione. «All’epoca si pensava che il posto di una donna fosse tra le pareti domestiche. Chi decideva di intraprendere una carriera o voleva fare qualcosa per sé, come donna, si esponeva a molte critiche. Non era la cosa giusta da fare».

    Anche Mette criticò la decisione di Martha di lasciare Hastings e Martha Content per andare in Cecoslovacchia, ma non mise in dubbio le buone intenzioni dell’amica. «Penso che Martha fu molto coraggiosa», disse. «È una cosa che apprezzo molto nelle donne».

    Per Martha la parte più difficile fu lasciare i figli. «Ero stata così impegnata con i miei doveri e i preparativi», scrisse, «che soltanto la mattina della partenza mi resi conto dell’impatto che la nostra lunga assenza avrebbe avuto sui bambini. Ne avevamo parlato a lungo con Hastings, cercando di rispondere alle sue domande e di rassicurarlo».

    Aveva affrontato la cosa con molto coraggio, anche se era piuttosto turbato. La notte prima aveva voluto che gli leggessi una lunga storia prima di andare a letto. La visita di zia Edna prima della cena lo aveva tranquillizzato e allarmato al tempo stesso, perché significava che la nostra partenza era vicina. Per avere soltanto sette anni, era molto sobrio e ponderato. Quella mattina, prima di andare a scuola, mi aveva baciata e abbracciata senza versare lacrime.

    Era una mattina fredda e nuvolosa. Martha Content, sdraiata sul divano, guardava dalla finestra della biblioteca Waitstill che caricava i bagagli sull’auto di Ev Baker, che ci avrebbe accompagnati in stazione per prendere il treno diretto a New York. Saltava sul divano canticchiando: «Ciao ciao mamma e papà! Ciao ciao mamma e papà!».

    La strinsi tra le braccia, l’abbracciai e la baciai, spiegandole che saremmo tornati presto. Per fortuna non si rese conto di quello che stava succedendo. Si divincolò dalle mie braccia e ritornò sul divano per guardare cosa faceva Waitstill. All’improvviso mi resi conto che era meglio che non sapesse e mi asciugai le lacrime dagli occhi senza che lei se ne accorgesse. La baciai di nuovo, salutai zia Edna e la nostra adorabile domestica Alberta e mi precipitai verso la macchina, sbracciandomi dal finestrino mentre ci allontanavamo.

    Capitolo due

    Imparando i fondamenti

    La missione degli Sharp in Cecoslovacchia fu il proseguimento di una collaborazione nata nei primi anni del loro matrimonio, quando Martha sostituiva Waitstill a Harvard ogni volta che il suo lavoro per l’American Unitarian Association lo portava fuori città. Da tempo attratto dal sacerdozio, Waitstill si era laureato alla scuola di legge più per compiacere i genitori che per interesse personale. E quando alla fine dovette scegliere una carriera, rifiutò l’offerta di un importante studio legale di Boston per accettare il posto di direttore dell’educazione religiosa dell’AUA.

    Durante il suo primo sacerdozio nella chiesa unitariana di Meadville, in Pennsylvania, e successivamente a Wellesley, Martha fu il suo «braccio destro». Teneva corsi di religione, dirigeva lo spettacolo di Natale, organizzava tè, accoglieva i visitatori della chiesa, criticava i suoi sermoni e, cosa forse ancora più importante, coltivava gli aspetti sociali che Waitstill, per sua stessa ammissione, tendeva a trascurare. Ed era molto più abile di lui nel mediare le dispute, chinandosi per parlare con un bambino, intrattenendo dopo la messa qualche parrocchiano troppo loquace. Si aiutavano a vicenda, erano indispensabili l’uno all’altra. E nel corso dei sei mesi successivi il loro legame si sarebbe rafforzato sempre di più.

    Le ultime parole di Waitstill dal pulpito prima della partenza per la Cecoslovacchia furono una vibrante denuncia di Hitler e dei nazisti. Edna Stebbins aveva ragione: l’ostilità di Waitstill per il fascismo aveva radici profonde e questa opportunità di affrontare il male per lui era vitale. Per Waitstill era una missione trascendentale. In una lettera alla congregazione datata 13 giugno 1939, così espresse il senso della missione: «Il ricordo dell’ultima notte, mentre uscivamo dal porto, è ancora molto vivo nelle nostre menti, una grande statua illuminata – un monumento a un ideale – si stagliava nella notte. Viviamo e lavoriamo con questo ricordo».

    Quando Martha e Waitstill furono pronti per partire, gli unitariani avevano raccolto più di 12.000 dollari in donazioni (equivalenti a circa 200.000 dollari odierni), un segno del significativo sostegno dato dai correligionari alla missione. C’era anche una seconda commissione, dell’American Committee for Relief in Czechoslovakia (AmRelCzech), guidata da Nicholas Murray Butler, all’epoca presidente della Columbia University. Butler era stato un grande amico di Tomáš Masaryk. AmRelCzech finanziò inizialmente la missione con 29.000 dollari che dovevano essere usati soltanto per progetti di reinsediamento su vasta scala a beneficio dei rifugiati dei Sudeti.

    La maggior parte di questi fondi erano stati trasferiti su banche di Praga. Waitstill avrebbe portato tremila dollari infilati in una cintura. Martha aveva all’incirca la stessa somma in una tasca della giarrettiera. Avevano anche una lettera di presentazione firmata dal segretario di Stato americano Cordell Hull per intercessione del deputato Robert Luce, membro della delegazione congressuale del Massachusetts. Seth Gano, un facoltoso finanziatore unitariano che aveva aiutato a organizzare la commissione, insistette affinché portassero con sé tre registri su cui tenere la contabilità (sarebbero rientrati a Boston intonsi, ma i revisori affermarono che i conti della coppia, anche se ricostruiti soprattutto a memoria, erano accurati fino all’ultimo centesimo)¹.

    Il pomeriggio prima della partenza le chiese unitariane dell’area di New York organizzarono una festa d’addio per gli Sharp. Fu un’opportunità per incontrare l’ambasciatore ceco in Gran Bretagna, Jan Masaryk, figlio di Tomáš Masaryk. Jan fece una profonda impressione su Martha, che lo ricordò come «una persona straordinaria, un filosofo, politico, amante della democrazia e un colto diplomatico con un irresistibile senso dell’umorismo. Se i cecoslovacchi avevano scelto lui come proprio rappresentante, dovevano essere un popolo meraviglioso». L’amicizia degli Sharp con Masaryk sarebbe durata fino al 1948, quando, diventato ministro degli Esteri della Cecoslovacchia postbellica, morì in circostanze oscure precipitando da una finestra.

    Il praghese convertito all’unitarianesimo Karl Deutsch, che nella seconda metà del XX secolo si sarebbe affermato come uno dei più importanti politologi americani, soprattutto con i suoi libri sulla guerra e la pace, contattò Waitstill poco prima della partenza. Deutsch, che all’epoca aveva ventisei anni, era stato un attivo antifascista in Cecoslovacchia. Nel settembre 1938, quando fu firmato il patto di Monaco, si trovava negli Stati Uniti insieme alla moglie, Ruth Slonitz, e i genitori di lui, Martin Morris e Maria Deutsch, li avevano caldamente esortati a non rientrare in patria.

    Deutsch, che ora era candidato a un dottorato di ricerca a Harvard, era preoccupato per la sicurezza dei genitori, che vivevano ancora a Praga. Il padre, un ottico che aveva una fabbrica di occhiali e un paio di negozi in città, era ebreo. La madre era un’attivista di sinistra (aveva battezzato il figlio Karl in onore di Karl Marx) e

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