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Fatti di terra: Viaggio in Patagonia e Terra del Fuoco
Fatti di terra: Viaggio in Patagonia e Terra del Fuoco
Fatti di terra: Viaggio in Patagonia e Terra del Fuoco
E-book91 pagine1 ora

Fatti di terra: Viaggio in Patagonia e Terra del Fuoco

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“Fatti di terra” è il racconto di un viaggio tra Cile e Argentina, durato un anno. E’
anche il racconto di un’iniziazione, l’arrivo e la scoperta, l’intrecciarsi delle
domande esistenziali e il dispiegamento dopo l’esperienza del viaggio come rito.
Il racconto si articola dall’osservazione del paesaggio all’osservazione interiore, e
si compone nella ricerca di risposte nei luoghi e nelle abitudini dell’altro da sé. Il
libro è stato scritto in un momento di transizione, durante il passaggio dalla vita
ovattata dello studente, a quello delle decisioni, e man mano che il viaggio si
completa, lo smarrimento aumenta fino a raggiungere il momento in cui arriva la
visione completa dei fatti. E’ un invito a viaggiare, a conoscere e ad aprire la
mente per accogliere ciò che è altro da sé, un invito a non essere turisti, né nella
terra d’origine né in quella del viaggio.

 
LinguaItaliano
Data di uscita21 dic 2018
ISBN9788897911678
Fatti di terra: Viaggio in Patagonia e Terra del Fuoco

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    Anteprima del libro

    Fatti di terra - Marella Diamantini

    http://www.librinmente.it

    1. Quando conosco la ruta 5

    Arriviamo a Puerto Montt con l’aereo da Santiago intorno all’una di pomeriggio. All’aeroporto c’è un Qashqai bianco sette posti che ci aspetta. In realtà non è proprio sette posti, è da cinque estendibile a sette. Considerando, comunque, che almeno due persone debbano essere di stazza molto minuta. E fortunatamente quelle ci sono. Ma soprattutto senza bagagli. Invece quelli purtroppo sono molti. Nonostante siamo sei e non sette, è complicato riuscire ad incastrarci tutti. Le donne italiane sono molto previdenti e lungimiranti, non si sa mai, potrebbe fare freddo, meglio mettere qualche maglione in più in valigia. E, perché no, portare anche una valigia in più, magari poi si compra qualcosa. Ci incastriamo nel Qashqai, io sono una di quelle due persone minute, ma questa volta vengo risparmiata con la scusa di tenere in mano la mappa e fare da satellitare. Viaggiare in economia regala sempre una gran varietà di sorprese, e annoiarsi è quasi impossibile.

    Da Puerto Montt cominciamo a scendere per la ruta 5, la famosa Panamericana. La strada che corre per 25.750 km, venticinquemilasettecentocinquantachilometri, e collega l’Alaska alla fine del mondo, chiamata Ushuaia. La mia irrequietezza già incomincia ad assaporare l’appagamento: pensare alla parola panamericana mi rende sognante, e per qualche istante mi immagino di essere arrivata non più da Santiago con l’aereo ma dall’Alaska con quello scatolone bianco. Il mio spirito per gli stessi istanti si rinfresca e inizia a districare il guazzabuglio di sentimenti repressi che Santiago mi ha creato in quattro mesi.

    Bene, l’insolita compagnia di veneti comincia il viaggio verso sud. La ruta 5 si interrompe due volte in Cile. Una a Santiago, per diventare ruta 60 e attraversare il Paso Los Libertadores per l’Argentina. Tragitto che compiono molti santiaguini almeno una volta l’anno, diretti all’anonima città di Mendoza, convinti di trovare prezzi impareggiabili per quanto riguarda cibo, vestiti, libri e carrete, che in chilensis significa bisboccia. Tragitto che è anche percorso ogni tre mesi da quelli che, come noi, non hanno un visto di permanenza e necessitano di un timbro sul passaporto. Scorrazzando qua e là per i confini cileni ho appreso che gli argentini sono più simpatici dei cileni, che il cibo e il vino gli argentini li sanno fare bene, che i libri i vestiti e i carrete costano come in Cile. La ruta 5 si interrompe anche al porto di Pargua, per riprendere al porto di Ancud, nell’isola di Chiloé. A Pargua c’è un traghetto che somiglia al traghetto sul canale Candiano di Porto Corsini, sempre lo stesso da quando ho memoria. Le imbarcazioni dell’Adriatico hanno un che di ferraglia secolare con alle spalle storie misteriose, che mi ha sempre risvegliato il desiderio di imbarcarmi e partire. Venti minuti di onirica traversata nel paesaggio surreale del ravennate; mi ricordo che quando ero adolescente, ogni volta che prendevo quel traghetto mi accompagnava mentalmente la colonna sonora di Nino Rota per Amarcord. Quel paesaggio non me lo dimenticherò mai, appunto.

    Ci incolonniamo su quel traghetto, mi sento soffocare, devo scendere dalla macchina e salire sulla passerella in alto. Tira un vento nordico, e credo sia un’associazione di idee istintiva, visto che conosco solo quello. Freddo e salato, la luce è tersissima, il cielo stride, le nuvole allungate e aranciate sembrano filamenti. La gente è in subbuglio, tirano fuori le macchine fotografiche. Temevo che, essendo febbraio in Sudamerica come agosto in Europa, si creasse quella circostanza insopportabile e affollata che caratterizza le spiagge italiane. Nient’affatto, il Cile è grande, i cileni non sono molti e Chiloé è difficile da raggiungere. Il subbuglio è causato dalla presenza di quattro leoni marini. Che qui chiamano lupi di mare. Ho sempre pensato che il lupo di mare fosse scaltro e veloce, mentre il leone marino pesante e non troppo intelligente. I riflettori sono puntati sulla scena: tre leoni marini appollaiati su una grande boa, mentre un quarto attende pazientemente il suo turno per usufruire del servizio. Gli italiani passano una considerevole parte della loro vita in coda al bar, ai parcheggi, dal medico, all’ufficio dei trasporti e, per eccellenza, in posta. Per questo poi vogliamo sempre passare davanti quando andiamo all’estero in vacanza. In Sudamerica non è nemmeno immaginabile quante e quanto più interminabili code si debbano sostenere. Oltre a tutte le nostre, la coda per il bus, la coda per la metro, la coda, della durata di un film, al supermercato -fortunato chi ha l’ipad- la coda alle entrate di qualunque cosa richieda un pagamento e/o un semplice cancello. Sarà che si son rassegnati, ma qui l’attesa rispetta l’ordine. E da paziente cittadino rassegnato il lobo de mar attende il suo momento. L’acqua del nord è sempre più scura di quella del sud. è vero fino a quando il tuo nord è la Scandinavia e il tuo sud il Mediterraneo. L’acqua del Golfo di Ancud nel Canal de Chacao è nera e plumbea.

    Riprendiamo la ruta 5, e in qualche modo ricomincio a sentirmi legata con un filo carrabile all’Alaska. Il paesaggio che attraversiamo è molto rurale. Respiro e mi sento più libera. Spazio, aria, nuvole che si muovono, vegetazione spontanea. Assaporo i chilometri che mi separano da Santiago, e che aumentano. L’erba è verde e brillante, ci fermiamo e scatto la prima foto. Siamo circondati da ciò che bramavo da mesi. Il silenzio. Ad abitare questo silenzio ci sono delle case di legno sopraelevate su dei rialzi che sembrano panchetti per bambini. Baracche scricchiolanti ricoperte di latta per difenderle dal vento, che d’inverno può arrivare a 130 chilometri all’ora. I chilotes non conoscono la pavimentazione esterna. Le strade, all’infuori della leggendaria ruta 5, che su di me ha questo strano potere, sono tutte sterrate e le entrate alle case sono costituite da un cencioso tappetino sul prato. Ci sono vaghe staccionate di legno, e immancabile il pick-up parcheggiato fuori. Il ricordo più costante che avrò di questo paese.

    Attraversiamo un paesaggio luminoso, anche se il cielo è affollato di nuvoloni pallidi. L’erba verde brillante è maculata da cespugli bassi più scuri. L’invadente quila infesta quest’isola. La chusquea quila, pianta nativa della famiglia del bambù, cresce in tutta la regione Valdiviana del Cile. Mi accompagnerà fino alle porte dell’Argentina. è una elegante foglia lunga e sottile che cresce su dei rami che continuano a biforcarsi e sembrano ossute mani di anziano. Mi affascina molto perché compie tre atti carismatici. Il primo è un evento raro, e come tutte le rarità ci sembra prezioso: questa pianta fiorisce una volta ogni quindici anni. Il secondo è che dopo aver fiorito muore e si putrefà causando invasioni di ratti che si rifugiano nel putrido e si nutrono dei suoi semi. è per questo che l’anno

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