101 cose da fare in Sicilia almeno una volta nella vita
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101 cose da fare in Sicilia almeno una volta nella vita - Daniela Gambino
1.
VEDERE LA SICILIA DAL TRAGHETTO
In realtà la si vede già da prima, non appena l’autostrada si affaccia su San Giovanni, in Calabria, la punta dello stivale. È di fronte, la Sicilia, pare si possa raggiungere a nuoto: inquinamento a parte – con tutto quel via vai di barche a motori – c’è infatti una gara di nuoto di fondo che interessa lo stretto: il trofeo Baia di Grotta.
E il preludio ai ritmi siculi inizia da qui, proprio dal traghetto. Già comprare il biglietto, imbarcare l’auto, mangiare un’arancina – il supplì enorme, tondo, femminile nella forma e nel nome, orgoglio della rosticceria isolana –, o fumare una sigaretta sul ponte, sono parte del rito preparatorio. È l’allenamento a perder tempo, a misurare i gesti, come vedrete fare fin da subito ai baristi, che impiegano sempre qualche minuto in più, qui, a porgere un caffè. Le manovre dei traghetti di accostamento o di allontanamento dalla riva sono il sintomo. Impiegano quindici minuti ma, come direbbe Einstein, sono quindici minuti che durano di più, molto di più, soprattutto se si guarda il mare dove nuotano pesci dal nome incantevole di pesce luna, pesce balestra, pesce sciabola (che affianca il più noto pesce spada). Bisogna perdere l’affanno nordico se non si vuol soffrire in Sicilia, smettere di opporsi al disservizio, non viverlo come un’onta, se si vuol essere felici e godere, dell’arancina (in alta stagione è facile trovare lunghe file di turisti che la bramano e la divorano lordandosi di olio e ragù), dei bagni intasati, delle scritte sulle porte dei traghetti. Quasi sicuramente il traffico per uscire procederà a passo lento. Vi accorgerete che le indicazioni per ritrovare l’autostrada, a Messina, non sono chiarissime. Magari ci saranno dei lavori in corso e una deviazione che nessun vigile avrà voglia di spiegarvi, tanto da farvi venire la tentazione di tornare indietro. Ma non desistete. Procedete. Siete appena passati indenni tra Scilla e Cariddi, i due mostri che presidiavano l’isola, cantati nell’Odissea e nell’Eneide. In Sicilia, a tal proposito, esiste un’espressione che indica l’essere confusi e il dividersi tra due fronti, mi sento tra Scilla e Cariddi
, appunto. Se c’è il sole, anche uno spicchio, la Sicilia apparirà bellissima, e se è notte, sembrerà di sorprenderla nel sonno, e se è mattina, sarà un vociare, un cielo rosa, il broncio di chi vuol dormire fino a ora tarda, e se sarà inverno, il vento si farà più mite. Ma se è il tramonto, con il sole morente sulla natura aspra che nasconde un animo amorevole, avrete raggiunto il top. E vi sarà chiaro allora quanto sarà splendida da conoscere, la Sicilia.
2.
MANGIARE GRANITE CON BRIOCHE A COLAZIONE
Non vi annoierò con la storia di Francesco Procopio dei Coltelli, siculo come me (il vero cognome era Cutò), inventore del gelato. Lo sanno tutti che è nostra la rielaborazione di questa bontà arrivata dritta dritta da una tradizione araba. Come tutti sanno che sull’Etna esistevano case neviere, e che la base per i primi gelati era la sua neve imperitura, magari impreziosita dai fumi e dai minerali lavici, chissà. Le vetrine dei gelati siciliani sono un tripudio di colori, un’invenzione di nomi e di sapori. Ogni cestello sborda fino all’inverosimile. Le onde di gusto sono artisticamente accorpate e spolverate di cacao, Smarties, granelle di nocciole. La setteveli, così come la cassata, specialità dell’alta pasticceria, si sono trasformate in gusti di analogo aroma. Spesso leggerete sulle etichette gelato imbottito
, vale a dire ripieno delle più caloriche meraviglie, compreso pan di spagna e fragoline. E non impressionatevi se leggerete spongato
nella lista del menu, si tratta di una semplice coppa di gelato da espugnare a cucchiaiate, o da affiancare al pezzo duro, due fette di pan di spagna imbevute di rhum. A Palermo, in piazza Alberico Gentili, di fronte al Giardino inglese, uno dei parchi pubblici della città, c’è perfino un’altra rielaborazione, imperdibile, a metà fra sorbetto, granita e gelato: la cremolosa, che vi lascerà in bocca il sapore delle nocciole e dei pistacchi tritati insieme alla fresca consistenza, al ricordo dell’affondo silenzioso del cucchiaino nelle sere d’estate.
Ogni popolo ha un suo personale grado di generosità che nel caso dei siciliani si può misurare con l’offerta di cibo e con l’impareggiabile livello di creatività con il quale lo acconciano, condiscono, distribuiscono in quantità impossibili da sostenere anche per un esercito di affamati. Eppure, una delle nostre specialità, la granita, è l’altra faccia di questa cucina, la caratteristica gemella, di rara povertà: qui solo ghiaccio e frutta. Due elementi reperibili in natura che non occorre mantecare, condire, preparare lungamente, servire con perizia. La granita ha vita breve, il tempo che la si porge, in coppe d’acciaio preraffreddato, ed ecco che si smonta, si sbrodola, diventa quel delirio di sugo appiccicoso e zucchero che impiastriccia le mani e fa godere il palato. Un altro esempio dell’ingegno culinario siculo è la brioche col tuppo, il tuppo in siciliano è lo chignon basso, infatti la brioche lo ricorda con una specie di bernoccolo. Per gustare una granita come Dio comanda bisogna cominciare da lì, togliere il bernoccolo e inzupparlo nella coppa. Se volete sapori più complessi che vadano oltre il limone, il caffè, la mandorla e i gelsi, le città a più alta densità di granita sono Noto e Modica. Anche se non scherzano nemmeno le granite che si gustano lungo la via del foro italico, a Palermo, luogo che vanta un’antica tradizione di passeggio col gelato, soprattutto in epoca liberty. O lungo la via Etnea a Catania. Insomma, ovunque vi troviate in Sicilia, nessuno strabuzzerà gli occhi se farete colazione con una granita – magari in una terrazza vista mare – accompagnata da un panino croccante, al posto della brioche, che ne smorzi la dolcezza e la freddezza che regala brividi di piacere.
3.
VISITARE LA MADONNA ANTIXENOFOBA DI TINDARI
Questa di Tindari e della sua Madonna nera è una storia da fiaba, che serba la potenza del suo messaggio religioso. Mi ricordo di aver partecipato a una festa, da bambina, e di essermi persa tra la folla sconfinata che si stringeva attorno al santuario, in una girandola di luci, di profumi di frutta secca caramellata e mele stregate. La festa cade l’8 settembre, il cosiddetto Natale di Maria
, e anch’io ho sempre considerato settembre il mese della rinascita, che segna l’inizio, la riapertura delle scuole, il ritorno ai ritmi consueti dopo le ferie estive. Alla città il poeta Salvatore Quasimodo dedicò Vento a Tindari, mentre Camilleri ha ambientato qui uno dei suoi romanzi, La gita a Tindari. A frotte i pellegrini fanno visita alla statua della Vergine che, narra la leggenda, arrivò dal mare nel IX secolo, all’epoca degli iconoclasti bizantini. La tempesta infuriava e l’imbarcazione su cui viaggiava fu costretta al riparo nel porto. I cittadini di Tindari, scoperta la statua di legno di cedro che raffigurava una Madonna nera, le attribuirono poteri salvifici (si dice che abbia salvato lei l’imbarcazione dalla tempesta), le si strinsero intorno e a lei vengono ancora oggi attribuiti numerosi miracoli e le si dedicano molti ex voto. Su, lungo la via che porta al suo santuario alla luce delle luminarie prosperano bancarelle che vendono frutta secca (le nocciole e le mandorle sono fondamentali nella preparazione dei torroni), ci sono carretti di zucchero filato, aleggia odore di vaniglia e canditi e balenano i curdeddi, piccole corde colorate, che divengono amuleti divini dopo la benedizione e che i fedeli, in segno di devozione, usano annodarsi. Durante la processione, al tramonto, la città si illumina di fiaccole sulle note degli inni religiosi. Nel santuario vivono le sorelle speranzine e il luogo sacro ha anche un suo sito internet, santuariotindari.it, e un’emittenza, radio Tindari, che trasmette il suo messaggio spirituale.
Una leggenda racconta di una donna a cui era scomparsa una figlia: seppur disperata, la madre si rifiutò di pregare la Madonna di Tindari per chiederle di intercedere, perché nera. Ma la Madonna perdonò questa debolezza umana, ebbe pietà della madre e la bambina scomparsa riapparve, era sulla sabbia chiara, nei pressi di un laghetto – uno dei laghetti di Marinello, piccoli specchi d’acqua creati dal mare, ai piedi delle rocce di Tindari – la cui forma ricalcava, in maniera inquietante, il volto della Vergine. Questi stessi laghetti, considerati suggestive mete turistiche, sono raggiungibili a piedi dalle spiagge di Oliveri. Tindari è nota anche per il suo teatro greco. L’antico nome di Tindari infatti è Tyndaris, perché fu una colonia greca fondata dal tiranno di Siracusa Dionisio il Vecchio nel 396 a.C. per i profughi spartani alla fine della guerra del Peloponneso (404 a.C.). Il teatro che si trova adagiato sulla collina di fronte al mare, con lo sfondo naturale dell’isola di Vulcano, risale al IV secolo: la struttura venne modificata dai romani che qui rappresentarono spettacoli con gladiatori: proprio così, gli stessi che siamo abituati a immaginare al Colosseo di Roma. Giochi di gladiatori si tennero anche a Siracusa, pur essendo una città più greca che romana, o a Catania. Anche la Sicilia aveva le sue familiae gladiatoriae, lo testimoniano rilievi celebrativi in pietra lavica, che ritraggono una scena di combattimento oggi conservato nel museo civico di Castello Ursino.
4.
ANDARE IN GIRO PER LE EOLIE SU UN CAICCO TURCO
Non potrete dire «m’imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana» come il Manuel Fantoni del celeberrimo Borotalco, ma con un caicco turco a due alberi sarete certi di fare comunque un’ottima figura. Quello di cui vi parlo si chiama Altinlar, è stato costruito in Turchia, a Bodrum, nel 1989 ed è stato completamente ricondizionato nel 2007, come mi spiega Fabrizio Deli dell’agenzia 38° parallelo. In origine, i caicchi erano usati per la pesca, naturalmente, e anche per trasportare il carbone; il loro utilizzo come barche da turismo comincia da meno di una decina d’anni. «Questo è nato per far viaggiare le persone, ha sei cabine per gli ospiti, tutte matrimoniali» continua Fabrizio. Un albergo galleggiante, spazioso, che agli ospiti offre un bagno privato, aria condizionata, pensione completa e… un cuoco siciliano che cucina pesce secondo la tradizione povera
isolana. Insomma, una volta a bordo si prendono cura di voi in toto e soprattutto vi portano alle Eolie, l’arcipelago di origine vulcanica, costituito da sette isole: Stromboli, Panarea, Salina, Lipari, Vulcano, Alicudi e Filicudi, sparse lungo la costa nordorientale della Sicilia. Le isole formano una grande lettera Y: Vulcano ne costituisce l’estremità più bassa e Alicudi e Stromboli le due punte rivolte una a ovest e l’altra a est. Dichiarate patrimonio dell’umanità, le Eolie, così chiamate perché si credeva fossero state abitate da Eolo, il dio dei venti, sono pervase da un’incredibile energia, da una luce e da una natura spettacolare. Altinlar è lungo 24 metri, tutto in legno lucidato (è bello vedere, ogni mattina, i marinai dell’equipaggio che rifanno il look alle barche), viaggia in motorsailer, ovvero per metà a motore e metà a vela: «Con il vento adatto, dai quindici nodi in su, è fantastico, si sente solo il rumore del mare», mi dice Fabrizio. Le basi d’imbarco sono a Milazzo e a Lipari, ma il caicco una volta prenotato per un viaggio è in grado di venirvi a prendere un po’ ovunque per i porti della Sicilia. Da Milazzo a Lipari impiega due ore. I tempi di navigazione fra le isole, in genere, non superano le quattro ore. Quando si costeggia un’isola sono previste almeno due soste per il bagno in baie particolarmente suggestive, come Cala Junco e Lisca Bianca a Panarea. Poi, naturalmente, una volta accostati a una delle isole si approda in centro, per un po’ di turismo, scarpinate e vita di terra
. La notte ci si addormenta in barca con il suono delle sartie e della randa, quel lieve tintinnìo che, a causa del vento, scaturisce dalla vela che sbatte sull’albero. Per tornare a dormire in rada, cullati dal respiro del mare, c’è un servizio di tender (il gommone che vi porta sulla terraferma) ventiquattro ore su ventiquattro, quindi se volete andare a ballare e rientrare tardi troverete comunque chi vi viene a prendere. Di notte, in acque profonde almeno trecento metri, sono previste minibattute di pesca al totano con il tradizionale ontro, un cilindro metallico tempestato di ami. Succede che si rimane nel buio più profondo aspettando che il pesce abbocchi. Di giorno si prende il sole a prua, fra i cuscini. Il caicco si può noleggiare in esclusiva o semplicemente prenotando una delle cabine (per informazioni, www.38parallelo.eu, tel. 090-326709).
In tutti gli arcipelaghi siciliani, comunque, Egadi, Eolie e Pelagie, è possibile fare escursioni in barca, con classici gozzi lenti, barche moderne o semplici gommoni. Le distanze fra le isole sono piccole, ma bisogna sempre affidarsi a mani sicure e professionali. Lo stesso vale per il diving: le isole sono luoghi d’elezione per le escursioni subacquee, poiché è praticamente infinita la lista di relitti e siti archeologici subacquei che si possono visitare. Un centro diving dev’essere attrezzato per escursioni accompagnate (obbligatorio!) e alcuni di loro propongono corsi che permettono di approfittare delle vacanze per cominciare a conoscere i fondali marini.
illu02UN CAICCO TURCO
5.
IMPARARE ALCUNE COSE A PROPOSITO DEI SICILIANI
A tavola è inverosimile che un cuoco siciliano vi propini un piatto di pesce appena scottato e condito con un filo di olio e limone. Probabilmente reputa sconveniente offrire un piatto sguarnito di contorno ripassato in padella. Dovete pregarlo, scongiurarlo, assicurargli che state seguendo una dieta e che ne va della vostra vita, solo in quel caso desisterà: altrimenti la rosa di combinazioni, fra pesce al forno, condimenti in agrodolce con cipolla, passolina e pinoli, alloro, capperi e fritture varie, è praticamente infinita.
La stessa generosità culinaria la si trova nelle case private. Se avrete il privilegio di essere invitati da una famiglia siciliana DOC vi conviene prepararvi fisicamente e psicologicamente con almeno una mezza giornata di digiuno ascetico per assaporare come si conviene (cioè onorare la tavola con svariati bis) la sfilza di portate che una brava massaia sicula è in grado di produrre. Un esempio? La caponata, di solito cucinata in quantità industriale, fa bella mostra di sé al centro della tavola siciliana, bisogna attingerne a mestolate considerandola un semplice antipasto: dovrebbe preparare lo stomaco a una doppia porzione di pasta alla norma, seguita da un secondo come spiedini di carne alla palermitana con contorno di melanzane in agrodolce. Irrinunciabile, a fine pasto, un dolce della pasticceria siciliana.
Passiamo all’arte. È probabile che di qualsiasi monumento, strada, teatro vi parli, un siciliano DOC aggiunga l’espressione: «… che come sai è l’unico in Europa». Spesso e volentieri trattasi di verità (è il caso dell’Etna, davvero il vulcano attivo più alto d’Europa), ma a sentir noi tutto è il primo al mondo o a voler essere modesti, il secondo. Ogni cosa, in Sicilia, pare sia stata confrontata o misurata con qualche omologo sparso per il continente, se non per il pianeta, uscendone sempre vittoriosa, tanto che ci si chiede: Ma quando caspita hanno avuto il tempo e la voglia di misurarlo con tanta perfezione?
.
In Sicilia imparate ad apprezzare la lentezza. È improbabile che troverete un qualsivoglia servizio pubblico, treno, bus, che funzioni, rispetti gli orari o abbia l’aria condizionata in azione con 40 gradi all’ombra. Se ve ne lamenterete con un controllore o un impiegato, non escludo che vi capiti di sentirvi apostrofare con arroganza, se non con fastidio, dopodiché tutti si guarderanno bene dal chiedervi scusa
a nome dell’azienda. Lo faccio io, in maniera preventiva: scusateci. Si attacca per difetto, per difesa. Perché si è stanchi di doversi continuamente giustificare. Il più delle volte finisce tutto a tarallucci e vino. E sullo stesso mezzo, parlo per esperienza personale, con ogni probabilità troverete qualcuno disposto a darvi uno strappo, un’indicazione, una spiegazione storicofilosofica dell’animo siculo, propenso, insomma, a sopperire, con l’impareggiabile ospitalità, alle manchevolezze del sistema dei trasporti…
6.
FARE COLAZIONE (O PRENDERE L’APERITIVO) AL BAR INGRID
Nelle isole Eolie, su per i tornanti del vulcano Stromboli, davanti al bar Ingrid c’è sempre un mucchio di gente: non è solo seduta all’interno, ma sembra che tutti si diano convegno lì per decidere cosa fare delle loro vacanze. Sarà perché si trova in piazza San Vincenzo, la principale del paese, che costituisce un punto panoramico da dove rimirare tutta la montagna: lo sguardo vaga da Piscità a Scari, comprende la zona del porto e il mare fino a Strombolicchio, quel piccolo scoglio distaccato, completo di faro, che guarda a Stromboli.
La piazza è una tappa d’obbligo: la chiesa del paese è vicina, il circondario è ricco di botteghe e negozi, e proprio da qui si procede se si vuol salire o scendere dal vulcano che ha battezzato l’intera isola. Per questo, davanti al bar, troverete qualsiasi tipologia isolana: di giorno incontrate ragazzi in tenuta da mare, la sera i discotecari e le coppie di signori con il maglioncino di cotone sulle spalle per ripararsi dall’umidità. Tutti sono accomunati dall’immancabile torcia per illuminarsi il cammino (a Stromboli non c’è illuminazione pubblica e questo regala un meraviglioso cielo stellato, privo dell’inquinamento della luce artificiale). Il bar Ingrid, che dispensa da vent’anni colazioni in terrazza con mitiche brioche e granite (di mandorle, gelsi, caffè, giusto per far venire l’acquolina in bocca), è stato dedicato a lei: Ingrid Bergman che insieme a colui che diverrà il suo compagno, il regista Roberto Rossellini, girò per questi paesaggi Stromboli terra di Dio. Una targa ricorda la loro presenza sul suolo isolano. E lo sbarco della troupe e dell’attrice