Zona di alienazione: Chernobyl, una mattina d'estate
Di Sergio Pilu
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Anteprima del libro
Zona di alienazione - Sergio Pilu
Encounters"
Maggio
" Inizi a studiare."
La mail contiene solo un link: two, three and four day tours to the chernobyl zone and pripyat town . Autoesplicativo, niente da dire. Apro, guardo le foto, leggo i prezzi. Non che avessi bisogno di convincermi, ma già che ci siamo.
Fingendo un certo distacco, rispondo a Carlo e gli chiedo con chi e quando ha in programma di andare. Simulo il tono di chi dice ho sentito che quest’estate vai ad Anzio ma in realtà sto già friggendo. Pure lui replica facendo il vago, vado con uno o due amici tra i quali uno che Lei già conosce
. Faccio quattro rapidi conti mentali, quanti giorni servono per andare e tornare, quando abbiamo prenotato la settimana in montagna, il costo totale mettendo insieme voli e albergo e extra. È il 19 maggio, un venerdì sera, in casa c’è quell’atmosfera da sabato del villaggio del terziario avanzato: chiudo il portatile, e vado a scommettere sul buon cuore di mia moglie.
Un incidente in autostrada
È la domanda che ti fanno tutti, prima di partire: Chernobyl? Ma sei impazzito? Ma non pensi alla salute, ci sono le radiazioni, vai ad ammalarti, e poi è un turismo macabro, cosa ci trovi
.
Durante i primi giorni non so mai bene cosa rispondere. Non mi sono preparato il discorsetto e siccome i tre tizi con cui viaggerò stanno a seicento chilometri di distanza non mi viene nemmeno da chiamarli per sentire se anche loro si trovano nella stessa condizione. Il fatto che in un anno ci siano solo 40.000 persone che vanno a Chernobyl da turisti, cioè meno di quanti ne arrivano in un pomeriggio di luglio a Rimini (anche se scopriremo poi che sono già il doppio rispetto all’anno scorso e il quintuplo di tre anni fa), qualche dubbio effettivamente me lo fa venire e ogni tanto provo la sensazione francamente paradossale di dovermi giustificare per la scelta, come se questa fosse immorale oppure talmente bizzarra da far sospettare un principio di insanità mentale. Finisce che per darmi coraggio rompo il ghiaccio con qualcuno che può mettermi a disposizione una dose di invidia empatica, che sembra un ossimoro e invece è una capacità purtroppo rara e della quale io manco quasi completamente. Una mattina vado alla macchina del caffè con uno dei non molti colleghi con i quali ho abbastanza confidenza da parlare dei fatti miei e tra una faccenda di lavoro e l’altra gliela butto lì con lo stesso tono che userei per dirgli che ho saputo che c’è un bel concerto all’Alcatraz: ah, non so se ti ho detto, vado a Chernobyl; lui prima strabuzza gli occhi e poi mi dice tutto quel che volevo sentire, bravo, quando, come, con chi, sei un grande. Suona un po’ infantile e in realtà lo è, ma spesso sentirci invidiati, vedere che c’è qualcuno che vorrebbe essere al posto nostro serve a metterci nella carriola quell’ultimo mattone di sicurezza che manca per sentirci tranquilli rispetto alle nostre scelte: possiamo sempre dire agli scettici e a noi stessi che il problema non è nostro ma di quelli che non vedono la grande bellezza e la fantastica opportunità squadernata dal destino davanti ai loro occhi cisposi. Forse non si smette mai di avere tredici anni, chissà.
Comunque, sarà che mi conosce da così tanto tempo che ormai ha perso il conto ma mia moglie è l’ultima a farmi quella domanda, e dopo almeno un mese che mi sono organizzato per partire (mia madre non fa testo; dopo il regolare moto di sorpresa e panico che segue l’annuncio di qualsiasi viaggio che faccio, fosse pure la millesima trasferta di lavoro a Roma, mamma non fa domande perché si fida in modo tanto cieco quanto immotivato delle mie superiori capacità di giudizio: sono pur sempre il suo bambino laureato, il primo della famiglia). E quando me la fa riesco a rispondere, perché ho avuto tempo di pensarci sopra e ho imparato il copione: ma scusa, le dico, alla fine quando siamo andati al memoriale dell'11 settembre a New York oppure sulla scala della morte di Mauthausen abbiamo fatto turismo macabro? Le ore passate a camminare fra le novemila croci bianche sopra Omaha Beach erano quella roba lì? A me non pare. Lei mi guarda e sa che un po’ ho ragione e un po’ sto facendo il furbo, perché la verità è che io e gli altri tre e gli altri quarantamila andiamo a Chernobyl per molti motivi: perché lì c’è stata una tragedia immensa, perché vogliamo capirne qualcosa di più toccandola per quanto possibile con mano, per fare qualche giorno da amici miei, per vantarci con amici e colleghi e conoscenti, perché la gente quando vede un incidente in autostrada si ferma a guardare, o almeno rallenta.
Any moment
Andare a Chernobyl non è difficile e nemmeno caro. Il primo passo è quello di spendere qualche ora scorrendo i risultati della ricerca Chernobyl tours
su Google: se poi hai qualcuno che ha già fatto il lavoro per te, meglio ancora. Enrico dice che si ottengono 427.000 risultati e io spero per lui e per la sua famiglia che non se li sia spulciati tutti. Apparentemente c’è una discreta quantità di gente interessata a questa declinazione di un turismo che quando non viene definito macabro viene etichettato almeno come estremo
, e siccome ci hanno insegnato che esiste una cosa che si chiama legge della domanda e dell’offerta, evidentemente per ognuno di questi potenziali clienti c’è un potenziale fornitore: se c’è gente disposta a spendere soldi per andare a vedere un reattore nucleare esploso allora noi li porteremo lì. Chernobyl non è ovviamente un posto dove puoi andare da solo: ci vogliono documenti, servono permessi e quindi bisogna rivolgersi a un tour operator specializzato. Sospetto che ci sia anche una questione di sanità mentale da preservare: ho avuto a che fare con la burocrazia russa di chiaro stampo post-sovietico per passare cinque giorni da turista fai-da-te a San Pietroburgo, so che è una cosa orribile che non voglio rifare mai più e non mi aspetto che quelli di Kiev siano molto più amichevoli e alla mano. Come ci spiegheranno in loco, il governo ucraino rilascia delle patenti speciali, delle autorizzazioni a esercitare questa attività e le guide che accompagnano i turisti sono istruite, certificate e stipendiate da entità statali: si tratta pur sempre di portare dei turisti in una zona contaminata, circondata da check point militari, dove i palazzi possono crollare loro in testa senza preavviso. Lo schema dei tour è più o meno sempre lo stesso: partenza da Kiev, giro dei diversi siti all’interno dell’area di durata variabile tra uno e quattro giorni con eventuale pernottamento a Chernobyl, rientro a Kiev. Il tour operator lo si sceglie allo stesso modo