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Enrico Dandolo: La spietata logica del mercato
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E-book188 pagine2 ore

Enrico Dandolo: La spietata logica del mercato

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Info su questo ebook

Enrico Dandolo (1107-1205) fu l’artefice del «dirottamento» da Gerusalemme a Bisanzio della quarta crociata (1202-1204) che portò alla definitiva caduta di Costantinopoli. Personaggio controverso e discusso, in età avanzata e con salute malferma giunse a ricoprire la carica di doge veneziano incarnando non solo il ruolo di abile stratega e diplomatico, ma rappresentando, altresì, anche un prototipo di riscatto moderno in una temperie di pieno Medioevo, in cui la caducità del fisico denotava scadimento morale con conseguente emarginazione sociale.
L’attualità di Dandolo, per la contemporaneità odierna, è piuttosto inverata dall’opposizione crescente, nel corso del Medioevo, fra Occidente e Oriente che si esplicita nella diaspora cruenta e vessata da conflitti economici tra Venezia, signora del ponente Mediterraneo, e Bisanzio, egemone centro dello specchio d’acqua del bacino di levante.
La vicenda di Dandolo e la conseguente caduta di Costantinopoli, pertanto, si compenetrano e si esplicitano nel quadro dei secolari rapporti tra Oriente e Occidente; rapporti condizionati da una magnetica e reciproca attrazione, a cui, quasi da contrappasso, si è affiancato un lento e inesorabile processo di separazione e mutua incomprensione.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2018
ISBN9788893720632
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    Enrico Dandolo - Maria Carolina Campone

    MARIA CAROLINA CAMPONE

    Enrico Dandolo

    La spietata logica del mercato

    2018

    I edizione, ottobre 2018

    L’Editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare, nonché per eventuali omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti.

    PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche), sono riservati per tutti i paesi.

    eBook by ePubMATIC.com

    Enrico Dandolo

    La spietata logica del mercato

    INDICE

    Premessa

    I. Il Mediterraneo nel XII secolo

    II. Venezia: nascita di uno spazio urbano

    III. Metamorfosi urbana:

    Venezia città di commercio e mercati

    IV. Enrico Dandolo

    V. Le Crociate

    VI. Venezia e le Crociate

    VII. Costantinopoli, città specchio:

    la forma urbis costantinopolitana

    VII. Le mura di Costantinopoli

    IX. I prodromi politici: la rinascita Comnena

    X. La Quarta Crociata, l’assedio di Zara

    e la presa di Costantinopoli

    XI Gli eventi

    XII. Venezia «renovata Bisanzio»

    XIII. Sintesi culturale e archetipo bizantino nella nuova Venezia

    XIV. La morte di Dandolo e il suo ruolo nella Quarta Crociata: posizioni storiografiche attuali

    XV. Enrico Dandolo nella tradizione epica medioevale e nella storiografia ottocentesca

    Note

    Appendice

    1. La riforma monetaria di Dandolo

    2. Fonti documentarie

    3. Le Crociate

    Cronologia

    Abbreviazioni, bibliografia di riferimento, citazioni bibliografiche

    PREMESSA

    Enrico Dandolo costituisce ancor oggi una figura molto discussa, che condensa in sé le caratteristiche di un’età ambivalente e complessa, quale fu il Medioevo.

    Diplomatico, ammiraglio e doge, la sua carriera politica lo porta, prima, in qualità di ambasciatore, in Sicilia, presso il normanno Guglielmo II, e, successivamente, a svolgere la stessa funzione presso l’imperatore bizantino Manuele Comneno. Di tali esperienze in mondi così lontani e diversi per abitudini, costumi e cultura, fa tesoro e, nel 1192, all’età di ottantacinque anni, viene eletto doge, egli che, oltre che anziano, era affetto da una grave menomazione, essendo divenuto cieco, per cause ancora non chiare.

    Eppure, nonostante le difficoltà, dimostra una tempra e una lucidità eccezionali: il suo nome si lega, nella tradizione, alla promissione, minuzioso protocollo di comportamento volto a controllare le decisioni dogali¹, per limitarne il potere e anzi, per evitare tentazioni assolutistiche. A tal fine, essa veniva letta alle massime cariche cittadine ogni due mesi, perché Venezia non corresse il rischio di una tirannia e il doge fosse semplicemente il degno rappresentante della volontà sovrana collettivamente determinata nei supremi Consigli.

    Al di là di tale rispetto formale per le regole della res publica, il successivo atteggiamento a conclusione della presa di Costantinopoli apre diversi scenari di riflessione. Se il fatto di aver accettato il titolo di despota può spiegarsi con l’adattamento al contesto politico e sociale orientale, il suo prolungato soggiorno a Costantinopoli e le concessioni fatte, in virtù del trattato con i crociati e dei successivi accordi, alla colonia veneto-bizantina lasciano intravedere uno scenario differente.

    Il capolavoro diplomatico, strategico e bellico dell’ultraottantenne Dandolo fu la Quarta Crociata, che resta, tuttavia, anche l’episodio più problematico e discusso della sua carriera e quello che, per le sue violente conseguenze, ne oscura ancora la fama.

    Di per sé, la cosiddetta diversione resta ancora un episodio oscuro della storia medioevale, di cui risulta a tutt’oggi difficile individuare precisamente i responsabili, in virtù della cui azione la spedizione, nata come le tre precedenti per la liberazione del Santo Sepolcro, mutò meta e direzione, trasformandosi nel saccheggio e nella sanguinaria presa di una delle città-simbolo della cristianità.

    Come scrive Roberto Cessi nella sua Storia della Repubblica di Venezia, la figura di Enrico Dandolo «si protende nella storia circondata di un’aureola di leggenda, avvolta di un senso mistico, che si raccoglie attorno alla sua tomba profanata e negletta in un angolo remoto di terra musulmana»².

    Alla trasfigurazione epicizzante della personalità di Dandolo contribuì la storiografia ottocentesca, nel cui ambito il doge divenne il prototipo di fedeltà allo stato e alle sue strutture.

    Al di là del giudizio sulle sue imprese, resta il dato di fatto per cui, grazie al suo impegno, il dominio di Venezia sul Mediterraneo nel corso del Medioevo fu rafforzato con la presa di Trieste, Muggia e Zara.

    Peraltro, proprio il ruolo di primo piano svolto nel corso della quarta crociata rende complesso l’approccio a una personalità così problematica.

    Gli elementi del suo carattere e della sua tempra -come testimoniati dalle fonti- lo renderebbero estremamente moderno: per la capacità di reagire alla malattia e all’handicap fisico, in un periodo in cui essi denotavano l’inferiorità non solo fisica, ma ancor più morale, e l’emarginazione dal contesto sociale; per l’astuta e inflessibile realpolitik; per l’appeal sulle masse, Dandolo si presenta come una figura dialetticamente contemporanea e ante litteram per l’epoca in cui visse.

    D’altro canto, mentre alcune decisioni di natura meramente propagandistica, successive alla presa di Costantinopoli, parrebbero motivate dall’intento di fare di Venezia la nuova Bisanzio, resta lo status di cui godeva la colonia veneziana di Costantinopoli, tale da poter tener testa anche alla madrepatria e a Dandolo stesso, che pure aveva rifiutato, secondo le fonti, il titolo di imperatore ed era l’unico, in conseguenza degli accordi di pace, a non essere vincolato da rapporti feudali con i Franchi.

    In questa dualità di comportamento sta probabilmente la chiave di lettura del discusso doge, il quale, peraltro, apparteneva a una famiglia di mercanti e imprenditori, con forti interessi in Oriente. Mentre ancora restano incerte le cause del dirottamento della Quarta Crociata, di sicuro essa portò vantaggi agli assalitori tutti. Nessuno poteva giustificare la barbarie dei Latini, ma lo stesso papa finì con l’accettare lo status quo, con il quale la chiesa greca veniva ricondotta all’ovile. In tal senso, i Veneziani, sebbene scomunicati, erano stati, di fatto, il braccio secolare del papato. Loro soltanto conoscevano in anticipo i potenziali rischi e benefici, in termini materiali e forse anche spirituali, ma non furono mai gravati dal senso di colpa né in prospettiva futura né in una più meditata retrospettiva storiografica.

    Può ben darsi che all’epoca i Greci avessero ragione di sospettare che fosse stato il doge di Venezia Enrico Dandolo a portare i Crociati a Costantinopoli, manovrando poi le cose in modo da dar loro un pretesto morale per conquistarla. Come regola generale, i Veneziani vedevano nelle crociate un ostacolo per i loro commerci, a meno di non poterne trarre qualche vantaggio finanziario: la Quarta Crociata fu la partita più azzardata che avessero mai giocato, ma anche quella che a tali affari recò beneficio al di là delle più rosee previsioni.

    Una biografia del doge non può prescindere da un’analisi della situazione sociale ed economica del Mediterraneo e da una presentazione della città di Costantinopoli, così come essa appariva all’Occidente, soprattutto in un territorio, quello veneto, storicamente e culturalmente unito alla capitale bizantina da solidi legami.

    Nel contempo, per comprendere a pieno la situazione che fu preludio e causa allo slittamento della Quarta Crociata e il ruolo avuto dal doge, non si possono tralasciare gli sviluppi della politica economica della Serenissima, una realtà statale in cui, già nel XII secolo, si era affermato un ceto nuovo, quello mercantile, di cui Dandolo era uno dei maggiori esponenti e che, come traspare più tardi anche nel Decamerone, era portatore di un’etica e di una mentalità dirompenti per quei tempi.

    Solo in questa chiave si può intendere la figura del Dandolo: quell’«epopea» dei mercanti, di cui parla Branca in un noto saggio³, che fanno dell’«industria» il valore principale, può essere una chiave di lettura per inquadrare storicamente il Nostro e chiarire meglio le motivazioni che spinsero Venezia ad essere protagonista della Quarta Crociata, dei suoi effetti e delle scelte che la generarono.

    Unitamente a ciò, per comprenderne l’apporto alla caduta di Costantinopoli, va sottolineato come il problema dello scontro fra l’Occidente e Bisanzio non sia affatto estraneo a una questione oggi più che mai attuale, quella dell’Europa, dei caratteri che la definiscono e dei limiti che sarebbe opportuno o meno mantenere a est e a sud-est. Sfuggito al campo civico e politico che dovrebbe essergli proprio, tale dibattito ha invaso anche il campo storico, dove suscita una vera e propria «caccia al sostegno»⁴, per usare l’espressione di una nota studiosa.

    La presa della città, che sino ad allora si era proposta quale nea Rome, assume allora un significato diverso, in un mondo, quello mercantile fra XII e XIII secolo, in cui confini e barriere erano meno stabili di quanto lo siano oggi.

    CAPITOLO I

    IL MEDITERRANEO NEL XII SECOLO

    Nel corso del Basso Medioevo, si assiste alla prima vera mondializzazione moderna, come indicato da Braudel, dopo quella romana dell’Antichità, limitata al mondo mediterraneo⁵.

    Si tratta di una sostanziale rivoluzione commerciale che fece seguito all’instaurarsi di regolari rapporti fra l’Europa del Nord, le Fiandre, i grandi porti italiani, il mondo asiatico e che determinò il costituirsi, per la prima volta, di un’economia mondo-europea.

    La conseguenza più interessante di tale complesso mutamento fu un ribaltamento dei rapporti fra Oriente e Occidente, destinato a proficue conseguenze.

    Dopo il Mille si verificano cambiamenti profondi nelle strutture economiche, insediative, sociali, culturali e politiche della società europea: la popolazione aumenta, lo sfruttamento delle campagne si intensifica, le attività commerciali e manifatturiere assumono vigore e dimensioni prima sconosciute, le città fioriscono e prosperano, gli organismi politici ed ecclesiastici si modificano e si potenziano.

    Non a caso, alcuni storici considerano simile metamorfosi, collocata cronologicamente tra X e XIII secolo, la maggiore rivoluzione di cui la storia europea sia stata teatro, dopo quella neolitica e prima di quella industriale, tale da dare origine al predominio che l’Europa eserciterà sul mondo in età moderna e in cui le attività commerciali, strettamente connesse alle città, giocano un ruolo strategico.

    In tale fase storica, si registrano in Europa un forte incremento demografico e una notevole crescita della produzione agricola, ai quali si accompagna una crescente domanda di merci di ogni genere che porta ad uno straordinario consolidarsi dell’economia di scambio, di cui le città sono le protagoniste, ma il cui presupposto produttivo attinge alle campagne o meglio ai progressi introdotti dalle tecniche agricole. Le trasformazioni economiche, ma anche sociali e culturali, connesse ai commerci e alle città trasformano così profondamente l’Europa da meritare la definizione di rivoluzione commerciale e di rivoluzione urbana.

    Nell’ambiente comunale, il panorama sociale ed economico muta profondamente rispetto al precedente sistema curtense e se, a livello politico, il comune si afferma sempre in contrapposizione esplicita o implicita alle autorità feudali, come espressione di forme sociali emergenti, contemporaneamente si assiste al crescente sviluppo del sistema economico basato sul mercato e alla conseguente ascesa della figura del mercante. Mutando la struttura della società, non più rigidamente piramidale, i commerci si impongono come elemento imprescindibile, unico strumento in grado di fornire al nuovo cittadino, emigrato dalle campagne, tutto ciò di cui può aver bisogno nel contesto urbano.

    In secondo luogo, la cultura e la mentalità della nuova collettività cittadina si evolvono: il trionfo politico e sociale della classe borghese, portatrice di una sua peculiare scala di valori, ebbe conseguenze sconvolgenti. Ne derivano nuovi tipi di richieste e di aspettative, che trovavano supporto in un notevole potere d’acquisto. Se la storia della città medievale assunse le caratteristiche che le sono proprie, ciò si deve anche a livelli e strutture di domanda effettiva che, riflettendo precipui valori culturali, supportavano lo sviluppo manifatturiero e tecnologico⁶.

    In ultima istanza, durante il Basso Medioevo, la popolazione mostrò un atteggiamento nettamente in controtendenza rispetto ai modelli di comportamento tipici dell’epoca feudale: mentre in precedenza i contadini restavano a lungo su uno stesso fondo da coltivare -comportamento indicato col termine stantia- nell’età comunale il viaggio per mare e per terra divenne quasi un fatto consueto e, in qualche modo, di massa.

    Quest’autentica inversione di prospettiva ebbe come naturale conseguenza la necessità e insieme la possibilità di disporre di una massa maggiore e più differenziata di beni, che si tradusse in uno stimolo potente al mercato.

    La stessa figura del mercante, che aveva sino ad allora goduto di scarsa considerazione sociale, acquisì nuova importanza, proponendosi come un vero e proprio organizzatore del processo produttivo a stretto contatto con gli artigiani, sino a divenire un imprenditore tout-court, pronto ad assumere su di sé il rischio di impresa dell’intera operazione economica.

    Le attività commerciali crescono per volume d’affari e raggio d’azione, sviluppandosi su tre piani. A livello locale, tra città e campagna, tra artigiani e contadini, si incrementano gli scambi dei prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato locali. A livello interregionale, nelle fiere che periodicamente mettono in comunicazione aree distanti, si scambiano prodotti di maggior valore quali il grano, il sale, il vino, la lana, il legname da costruzione, le pellicce, in grado di coprire i costi del commercio a media distanza. A livello internazionale, poi, si incrementano i rapporti, mai del tutto interrotti, con il Medio e l’Estremo Oriente, dove arrivano i metalli, i panni e le tele, il legname da costruzione e i prodotti agricoli europei e dai quali provengono generi di lusso, come la seta, le pietre preziose e le spezie (utilizzate in cucina, nella farmacopea, in tintoria e in profumeria)

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