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Il giorno del buio
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E-book459 pagine6 ore

Il giorno del buio

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (387 pagine) - In un pianeta dove il sole non tramonta mai, l'eclissi può essere l'inizio di una svolta dalle ripercussioni imprevedibili. Romanzo Premio Italia 1987


La potente Compagnia per lo Sviluppo dei Mercati Planetari governa l’intera estensione conosciuta della Spirale, monopolizzando la tecnologia del volo spaziale e tutti i rapporti socioeconomici. Per David Tschander, ex Funzionario di medio rango della Compagnia, la sensazione di avere sprecato la vita senza avere mai conosciuto veramente se stesso è gravosa. La sua destinazione è il pianeta Kendall, che da miliardi di anni non ruota più ed è diviso fra un cocente deserto, dal lato esposto al suo sole, e un oceano artico immerso in una notte interminabile, dal lato opposto. Ma quando per la prima volta da ottomila anni si annuncia su Kendall il Giorno del Buio, la grande eclissi che sprofonderà nella tenebra l’intero pianeta, David verrà coinvolto suo malgrado in una congiura che trasformerà l’intero assetto della Galassia. Nella disperata lotta per la sopravvivenza, David conoscerà il vero volto dei poteri occulti che guidano il destino del suo mondo, e scoprirà il senso dell’amore, dell’amicizia e della comunità.


Marco Pensante è nato a Brescia nel 1966. Ha pubblicato i romanzi Il sole non tramonta (Editrice Nord 1986, vincitore del Premio Italia 1987, qui ripubblicato in edizione riveduta con il titolo originale Il Giorno del Buio), e Ponte di Mezzo (Interno Giallo 1992). Nell’estate 1986 il quotidiano Bresciaoggi ha pubblicato a puntate il racconto lungo Il piano. Su Urania Millemondiestate 1987 è comparso il racconto lungo La Terra d’inverno. Per Stampa Alternativa ha scritto i racconti Mexican Radio (in Fantasia, 1995) e Il mistero del sashimi a orologeria (in Cyberpunk, 1996). Ha collaborato alla rivista Pulp intervistando James Ellroy e Joyce Carol Oates. Ha lavorato come traduttore per Urania, Interno Giallo, Longanesi, Einaudi, Marco Tropea Editore, Il Saggiatore. Ha tradotto opere di Robert Silverberg, James Ellroy, Andrew Vachss, Don De Lillo, Douglas Coupland, Dennis Cooper, Salman Rushdie, Joyce Carol Oates, David Peace. Sta lavorando a un nuovo romanzo di fantascienza avventurosa.

LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788825408737
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    Anteprima del libro

    Il giorno del buio - Marco Pensante

    avventurosa.

    for Veronica Anghelescu,

    a shining heart

    Axari

    1

    Sopravvivere

    Non sai nulla. Non sai neppure chi sei. Sei solo un ragazzo, un bambino disperato che cerca di essere un uomo.

    Da Soldato Nel Tempo, di Yenna Keari (9326 A.S.)

    Quando David si lanciò verso l’interfono la manica della sua giacca grigioverde fu toccata da una lingua di fuoco rosso; ebbe appena il tempo di rendersene conto, e il suo braccio fu percorso dalla fiammata veloce e dolorosa. Schiacciò il pulsante dell’estintore e una densa schiuma verde coprì la fiamma, spegnendola. Ma il dolore rimaneva.

    La muraglia di fuoco si era alzata, partendo dal compartimento d’entrata del Livello 4, e ora lo stava avvolgendo in una morsa. David doveva fuggire e lo sapeva molto bene, ma continuava a sperare che il Livello 4 potesse essere ancora salvato.

    Freneticamente, premette il pulsante giallo sulla parete. Un ronzio sommesso venne dalla griglia del comunicatore. Gridò: – Parla il Segnalatore Primo! Squadre di Lavoro al Livello 4, emergenza!

    Una voce atona rispose: – Segnalatore, le Squadre sono già occupate. Il Livello non è più salvabile. Deve uscire.

    Sudando, ansimando, David gridò: – Il fuoco si sta estendendo! Non ho più via d’uscita. Mandate qualcuno con degli estintori di tipo C, o non ce la farò…

    – Non possiamo mandarle Squadre – ripeté la voce, quasi distrattamente. – Ma le uscite dodici, otto e diciannove non sono ancora state raggiunte dalle fiamme. Può ancora arrivarci, da dove si trova.

    Grazie, stupido figlio di puttana, pensò David, e corse via, verso il corridoio, gettandosi in un varco fra le fiamme. Il Livello non era stato ancora invaso dal fuoco, ma un fumo denso e soffocante ristagnava, malgrado le ventole girassero a pieno regime. L’impianto antincendio avrebbe spento le fiamme in pochi minuti, se avesse funzionato. Sfortunatamente, la centralina di attivazione era stata distrutta nell’esplosione, e solo gli estintori secondari erano entrati in funzione, spargendo masse di schiuma chimica che non potevano bastare per soffocare le fiamme. David ne calpestò una, scura, attaccaticcia. Alle sue spalle la voce meccanica del comunicatore di emergenza gridò:

    LIVELLO QUATTRO, LIVELLO QUATTRO

    EVACUARE ENTRO DODICI MINUTI

    Dodici? pensò David. Solo dodici minuti! Come poteva riuscire ad attraversare tutto il Livello in dodici miserabili minuti?

    Corse più velocemente. Al termine di quei dodici minuti il Livello sarebbe stato completamente depressurizzato, e in caso di danni irreparabili sarebbe stato espulso nello spazio. David, ora, non riusciva a pensare.

    Oltre un angolo vide una figura immobile, accasciata sul pavimento. Si accostò, riconobbe l’uomo. Era il Programmatore Primo, svenuto. Non era ferito, ma respirava a fatica: il fumo doveva averlo stordito. David lo sollevò, gli scosse la testa, chiamandolo: lui aprì gli occhi, tossì un paio di volte. David gli chiese: – Cosa fai qua? Alzati, presto. Vieni con me.

    Lui scattò in piedi. – David! – disse. – II fuoco! Sta… sta arrivando fino a qui…

    – Non è ancora arrivato alle uscite otto, dodici e diciannove. Se facciamo in fretta, possiamo salvarci.

    Il Programmatore sembrava intontito. Chiese: – Vogliono depressurizzare tutto il Livello?

    – Sì. Pensavo di essere l’ultimo rimasto. Speravo di poter fare qualcosa, ma non c’è più niente da fare. Grazie a Shakkai l’esplosione non ha distrutto parti vitali della nave. – Attese un momento per riprendere fiato. – Sicuro che il Livello sia vuoto, Xavier?

    – Dovrebbe. – Tossì un paio dì volte, poi si piegò a vomitare sulla parete. David disse: – Muoviamoci, dobbiamo correre. – Xavier annuì, ansimando. Scattarono di corsa lungo il corridoio, mentre il comunicatore urlava:

    LIVELLO QUATTRO, LIVELLO QUATTRO

    EVACUARE ENTRO OTTO MINUTI

    Si trovavano a metà strada, quando videro che in una delle sale comunicanti con il corridoio qualcuno era rimasto intrappolato dal fuoco. Una donna dai lunghi capelli neri e dalla pelle scura era appena visibile dal punto in cui i due si trovavano, immobile, sepolta sotto una pila di pannelli frantumati e mobili scaraventati in aria dall’esplosione. David ricordò all’improvviso che conosceva quella stanza, e riconobbe anche la donna, mentre il fuoco si alzava all’interno della camera.

    Xavier gridò:

    – David! È Sikha!

    – Lo… lo so.

    Xavier si lanciò avanti, ma David lo bloccò. – Aspetta – disse. – Le fiamme sono troppo estese. Vado io.

    – Tu non hai…

    – Sta’ zitto. Devo andare a prenderla io. – Lo fissò: – Raggiungi l’interfono al termine del corridoio, interrompi l’operazione di depressurizzazione a ogni costo. Emergenza. Hai capito?

    Xavier esitava, stringendo i pugni. – David, io ho il diritto di…

    Vai, Xavier! – gridò David. – Hai poco tempo per arrivare all’interfono! Devi correre!

    Xavier si voltò, riluttante. David lo vide scomparire nel corridoio: aveva capito perfettamente.

    Mentre spruzzava la schiuma antincendio all’interno della stanza, con scarsi risultati, pensò: Non è tanto strano che due uomini debbano lottare per una donna. Non era strano. Da un certo punto di vista, era perfino accettabile. Nella situazione attuale, con David in procinto di abbandonare la Compagnia, era addirittura naturale che dovesse lasciare il campo libero a Xavier. Ma non poteva farsene una ragione.

    Si avvicinò alla donna, avanzando attraverso i varchi fra le fiamme più in fretta che poteva: l’estintore portatile che aveva usato fino ad allora si era esaurito, e lo gettò da parte.

    Sikha era svenuta, grazie agli Dei. David iniziò a spostare la pila di macerie che le erano cadute addosso, mentre il fumo invadeva lo spazio angusto dello studio di Psicologia, e il fuoco avanzava. Presto non vi sarebbe più stata via d’uscita.

    Faticosamente, lentamente, la liberò. Prendendola per le spalle, la trascinò sul pavimento fin dove gli fu possibile, quindi la prese fra le braccia e uscì dalla stanza, lasciando che il fuoco distruggesse il resto.

    Sikha era sempre bellissima. David vide la V gialla sulla sua fronte, il khawat’ohwé. Ma lei era ferita, aveva il volto insudiciato dal fumo e dalla polvere, e sanguinava. Doveva chiamare subito il Funzionario Medico. David, intontito, iniziò a camminare – non riusciva a correre – lungo il corridoio, portandola fra le braccia.

    LIVELLO QUATTRO, LIVELLO QUATTRO

    EVACUARE ENTRO TRE MINUTI

    Cosa sta facendo Xavier? pensò con rabbia. Accelerò il passo, ma sapeva che, se quell’idiota di Programmatore non si fosse sbrigato a dare l’ordine di interrompere la procedura, sarebbero finiti tutti nello spazio. Si sentiva sempre peggio; il fuoco si stava alzando di fronte a lui. Saltò con tutta la forza che aveva, oltrepassò la parete infuocata e continuò la sua fuga.

    Gli sembrava che il cuore gli stesse esplodendo. Si rese conto, in un istante, di essere arrivato alla fine del corridoio, ma non sapeva come. Vide Xavier, prima immobile in attesa, poi mentre gli correva incontro. La vista gli si stava offuscando, ma riuscì a non svenire. Sentì che Sikha gli veniva tolta dalle braccia, qualcuno lo aiutava a rimanere in piedi e oltrepassare una delle uscite. L’aria diventò all’improvviso fredda e pulita; qualcuno gli allungò una maschera a ossigeno. Inspirò grandi boccate del gas che fluiva nei suoi polmoni come un soffio vitale, e chiuse gli occhi.

    Una voce. – Medico! Funzionario medico!

    Si abbandonò a terra, ma era ancora cosciente. Venne sollevato per le braccia, trascinato lungo un nuovo corridoio. Aprì gli occhi, riconobbe la sezione medica del Livello 4B; ma era tutto nebuloso, indistinto.

    Non riusciva più a rendersi conto di quello che gli era successo; gli sembrava che tutto fosse accaduto in un secondo, sebbene fosse certo che non era stato così. Pensò a Sikha, e sapeva che si trovava al sicuro; ma un’angoscia lunga e scura lo invase, schiacciandolo, opprimendolo, come se lei fosse morta, come se lui avesse dato la sua vita per salvare la nave che comandava, la nave che non era più sua.

    Perché aveva ventotto anni. E nulla più gli apparteneva.

    – Abbiamo avuto fortuna – disse Cherah, mentre applicava i medicamenti al braccio di David e alle ustioni. – Così vicini a un pianeta abitato… avremmo potuto far saltare in aria tutto questo sistema. Zavaxe sarebbe sembrato una sciocchezza, in confronto a quello che poteva succedere oggi.

    David strinse il pugno, mentre l’Ufficiale Medico sostituiva la pelle bruciata. Il dolore svanì come per miracolo, mentre sul braccio rimaneva una chiazza chiara dove l’epidermide sintetica aveva già attecchito1. Cherah premette un pulsante sul quadro di controllo alla sua destra, e dalla lampada posta sopra il lettino chirurgico una luce azzurrina illuminò David, disteso sul lenzuolo macchiato di sangue.

    – Puoi rivestirti – disse Cherah, quando la luce si fu spenta. – Sei a posto.

    Mentre David raccoglieva i suoi vestiti, l’Ufficiale Medico sostituì il lenzuolo sul lettino con uno pulito, e gettò l’altro nell’inceneritore. Si mise a sedere sull’unica poltrona dello studio medico, passandosi una mano fra i capelli scuri. – Sono distrutto, David – disse. – Non hai idea di quante persone siano passate di qua nelle ultime sei ore.

    – Quanti morti? – La voce di David era calma, inespressiva, come se niente lo riguardasse, ora che stava per andarsene.

    – Centosettanta. Tutto il Livello 5.

    David respirò. – Il mio ultimo giorno su questa nave.

    Cherah abbassò la testa, la prese fra le mani. – Erano anni che non vedevo tanti feriti. E abbiamo avuto fortuna.

    David colse con lo sguardo il riflesso della propria figura nello specchio che occupava parte della parete di fronte a lui. L’immagine lo stordì: non era nulla di conosciuto, nulla che potesse in qualche modo correlare ai suoi ricordi. Era uno straniero, un uomo alto e sottile, con i capelli castani e la barba scura, occhi grigi vuoti, in tuta da lavoro sporca e rattoppata. Su quella tuta erano cuciti i distintivi della Compagnia, e i gradi che lo indicavano come una persona importante, da non sottovalutare. Poteva avere trenta, quaranta o cinquant’anni, a seconda di come si volesse guardarlo: uno sconosciuto.

    – Sono io quello, Cherah? – domandò.

    L’Ufficiale Medico lo fissò senza vederlo.

    – Non posso crederlo, David… è così orribile. Centosettanta morti in due minuti, e quasi mille feriti.

    – Sono io – disse David dopo qualche secondo. – Quello sono io.

    Cherah respirò piano, sembrò scuotersi. – Dovrei avere un paio d’ore libere. Beviamo qualcosa? Devo assolutamente uscire di qui.

    – Certo, Cherah.

    Per un istante, nessuno dei due parlò. Entrambi erano assorti in pensieri che al tempo stesso cercavano di scacciare. David andò verso la finestra, diede uno sguardo fuori: lo spazio era un buio intenso, perforato a tratti da minuscoli punti di luce, stelle lontane. La grande sfera rossa del pianeta si muoveva sotto di lui, lentamente, seguendo il moto dell’orbita. Era così tranquillo, una pace celestiale. E solo pochi minuti prima quel pianeta, lo stesso spazio circostante avrebbero potuto essere distrutti… David sapeva cosa volesse dire sbagliare: ne aveva sperimentato gli effetti solo qualche anno prima. Ma sbagliare così…

    – Chi è stato il responsabile? – chiese Cherah. David continuò a fissare il buio che sembrava filtrare all’interno dello studio medico: – Responsabile. Responsabile è stato ognuno di noi, responsabili erano quelli che sono morti, quelli che hanno cercato di salvarsi la vita senza pensare che non sarebbe stato sufficiente. C’è un pianeta là sotto, Cherah. E noi lo abbiamo messo in pericolo. – La sua voce sembrava uscire da un’immensa tristezza. Cherah sospirò, cercando di scacciare le lacrime.

    – Come sta Sikha? – chiese David, lentamente.

    – Sta bene. Si riprenderà entro un mese, ma starà bene. – Tacque un istante, poi disse: – Vuoi salutarla?

    – Non lo so.

    – Per Sonya?

    David, finalmente, si voltò a guardarlo. – Sikha sa benissimo che Sonya non conta. Non quanto lei.

    – Dov’eri, quando è avvenuta l’esplosione?

    – Oh, maledizione. Stavo scopando con Sonya. E allora?

    Cherah fece un gesto che non voleva dire nulla e lasciò cadere l’argomento.

    – Comunque non importa – continuò David. – Né Sikha, né Sonya possono più significare qualcosa per me. Me ne vado, e loro restano qui.

    – Non riesco ancora a capire perché abbiano voluto licenziarti due anni prima del termine prescritto. Non sei ancora arrivato alla Barriera dell’Età.

    – Ridistribuzione del Personale, Cherah. Non mi daranno altre spiegazioni, e non posso fare nulla. Sbarcherò su quel pianeta – e indicò la sfera rossastra che galleggiava nel buio, oltre la finestra.

    – Kendall – mormorò l’Ufficiale. – Non sarà facile per te. Il denaro della Compagnia non compra la forza per sopravvivere nel Deserto. Dovrai ricominciare da capo.

    David sorrise amaramente. – Da capo! Cherah, non ti rendi conto di quello che dici. Tutta la mia vita è stata un continuo ricominciare da capo. Forse, se avessi potuto disporre di quei due anni, avrei potuto costruire qualcosa qui, con Sikha, e farlo durare. Ma non ho potuto. – Una breve pausa, poi: – Sai, a volte penso che i miei ventotto anni non significhino nulla. È come se… se non fossi mai nato. Non so niente, Cherah. Neppure quello che è appena successo significa qualcosa. È solo… un altro giorno. Un altro giorno, passato e dimenticato. Cherah – puntò l’indice verso il proprio riflesso nello specchio – quella persona mi è difficile riconoscerla, perché non l’ho mai conosciuta nella realtà.

    – Vorrei poter fare qualcosa per te.

    – Non può fare niente nessuno. Mi fermerò là forse per un anno, e poi me ne andrò, magari su Kanwa. Cercherò un liuto Chordawin, se avrò abbastanza crediti. Non so davvero se tornerò a casa. Almeno, non subito. Sharraxi non sarebbe più lo stesso, per me.

    – Vuoi davvero un liuto Chordawin?

    – Mio padre mi ha insegnato a suonarlo, e mi è costato fatica. Quello strumento è l’unica cosa che desidero veramente. È un’idea che mi ossessiona. Qualcuno ne parla come di un simbolo di dominio. – Scoppiò in una breve risata. – Immagina.

    La loro conversazione fu interrotta da una voce che proveniva dall’altoparlante sulla parete. Ora non si trattava più di un avviso di emergenza, e le parole risuonarono con calma nella stanza:

    ATTENZIONE PASSEGGERI IN TRANSITO

    ORE 8 E 35 MINUTI ALLO SBARCO

    – Devo lasciarti, Cherah – disse David. – Non ho neppure preparato il mio bagaglio.

    – Ci vediamo in Sala di Ristoro. D’accordo?

    David annuì. – Entro un’ora. – Aprì la porta scorrevole, e stava già per uscire, quando si voltò di nuovo verso Cherah. Chiese: – Quando potrò vedere Sikha?

    – Quando vuoi. Ma non affaticarla.

    David si chiuse la porta alle spalle.

    L’alloggio del Segnalatore Primo non era per nulla diverso da quelli dei comuni passeggeri e dell’equipaggio dello Spedizioniere Eukynes, in servizio sulle Linee di Corrente R-58 e R-39, da Beta Shingtauri IV a Omnerstark e ritorno. Molti pensavano che al comandante della nave venisse riservata una sistemazione lussuosa; David sapeva che non era così. La sua stanza, ora gli sembrava più vuota e squallida di ogni altra.

    – Sei davvero sicuro di voler scendere su Kendall?

    – Da quando ti interessa quello che voglio?

    Sonya Vierle era una piccola e angolosa donna di Sharraxi. David si era trovato spesso a paragonarla a Sikha, e il confronto era sempre stato impietoso. La sua Alba Dorata era appassionata e gentile, forte; Sonya era bella, ma di una bellezza dura e scostante, senza altre qualità. David non sapeva cosa lo attraesse in lei: forse quella violenza, quella forza sensuale che lo catturava. Ma era certo di non amarla davvero. Non quanto Sikha.

    – Sei cattivo – gli disse abbracciandolo nel buio della stanza, mentre le loro gambe si intrecciavano. – Sai che mi dispiace vederti andare via.

    David era stanco. Fare l’amore con Sonya era molto diverso dal farlo con Sikha: più intenso, ma non rilassante. Non si sentiva mai bene, dopo.

    – Non durerà molto – disse. – Non sei abituata a stare da sola.

    – Mi mancherai – mormorò lei, accarezzandogli il petto. – Mi mancheranno le notti con te.

    Le notti, pensò David. Non i giorni, non il tempo. Le notti. Come era diversa da Sikha!

    – Non potrei sopravvivere in un ambiente ostile come la Compagnia – replicò. – Sono vecchio. Ventotto anni sono una vita, e io l’ho vissuta. – Si alzò a sedere sul letto, e disse piano: – Non dovresti essere qui. Non dovresti. – Il suo sguardo si perse nella penombra che circondava la finestra poco lontana. Sonya si rilassò, intrecciando le mani dietro la nuca. Sorrise: – Non dovrei? Ah, capisco. Dovrebbe esserci Sikha, qui, al mio posto… la tua Alba Dorata. Dove hai trovato quel ridicolo nomignolo?

    Lui non la guardò: era abituato alle sue frecciate. – Non è un nomignolo. È il nome di un personaggio delle Leggende. Na’dheas Rei, Sonya. Sei una Sharraxi poco rispettosa delle tradizioni sacre.

    – Tradizioni, rituali. A cosa servono, per creature razionali come noi? Comunque, posso capire che tu preferisca lei a me. Ha un bellissimo corpo. Le donne di Kendall sono le più graziose del Sistema. – Lo disse con indifferenza. – Ma come mai adesso sei qui con me?

    – Non capisci niente, Sonya. È una questione di… separazione. Sto per andarmene, e devo abituare lei e me stesso all’idea che non ci vedremo più. Devo tagliare netto, non darle la possibilità di ricordarmi ancora.

    Sonya rise. – Parli come un libro stampato, David. Una commedia, per la precisione. Di’ la verità. Forse lei ti piace perché è carina, ha delle belle gambe… ma quelle sono stronzate. Quello che conta è che io scopo molto meglio.

    – Piantala. Non sai offrire altro, ma ti lamenti che ti usino solo per quello. – Si alzò in piedi. – Me ne vado, e tu sei l’ultima persona a cui penserò.

    Più lui cercava di ferirla, più lei sembrava divertirsi. – Tanti auguri, caro.

    Il boato le bloccò le parole in gola. Era stato un enorme gorgoglio, un sussulto della nave che aveva scagliato David contro la parete.

    – David! David! – gridava Sonya, ma lui si era rivestito in fretta, ed era corso fuori dalla stanza per vedere cosa fosse accaduto alla sua nave.

    L’esplosione del Motore a Fusione non aveva distrutto parti vitali della nave, ma un intero Livello Abitativo era stato polverizzato. Un errore di calcolo nel controllo del flusso di carburante, proprio al rientro nello spazio normale, al termine del Salto Lineare… se la distorsione spaziale fosse divenuta degenerante, un angolo di universo avrebbe potuto svanire.

    Quello doveva essere l’ultimo giorno di David Tschander sull’astronave della Compagnia Eukynes.

    – David?

    – Sono qui.

    Era difficile riuscire a sopportare la visione del volto di Sikha. Nella luce fredda fluorescente del Reparto Medico, mentre lei giaceva immobile sul letto con la gamba fratturata chiusa nell’automedico, quel volto sembrava una sottile linea di luce sulla quale ricadevano i lunghi capelli neri. La pelle scurissima faceva risaltare il rosso acceso delle sue labbra, e il khawat’ohwé sembrava brillare. Era difficile guardare quella donna sapendo che sarebbe stata l’ultima volta.

    Era cosciente. David aveva temuto per un momento che non sarebbe riuscita a connettere, dopo il trauma del Livello 4; ma lei lo stava fissando con quei suoi occhi verdi, e capiva benissimo.

    – Come va la gamba? – chiese. Lei cercò di sorridere, ma la sua voce era spezzata. – La frattura si è complicata quando mi hai spostata, ma andrà a posto. – Vi fu una breve pausa. – Te ne vai, David – mormorò poi, abbassando gli occhi. – Mi stai lasciando.

    Lui sapeva che Sikha avrebbe pianto; avrebbe voluto evitarlo, ma sapeva che le abitanti del Lato Illuminato di Kendall erano fastidiosamente inclini alle lacrime. Questione di shantihstreen, pensò. Infatti, la donna iniziò a singhiozzare debolmente.

    – Sikha, è solo per poco.

    – No. – Lei non lo stava guardando. – È per sempre.

    Cosa poteva fare? Sikha aveva firmato un Contratto Parziale con la Compagnia per lo Sviluppo dei Mercati Planetari nel Sistema, che la impegnava fino a venticinque anni; avrebbe dovuto svolgere, dunque, almeno altri tre anni di servizio. Lui non poteva aspettarla, e lei non poteva dimettersi: aveva troppo bisogno del denaro della Compagnia. David si piegò su di lei, seduto al suo fianco, e baciò quelle labbra che assomigliavano tanto al fuoco che per poco non aveva ucciso entrambi.

    In quel momento, fu avvolto da una fragranza che conosceva: whadswat’nakir, il profumo rituale delle donne keneri, Sikha ne aveva tolto un po’ dall’ampolla che portava sempre al collo, e se ne era profumata. Per lui? Certo, per lui. David sapeva che questo, nel linguaggio keneri, significava molto.

    Sikha alzò gli occhi verso di lui, mentre le lacrime le scorrevano sul volto. – David – disse, – non andare. Kendall ti distruggerà, ti ucciderà.

    – Devo. È la mia sola possibilità.

    – Ma io voglio essere insieme a te. – Respirò a fondo: – Shi’ke abhot nu’ha’wathe shamshal.

    David sobbalzò. Sikha doveva amarlo molto, o non gli avrebbe detto quelle parole. E lui sarebbe stato felice di sposarla, ma non poteva. Giurarle una fedeltà falsa? Perché assecondarla nella sua illusione? Se anche fosse tornata su Kendall, le probabilità di un loro incontro erano minime. Se ora avesse dato il responso formale all’invito, le avrebbe tolto la possibilità di crearsi una famiglia con un altro uomo e vivere con lui stabilmente; il shi’ke abhot era una promessa sacra, inviolabile. Come poteva impegnare lei e se stesso in quel modo?

    – David… Non vuoi rispondermi?

    – Sikha…

    – Credevo che mi amassi. Come io amo te, e Odheg sa se ti amo.

    – Ma io ti amo molto, Sikha. Se…

    – Allora perché non mi rispondi?

    Lui esitava ancora. Il volto di Sikha divenne rigido, in un dolore tutto contenuto. – Non mi vuoi, David. È così?

    – Hai frainteso. – Cercò le parole adatte, ma non riuscì a trovarle. Disse: – Xavier…

    – Non voglio Xavier – gridò lei. – Voglio te. So che sei andato a letto con Sonya, ma non mi importa. Tu non la ami, come io non amo Xavier.

    David si sentì aggredito. Di scatto, senza pensare, disse: – J’kizho hal’dari ko’nowhe – nel suo Yul impreciso e gutturale. Dopo una frazione di secondo, si rese conto che nessuno dei due, ora, poteva più tornare indietro. Ma il volto della donna si illuminò.

    – Oh, David – esclamò, attirandolo a sé per baciarlo con una forza, un desiderio insospettati. Quando si furono separati, la donna slegò dal collo la treccia di pelo di hakteri alla quale era appesa l’ampolla del whadswat’nakir, un liquido azzurro cupo striato d’argento. – Io ti affido il pegno del mio amore – gli disse, con voce cerimoniosa e fece passare la treccia intorno al suo collo. – Ora siamo uno solo, fino al momento in cui il Nowhe’abwut ci unirà completamente. – David pensò al rituale celebrato nella Huwutky dal vecchio Yisare, ma si trattava di pura fantasia. Non si sarebbero mai sposati, perché non era possibile.

    Sikha strofinò la fronte contro la sua, in un gesto keneri. Mormorò: – Mio David, come vorrei fare l’amore con te. Come vorrei, ancora una volta. Se non fossi così rinchiusa.

    Perché l’ho fatto? pensò David. Perché l’hai fatto? È assurdo, mia Alba Dorata. Io non sono nessuno, e tu vuoi essere la mia sposa. Non sono un Keneri: sono uno straniero, non conosco il Deserto e neppure l’oceano. Kendall è un mondo di sabbia e mare, un emisfero sempre esposto al sole e un emisfero di notte eterna. Come puoi pensare che io possa dividere con te l’uno o l’altro?

    Pensò che un voto come il shi’ke abhot, in questo caso, non poteva servire. Era impossibile pensare di rispettarlo quando la separazione era definitiva. Sikha non poteva accettarlo, ma per David era un fatto. E quello che gli pesava era che Sikha, da vera donna keneri, avrebbe prestato fede a quel giuramento, mentre lui se ne sarebbe presto dimenticato. Come se qualcuno avesse cancellato tutto ciò che erano stati e avrebbero potuto essere.

    Una vita che torna alla memoria.

    – Pensi che la Compagnia potrà aiutarmi?

    – Su Kendall il denaro della Compagnia non conta molto, David. Quello che vale è la capacità di prendere un hakteri in corsa, o di colpire un khanu’aawhke mentre cerca rifugio tra le pietre. E queste sono cose che non si possono pagare. Le impari da giovane, seguendo il gherd’kwyle, o le impari da vecchio, solo, con molta più fatica.

    David osservò Cherah, mentre sorseggiava la bevanda dal colore bruno. Si chiese come potesse conoscere tanto bene i pianeti di quel settore. Ai Reparti di Scelta la sua materia secondaria, oltre a Medicina, era stata Planetologia, ma certamente la sua sicurezza non poteva venirgli solo da quel tipo di ricerca.

    – Se non altro – disse – so parlare Yul.

    Cherah si accomodò sulla poltrona, fissando il pianeta rossastro dall’enorme vetrata panoramica, e annuì. – È già qualcosa. Dove andrai?

    – Un villaggio che si chiama Murke, sulla costa settentrionale del Lago Theri. Avrò un alloggio da Funzionario comune, e duecentosedicimila crediti di liquidazione. Tutto qua, Cherah. – Bevve un sorso della sua bibita, un liquore di Omman che sapeva vagamente di zafferano. Fissò il bicchiere, e disse: – Sai, ho cercato spesso di pensare a tutto questo come a qualcosa di molto divertente, molto comico. Ho anche riso. Sul serio. Pensavo che avrei potuto usare questi due anni che ho di vantaggio sui Funzionari comuni per divertirmi un po’, spendere i miei soldi in donne e serate a Hepta’Kirin, e magari convincermi che, in fondo, il fatto che mi avessero licenziato non fosse un male, anzi, che avevo avuto fortuna. – Scosse la testa. – Poi pensavo alla mia vita futura su questo pianeta sotto di noi e non ci trovavo più niente di divertente. La Triade è la zona più accogliente di Kendall… sai cosa voglio dire. – Fece un gesto con la mano. – Là, almeno, puoi uscire all’aria aperta senza paura di arrostire. Ma non sarà facile. Non sarà piacevole. Eppure è l’unica scelta che ho.

    Cherah ascoltava, in silenzio. David ordinò ancora da bere, e, mentre aspettavano di essere serviti, iniziò a perdersi nei suoi pensieri. Parlò lentamente, con calma, come faceva sempre quando si confidava a qualcuno.

    – Ho trascorso gli ultimi undici anni nella Compagnia, Cherah. Mi hanno addestrato come Integratore, Navigatore, Segnalatore… grande Shakkai. È tutto da gettare via. Non mi servirà più a nulla. È stato solo… un episodio nella mia vita. – Rise, brevemente. –Un rumore sordo provenne da un punto imprecisato sopra di loro, e David sorrise. – Senti? Hanno aperto l’attracco per la Navetta spola. Non dovrebbe mancare molto alla partenza. – In quel momento, l’altoparlante annunciò:

    ATTENZIONE PASSEGGERI IN TRANSITO

    ORE 2 E 26 MINUTI ALLA PARTENZA

    – Non sono stato comandante di questa nave abbastanza a lungo perché mi dispiaccia abbandonarla – disse, mentre il barista serviva loro da bere. – Ma… sento che qualcosa di me si sta perdendo. Qualcosa che non potrò mai portare con me. E non so se esserne felice, o cos’altro.

    – Non preoccuparti per la Compagnia, David. Anch’io me ne vado per la Barriera dell’Età. I Dirigenti non si danno peso di noi.

    – Non è questo, Cherah – disse David. – Vorrei… vorrei solo sapere quanto resterà in me di quello che ho imparato negli ultimi undici anni.

    – Non ha senso che ti preoccupi di questo.

    – E invece sì, Cherah… perché ho paura.

    – Paura?

    – Sì… di conoscere la risposta.

    2

    Un comportamento estremamente infantile

    Non chiedetemi cosa sia il Cosmo. Non possiamo neppure essere certi che ve ne sia uno solo. Ma se noi siamo racchiusi e limitati in questo particolare orizzonte in cui dobbiamo necessariamente muoverci, se vogliamo pensare a questo come il Cosmo, allora è comprensibile che mi si rivolga questa domanda. A mia volta, io l’ho domandato al Cosmo stesso, usando la lingua della mia matematica metlogica. E oggi mi presento a questo Concilio con la risposta che i miei calcoli hanno disvelato. La risposta è: oltre la struttura cosmica su grande scala che possiamo solo percepire, senza comprenderla in tutta la sua vastità, ve n’è una ancora superiore, e molto più semplice.

    Bia Huddar

    Un altro giorno, passato e dimenticato…

    Quando il portello fu aperto, la luce del sole colpì David come una mazzata. Gli ci volle qualche secondo per adattarsi all’ondata di calore che lo aveva investito non appena era uscito sulla piattaforma dell’Astroporto di Waddhar. Iniziò a sudare, mentre, con un trasporto AG, portava il suo bagaglio al Braccio Arrivi Interplanetari, e pensò: Oh, bene. Mi ci dovrò abituare.

    Non c’era una nuvola nel cielo azzurrino di Kendall. La temperatura, anche lì, nella zona meno calda del pianeta, doveva essere elevatissima, e l’aria era secca.

    Spostò lo sguardo verso le montagne alla sua destra. In lontananza c’era il Grande Muro, ben visibile nonostante fosse molto distante; più oltre stava il Deserto, la Grande Pianura. Il Deserto nel senso più completo del termine, una creatura viva, mobile, dotata di tentacoli protesi fino a toccare la regione dei Tre Laghi.

    David si chiese come potessero sopravvivere i Keneri di quella regione, e la risposta fu immediata: sotto la terra…

    – No – disse il giovane Funzionario.

    David rimase allibito. – No? E perché no?

    Il giovane alzò la faccia scura, e David si rese conto per la prima volta di quanto fosse scura in effetti. La pelle dei Kendalli del Lato Illuminato era quasi nera: un tratto somatico evolutivo. E quella faccia scura lo stava guardando con indifferenza.

    – Ordini della Compagnia – disse.

    – Cosa? Ordini! E della Compagnia, poi! Ma lo avete visto, questo? – e indicò il Visto speciale certificante che David Amshinygri Tschander era un ex-Segnalatore Primo, e come tale gli era dovuto il massimo rispetto. Il giovane non si scompose neppure per un secondo: – Sono consapevole di quello – ribatté, in tono sarcastico. – Ma non posso permettervi di raggiungere Murke.

    – E perché?

    – Ordini.

    – Della Compagnia.

    – Precisamente. – Il giovane frugò in un mucchio di incartamenti alla sua destra, e, dopo circa un minuto durante il quale David pensò di stare per esplodere, estrasse un foglio azzurrino. In trasparenza si vedeva il sigillo della Compagnia, ma non cosa vi era scritto.

    Il Funzionario grugnì. – Uhmmm… – e annuì con la testa, come se fosse stato presente il Coordinatore in persona a dargli istruzioni, anziché un foglio di carta. – Hmmm…

    – Allora?

    L’altro non alzò neppure gli occhi. Prese il suo visto, lo controllò da cima a fondo, glielo porse di nuovo. Prese il Pass Intersistema, che aveva già accuratamente esaminato pochi minuti prima, lo lesse ancora. Squadrò David, come se i connotati e la termofotografia stampati sul foglio sintetico non corrispondessero all’individuo che gli stava davanti, poi scarabocchiò qualcosa su una delle pagine.

    – Senta – iniziò David. – Io sono un ex-Segnalatore Primo. Ex – aggiunse, alzando leggermente la voce. – Qualsiasi cosa la Compagnia dica o faccia, non mi riguarda più. Capisce?

    L’altro alzò la testa e sorrise. – Capisco perfettamente.

    – La Compagnia mi aiuterà, se… se dovessi avere problemi. È una cosa comune a tutti quelli che come me non sono più in servizio. Ma le decisioni che prende non mi riguardano più. Capisce?

    – Capisco – disse quello, con un largo sorriso, mostrando tutti i suoi denti lampeggianti. Aveva uno smeraldo incastonato in uno degli incisivi superiori, e David vide qualcosa di cui non si era reso conto fino a quel momento: appena sotto i suoi occhi c’erano due corte linee nere orizzontali. Non era truccato, perché nulla di simile al trucco era conosciuto, su Kendall. Poi ricordò che si trattava di Odhenak, il Dono di Odheg: segno della maturità negli uomini.

    – Ma anche lei deve capire me – continuò il Funzionario. – Io non faccio altro che eseguire i miei ordini. Questa – e gli diede il Pass, aperto al punto in cui aveva scritto – è la sua nuova destinazione.

    – Netha! – gridò lui. – Volete mandarmi all’isola di Kimma? Ma siete pazzi! Sono più di quattromila nahmar!

    Il Funzionario Controllore replicò semplicemente: – Disponiamo di ottimi ed efficienti aeroveicoli. – Si stava già occupando di altri passeggeri appena sbarcati.

    David gridò: – Dovevo andare a Murke! La Compagnia mi aveva assicurato che non…

    – La Compagnia le darà tutto l’aiuto necessario.

    David non aveva sentito parlare per niente bene della città di Netha.

    – Voglio vedere il Procuratore del Selwaere di Sharraxi! Subito! Voi non potete farmi questo!

    – II Procuratore sarà a sua disposizione fra un Segmento Tempo.

    – Diciotto ore!

    – Un Segmento Tempo.

    David non disse nulla. Molti abitanti di Kendall non erano ancora in grado di misurare il tempo in ore standard; per loro esistevano solo i Segmenti Tempo e le Fasi Lunari.

    Pensò con nostalgia al mondo su cui era nato, Sharraxi, dove ci si poteva rendere conto che il tempo fluiva continuamente. Su Kendall, un mondo che rivolgeva al suo sole sempre la stessa faccia, non c’era modo di capire che la vita scorreva lentamente. Anche le stagioni portavano cambiamenti di clima così impercettibili che per la gente comune non esistevano.

    – Cerchi di mettersi a suo agio, signor Tschander – continuò il giovane. – Provi a visitare il Museo al terzo livello: sarà una piacevole esperienza. Non getti la sua vita alla sabbia.

    David sospirò. Aspen’ashan: Non spargere la vita sulla sabbia. Uno dei comandamenti morali più importanti, per la gente di Kendall, indice di un profondo senso della vita…

    Perché nel giorno eterno sarai vecchio prima che bambino.

    Lasciamo perdere, pensò. Aspettiamo il Procuratore.

    Si accomodò su uno dei sedili dell’atrio dell’Astroporto di Waddhar, e pensò che doveva esserci qualcosa di comico in tutto questo, qualcosa di cui ridere. Avrebbe davvero voluto trovarlo.

    Il Procuratore del Selwaere di Sharraxi si chiamava Harken Zuwel, ed era un tipetto di mezza età vestito di verde, che si lisciava continuamente i capelli bianchi. Delicato, nel senso peggiore della parola.

    David lo aveva odiato fin dal momento in cui era entrato nel suo ufficio, al quarto Livello dell’Astroporto. In quell’istante, l’amarezza e

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