Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Quel che resta della Kronos: Kronos 3
Quel che resta della Kronos: Kronos 3
Quel che resta della Kronos: Kronos 3
E-book506 pagine6 ore

Quel che resta della Kronos: Kronos 3

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (384 pagine) - Il romanzo conclusivo della pluripremiata trilogia Kronos - Romanzo vincitore del Premio Italia e del Premio Vegetti 2016


La Kronos è qualcosa di più di una multinazionale, di un'azienda globale: le sue mani si estendono oltre la Terra in un'alleanza con gli alieni provenienti da Algheron, le cui reali intenzioni però oscure. Il detective Ted Torres cerca di opporsi alle trame della corporation, ma la situazione precipita: è in arrivo una nuova guerra mondiale, che causerà centinaia di milioni, forse miliardi di morti. Ma chi sta spingendo le cose in questa direzione, e per ottenere che cosa? E chi è Guss, l'alieno ritrovato tra gli asteroidi?

Si conclude una grande trilogia che ha raccolto ben tre Premi Italia e un Premio Vegetti, confermando Claudio Chillemi tra i più brillanti narratori della fantascienza italiana.


Claudio Chillemi,  nato a Catania nel 1964, insegnante, ha pubblicato numerosi racconti, romanzi e opere teatrali per ragazzi. Ha vinto due volte il Concorso Nazionale Teatro e Natura e nel 2000 il premio per il teatro scolastico Arte Per La Pace, e diverse volte il Premio Italia per il miglior racconto di fantascienza. Ha fondato, insieme a Enrico Di Stefano, la rivista amatoriale Fondazione. Tra le sue opere più importanti i romanzi Federico piccolo grande Re (2005) e Kronos (2009). Nel 2014 ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Fantasy and Science Fiction il racconto scritto con Paul Di Filippo The Panisperna Boys in Operatin Harmony, una ucronia dedicata alla figura di Ettore Majorana.

LinguaItaliano
Data di uscita17 set 2019
ISBN9788825409895
Quel che resta della Kronos: Kronos 3

Leggi altro di Claudio Chillemi

Correlato a Quel che resta della Kronos

Ebook correlati

Fantascienza per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Quel che resta della Kronos

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Quel che resta della Kronos - Claudio Chillemi

    9788825409529

    A mio padre

    e al suo leggendario equilibrio psicologico.

    Prologo

    E il sole esplose senza svanire. Un boato, come di una stella che collassa. Un boato, poi nulla. Per parecchi secondi il nulla.

    Le orecchie stordite dal suono sorde come nello spazio profondo.

    Nulla che tintinnasse, deflagrasse, si scomponesse. Eppure, negli occhi, tintinnii, deflagrazioni, scomposizioni. Di pezzi di esseri umani, di mura, di autoveicoli, di asfalto, di ossa.

    Un boato e il silenzio lungo un istante. Poi tutto ricadde al suolo e il suono ritornò ai cervelli che tutt’intorno erano rimasti in vita. Alle menti richiamò immagini antiche e immemori, di edifici crollati, di un mondo spazzato via.

    Sirene, urla, spari, pianti e disperazione. Non necessariamente in quest’ordine, non necessariamente in questa desolazione. Chi barcollando procedeva diritto cercando una via di fuga; chi, fuggendo, procedeva zigzagando tra le macerie fiammeggianti di ammassi informi.

    Laggiù c’era una spiaggia. C’erano persone felici. Lassù c’era una torre che accarezzava il cielo; là in fondo una strada, una lunga passeggiata di botteghe e negozi; nella piazza tavolini imbanditi, ragazzini giocosi, fiori sbocciati; un ristorante con coppiette disinibite; tutto intorno un tempo diverso.

    E le persone correvano, le persone cozzavano, le persone s’inginocchiavano, le persone che non erano persone si ritrovavano. Un continuo chiamarsi, un continuò toccarsi, un continuo e inerme domandarsi cos’era accaduto, cos’era avvenuto di quello che era stato il passato di appena trenta secondi più vecchio del presente.

    Ed ecco arrivare la gente, quella gente che non aveva vissuto il boato, non aveva conosciuto il silenzio di macerie cadenti. Quella gente vestita di bianco, uno, cento, mille, diecimila soldati vestiti di bianco. Un bianco accecante alla luce di un sole più nudo, spogliato da un clima distratto.

    Imbracciavano armi lucide e trasparenti come spade di ghiaccio. I loro colpi, silenziosi, recidevano le vite sospese, e ne recidevano altre più certe con solenne pietà.

    Sogni infranti, vite capovolte, senza il tempo di avere paura.

    Poi venne lui, vestito di nero. Scese da un gradino di una piccola scala. Solenne, marziale. Lui era la luce. Lo videro come la luce, quegli occhi che a mano a mano si andavano spegnendo. La luce su cosa era accaduto.

    I suoi occhi si guardarono intorno, sorrisero socchiudendosi appena; le sue mani toccarono l’arma appesa alla vita; volteggiarono in aria per dare ordini senza parlare.

    Un nuovo sogno e una nuova vita si stavano formando, senza credere alla paura.

    Il nero si confondeva col fumo, il nero si perdeva nello spazio, il nero comandava sul bianco dei soldati impazziti. E tutti a chiedersi: chi era costui, i cui ordini seminavano il panico?

    I morenti non lo ricordavano affatto, tanto lontano era vissuto. Ma i più vecchi strinsero i pugni appena lo videro, i più vecchi sapevano.

    I più vecchi avevano temuto per anni il suo pazzo ricordo.

    I più vecchi avevano temuto per anni il suo pazzo ritorno.

    E così era stato.

    Killer Jack era tornato.

    1

    Dieci mesi prima. Cintura di asteroidi. Nave spaziale Kronos II

    Il capitano Mary Bean dormiva nella sua cabina.

    L’aveva ricavata a poco più di tre metri dalla sala motori della sua astronave. Le piaceva cullare i propri sonni ascoltando il pulsare regolare del motore a ioni. Non se la sentiva proprio di passare il suo tempo sul ponte A, vicino alla plancia, accanto agli altri ufficiali. Sapeva che il motore era il vero cuore della sua astronave e in quel cuore sentiva battere anche il suo.

    Navigava nello spazio da quasi dieci anni. Da quando aveva deciso di rompere con la sua famiglia e con suo fratello, il capo supremo, il magnifico e onnipotente Ronald Bean III; quello che le aveva tagliato le trecce da bambina, che l’aveva costretta a sposare l’uomo che ora era il suo ex marito, e che per punirla del suo atto di ribellione contro la Kronos l’aveva obbligata a lavorare su un trasporto spaziale ai margini del sistema solare. Punizione l’avevano chiamata, ma per lei era il paradiso.

    Tranquilla, con i suoi ventitré uomini di equipaggio. Serena, accanto al motore che lei amava. Discretamente lontana dalla sua famiglia. Assolutamente in sintonia con i compagni di viaggio, una delle poche donne in un gruppo a maggioranza maschile. Certo, non era la missione più intrigante del mondo andare in giro per la cintura di asteroidi alla ricerca di materie prime, ma tant’è, sempre meglio che restare a casa sua, con uno stuolo di servitori che le avrebbe impedito anche di prepararsi un caffè.

    Il rifiuto per la ricchezza era, appunto, il suo peccato originale. Non si era mai vista una Bean che rifiutasse il denaro e il potere che la sua famiglia forniva in così grande profusione. Non le interessava passare il suo tempo a elaborare trame sempre più fitte per impossessarsi di quella società o di quella nazione. Voleva costruirsi una sua vita. Ecco perché, contro tutti, si era laureata in ingegneria aerospaziale e aveva intrapreso un’anonima carriera nella flotta mercantile della Kronos, appena pochi giorni dopo aver buttato fuori di casa il marito. Questo aveva mandato su tutte le furie Ronald che l’aveva piazzata al comando di quell’astronave mineraria e l’aveva spedita ai confini delle rotte commerciali aerospaziali.

    Non se ne era affatto pentita. La tranquilla monotonia di una missione lontana dalla Terra l’appagava profondamente. Lo stare lontana dalla sua famiglia, ancor di più.

    Dormiva, quindi, nella beatitudine di un letto modesto, in una cabina modesta, dentro un’astronave modesta, quando il suo secondo in comando la chiamò con l’interfono.

    – Capitano Bean in plancia!

    Mary si alzò lentamente, diede una sbirciatina al piccolo oblò che le permetteva di guardare lo spazio e vide che il paesaggio era sempre lo stesso: pietre vaganti.

    – Cosa diavolo c’è? Altre anomalie?

    – Abbiamo trovato qualcosa.

    – Non mi dire? Cos’è, un elemento transuranico adesso?

    – Tracce di un metallo sconosciuto.

    – Sconosciuto? Intendi, sconosciuto alla razza umana?

    – Proprio questo…

    Mary si strofinò il viso con la mano destra e cercò di riacquistare la piena coscienza bevendo un lungo sorso di caffè da un termos accanto al suo letto. Da diversi giorni, ormai, avvistavano, sondavano, percepivano stravaganze spaziali. Quella non era quindi la prima di queste stravaganze e, ci avrebbe scommesso, non sarebbe stata l’ultima.

    – Sto arrivando – borbottò distrattamente, stufa di inseguire quelle chimere senza nome e senza volto.

    Si rivestì alla bell’e meglio, non badava certo alla forma; e il pudore, dopo quasi venti mesi di promiscuità con il resto dell’equipaggio, non era proprio una delle sue preoccupazioni principali. Indossò, pertanto, la giacca della divisa sul torso nudo e un paio di scarpe con compensatori di gravità artificiale, e uscì dalla cabina in mutande.

    Incrociò l’addetto alla sala macchine, Sam, l’unica altra donna dell’equipaggio, che la salutò con un gesto del capo, quindi si arrampicò sulla scala che l’avrebbe portata in plancia e superò con estrema agilità i venti gradini che la separavano dalla meta.

    Qui una saletta non più larga di cinque metri e non più lunga di sei rappresentava il ponte di comando dell’astronave. Un paio di uomini erano intenti a guardare su degli schermi tridimensionali che emettevano strane scariche statiche, mentre innanzi si parò subito un uomo bassino, con una barba incolta e gli occhi scavati da profonde occhiaie.

    – Cosa c’è, Harry? Ancora queste anomalie? Stanno iniziando a stufarmi.

    – Ecco qua, guarda anche tu. È incredibile!

    Harry Musentolf, suo collaboratore da dieci anni, uno che a chiamarlo vecchio lupo dello spazio non si sarebbe certo esagerato. Di cose strane ne aveva viste e non usava l’aggettivo incredibile tanto facilmente.

    – Uhmm – mormorò Mary, frastornata dai dati che si trovò innanzi. – Strano è strano, dov’è?

    Il suo secondo accese lo schermo principale che ricopriva tutta una parete della plancia ed evidenziò con le mani un settore dello spazio che apparve innanzi a loro.

    – Asteroide 1478, diametro 568 metri, composizione ferro, nichel, e… qualunque cosa sia questa – concluse indicando il foglio elettronico che aveva in mano.

    – Avviciniamoci, lentamente.

    A quel comando uno dei suoi uomini iniziò ad armeggiare con un touchscreen innanzi a lui e l’astronave si mosse. La manovra di avvicinamento durò non più di una trentina di secondi che bastarono a percorrere i quasi dieci chilometri che li separavano dall’asteroide 1478.

    – Avviciniamoci a cento metri dal punto di interesse – disse Mary.

    I suoi uomini eseguirono con precisione l’ordine.

    – Scansione sullo schermo.

    Un’immagine, dapprima sfocata, poi a mano a mano sempre più nitida, mostrò una sagoma vagamente cilindrica di colore giallastro con venature rosse.

    – Sarebbe quello il metallo? – chiese Mary guardando il suo secondo con un ghigno stampato in faccia.

    – Già!

    – Sai cosa vuol dire?

    – Che quella cosa non è naturale, e dai colori si direbbe cinese – grugnì Harry facendo roteare gli occhi.

    – Sono arrivati fin qua, ed era ben chiaro nei patti che questa zona appartiene alla Kronos… Ecco scoperta la ragione di tutte le anomalie registrate negli ultimi venti giorni.

    – Sì, potrebbe essere una delle ragioni. Ma non escluderei anche altre ipotesi – disse Harry osservando a lungo i dati. – Abbiamo rilevato fonti di energia sconosciute, metalli sconosciuti, onde gravitazionali sconosciute. E se non si trattasse affatto di cinesi? – chiese titubante.

    – Cosa intendi dire? – domandò Mary incuriosita.

    – Potrebbe non essere opera della razza umana – rispose Harry scegliendo con attenzione ogni parola.

    I presenti si guardarono con volti perplessi. Chi avesse scrutato attentamente avrebbe notato che, in cuor suo, ognuno era consapevole che l’ipotesi aliena non era certo la più peregrina.

    – Abbiamo mandato migliaia di sonde nel sistema solare, e da anni navighiamo su e giù tra la Terra e Marte. Abbiamo scoperto tracce di vita microscopiche e semplici, ma… – considerò Mary – mi sembra improbabile non aver incontrato prima questi alieni – concluse tirando quasi un sospiro di sollievo per la spiegazione che si era data.

    – E chi ti dice che siano di questo sistema solare? – chiese Harry mostrando un foglio elettronico con tutti i dati accumulati.

    Mary scosse la testa come a voler scacciare un brutto pensiero e allontanò gentilmente con una mano il dispositivo che Harry le porgeva.

    Si avvertì, allora, il caratteristico cicalino della sala macchine che chiamava la plancia. Samantha Sheppard, l’ingegnere capo, non era donna da restare con le mani in mano e aveva subito notato qualcosa che voleva riferire ai piani alti.

    – Capitano, Sam ci informa che riceve segnali di attività energetica dall’oggetto, probabile presenza di un motore a propulsione sconosciuta. – Era Pad, l’addetto ai sensori, che riferiva; un giovane smilzo e brevilineo che era salito a bordo appena dieci mesi prima.

    – Sam, sei sicura di quello che rilevi o sei ancora sotto l’effetto di quella fottuta rosa?

    La rosa, una droga psionica largamente usata e tollerata nei lunghi viaggi spaziali, era il vizio di molti astronauti, e quindi anche di Samantha Sheppard che, per nulla umiliata dalle parole di Mary, rispose subito per le rime.

    – Sono sobria come te e Pad, capitano. Quello è un motore sconosciuto, mi ci gioco la mia razione di sigarette di tabacco.

    – Un motore? Sarà una fottuta astronave, allora! – Mary Bean era su tutte le furie.

    E aveva tre buoni motivi per esserlo.

    In primo luogo doveva contattare la Terra e parlare con suo fratello Ronald o chi per lui, e questo non le andava proprio giù.

    In secondo luogo doveva abbandonare la sua sicura routine di roccia dopo roccia per dirimere una questione diplomatica. E la diplomazia non era per nulla il suo forte, se no non sarebbe finita là dove si trovava. Ma, d’altro canto, se c’erano di mezzo i cinesi, gli stessi cinesi che avevano firmato con la Kronos un trattato di non interferenza, l’unica soluzione possibile era quella diplomatica. Se c’erano di mezzo gli alieni, invece, la soluzione diplomatica era l’unica auspicabile.

    In terzo luogo le sarebbe toccata una passeggiata spaziale in assenza di gravità per andare a ispezionare quell’astronave o qualunque cosa fosse e lei odiava la gravità zero, le faceva venire il voltastomaco e le procurava un’insonnia persistente.

    Insomma, si trovava in un vicolo cieco; e come tutti i vicoli ciechi, aveva solo una via d’uscita. Prese fiato e la imboccò.

    – Pad, chiamami la Terra. Voglio parlare con gli Affari Esterni, voglio Arthur Bean, in persona. Non mi accontento di meno. Harry, prepara le tute, scendiamo su quella cosa. E… qualcuno vada nella mia cabina a prendermi i pantaloni, sono stanca di stare seduta in mutande poggiando le chiappe su queste fredde sedie di pelle artificiale.

    2

    Crown, tempo presente

    Il suono del comunicatore irruppe nella notte con insolita frequenza.

    Il classico beep aveva un intervallo diverso, come ritardato.

    Ted si svegliò, per questo, molto più lentamente. Si passò una mano sul volto per riprendere coscienza, quindi afferrò lo strumento che stava tentando di attirare la sua attenzione.

    – Qui Torres!

    – Tenente, sono Kronenberg. La prima fase è iniziata, un paio d’ore fa Killer Jack ha fatto esplodere una bomba a Dubai…

    Ancora lui, pensò Ted mentre la sua mente si affollava di ricordi vicini e lontani; una serie di immagini e parole che si susseguivano a scatti senza soluzione di continuità, mentre il torpore del sonno stentava a svanire per lasciar posto alla vigile veglia.

    – Dubai? È un po’ fuori dalla mia giurisdizione – rispose cercando di focalizzarsi sul presente.

    – Ted, non so per quanto tempo potrò tenere questo collegamento. Dobbiamo trovare Rocco Ricci, si ricordi questo nome. È un addetto al sistema di climatizzazione terrestre della contea di Crown, almeno questo è quello che è in un universo a soli dodici baccahus dal suo.

    – Ricci? – Torres si alzò cercando di non svegliare la moglie che dormiva accanto a lui. – Perché proprio lui? – Quel nome non gli diceva nulla, eppure aveva come la sensazione di averlo sentito da qualche parte, nel futuro, forse, o più semplicemente in uno dei suoi sogni.

    – Le darò altre informazioni appena possibile, ma lui è necessario, qualora non riuscissimo a evitare la guerra, per quanto ne so credo che anche la Kronos lo cerchi… Sto perdendo il collegamento, la ricontatterò appena possibile.

    – Non mi faccia sentire la sua mancanza – ringhiò, non senza sarcasmo, ormai completamente sveglio.

    Rimasto solo vide la notte accomodata tranquillamente nel divano di casa sua.

    Il buio era rassicurante per lui. Lo era fin da bambino: quando gli altri suoi coetanei ne avevano paura, lui adorava il buio; forse perché rendeva tutto uguale, tutto senza tempo, tutto tranquillo. Nel buio, proprio, non riusciva a vedere nulla di preoccupante; eppure, quella chiamata lo era stata.

    La moglie dormiva ancora, il suo volto sereno era una delle sicurezze della sua vita. Vederla scivolare sotto le coperte era una costante fondamentale della sua esistenza. Come le poche parole che la donna pronunciava ogniqualvolta scorgeva il marito arrovellarsi per un caso, per un’ingiustizia.

    Ora, Steve Kronenberg lo aveva reso partecipe di qualcosa di grande, di enorme, che lui stesso aveva toccato con mano pochi giorni prima, durante il caso dei corpi a cubetti. Quando aveva scoperto che alcuni aspirapolvere di marca Kronos avevano ucciso i loro proprietari riducendoli a cubetti composti da un paio di chili di sostanze chimiche.

    Cosa fare? Cercare questo tizio, tale Rocco Ricci? Seguire le indicazioni di Kronenberg? Oppure dare retta all’istinto e non fidarsi di lui?

    Fu a quel punto che un abbraccio silenzioso lo colse alle spalle.

    – Fidati di ciò che hai visto – disse sua moglie. Come al solito, poche parole, ma corrette.

    – Già, quello che ho visto. E se non riesco a credere a ciò che ho visto?

    – Comunque l’hai visto, sei tu la fonte delle informazioni, non Kronenberg.

    – Me lo fai un caffè? Vero caffè, intendo.

    – È già sul fuoco.

    – Tu sai cosa dirà Archie quando gli racconterò tutto questo?

    – Minaccerà di mandarti a dirigere il traffico, ti dirà che gli mancano pochi anni alla pensione, e poi farà tutto ciò che tu gli chiedi.

    – Già, è proprio così. Kronenberg mi ha detto che anche la Kronos cerca Rocco Ricci, mi sembra impossibile che una persona di cui si conoscono nome, cognome e luogo di lavoro sia così difficile da trovare.

    – Beh, questo fa parte del mistero, non credi?

    – Lo credo – disse Ted accendendo finalmente la luce. Vide la moglie seduta accanto a lui, tranquilla, fiduciosa nei suoi confronti.

    – Come fai ad avere tanta fiducia in me?

    – Tutti hanno fiducia in te, i tuoi uomini, il tuo capo e l’intero distretto di polizia, lo stesso Kronenberg non cerca sempre te?

    – È vero, speriamo di non deludervi in gruppo. Il caffè è pronto?

    – Dovrebbe… – disse la donna alzandosi con eleganza dal divano e sintonizzando il terminale del salotto sul canale della Bean International Press.

    Ted sorseggiò per una buona ora la calda bevanda, accarezzando il capo di sua moglie, e vide sorgere il sole silenziosamente; mentre dall’altra parte del mondo un cronista stava illustrando nel suo salotto i primi passi di quella che aveva tutta l’aria di essere una guerra imminente.

    3

    Crown, tempo presente

    – Dubai, ecco ancora le immagini dell’incredibile attentato che ha ucciso oltre diecimila persone. Le fonti della TV nazionale delle Provincie Arabe Unite parlano di una matrice integralista e citano più volte il nome del terrorista, ricercato da tutte le forze di polizia del mondo, Killer Jack o anche Jack il Pazzo. Le macrofotografie satellitari diffuse dalla Bean International Press nella tarda serata di ieri mostrano, in effetti, diversi uomini vestiti di bianco che farebbero pensare ai seguaci del famoso terrorista. L’ambasciatore europeo a Dubai, David Bean, ha dichiarato ai nostri microfoni che la presenza di Killer Jack o dei suoi accoliti è tutt’altro che dimostrata, anche se le immagini farebbero pensare al contrario.

    Il grande schermo, nello studio di Ronald Bean, trasmetteva ormai da ore le stesse immagini. La giornalista, Catherine Bean, cugina di terzo grado di Ronald, sapeva giostrare con eccellente maestria gli alterni stati emozionali di compassione, rabbia, condanna e professionale distacco. Non per nulla era una Bean.

    Ronald, dal canto suo, seduto nella poltrona innanzi allo schermo, guardava e tamburellava con le dita sul tavolo di mogano vicino.

    – Tutto è andato come previsto – disse una voce dietro di lui. – Ovviamente era meglio non far intervenire David, con la sua dichiarazione ha un po’ spiazzato i nostri piani.

    – Lo sai bene che David non è certo un uomo facile da influenzare, ricordi la sua posizione sul matrimonio di Mary?

    – Già, dimenticavo.

    – Hai provveduto a sistemare la mia famiglia in un luogo sicuro?

    – È nel sito 965. Ha tutto il necessario e un centinaio di uomini di scorta.

    Lei ha protestato?

    – Certamente, come se non la conoscessi – sbuffò Theodore.

    – Era inviperita perché non l’avevo avvertita, vero?

    – Ovviamente e anche…

    – Anche?

    – Mi ha riferito di dirti che se le cose non andranno come previsto…

    – Non continuare, non ammetto neanche per ipotesi un’evenienza del genere.

    – Come vuoi tu.

    Quando la voce venne fuori dall’ombra apparve il volto serafico e incolore del capo della sicurezza interna della Kronos.

    – I nostri amici stanno facendo un buon lavoro, la fase due dovrebbe iniziare tra qualche giorno, con il primo ultimatum. Intanto dobbiamo continuare a cercare quel tale, come si chiama? – chiese Theodore, cambiando discorso, mentre osservava il cugino Ronald guardare di sbieco l’immagine della sua famiglia su uno schermo appeso alla parete.

    – Rocco Ricci, il suo nome è Ricci. Non è facile, non è per nulla facile. Sembra quasi che qualcuno lo abbia avvisato dal nostro interesse per lui. Le ultime informazioni lo davano come addetto al sistema di climatizzazione, ma pare che abbia lasciato il lavoro poco più di una decina di giorni fa e sia scomparso insieme alla famiglia. – Sospirò. Era uno dei pochi capace di dare una brutta notizia al cugino Ronald senza incorrere nelle sue ire.

    – Ho paura che l’altra Kronos, e sai a cosa mi riferisco, abbia deciso di farci fuori definitivamente.

    – Già, ma c’è comunque qualcosa che mi sfugge, anche se sono stati fin troppo chiari, l’ultima volta che vi siete parlati.

    – Possono anche aver deciso per noi, possono anche aver pianificato il nostro destino, ma non ho nessuna intenzione di sparire solo perché la nostra linea temporale è troppo contaminata. La fortuna ci ha dato una mano trovando i nostri amici e, per quanto ne sappiamo, con loro non è stata così benevola.

    Ronald si alzò in piedi. Con lo schiocco delle dita spense l’immenso schermo che continuava a trasmettere immagini, e subito lo studio cadde in una oscurità ancora più profonda.

    Lui viveva nel buio. La penombra era la sua luce ideale. Si muoveva dentro l’enorme sala che lo accoglieva per oltre diciotto ore al giorno, con la dimestichezza di un rapace notturno. I suoi ospiti? Dovevano adattarsi a quella mancanza di luce. Theodore Bean lo sapeva fare bene, e seguiva il cugino con raffinata solerzia.

    – Sì, questo è vero. Siamo stati fortunati, evidentemente il tempo ha delle, chiamiamole imperfezioni, che nemmeno loro possono prevedere. Oppure…

    – Oppure?

    – Oppure – si fermò un istante, incerto, poi proseguì:

    – stiamo facendo il loro gioco.

    – Loro sono decenni nel futuro, hanno un controllo evoluto del tempo, pensi davvero che non abbiano previsto l’incontro con i nostri amici?

    – Vuoi mandare all’aria gli ultimi otto mesi di programmazione?

    Uscì un attimo dalla penombra per essere illuminato da una flebile luce che attraversava la grande finestra sul lato ovest dello studio.

    – Ronny, tu hai fiducia in me perché non ti ho mai deluso, non per niente mi hai affidato la sicurezza della tua famiglia. E io devo necessariamente pensare a tutte le eventualità. Una di queste è che loro ci stanno monitorando. È probabile? È improbabile? È comunque una possibilità.

    – Hai ragione. È una possibilità, questa storia di Rocco Ricci pare esserne la prova. Non è possibile che un semplice addetto al sistema di climatizzazione scompaia, così, nel nulla!

    – Già, ma esiste anche un’altra possibilità. Che nella vicenda sia coinvolto Kronenberg. E intendo Steve Kronenberg, non il fratello.

    – Cosa te lo fa pensare? – chiese Ronald girando il capo di schianto, come colpito nel suo punto debole.

    – Beh, durante l’incidente a Mark Kronenberg, al tempo in cui ancora collaboravamo con i nostri amici del futuro, Steve è uscito allo scoperto per salvare il fratello. Non posso pensare che tutto ciò che è successo dopo gli sia stato indifferente.

    – Quale strano potere può avere un uomo così insignificante come Steve Kronenberg da rivaleggiare con noi?

    – E poi c’è Torres – incalzò Theodore. – Sia nel caso di Mark Kronenberg che in quello dell’aspirapolvere mangiauomini ce lo siamo trovato sempre tra i piedi.

    – Mi ero dimenticato di lui. Non è bastato umiliare il suo capo, non è bastato ridicolizzarlo e metterlo ai margini del distretto di polizia. Forse faremo meglio a eliminarlo.

    – Ci andrei cauto. Eliminare un poliziotto è sempre un affare che può esploderti in faccia. E poi, per quanto si impegni a romperci le scatole, alla fine che danni seri ci ha procurato?

    – Questa storia sembrava così semplice, quasi scontata…

    – Davvero? – chiese Theodore avvicinandosi alla grande finestra. – Non pensavo che scatenare la terza guerra mondiale fosse semplice – concluse quando fu in piena luce.

    – Forse dovresti dire la quarta – disse Ronald schiettamente.

    – Ti riferisci alla natura contro l’uomo? L’ipotesi che la crisi ecosostenibile di oltre trent’anni fa sia stata la battaglia che il nostro pianeta ha combattuto contro la specie indigena più infestante… l’uomo.

    – Proprio quella, è la teoria… Come la chiamava ad Harvard il nostro insegnante di Etica Economica?

    – Teoria di G. B. Cartier.

    – Beh! Terza o quarta che sia, dovrà iniziare – concluse Ronald Bean III senza aspettarsi nessuna replica.

    – Già, anche perché di quella guerra l’unico vincitore certo è stata la nostra famiglia, lo ricordo bene – annuì Theodore.

    – La programmazione di nostro nonno fu formidabile, riuscire a salvare il pianeta dalla distruzione causata da noi stessi, e con un incredibile colpo di mano prendercene il merito – ghignò Ronald mostrando il petto in modo goffamente superbo. – Per quasi quarant’anni abbiamo goduto dei ricavi di questa incredibile speculazione. Abbiamo piazzato i nostri uomini a tutti i livelli di potere. – Strinse i pugni, facendo impallidire le nocche.

    – Non esiste luogo sulla Terra che non sia controllato da una persona della nostra famiglia. Uno status quo invidiabile che è stato messo in discussione… E ora… – balbettò, quasi in preda a una crisi nervosa.

    – E ora, dovremo fare lo stesso, se vogliamo uscire vivi da quello che abbiamo progettato e riguadagnare la posizione privilegiata in cui eravamo – sintetizzò Theodore.

    – Mio caro cugino, non potevi usare parole migliori. Ecco perché il fallimento non è ammesso, neanche come ipotesi remota.

    4

    Crown, tempo presente

    – Fammi capire, Ted. Vorresti che impegnassi tutta la tua squadra per la ricerca di questo tizio, come si chiama, Bacco?

    – Rocco, Rocco Ricci.

    – Ecco, questo Rocco Ricci, solo perché quello stralunato e fottutissimo Steve Kronenberg ti ha detto di farlo? – La giugulare di Archie Jones aveva preso fuoco. Ma, come al solito, nulla poteva competere con le richieste di Ted Torres al suo amico e superiore in comando. Quindi, riacquistato il suo self control, il capitano della polizia urbana di Crown prese al volo una delle sue noccioline rosse e si schiarì la voce.

    – Dimmi qualcosa in più – lo invitò senza tradire nessuna emozione.

    – Stamattina mi ha chiamato al mio comunicatore, non so da dove. Secondo la sua pazza ricostruzione dei fatti, mi chiama dal futuro, pensa un po’!

    – Già, pensa un po’, sembra pazzo quasi quanto te…

    – Mi vuoi lasciare finire?

    – Okay, okay. Concludi.

    – Mi ha detto che questo Rocco Ricci è ricercato anche dalla Kronos, che gli vuole fare la pelle.

    – Ah, la Kronos. Mi stupiva che ancora non fosse uscito questo nome. E perché vorrebbe fare la pelle a questo tizio?

    – Non me lo ha detto… – borbottò Torres.

    Archie lo squadrò dall’alto in basso ruminando le sue noccioline. Poi sbuffò una nuvola di vapore rosso dalla bocca e digrignò i denti, inferocito.

    – Te lo ha detto, ma pensi che il dirmelo mi renderà prima furioso e poi incredulo su tutta la vicenda, vero?

    – Oh, insomma, Archie! In questi ultimi mesi ne abbiamo viste di cose strane, non ti pare?

    – Sì, ne abbiamo viste. Ad esempio tu, che sei riuscito a conservare il posto nella polizia, mentre io sono stato degradato.

    Per Torres quello era un argomento delicato. Non riusciva ancora a sopportare l’idea che a pagare per la sua testardaggine nel caso Kronenberg fosse stato il suo amico e non lui. In cuor suo, infatti, sentiva di dovere ad Archie Jones, non solo il rispetto imposto dal suo ruolo, ma anche per ciò che aveva dovuto subire a causa sua.

    – Sì, questa è una cosa strana – riconobbe con un fil di voce.

    Archie smise per un attimo di ingurgitare frutta secca; lo sguardo di Ted era serio e malinconico, come di chi soffriva da lungo tempo di un terribile rimorso.

    – Senti, non voglio quella faccia contrita nel mio ufficio, ciò che è stato è stato. Vorrei solo che non ti lasciassi prendere nuovamente da certi entusiasmi e abbandonassi Kronenberg una volta per tutte.

    – Non è così semplice. Stamane ho parlato con Nora…

    – E cosa ti ha detto?

    – Mi ha detto di non credere a Kronenberg, ma solo alle cose che ho visto con i miei occhi.

    – E tu? – chiese Archie con una espressione contrita e spaventata.

    – Gli ho detto che non riesco a credere alle cose che ho visto. Ma…

    – Ma, le hai viste.

    – Sì, le ho viste, e sono cose pazze, incredibili!

    Iniziò a girovagare per la stanza scuotendo le mani per aria. Tutta la sua avversione per l’imponderabile, per ciò che metteva in crisi la realtà, venne fuori prepotentemente, quasi senza freni.

    – Come posso credere a teletrasporti, a navi aliene, a guerre mondiali, a… a persone che parlano dal futuro? – si chiese Ted sconsolato.

    – Già, e non ci crederei nemmeno io se non fossi stato tu a vederle.

    Archie mise in bocca l’ultima nocciolina e si alzò per avvicinarsi a Ted. Aveva l’aria compassionevole e fiduciosa. Gli pose una mano sulla spalla e la strinse dolcemente.

    – Ti credo Ted. Io ti credo. Ma cosa può fare un poliziotto, se pur bravo come te, innanzi a tutto questo?

    – Non lo so, non lo so. Ma cercare Rocco Ricci è un affare semplice, un affare di polizia. Anche perché, oltretutto, c’è una precisa denuncia, neanche anonima, che qualcuno vuole ammazzarlo.

    – È vero, quindi ti autorizzo a cercarlo, ma se ti imbatti nella Kronos, voglio che prima di fare una qualunque mossa tu mi contatti, è chiaro?

    – Nora mi aveva detto anche questo.

    – Cosa ti aveva detto Nora?

    – Che alla fine mi avresti accontentato – sorrise.

    – Esci dal mio ufficio se no ti prendo a calci in culo!

    E come colui che tiene al suo fondoschiena Ted Torres si dileguò rapidamente senza neanche salutare.

    5

    Dieci mesi prima. Cintura di asteroidi. Nave spaziale sconosciuta

    – Questo posto fa schifo, anche se indosso il respiratore riesco a sentire un tanfo tremendo, ma non avevi detto che l’atmosfera era respirabile? – domandò Mary Bean facendosi strada tra alcuni detriti non ben identificabili.

    – Respirabile, non profumata – precisò il suo secondo in comando.

    – E poi il caldo, un caldo atroce. O è in avaria il sistema di supporto vitale o questi cinesi si sono affezionati troppo al riscaldamento globale.

    – Sai, capitano, più vado avanti e più mi sto rendendo conto che i cinesi in questa faccenda non c’entrano per nulla.

    – Sei ancora convinto che si tratti di alieni? Magari è un’astronave dell’Agenzia Spaziale Europea? O di quell’imbecille, come si chiama?, il miliardario thai, quello che si è messo in testa di viaggiare in un altro sistema stellare, Joo Koi, ecco, lui. Potrebbe essere sua, no?

    – Non credo che sia né dell’una, né dell’altro. Ci sono troppe leghe sconosciute. La metà delle apparecchiature elettroniche sono assolutamente nuove per me, non saprei che tipo di ipotesi elaborare – rispose Harry con un tono di voce timoroso e titubante.

    Camminavano lungo un corridoio angusto, pieno di detriti e illuminato solo dalle torce che portavano ai polsi. Avanzavano lentamente, limitati dalla bassa gravità e dall’equipaggiamento in mano e sulle spalle.

    – Fammi capire. Vuoi dire davvero che, secondo te, ci troviamo su una nave aliena?

    Mary era seriamente sconcertata. Le sembrava impossibile che lei e il suo equipaggio fossero destinati a essere i primi umani a stabilire un contatto con una razza extraterrestre.

    – Veramente è quello che non vorrei dire – fece Harry sospirando. – Ma scartate tutte le ipotesi, quello che resta…

    – …Anche se improbabile, è la verità – concluse la donna.

    – Mary, sulla Terra solo la Kronos, i cinesi e l’Agenzia Spaziale Europea sono in grado di arrivare fin qui. Joo Koi è solo un pazzo e non ha nessuna possibilità di viaggiare nello spazio. Ribadisco, non scarterei a priori l’ipotesi aliena. Dobbiamo… devi essere pronta a questa eventualità.

    – Già, almeno la Kronos II sarà ricordata per essere la prima astronave che ha incontrato una civiltà extraterrestre, e noi due per aver stabilito il primo contatto con loro. Divertente, non trovi? Molto divertente.

    D’un tratto il corridoio si allargò in una sorta di imbuto e una grande cavità conica apparve ai loro occhi. Qui, una flebile luce diffusa rese superflue le loro torce, mentre una grande parete trasparente mostrava lo spazio esterno facendo penetrare, deboli, alcuni raggi solari.

    – Questa deve essere la plancia – commentò Harry avvicinandosi a una serie di pannelli luminescenti.

    – Ci capisci qualcosa?

    – Poco, quasi nulla. È un’interfaccia assolutamente sconosciuta. Non credo sia adatta al sistema manuale, presuppone, forse, un qualche sistema telepatico o energetico. Ma sto facendo solo delle ipotesi, solo ipotesi.

    – Rilevi forme di vita?

    Harry smanettò con un piccolo strumento che aveva in mano e scosse la testa.

    – Nulla che i nostri strumenti possano registrare.

    – Proviamo a vedere se Sam, in sala macchine, ha fatto dei progressi – disse Mary azionando il sistema di comunicazione.

    – Nulla di nulla, mio capitano – gracchiò Sheppard via radio. – Questo posto sembra quel gioco, come si chiama? Il tetracubo, che può risolvere solo il suo inventore o un computer K10 di prossima generazione.

    – Potresti limitarti ai dati raccolti senza fare commenti inutili? – la rimproverò Harry.

    – Come no, quando fumo la prossima sigaretta – rispose Sam ridacchiando e chiudendo il collegamento.

    Iniziarono a ispezionare la vasta plancia con solerte perizia. Questa si presentava come una serie ininterrotta di luci di vari colori, intervallate da tubi luminescenti che si accendevano e spegnevano senza sosta. Molte apparecchiature, però, erano disattivate, praticamente morte; forse distrutte o in avaria a causa del brusco atterraggio dell’astronave.

    – Questa parte non funziona – disse Harry.

    – Ma davvero? È questo che significano le luci spente?

    – Potrebbe anche significare che questa è l’unica parte che funziona, magari le luci accese segnalano un’avaria.

    – Sei ancora una volta per l’ipotesi aliena? Vero? – domandò Mary timorosa della risposta.

    – Beh, se riesci a trovare un’altra spiegazione.

    L’uomo fece un passo indietro e si imbatté in un cumulo di cenere. Lo calpestò, dapprima distrattamente, poi i suoi strumenti crepitarono attirando la sua attenzione.

    – Materiale organico. O meglio, i resti di quello che è stato del materiale organico.

    – Un essere vivente?

    – Non saprei dirlo, dovremmo contattare Karl.

    La donna azionò il pulsante del comunicatore da polso.

    – Karl, qui Mary Bean, analizza la telemetria che ti manda Harry, fammi sapere cosa ne pensi.

    Karl Sedan, medico di bordo della Kronos II, bofonchiò, come era suo stile, il ricevuto e si prese quasi cinque interminabili minuti prima di rispondere.

    – Vita a base carbonio. Esami troppo grezzi per dire qualcosa in più. Ma la possibilità che si tratti di un essere vivente di qualche forma è sicura al 99,99%.

    – Cosa vuol

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1