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Extinction II - Il crepuscolo
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E-book128 pagine1 ora

Extinction II - Il crepuscolo

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Zombie - romanzo breve (78 pagine) - L’alba è passata. Quello che si profila rischia di essere il crepuscolo dell’umanità. In uno scenario che inizia a delinearsi in tutta la sua catastrofica essenza, non rimangono che residue speranze a cui potersi ancora aggrappare per il perpetuarsi di quel che resta del genere umano.


Dopo giorni di marcia nella desolazione di quel che rimane, si fa largo nell’animo di Ksenija, Darrell, Vance e Joshua la consapevolezza di essere testimoni del crepuscolo dell’umanità. Nulla lascia più sperare che possa esserci ancora salvezza nell’apocalisse. Solo la forza e la determinazione di Ksenija, sebbene messe a dura prova e sempre meno salde, possono spingere oltre il confine della logica il cammino dei superstiti. Lei sa che c’è ancora qualcosa oltre quel confine. Qualcosa che forse non è soltanto un compito assegnatole da un oscuro mandante. Qualcosa che vale la sua stessa vita.


Gianluca D’Aquino, nato ad Alessandria, classe 1978, è autore di romanzi, sceneggiature e racconti, alcuni dei quali apparsi nei Gialli Mondadori (Lettera dall’Eritrea, Il rumore del vento, La casa sul lago, La quintessenza, Il tempo delle risposte, Al di là del tempo) e nelle antologie e collane Delos Books (Quel che non è dato sapere, Torino 1835 e Extinction – L’alba, prima parte di Extinction – Il crepuscolo). Vincitore di numerosi premi letterari, è in pubblicazione con una trilogia epica sull’islamizzazione del mondo, a partire da ottobre 2016.

LinguaItaliano
Data di uscita26 apr 2016
ISBN9788865306901
Extinction II - Il crepuscolo

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    Anteprima del libro

    Extinction II - Il crepuscolo - Gianluca D'Aquino

    9788825409376

    23

    Il cielo tentò di arrossire, dietro una coltre di nubi grigie cariche di pioggia acida. Ne venne fuori un inferno livido, simile a una ferita purulenta pronta a esplodere. L’aria immota lasciò presto spazio a un vento gelido, tagliente. L’odore della tempesta che avanzava si faceva sempre più forte e fastidioso. Lampi nel cielo plumbeo. Echi di tuoni lontani.

    Tciaky rantolò dolorosamente. Poi un sussulto del corpo scosso da un pernicioso tremore. Gli occhi, acquosi, fremevano con maggiore frequenza. Il respiro rumoroso e sofferente. Tenui guaiti.

    La mano di Ksenija si adagiò sul pelo intriso di polvere. Dolcemente. Come la carezza di una madre amorevole sul volto del proprio bambino. Lei che madre non era e che mai aveva pensato di poterlo diventare.

    – Dovresti porre fine alle sue sofferenze.

    Un brivido la scosse, lungo la schiena. Sentì la pelle intirizzirsi.

    – Non ha speranze di sopravvivere. L’intossicazione deve essere stata molto forte. Non si spiegherebbe diversamente il suo stato.

    Ksenija sospirò. Si passò una mano sul volto.

    – Potrei cercare qualcosa per farlo addormentare – proseguì Vance. – Non si accorgerebbe di nulla.

    Joshua raggiunse il resto del gruppo. – Niente. Nessuna traccia del bambino.

    Vance annuì e serrò le labbra. – Grazie – quindi tornò a Ksenija. – Pare che oggi sia un giorno di addii.

    Proprio in quel momento, Darrell si svegliò. Per un istante gli parve di essere l’oggetto della conversazione. Si guardò intorno senza muovere la testa. Ascoltò ancora, in silenzio. Nessuno parlò. – Avete deciso di abbandonarmi?

    – Darrell – fece Ksenija. – Come ti senti? – domandò priva di entusiasmo. Meccanicamente.

    – Dal tuo tono, sembrerebbe che mi stiate congedando.

    Lei scosse il capo e accennò un timido sorriso. – No, non sei tu quello che ci sta lasciando.

    Darrell ruotò leggermente la testa verso il corridoio. – Tciaky?

    Ksenija annuì.

    – Mi spiace.

    – Dovrei essere abituata agli addii. Forse in altri tempi avrei detto che si tratta solo di un cane, dopotutto. Invece pare che questa situazione abbia annichilito il mio cinismo.

    – Non sei mai stata veramente cinica.

    – Menti sapendo di mentire. Solo per paura che ti possa lasciare indietro.

    – So che non lo farai.

    – Non esserne certo.

    – Non lo sono.

    Ksenija sorrise. – Fai bene.

    Vance apparve alle sue spalle.

    – Dottore…

    – Darrell. Vogliamo fare le medicazioni?

    – Se il comandante ci autorizza.

    – Autorizzati – disse Ksenija voltandosi e poggiando una mano sulla spalla di Vance. – Dopo avrò bisogno del tuo aiuto.

    Il medico annuì. Il suo volto tradì il cordoglio per ciò che avrebbe dovuto fare.

    Pochi minuti più tardi, Tciaky si addormentò fra le braccia di Ksenija. Joshua e Darrell assistettero con partecipazione all’iniezione praticata da Vance. Poi, come in un rito funebre, all’ultimo saluto al lupo.

    24

    L’aria del mattino seguente era fredda e frizzante. La brezza gelida si insinuava in ogni pertugio delle tute in Gore-Tex, costringendo tutti a sigillare ogni abbottonatura esistente. Il tanfo di morte sembrava attenuarsi in alcune zone più aperte per poi tornare prepotentemente nelle vie più strette e nei luoghi chiusi.

    Per Darrell, continuamente scosso da fremiti di febbre, il cammino si fece gravoso. Aveva il volto provato. L’animo no, quantomeno in apparenza.

    – Guardate: una stazione radio – disse improvvisamente Joshua, indicando un traliccio lontano, su una collina, da cui pendevano numerosi ripetitori. – Potremmo tentare di metterci in contatto con qualcun altro. O con il treno… – precisò, guardando Ksenija con diffidenza.

    Lei annuì. – Proviamo a raggiungerla.

    Ci volle più di un’ora per arrivare ai piedi dell’imponente struttura. La temperatura, a solo pochi metri di altezza dal centro abitato, sembrava essere scesa di molti gradi. La maggiore esposizione al vento rendeva ancora più difficile resistere al rigore della stagione.

    Pali, tralicci tubolari di acciaio al vanadio svettanti fino a trenta metri, antenne, parabole. Tiranti, isolamenti nel tozzo basamento cilindrico che si ergeva dal basalto della cordigliera, tonnellate di cemento ad alta densità, quintali di armature ad alta flessibilità, gabbie in lega di ferro e carbonio con sezioni trasversali triangolari, collegamenti in rame.

    – Entriamo. Ho bisogno di riscaldarmi.

    – Cautela – ordinò Ksenija. – Fermati, Vance.

    Il medico si voltò. – Credi possa esserci ancora qualcuno? O qualcosa?

    – Non fidiamoci dell’eccessiva quiete.

    Darrell fece scivolare la tracolla dell’M4 portando l’arma in low-ready. – Vado avanti io.

    Ksenija lo guardò, tentata di impedirglielo. Lui distolse lo sguardo e avanzò, senza attendere consensi.

    La porta di accesso era chiusa e le poche finestre, protette da inferriate, apparivano integre. Il tutto dava l’impressione di essere inviolato. I pochi cadaveri incontrati lungo la risalita della collina erano ormai lontani centinai di metri.

    – Sembra che qui non ci siano stati problemi – mormorò Joshua, parlando più a se stesso che agli altri.

    Ksenija tuttavia non appariva serena. Aveva lo sguardo attento e il TSB16 pronto a fare fuoco.

    Darrell si voltò verso i nomads dopo avere saggiato lo stato della serratura. Chiusa a chiave. Scivolò verso una delle finestre, scrutando all’interno, da un lato, senza esporsi. Quasi temesse la presenza di un potenziale pericolo. Si fermò con lo sguardo sull’obiettivo e mostrò il pugno chiuso.

    Il gruppo si bloccò dove si trovava. Armi in puntamento.

    Quindi aprì il pugno, tendendo indice e pollice a formare una pistola.

    – Un soggetto armato – sussurrò Ksenija.

    Joshua la guardò: – Cosa?

    – Taci.

    Darrell alzò quindi l’indice e il medio.

    – Sono in due.

    – Perché ci preoccupiamo? – domandò Vance.

    Ksenija non rispose.

    Il contractor tornò sui propri passi, arretrando senza voltare le spalle alla centrale. – Due uomini. Armati.

    – Si sono accorti di noi?

    – Apparentemente no. Sembrano in stand-by.

    – Civili o militari?

    – Paramilitari – precisò Darrell con tono ricolmo di veleno – della peggior specie.

    – Cosa significa? – domandò Joshua.

    AK47 e facce da jihadisti – replicò lo sniper mettendo una mano con il palmo rivolto verso il mento a indicare la lunga barba del Profeta.

    – Ci mancavano solo questi – disse stizzito Vance.

    – L’erba cattiva non muore mai – sentenziò Joshua. – Cosa facciamo?

    – Non sappiamo se siano ostili – considerò Ksenija.

    – Quindi direi di eliminarli – fu la soluzione di Darrell. – Per non correre rischi…

    – Concordo.

    – Sei l’espressione vivente del Giuramento di Ippocrate, Vance.

    – Tutelo la salute dell’umanità da un cancro molto aggressivo.

    – L’umanità non esiste quasi più. Sarei più per custodire il germe di una futura rinascita.

    – Non perderei occasione per rendere più pura la nostra discendenza.

    – Joshua, proprio tu. Con il tuo nome ebraico. Con quello che i tuoi antenati hanno dovuto subire per secoli e fino a pochi decenni fa.

    – Anche a causa di certa gente. Ancora oggi, se è per questo.

    Ksenija scosse la testa. – Mi trovo davanti a un tribunale dell’inquisizione anti-Islam, a quanto pare.

    – Puoi astenerti se ritieni.

    – Si fotta il tuo cinismo, Darrell – sibilò Ksenija alzandosi con l’arma in caccia, prendendo la via della baracca alla base del

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