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Drake Nova. La fata e il Re
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E-book330 pagine4 ore

Drake Nova. La fata e il Re

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Info su questo ebook

«Forse era per questo che il Re non voleva sognare. Probabilmente, lui, in quei posti in cui si va quando si sogna, c'era stato davvero. E, forse, la cosa non gli era piaciuta, o, forse, aveva visto così tanti mondi e tante atrocità che la notte i ricordi tornavano a fargli visita. Chissà...»

Talalazimeth è una fatina che sogna di avere una vita diversa dalle altre fate e quando viene scelta, contro la sua volontà, dal Re dei Maghi, per fargli da assistente, scoprirà un mondo nuovo, completamente diverso da come se lo immaginava.

Tra le stranezze della vita moderna, magie, giochi e cultura pop, il primo romanzo della serie Drake Nova vi porterà in un mondo magico che non aspetta altro che essere scoperto.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2019
ISBN9788831617406
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    Anteprima del libro

    Drake Nova. La fata e il Re - Pier Luigi Pasquazi

    1

    VITA DA FATA

    Nella periferia ovest della microcittà di Nuova Elnyra – capitale del nuovo regno delle fate – si erge maestoso, sopra la collina che sovrasta la città, un grande albero di castagno, sui cui larghi rami le fate hanno ricavato la loro più grande e prestigiosa Accademia, la Alis Aurea.

    Per la prima volta da quando, due anni fa, tutte le comunità di fate del mondo (principalmente presenti nei paesi del nord Europa) si sono trasferite in una grande area boscosa nel sud di Magestia (una delle tre regioni che compongono quelle che sono state ribattezzate Le terre dei maghi) vengono formate le prime fate che, completati i loro studi, potranno visitare liberamente le terre degli umani.

    Dovete sapere che le fate, così come altre razze, sono molto conservatrici e ancora fanno fatica ad abituarsi all’idea di mischiarsi con gli umani, dopo i lunghi secoli passati a nascondersi dalle loro barbarie. Ma, dopo la continua insistenza da parte del Re dei Maghi e della Regina delle Fate, con riluttanza delle fate più anziane, quattro mesi fa è stato finalmente deciso di aprire le porte del proprio regno.

    In quel momento nei piani più alti dell’Accademia, la professoressa Eritha Biggs – già professoressa nell’Accademia dove stava prima dell’avvento dei maghi – stava tenendo un’importante lezione di storia:

    «Ed è solo dopo la recente annessione alle Terre Magiche, voluta dal Re dei Maghi e dalla nostra regina Teristha, che le fate hanno rivelato la loro esistenza all’uomo» disse la professoressa Biggs, una fata non più giovanissima, mentre si aggiustava i suoi grandi occhiali a mezzaluna che, a detta sua, le davano un’aria molto sofisticata. Si guardò intorno lentamente, con quel suo sguardo intimidatorio che scorreva una ad una le sue giovani alunne.

    «Qualcuna di voi sa dirmi quali sono i requisiti per visitare le città umane?» chiese alla classe.

    Alcune mani si alzarono, ma il suo sguardo cadde su una testolina bionda poggiata su un banco situato in fondo alla classe che, invece di ascoltarla con la stessa attenzione delle sue compagne, stava sonnecchiando beatamente.

    «Talalazimeth! Svegliati immediatamente!» tuonò la professoressa.

    «Non farò tardi a scuola» mormorò insonnolita la giovane fatina, scacciandosi dal naso qualcosa che non c’era.

    «Sei già a scuola signorina!» la corresse Miss Biggs. «E adesso sei anche in punizione!» urlò la professoressa, che ormai stava per esplodere.

    Non era la prima volta che quell’alunna le dava problemi durante le lezioni e lei, ormai, non riusciva più a sopportarlo.

    Talalazimeth era una fatina con dei lunghi capelli biondi, occhi azzurri enormi persino per una fata, e un nasino leggermente all’insù; era piuttosto minuta in confronto alle altre fate, aveva un aspetto delicato e fanciullesco e la divisa verde scuro che indossava era decisamente troppo larga per quel suo esile corpicino.

    Di solito prestava molta attenzione alle lezioni, nonostante si fosse iscritta solo per poter visitare il mondo degli umani; ma ultimamente il suo interesse andava scemando, causandole continui rimproveri, in particolare da parte della professoressa Biggs.

    Quando si rese conto di ciò che era appena successo, si alzò di soprassalto, strabuzzò gli occhi, mise a fuoco ciò che aveva intorno e realizzò di essere in Accademia, al corso di preparazione al mondo umano: si era addormentata di nuovo, facendo andare su tutte le furie Miss Biggs.

    «Ora rispondi alla mia domanda, signorina!» insisté la Biggs riprendendo il controllo di sé.

    «Quali sono i requisiti per visitare le città umane ed interagire con loro?» chiese di nuovo la professoressa.

    Talalazimeth si prese qualche secondo per assimilare la domanda. Miss Biggs sperava di coglierla impreparata, ma visitare le città umane era il suo sogno e lei conosceva bene le procedure necessarie a realizzarlo.

    «Per… per visitare le città umane bisogna ottenere la certificazione d’idoneità e fare richiesta scritta presso le autorità di gestione dei rapporti interspecie per…»

    «E come pensi di ottenere quel certificato se continui ad addormentarti!» la interruppe la professoressa.

    La giovane fatina stava per scusarsi, nonostante trovasse esagerata la reazione di Miss Biggs; sapeva che addormentarsi in classe era sbagliato ma, prima che riuscisse ad aprire bocca, il suono dell’interfono interruppe la lezione.

    «Le lezioni sono interrotte, tutte le allieve e le insegnanti sono convocate immediatamente nel cortile per un importante annuncio da parte della direttrice dell’Accademia»

    L’annuncio venne ripetuto, mentre le alunne incominciavano a guardarsi intorno confuse.

    Quel tipo di tecnologia era una novità per le fate, che non avevano la corrente elettrica prima di trasferirsi a Magestia. Il Re dei Maghi gliene aveva fatto dono insieme a qualche altra invenzione non troppo sofisticata, sperando di migliorare le loro vite, e per ora sembrava funzionare.

    L’annuncio provocò un gran vociferare tra le fate ed alcune iniziarono ad uscire dall’aula.

    «Non ti sei salvata signorina! Ti aspetto dopo le lezioni!» tuonò indispettita Miss Biggs.

    «Ora recatevi in cortile in maniera ordinata» disse alle altre con la calma a cui erano abituate a sentirla.

    Ormai era chiaro a tutte che la Biggs l’aveva presa di mira, così le altre in classe avevano incominciato ad evitarla per non rischiare che la professoressa le associasse a lei. Talalazimeth sospirò appena vide Miss Biggs uscire dall’aula, ringraziando la sorte per averla temporaneamente salvata dalle sue grinfie. Dopodiché si alzò e andò verso l’uscita della classe dove con un sorriso divertito la stava aspettando la sua amica Faril.

    Faril era una fatina che aveva conosciuto al corso di portamento, che lei seguiva solo per avere dei crediti extra; era la prima nuova amica che aveva avuto da quando si era iscritta all’Accademia, era leggermente più alta di Talalazimeth e anche lei aveva i capelli biondi, ma fra quelle ciocche dorate ne aveva qualcuna dalle venature blu. Una tipa piuttosto spiritosa, che adorava scherzare anche quando forse sarebbe stato meglio evitare ma, nonostante questo, lei l’adorava.

    «Bella mossa, dormigliona!» esordì Faril.

    «Se la prende sempre con me!» le rispose Talalazimeth con tono da vittima.

    «Forse perché sei l’unica che si addormenta sempre, disturba, o fa esplodere le cose» la punzecchiò l’amica.

    «Sai che quella volta non sono stata io. Non dovrebbero farti fare certe cose se non ti senti sicura» rispose seccata la fatina.

    Ci fu qualche momento di silenzio mentre le due scendevano rapidamente le scale e si dirigevano in cortile passando attraverso il lungo porticato di rami intrecciati che portava dalla nuova ala all’atrio.

    Era consuetudine che le fate scendessero volando, ma, siccome nel corso di portamento avevano ricevuto il compito di camminare sempre quando erano in Accademia, gli toccava camminare, anche se a loro non dispiaceva. Così avevano l’occasione di vedere parti della scuola che altrimenti non avrebbero mai neanche pensato di visitare.

    «Potresti almeno provare a fare buona impressione, non ti sei nemmeno pettinata» riprese Faril.

    Talalazimeth si portò le mani alla testa, dove i capelli che credeva essere raccolti in una crocchia si erano quasi completamente sciolti, dandole un’aria trasandata.

    «Uffa! Li avevo legati stamattina; devono essersi sciolti mentre dormivo» si lamentò la fatina mentre cercava di sistemarsi.

    Raggiunsero il cortile situato davanti all’ingresso principale dell’Accademia, che si era riempito di allieve, e si misero vicino a una delle tante statue che circondavano il cortile, come facevano di solito quando si fermavano a chiacchierare prima di tornare a casa.

    Talalazimeth ricordò di aver assistito a una scena simile soltanto all’inizio dell’anno scolastico, durante il discorso di benvenuto; quindi quel fuori programma la preoccupava, non riusciva a immaginare il motivo per cui dovessero stare lì, ma doveva essere una cosa seria.

    «Fate silenzio, sta per cominciare» disse Miss Biggs lanciando un’occhiataccia alle due, che si misero in riga facendo una goffa imitazione di soldatesse della guardia reale.

    In quel momento la direttrice si distanziò dalle altre professoresse e con un gesto fece uscire dal terreno delle radici che si intrecciarono per formare un piedistallo, vi salì sopra con eleganza senza aiutarsi con le ali, poi si schiarì la voce e iniziò il suo discorso.

    «Mie care giovani fate! Con immensa gioia vi annuncio che la nostra cara regina Teristha ha invitato tutte voi a partecipare stasera ad una breve cerimonia che si terrà al Grande Albero, durante la quale un’alunna di questa Accademia sarà scelta per diventare l’assistente personale del Re dei maghi, su sua specifica richiesta» disse con orgoglio.

    «Quindi preparatevi al meglio per questo compito. Coloro che fanno parte di un club sono invitate a portare un breve spettacolo dimostrativo da eseguire dinnanzi al Re. Infine, concludo augurando a tutte voi buona fortuna e che possiate rendere onore al nostro popolo, soprattutto quella di voi che verrà scelta. Ora andate a prepararvi, signorine.»

    Finito di parlare la direttrice scese dal piedistallo, che si ritrasse immediatamente, scomparendo nel terreno.

    L’annuncio sollevò un gran fermento tra le fate: tutte iniziarono a discutere della cosa, creando un gran baccano. Le professoresse non le zittirono, nessuna di loro aveva mai visto di persona un vero umano e questo bastava ad agitarle tutte, figuriamoci vedere qualcuno di importante come il Re dei maghi.

    Tutte erano entusiaste, tranne Talalazimeth, che non aveva una buona opinione del Re; aveva sentito parecchio parlare di lui e ciò che le avevano detto non le era piaciuto.

    «Cos’è quella faccia? Non sei contenta di questa opportunità?» chiese Faril.

    «Perché dovrei essere contenta?» disse Talalazimeth guardando la sua amica di traverso.

    «Perché un umano arrogante e prepotente come al solito ci fa fare ciò che vuole?» continuò mentre si voltava per dare le spalle all’amica.

    «Ma non hai sentito che ha lasciato sua moglie, la Regina dei Maghi? Anzi, ho sentito dire persino che non sia sua moglie» disse in tono disgustato. «Andiamo a festeggiare, non vedo l’ora di essere il suo giocattolo!»

    «Come sei noiosa!» le rispose Faril sbuffando dal naso.

    «E poi la preside gli farà scegliere una delle sue predilette» continuò Talalazimeth facendo una smorfia mentre indicava un gruppetto di fate vicino a dove era sorto il piedistallo.

    Faril alzò gli occhi al cielo e sospirò: «Già… hai ragione.»

    Le due fate uscirono dall’Accademia, dove si salutarono, poi ognuna si diresse verso la propria casa.

    Talalazimeth si sentì un po’ in colpa per come aveva risposto all’amica, chiedendosi se in fondo non dovesse cercare anche lei di essere un po’ più allegra come Faril.

    L’Accademia era nel punto più ad ovest del quartiere culturale, dove oltre alla scuola c’erano anche vari centri di ricerca, musei, laboratori artistici e centri sportivi. Per raggiungere casa sua, che si trovava quasi dalla parte opposta della città, ogni giorno Talalazimeth doveva sorvolare l’intero quartiere, poi superare la zona popolare e infine percorrere metà della zona commerciale, che era l’area più vasta della città. Tutti i negozi e le attività si trovavano lì e soltanto pochi fortunati avevano la possibilità di aprire un negozio negli altri quartieri. Per farlo dovevi essere riconosciuto come uno dei migliori tra quelli che praticavano quel mestiere.

    Comunque, Talalazimeth preferiva di gran lunga i negozietti del quartiere commerciale perché, oltre al fatto che non le piaceva fare le lunghe file che strabordavano dagli altri negozi, pensava che tutti quelli che si spostavano negli altri quartieri prima o poi si montassero la testa.

    Ora aveva appena superato la parte più estesa della zona commerciale e imboccato il piccolo distretto alimentare; mentre lo sorvolava iniziò il suo abituale controllo delle altre fate.  Talalazimeth, infatti, ogni volta che tornava a casa, si metteva a controllare se tutte le fate che lavoravano nei banchi del distretto alimentare fossero ancora lì, per vedere se qualcuna mancasse: non per sapere se avessero spostato il negozio in qualche altro quartiere, ma nella speranza che qualcuna di loro si fosse stancata della propria routine ed avesse cambiato vita. Ogni fata, infatti, doveva avere il suo ruolo nella società che, una volta scelto, non si poteva cambiare tanto facilmente.

    Per questo motivo lei aveva deciso di andare nelle terre degli umani. Aveva sentito dire che lì ognuno era libero di fare il lavoro che preferiva e che se si fosse stancato poteva sempre cercare un altro lavoro.

    Da quando le fate si erano trasferite a Magestia, il loro regno si era ingrandito di circa venti volte e aveva accolto tutte le comunità di fate sparse per il mondo. Questa espansione aveva generato molte più case di quelle che effettivamente servivano, quindi l’abbondare di dimore vuote le aveva dato la possibilità di scegliere dove andare ad abitare, così se ne era scelta una al di sopra del distretto alimentare.

    Già da prima, aveva vissuto vedendo tutti i giorni le stesse fate fare lo stesso lavoro per tutta la vita, ma ora che così tante cose erano cambiate, non accettava più il fatto di non poter scegliere della propria vita e la cosa la spaventava un po’, perché non voleva fare la stessa fine delle altre fate più anziane.

    Raggiunse casa sua, un piccolo appartamento ricavato all’interno di un ramo che si trovava proprio sopra il suo panettiere preferito. Aveva scelto quella casa perché così ogni mattina si sarebbe svegliata col dolce aroma del pane appena sfornato, uno dei profumi che più le piaceva in assoluto.

    Appena entrata, gettò le sue cose sul tavolino in legno che occupava circa un quarto del soggiorno, poi si diresse nella sua cameretta e si buttò sul letto, stanca morta nonostante la dormita appena fatta.

    Già, di solito Talalazimeth non era molto energica ma, con il passaggio di stagione dall’estate all’autunno, il suo sonno si era un po’ scombussolato. Quindi, non avendo dormito bene la sera prima, le bastarono pochi secondi prima di cadere in un sonno profondo.

    Il riposo non fu dei migliori. Di solito i suoi sogni erano agitati, ma stavolta ce n’era uno nuovo a tormentarla: nel sogno veniva scelta dal Re e lei iniziava a scappare ma, per quanto volasse in fretta, lui, gigante com’era, continuava a starle dietro, sfiorandole le ali.

    Si svegliò qualche ora più tardi non molto riposata, si stiracchiò e si mise a fissare il vuoto per qualche minuto pensando a cosa fare, in uno stato molto vicino alla catatonia. Il suo stomaco brontolò, facendola tornare cosciente di sé, ricordandole che era da un po’ che non mangiava qualcosa.

    Uscì di casa ancora insonnolita e iniziò a scendere dolcemente verso la panettiera ai piedi dell’albero, pregustandosi la delizia che avrebbe mangiato a breve.

    «Bentornata!» esclamò la panettiera appena vide Talalazimeth sbucare dalla porta.

    La panettiera Misa era una fata anziana e grassoccia, con dei capelli corti color castano e qualche punta di grigio lungo le attaccature laterali. Era sempre di buon umore e provava molta simpatia per Talalazimeth, che era una sua cliente abituale.

    «Ciao Misa» le rispose in uno sbadiglio.

    «Potresti darmi un po’ di pizza?» le domandò.

    «Ma cara, hai visto che ore sono? Dovrai tornare domani se vuoi della pizza»

    «Allora prenderò un po’ di crostata» tentò lei.

    «Purtroppo ho finito anche quella, ritenta e sarai più fortunata» disse allegramente Misa.

    «Uffa! Ti è rimasto qualcosa per me?» chiese Talalazimeth facendo la vittima.

    Sapeva che la panettiera la stava prendendo in giro, quindi decise di fare la sua parte e stare al gioco.

    «Ho sempre qualcosa per te, mia cara» disse la panettiera mentre le allungava un panino alle noci.

    «Grazie» le disse sorridendo. In fondo, la divertiva prestarsi a quel rituale.

    Ora c’è da sapere che, al contrario degli umani, le fate non usano i soldi: ognuna di loro, al raggiungimento della maggiore età, riceve il proprio posto nella società. Sono felici di fare il proprio lavoro gratuitamente per le altre fate, affinché il loro popolo prosperi e nella speranza di poter avere successo e trasferirsi in altri quartieri.

    Talalazimeth era quasi a metà panino, quando la vecchia Misa la interruppe:

    «Prima due ragazze stavano parlando e mi è sembrato di aver capito che stasera ci sarebbe stata una cerimonia per le studentesse al Grande Albero, non dovresti essere lì?»

    La domanda la scosse come un fulmine a ciel sereno, si era completamente dimenticata della cerimonia che ormai stava quasi per iniziare. Lasciò il panino mezzo mangiucchiato sul bancone, salutò la vecchia Misa e si diresse di corsa a casa a prepararsi.

    Spalancò la porta e corse subito all’armadio vicino al suo letto, ma ciò che vide le fece calare il morale a terra: tutti i suoi abiti erano a lavare. Di certo non poteva indossare la sua divisa perché si era dimenticata di toglierla prima di dormire ed ora era tutta stropicciata, quindi l’unico abito rimasto era quello nero che una volta usava per uscire con le amiche, ma da quando Miss Biggs l’aveva rimproverata perché, citando le sue parole, Le fate non indossano abiti neri, quel vestito era rimasto nell’armadio a prendere polvere.

    Presa dallo sconforto, cercò di valutare quale soluzione fosse più conveniente: andare vestita di nero o con la divisa stropicciata. Per il momento l’unica cosa di cui era sicura era che in ogni caso sarebbe finita nei guai con Miss Biggs.

    Dopo quella che, più che una decisione ponderata, potremmo definire tirare a sorte, alla fine optò per l’abito nero che, in fondo, le sembrava la scelta più giusta. Talalazimeth, così come tutte le altre fate, nutriva un grande rispetto per la Regina e non voleva di certo presentarsi trasandata di fronte a lei, sarebbe stata la vergogna più grande della sua vita.

    «Tanto sono già nei guai» disse tra sé e sé.

    La fatina indossò in fretta il suo abito nero e si diede una pettinata veloce, dopodiché uscì in tutta fretta e si diresse verso il centro della città, dove si trovava il Grande Albero.

    Volò il più veloce che poteva e, mentre sorvolava i piccoli negozietti del quartiere commerciale, si aggiustava anche i capelli nella speranza di ottenere una treccia che la rendesse quantomeno presentabile agli occhi della professoressa.

    Quando arrivò nei pressi della radura che ospitava il Grande Albero, udì un gran baccano su cui regnava il rumore degli applausi; segno che la cerimonia era già iniziata.

    Raggiunse la radura, mentre il club di volo sincronizzato si stava già esibendo nelle loro varie piroette e acrobazie; così lei approfittò del fatto che gli occhi di tutti fossero puntati verso il cielo, per trovare un posto dove mettersi senza che nessuno si accorgesse del suo tardo arrivo. Talalazimeth notò subito il Re che era seduto vicino alla Regina delle Fate e guardava lo spettacolo con interesse, cosa che lei trovò strano: non credeva che a qualcuno interessasse veramente quello sport che era tra i più sottovalutati tra le fate. Nonostante questo, dallo sguardo del Re si capiva che stava guardando le acrobazie con molto interesse, gustandosi appieno ogni movimento; probabilmente perché, non essendo abituato ad uno spettacolo simile, gli sembrava che fosse chissà che grande meraviglia.

    Talalazimeth cercò con gli occhi l’amica Faril, che se ne stava tranquilla a godersi lo spettacolo in mezzo alle altre compagne. Aggirò la radura e si avvicinò a lei da dietro, cercando di evitare che Miss Biggs la vedesse.

    «Ci sono! Ce l’ho fatta prima che…» provò a dire trionfante Talalazimeth all’amica.

    «Ti ho vista signorina! Non credere di potermi sfuggire! Ne parleremo dopo, ora fate silenzio, il Re sta per parlare!» la interruppe Miss Biggs fulminandola con lo sguardo.

    «Ma come ti sei vestita?» le sussurrò Faril cercando di non scoppiare a ridere.

    «È una lunga storia, ma almeno sono sicura che il Re non sceglierà me» le rispose Talalazimeth con quell’unica consolazione.

    «Di sicuro ti sceglierà la Biggs, ma per una bella punizione» la schernì divertita Faril.

    Sentendole chiacchierare, Miss Biggs lanciò loro un’altra occhiataccia, che bastò a zittirle.

    Il club di volo sincronizzato aveva appena finito lo spettacolo.

    Si levò un applauso da parte di tutti i presenti, che finsero entusiasmo per la performance, mentre i due reali apparivano profondamente colpiti. Poi, appena il pubblico si placò, il Re dei Maghi si alzò in piedi e si schiarì la voce, preparandosi a parlare.

    Da quello che aveva sentito, Talalazimeth lo credeva più vecchio anche se, non avendo mai visto un umano, non poteva capire quale fosse la sua età, però si capiva che era giovane. I suoi vestiti invece erano proprio come immaginava si vestissero i nobili umani: una giacca elegante di un grigio scuro lucido, quasi nero, sotto un panciotto rosso bordeaux con dei grossi bottoni dorati a coprire la camicia bianca e la cravatta nera. Si stupì subito di quanto fosse alto, pensò che ci volessero almeno dodici fatine una sopra all’altra per raggiungerlo, anche se a prima vista le sembrò più basso di almeno due fate in confronto alla sua regina.

    «Buonasera a tutte voi, mie care fate!» esordì il Re facendo un inchino. «Vi ringrazio per essere venute, in particolare ringrazio voi per avermi assecondato, mia splendida Regina» continuò il Re guardando la sua vicina di sedia.

    La Regina delle Fate trattenne a malapena un sorriso divertito.

    «Per te questo ed altro mio caro» disse la regina Teristha nascondendo un’aria di scherno, poi tornò ad esser seria e continuò il discorso.

    «Come da te richiesto, ecco le perfette candidate per essere la tua assistente personale, sono state scelte direttamente dalla nostra migliore Accademia di preparazione per giovani fate» disse, mentre due file di fate scelte dall’Accademia si predisponevano davanti al Re.

    «Davvero splendide!» esclamò il Re, deliziato dalla bellezza delle giovani fatine.

    «Ma… manca qualcosa» disse avvicinandosi alle candidate e esaminandole rapidamente.

    Tutto il pubblico sembrò congelarsi all’istante; al Re era bastato un semplice sguardo per scartare completamente le migliori candidate dell’Accademia.

    «Posso vedere anche le altre?» chiese girandosi verso la Regina.

    «Fa’ pure con comodo» gli rispose la regina Teristha con aria divertita e preoccupata allo stesso tempo. Lei aveva un buon senso dell’umorismo e conosceva abbastanza bene il Re da aspettarsi una reazione del genere, ma le altre fate non la presero molto a ridere.

    Il Re iniziò a fare il giro delle fatine, con passi lunghi e lenti, al solo scopo di aumentare la suspense fra il pubblico. Finché, ad un certo punto, non si fermò proprio davanti a Talalazimeth.

    «Le fatine non si vestono di nero!» le disse fingendo un’espressione contrariata.

    Talalazimeth iniziò a vergognarsi profondamente, sarebbe voluta sprofondare lì e rimanerci a morire, ma la cosa che più la preoccupava non era la reazione del Re, ma

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