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Il drago verde
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E-book354 pagine8 ore

Il drago verde

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Info su questo ebook

«Vi piacerà da morire.»
Antonio D’Orrico

Dall’autrice del bestseller Che fine ha fatto Mr Y.
Il libro più entusiasmante dai tempi di Harry Potter 

Effie Truelove è un’alunna dell’Accademia Tusitala per Ragazzi Dotati, Problematici e Bizzarri, un edificio strano e misterioso dove imperversa un’insegnante così terribile che fa venire gli incubi ai suoi studenti. Effie crede nella magia, proprio come suo nonno Griffin, che però non vuole parlarne né insegnarle nulla. Un giorno il nonno tanto amato è vittima di un’aggressione e finisce in condizioni critiche all’ospedale. Così incarica la nipote di prendersi cura della sua biblioteca. Ma un oscuro collezionista di libri antichi le ostacola la strada appropriandosi di tutti quei volumi, tranne uno. Quando Effie apre quel libro misterioso viene catapultata in un altro mondo, affascinante e al tempo stesso pericoloso. Qui si troverà ad affrontare la Diberi, un’organizzazione segreta che pianifica di distruggere l’intera umanità. Per Effie è impossibile farcela da sola e dovrà chiedere aiuto a degli amici molto speciali…

Stimolante, coinvolgente, originale ed emozionante!
La nuova saga dell’autrice bestseller Scarlett Thomas

«Un fantasy vivace, geniale, irresistibile.»
Sunday Times

«Una sorpresa continua… Effie e i suoi amici sono più divertenti e indimenticabili di tutta la gente di Hogwarts.»
Financial Times

«Un romanzo incantevole.»
Daily Telegraph

«Superbo.»
Sunday Telegraph

«Questa trilogia fantasy è un fuoco d’artificio!»
The Guardian

«Un successo annunciato.»
Daily Express

«Intrigante. Una delle firme più originali del fantasy contemporaneo.»
Neil Gaiman, autore di Coraline

«Ingegnoso e originale.» 
Philip Pullman
Scarlett Thomas
È nata a Londra nel 1972. Insegna scrittura creativa presso la University of Kent e collabora con diverse testate giornalistiche. Nel 2001 l’«Independent on Sunday» l’ha segnalata tra i venti migliori giovani scrittori inglesi. È stata candidata al premio Orange e al South African Boeke Prize e i suoi libri sono stati tradotti in più di venti lingue. La Newton Compton ha pubblicato Che fine ha fatto Mr Y.; PopCo; L’isola dei segreti; Il nostro tragico universo; Il giro più pazzo del mondo e Il messaggio segreto delle foglie, tutti accolti con grande favore dal pubblico e dalla critica.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2017
ISBN9788822712738
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    Anteprima del libro

    Il drago verde - Scarlett Thomas

    1

    La signora Beathag Hide era la classica insegnante che fa venire gli incubi ai suoi alunni. Alta e magra, aveva dita straordinariamente lunghe, simili ai rami affilati di un albero velenoso. Indossava dei dolcevita neri che facevano sembrare la sua testa un pianeta che veniva lentamente espulso da un universo ostile, e dei completi di tweed di strane e ultraterrene sfumature di rosa e rosso che tingevano il suo viso di un colorito pallido come la luna. Era impossibile capire quanto fossero lunghi i suoi capelli, perché li teneva sempre legati in un tiratissimo chignon. Ma erano del colore di tre – forse anche quattro – buchi neri messi insieme. Il suo profumo ricordava uno di quei fiori che non incontri mai nella vita reale – petali di un blu molto, molto profondo, che crescono soltanto sulle cime di montagne remote, forse le stesse lande desolate dove i rami degli alberi sono così simili alle sue dita.

    O più che altro, questa era l’impressione che aveva di lei Maximilian Underwood, in quel roseo e avvizzito lunedì di fine di ottobre.

    La sua voce faceva piangere i bambini più fragili. A volte si ritrovavano in lacrime solo a pensare a lei a tarda notte o quando erano soli a bordo di un autobus scricchiolante che correva sotto la pioggia. La signora Beathag Hide era così spaventosa che di solito le davano il permesso di insegnare soltanto alla Scuola Superiore. A quanto sembrava, tutte le cose che la appassionavano di più implicavano morti violente e premature. In particolare adorava il mito greco di Crono che divorava i propri figli. La classe di Maximilian aveva lavorato a un progetto su quella storia giusto due settimane prima: tutti gli sventurati figlioli erano stati realizzati con la cartapesta.

    La signora Beathag Hide, in realtà, era la supplente della signora Dora Wright, la vera maestra, che si era dileguata dopo aver vinto un concorso per racconti brevi. Alcuni dicevano che fosse scappata al sud per diventare una scrittrice professionista. Altri che fosse stata rapita per una faccenda collegata in qualche modo al suo racconto. Quest’ultima ipotesi era piuttosto improbabile, dato che aveva ambientato la trama nel castello di un mondo completamente diverso da questo. In ogni caso, era sparita. E ora la sua alta e terribile sostituta stava facendo l’appello.

    Euphemia Truelove, conosciuta anche come Effie, era assente.

    «Euphemia Truelove», chiamò la signora Beathag Hide per la terza volta. «Di nuovo assente?».

    Quasi tutti in classe – il corso avanzato di inglese del primo anno dell’Accademia Tusitala per Ragazzi Dotati, Problematici e Bizzarri (una scuola che aveva guglie storte e grigie, il tetto bucato e una lunga e nobile storia alle spalle; non si chiamava realmente così, ma per varie ragioni era conosciuta con questo nome) – avevano imparato che era meglio non rispondere affatto alla signora Beathag Hide. Anche perché ogni risposta che si poteva dare era quasi sicuramente sbagliata. L’unico modo di sopravvivere alle sue lezioni era starsene seduti zitti e immobili, pregando di non essere notati. Un po’ come un topo chiuso in una stanza con un gatto.

    Anche i più problematici, quelli che erano finiti nella classe avanzata grazie a imbrogli, talenti nascosti o semplicemente per sbaglio, sapevano di doversene stare buoni durante le lezioni della signora Beathag Hide. Per rimediare a quella perdita di tempo se le davano ancor più di santa ragione durante la ricreazione. I ragazzi più bizzarri avevano trovato il loro modo di cavarsela. Raven Wilde, figlia di una scrittrice famosa, stava cercando di lanciare l’incantesimo di invisibilità che aveva letto in un libro trovato in soffitta. Ma fino a quel momento, era riuscita a far sparire soltanto la sua matita. Un’altra ragazza, Alexa Bottle, soprannominata Lexy, il cui padre era un famoso insegnante di yoga, si era semplicemente immersa in una profonda meditazione. Tutti quanti se ne stavano immobili e muti.

    Ma, come si suol dire, Maximilian Underwood non aveva ancora recepito il messaggio.

    «Si tratta di suo nonno, signora», disse. «È all’ospedale».

    «Quindi?», rispose la signora Beathag Hide trafiggendo Maximilian con lo sguardo, come se i suoi occhi fossero dei raggi laser ideati allo scopo di distruggere piccole creaturine indifese. Creature come il povero Maximilian, la cui vita scolastica era un vero e proprio inferno a causa del suo nome, i suoi occhiali, la sua nuova uniforme (impeccabilmente stirata) e il suo profondo e intramontabile interesse per le teorie sul terramoto di cinque anni prima.

    «Non esistono nonni malati in questa classe», disse la signora Beathag Hide, con un tono da far gelare il sangue. «Qui non si accettano parenti sul letto di morte, genitori violenti, cani che mangiano i compiti, uniformi scolastiche che si ritirano in lavatrice, buste del pranzo perdute, allergie, disturbi dell’attenzione, depressioni, problemi di droga, alcol, bullismo, malfunzionamenti di strumenti tecnologici di qualsiasi tipo… Se le vostre stupide infanzie sono tristi e patetiche a me non interessa. In effetti non me ne potrebbe fregare di meno».

    La sua voce, fino a quel momento un bisbiglio sinistro, si alzò fino a diventare un ruggito. «QUALSIASI PROBLEMA CI AFFLIGGA, NOI LAVORIAMO IN SILENZIO E NON INVENTIAMO SCUSE».

    Tutta la classe – persino Wolf Reed, che giocava a rugby nel ruolo di estremo e non aveva mai paura di niente – raggelò.

    «Che cosa facciamo noi?», domandò.

    «Lavoriamo in silenzio e non inventiamo scuse», risposero tutti insieme, in una specie di coro.

    «E com’è il nostro lavoro?»

    «Il nostro lavoro è eccellente».

    «E quando si arriva alla lezione di inglese?»

    «Puntuali», dissero all’unisono, cominciando quasi a rilassarsi.

    «NO! QUANDO SI ARRIVA ALLA LEZIONE DI INGLESE?»

    «Cinque minuti prima?», cantilenò la classe. E se pensate che un punto di domanda sia quasi impossibile da cantare, posso assicurarvi che il loro tentativo non fu affatto male.

    «Bene. E che succede se vacilliamo?»

    «Dobbiamo essere più forti».

    «E che succede ai deboli?»

    «Vengono puniti».

    «Come?»

    «Vengono mandati alla Classe Due».

    «E che significa andare in Classe Due?»

    «Fallimento».

    «E che cosa è peggio del fallimento?».

    Qui la classe si fermò. Nel corso dell’ultima settimana avevano imparato tutto sul fallimento, sul retrocedere nella classe inferiore, sulla necessità di non lamentarsi mai e di non chiedere spiegazioni. Avevano capito come tirar fuori le ultime riserve nascoste di forza interiore – una cosa spaventosa, ma anche piuttosto utile per alcuni dei ragazzi più problematici. Avevano appreso l’importanza di non arrivare solo puntuali, bensì cinque minuti prima. Obiettivo che, ovviamente, è impossibile se le due ore di matematica finiscono cinque minuti dopo l’orario previsto o se ti sei spaccato la schiena a educazione fisica e Wolf e i suoi amici della squadra under 13 di rugby ti hanno nascosto le mutande in una vecchia tubatura.

    «La morte?», tentò qualcuno.

    «SBAGLIATO».

    Calò il silenzio. Una mosca volò per l’aula e andò a posarsi sul banco di Lexy, arrampicandosi sulla sua mano. Nella classe di Beathag Hide si pregava perché le mosche non ti svolazzassero vicino, perché i raggi del sole non illuminassero per un secondo il tuo banco e – orrore – perché il tuo nuovo cercapersone non suonasse per un messaggio di tua madre che ti ricordava del pranzo o ti diceva che veniva a prenderti all’uscita. Si pregava sempre perché fosse il banco di qualcun altro, il cercapersone di qualcun altro. Chiunque. Tutti tranne te.

    «Tu, ragazzina», chiamò la signora Beathag Hide. «Ebbene?».

    Lexy, come tutte le persone appena uscite da uno stato di profonda meditazione, non poté far altro che sbattere gli occhi senza parlare. Realizzò che quella persona incredibilmente alta le aveva appena rivolto una domanda e che…

    Non aveva idea della risposta o, meglio, neanche della domanda. Forse le aveva chiesto cosa stava facendo? Sbatté di nuovo le palpebre e disse la prima cosa – l’unica cosa – che le venne in mente.

    «Niente, signora».

    «ECCELLENTE. Giustissimo. NIENTE è peggio del fallimento. Prima della Classe».

    E così per il resto della lezione Lexy, che voleva soltanto essere lasciata in pace, si beccò una stellina d’oro da attaccare al maglione della scuola per dimostrare che era la Prima della Classe, mentre il povero Maximilian, che non ricordava neanche cos’avesse fatto di male, fu costretto a sedersi in un angolo e indossare un cappello d’asino che puzzava di muffa e cacca di topo, perché era un vero e antico cappello da somaro risalente ai tempi in cui gli insegnanti avevano il permesso di farti sedere in un angolo con le orecchie d’asino.

    Potevano farlo ancora? Probabilmente no, ma gli studenti non facevano di certo la fila per denunciarla. Maximilian, nonostante fosse uno degli studenti più dotati, si trovava spesso a essere l’Ultimo della Classe e ora rischiava persino di retrocedere alla Classe Due. L’unica studentessa messa peggio di lui era Effie, che quel giorno non c’era proprio.

    2

    Euphemia Truelove, il cui nome completo era Euphemia Sixten Bookend Truelove, anche se tutti la chiamavano Effie, ricordava a malapena sua madre. Aurelia Truelove era scomparsa cinque anni prima, quando Effie aveva soltanto sei anni, nella notte che tutti gli altri ricordavano per il terramoto.

    Nel Paese in cui viveva Effie, dormivano quasi tutti quando il terramoto si era scatenato, alle tre del mattino. Ma in posti lontani le scuole erano state evacuate e i voli cancellati. La scossa era durata sette minuti e mezzo, che non è certo poco se si pensa che i terremoti normali finiscono in pochi secondi. I pesci erano volati fuori dall’acqua, gli alberi si erano staccati dal suolo come piantine dal vaso e in diversi luoghi erano piovute rane dal cielo. Non si sa come, ma nessuno era rimasto ucciso.

    Nessuno a parte sua madre.

    Forse.

    Era morta? O se n’era semplicemente andata per qualche motivo? Nessuno lo sapeva. Dopo il terramoto, quasi tutti i telefoni avevano smesso di funzionare e la rete internet si era disintegrata. Per un paio di settimane, non c’era stato altro che caos assoluto. Aurelia Truelove non avrebbe potuto mandare un messaggio a suo marito o sua figlia in alcun modo. Magari ci aveva provato e il messaggio era andato perso. Dal punto di vista tecnologico, il mondo sembrava regredito al 1992, più o meno. Tutto l’universo online era sparito ed era stato rimpiazzato dall’incerto Bulletin Board System (a cui si poteva accedere tramite i vecchi modem analogici). Almeno finché qualcuno non avesse capito come porre rimedio al disastro. La gente credeva che prima o poi si sarebbe tornati alla normalità.

    Non successe mai.

    Dopo il terramoto, le cose per Effie erano cambiate anche in molti altri modi. Dato che sua madre non c’era più e a suo padre era stata offerta una promozione all’università – il che significava più lavoro per meno soldi – non c’era nessuno che badasse a lei, perciò aveva iniziato a trascorrere molto più tempo con suo nonno, Griffin Truelove.

    Griffin Truelove era un uomo molto anziano e con una barba bianca e lunghissima che viveva in un guazzabuglio di stanze disordinate in cima all’Antica Canonica, nella parte più grigia e remota della Città Vecchia. Un tempo Griffin era stato un uomo allegro a cui capitava così spesso di dare incidentalmente fuoco alla propria barba che doveva sempre tenere un bicchiere d’acqua a portata di mano. Ma nei primi mesi, quando Effie andava a trovarlo, non le aveva quasi rivolto parola. Be’, tranne quando le ordinava di: «Non toccare niente, per favore», e, «Sta’ buona, fa’ la brava».

    Dopo la scuola Effie trascorreva in mucchio di tempo in quelle stanze, esaminando – senza toccare – credenze e armadi vecchi e bizzarri, mentre lui fumava la pipa e scriveva in un grosso quaderno nero dalla copertina rigida e, più che altro, la ignorava. Non che fosse cattivo. Solo che sembrava lontano anni luce ed era completamente assorbito da quel suo quaderno nero e da un antico manoscritto, vergato in un linguaggio che Effie non aveva mai visto prima. A quanto pareva, il nonno sentiva il bisogno di consultarlo ogni cinque minuti. Prima del terramoto, Effie e Aurelia capitavano lì insieme qualche volta, e gli occhi di nonno Griffin brillavano quando parlava di tutti i suoi i viaggi o quando mostrava ad Aurelia un nuovo oggetto o un libro che aveva scoperto. Adesso praticamente non lasciava mai le sue stanze. Secondo Effie, suo nonno era incredibilmente triste per ciò che era successo alla figlia. E anche lei lo era.

    Gli armadi di Griffin Truelove erano pieni di strani oggetti fatti di seta, vetro e metalli preziosi. C’erano due candelabri tempestati di gioielli accanto a una pila di panni delicati, ricamati con immagini di fiori, frutti e donne dai vestiti svolazzanti. C’erano elaborate lampade a olio e scatole di legno scuro intagliate a mano con piccoli lucchetti d’ottone, apparentemente senza chiave. C’erano mappamondi, grandi e piccini, raffiguranti terre conosciute e ignote. C’erano teschi di animali, coltelli leggeri e diverse, instabili ciotole di legno con dei cucchiai. Una credenza conteneva mappe arrotolate, candele bianche e sottili, carta grezza e spessa e bottigliette d’inchiostro blu. In un’altra c’erano sacchetti di rose essiccate insieme ad altri fiori. In un armadio ad angolo erano riposte ciotole su ciotole di semi, carbone, terra rossa, foglie pressate, ceralacca, pezzi di vetro di mare, foglie d’oro, rami secchi e neri, bastoncini di cannella, minuscoli frammenti d’ambra, piume di gufo e olii aromatici fatti in casa.

    «Tu sai usare la magia, nonno?», gli aveva chiesto un giorno Effie, circa un anno dopo il terramoto. Le sembrava l’unica spiegazione plausibile per tutti gli oggetti inconsueti di cui si circondava. Sulla magia Effie sapeva tutto, grazie ai libri di Laurel Wilde che raccontavano le avventure di un gruppo di ragazzini in una scuola di magia. Tutti i bambini – e anche qualche adulto – sognavano segretamente di frequentare quella scuola, per imparare a scagliare incantesimi e diventare invisibili.

    «Tutti sanno usare la magia», era stata la gentile risposta di suo nonno.

    «Mi fai vedere?», gli aveva chiesto.

    «No».

    «Mi insegneresti?»

    «No».

    «Ma tu ci credi nella magia?»

    «Che io ci creda o no non ha importanza».

    «Che cosa significa?»

    «Silenzio, ragazzina. Devo continuare il manoscritto».

    «Posso dare uno sguardo alla tua biblioteca?»

    «No».

    E così Effie era tornata a osservare una vetrina piena zeppa di minuscoli calamai di pietra e penne ricavate da piume. Qualche volta si avventurava per la stretta scalinata che portava alla biblioteca e provava ad aprire la porta, ma era sempre chiusa a chiave. Attraverso il vetro azzurro della porta, vedeva un mucchio di mensole altissime cariche di libri dall’aria antica. Perché suo nonno non glieli lasciava guardare? In fondo gli altri adulti ripetevano sempre che i bambini devono leggere.

    Ma gli adulti vogliono soltanto che i bambini leggano i libri che loro hanno scelto. Suo padre, Orwell Bookend (il cognome era diverso perché la madre di Effie aveva insistito per tenere il suo, Truelove, e passarlo alla figlia) aveva proibito a Effie di continuare a leggere Laurel Wilde proprio prima che venisse pubblicato il sesto libro della saga. Questo perché non voleva che sua figlia avesse niente a che fare con la magia, aveva detto, ed era una cosa strana dato che lui non ci credeva neanche. E poi un giorno, dopo aver bevuto troppo, le aveva ordinato di stare lontano dalla magia perché era pericolosa. Come poteva essere pericolosa una cosa che neppure esisteva? Effie proprio non lo capiva. Ma per quanto provasse a chiedergli informazioni, suo padre teneva la bocca cucita, e così aveva iniziato a fargli altre domande.

    «Nonno?», disse Effie un mercoledì pomeriggio, prima del suo undicesimo compleanno. «Che lingua è quella che stai leggendo? So che stai facendo una sorta di traduzione, ma da dove viene quel manoscritto?»

    «E così sai che sto facendo una traduzione, eh?», annuì compiaciuto, quasi sorridente. «Molto bene».

    «Ma di che lingua si tratta?»

    «Rusiano».

    «E chi è che parla rusiano?»

    «Delle persone che abitano molto, molto, molto lontano da qui».

    «In un posto dove si pratica la magia?»

    «Insomma, quante volte devo ripetertelo? Tutti praticano la magia».

    «Ma in che modo?».

    Il nonno sbuffò. «Ti è mai capitato di svegliarti una mattina e pregare o sperare fortemente che non piovesse?»

    «Sì».

    «E ha funzionato?».

    Effie si prese un momento per riflettere. «Non lo so».

    «Be’, ha piovuto sì o no?»

    «No. Almeno, non credo».

    «Be’, allora hai fatto una magia. Urrà!».

    Nei libri di Laurel Wilde non funzionava di certo così. Nei libri di Laurel Wilde bisognava pronunciare una particolare formula magica per far smettere di piovere. Dovevi comprare l’incantesimo in un negozio di incantesimi e fartelo insegnare da qualcuno. E poi…

    «Ma può darsi che non avrebbe comunque piovuto, o no?».

    Il nonno sbuffò di nuovo. «Euphemia. Ho promesso a tuo padre…».

    «Cosa gli hai promesso?».

    Griffin si tolse gli occhiali. La sottile montatura argentata scintillava sotto la luce. Si strofinò gli occhi e poi guardò Effie come se avesse appena aperto una tenda e scoperto un giardino assolato di cui non si era mai accorto.

    «Ho promesso a tuo padre che non ti avrei mai insegnato nulla sulla magia. Soprattutto dopo quello che è successo a tua madre. Inoltre, ho promesso anche ad altre persone che non avrei più fatto incantesimi per cinque anni, e così per cinque anni non ho praticato la magia. Tuttavia…». Guardò l’orologio. «I cinque anni termineranno martedì prossimo. E finalmente le cose si faranno più interessanti». Ridacchiò e poi si accese la pipa.

    «Stai scherzando, nonno?»

    «Santo cielo, ragazzina. No. Perché dovrei?»

    «Allora mi insegnerai la magia? La magia vera? Martedì prossimo?»

    «No».

    «Ma perché no?»

    «Perché l’ho promesso a tuo padre, e io mantengo le promesse. E inoltre, ci sono delle persone molto influenti che non vogliono che la magia venga insegnata ai ragazzini – a meno che non lo facciano loro stessi. Però potrei mostrarti una nuova lingua o due. Insegnarti a tradurre. Probabilmente sei abbastanza grande ormai. E forse è ora che ti mostri anche la biblioteca».

    La biblioteca di Griffin Truelove non era che una stanza quadrata dal soffitto altissimo, piena di mensole di legno scuro. C’era un tavolino con una lampada di vetro verde, al cui interno brillava una candela, non una lampadina. (Molte persone leggevano a lume di candela ora che le lampadine erano poche e costosissime). La stanza profumava vagamente di pelle, incenso e cera. I libri erano giganteschi, tutti con spesse copertine rilegate in pelle, velluto o in un tessuto morbido di varie sfumature di rosso, viola o blu. Le pagine erano color crema e quando le aprivi le lettere erano nere, di foggia antica. Parlavano di grandi avventure in terre sconosciute.

    «Ho solo una condizione, Euphemia. E voglio che tu mi prometta che la rispetterai sempre».

    Effie annuì.

    «Devi leggere un libro alla volta, solo uno alla volta. E devi lasciarlo sempre sul tavolino. È importante che io sappia quale stai leggendo. Capito? E i libri non devono mai lasciare questa biblioteca».

    «Promesso», rispose Effie. «Questi… sono libri magici?».

    Suo nonno si accigliò.

    «Ragazzina, tutti i libri sono magici. Pensa», le disse, «a cosa fanno fare alle persone. C’è chi va in guerra sulla base di quel che legge. La gente crede ai fatti solo perché sono messi per iscritto. Decidono di adottare sistemi politici, di viaggiare verso un luogo a dispetto di un altro, di lasciare il lavoro e partire all’avventura, di amare o odiare. Tutti i libri hanno un potere tremendo. E il potere è magia».

    «Ma questi sono magici davvero

    «Sono tutte ultime edizioni», disse Griffin. «Molta gente colleziona le prime edizioni dei libri, perché sono rarissime. Ma queste ultime lo sono persino di più. Quando sarai grande, scoprirai il perché». E poi si rifiutò di aggiungere altro.

    Rispetto ai cinque anni precedenti, i mesi successivi volarono molto più velocemente. Il nonno di Effie ricominciò a uscire, per quelle che lui chiamava delle avventure. Dopo la scuola, Effie a volte lo raggiungeva nelle sue stanze e lo vedeva togliersi i pesanti stivali marroni e mettere via la consunta sacca di cuoio e il borsello di tela. Un giorno lo vide riporre uno strano bastone marrone dentro un cassetto segreto della sua enorme scrivania di legno, ma quando lei gli chiese di che cosa si trattasse, il nonno le disse semplicemente di smammare e continuare a tradurre.

    Imparò velocemente il rusiano, poi passò a esercitarsi con una nuova lingua chiamata Antico Inglese Bastardo. Effie sognava un’avventura come quelle di cui parlavano i libri della biblioteca di suo nonno. Una missione in cui avrebbe dovuto chiedere in rusiano quanto costasse lasciare il cavallo in una scuderia per il fine settimana, o magari in Antico Inglese Bastardo quali creature pericolose infestassero il bosco la sera. What wylde bestes haunten the forest this nyght?

    Continuava anche a sognare la magia, anche se non ne aveva ancora vista una. Quando vide di nuovo suo nonno nascondere un oggetto nel cassetto segreto – un cristallo immacolato stavolta – glielo chiese ancora. «Nonno, quelle cose che metti nel cassetto sono magiche?»

    «Magiche», ripeté lui pensieroso. «Uhm. Continui a fare domande sulla magia, eh? Be’, se vuoi la mia opinione la magia è sopravvalutata. Non si può sempre fare affidamento sulla magia. Nemmeno spesso, a dirla tutta, soprattutto in questo mondo. La magia costa, ed è difficile. Ricordati sempre questa cosa, Effie. È importante. In questo mondo, se vuoi far crescere un albero, pianti il seme, gli dai acqua e calore e lasci che il sole riscaldi i germogli. Non usi la magia, perché ricorrere alla magia per portare a termine un compito così complicato – nientemeno che la creazione di una nuova vita – non è solo inutile, ma anche superfluo. Più in là la vita ti mostrerà cose sorprendenti, immagino, cose che ora non puoi neanche immaginare. Ma ricordati sempre che molto di ciò che accade quotidianamente – un seme che diventa un albero, per esempio – è ancora più sconosciuto, complesso e difficile della magia. Gli incantesimi ti serviranno raramente, ecco perché hai bisogno di altre abilità».

    «Quali abilità?»

    «Le lingue. E….». Si fermò a riflettere per qualche istante e immerse la barba nel bicchiere d’acqua, anche se non stava andando a fuoco. Poi, lentamente, la strizzò. «Forse è ora che ti inizi al Pensiero Magico. Serve il Pensiero Magico per fare un qualunque incantesimo. Quanti anni hai detto che hai ora?»

    «Undici».

    «Bene. Inizieremo domani».

    fregio.png

    Il primo compito di Pensiero Magico fu difficilissimo per Effie. Griffin la portò all’ingresso del suo appartamento e le mostrò tre interruttori elettrici.

    «Ognuno di essi», disse, «accende una diversa luce all’interno della casa. Uno è per il lampadario in biblioteca, uno per la lampada vicino alla poltrona e uno per la cantina del vino. Sono le luci che uso più spesso, quelle che dimentico più spesso quando esco. L’elettricità costa moltissimo ora e se la usi durante i blocchi vai incontro a sanzioni pesanti: è per questo che ho fatto mettere questi interruttori qui fuori, proprio di fianco all’ingresso. Capirai anche tu che da qui è impossibile capire quale interruttore accenda una determinata luce. Il tuo compito è intuirlo. Ma ecco la parte difficile. Qua fuori puoi provare gli interruttori quante volte ti pare, ma puoi entrare a vedere le luci una volta soltanto, e con solo un interruttore acceso. E puoi farlo solamente quando sarai pronta a dare una risposta. Hai un unico tentativo».

    «Quindi non posso accendere un interruttore, andare a vedere quale luce è entrata in funzione, provarne un altro e memorizzare le combinazioni?»

    «No. Così sarebbe troppo facile. Quando darai la risposta, dovrai anche spiegare come ci sei arrivata. È la parte del come che è più interessante».

    «Quindi non si tratta neanche di fortuna».

    «No. Devi usare il Pensiero Magico».

    «Ma come si…?»

    «Se indovini, avrai un premio», disse Griffin.

    «Che premio?»

    «Se lo sapessi sarebbe troppo facile».

    fregio.png

    Da quel momento in poi, ogni volta che Effie si recava all’Antica Canonica, si metteva di fronte agli interruttori e cercava di risolvere l’enigma. Ma non ci era mai riuscita. Arrendersi era una cosa che odiava. Chiedeva indizi a suo nonno, ma lui non le diceva una parola. Al contrario, tra una traduzione e l’altra, la spingeva ad affrontare problemi di Pensiero Magico di altro tipo. Alcuni erano simili a battute o indovinelli. «Per esempio», disse Griffin un paio di settimane dopo che Effie aveva iniziato a frequentare l’Accademia Tusitala, «immagina che un uomo lanci una palla e la palla cambi direzione e gli torni addosso. Non ha sbattuto contro nessuna superficie e nessun oggetto e non è attaccata a lui tramite un elastico o qualcos’altro, e non è stata usata la magia. Com’è possibile?».

    Effie ci rifletté per tutto il giorno, ma alla fine si arrese.

    «Qual è la soluzione, nonno?», lo implorò prima di tornare a casa.

    «L’uomo ha tirato la palla in alto».

    Effie scoppiò a ridere. Ma certo! Divertente.

    Ma suo nonno non rideva affatto. «Se non afferri queste dinamiche, non potrai mai comprendere le basi della magia», disse. «Devi imparare a pensare in questo modo. E ormai sembra che non abbiamo più tanto tempo».

    «Che vuoi dire? Perché non abbiamo più tempo?».

    Ma lui non rispose.

    3

    Effie non era ancora arrivata a scuola quel lunedì di ottobre per via di quello che era accaduto il mercoledì sera precedente. Come al solito suo padre, Orwell Bookend, era andato a prenderla a casa del nonno, ma invece di aspettare in macchina si era inerpicato per le due rampe di scale che portavano alle stanze di Griffin.

    Avevano mandato Effie in biblioteca a studiare, ma lei era rimasta in corridoio per origliare quello che suo padre diceva. Sapeva che c’era qualcosa sotto. La settimana prima, Griffin era inaspettatamente partito per tre giorni e le era toccato tornare a casa subito da scuola per aiutare la matrigna Cait con la sorellastra Luna, invece di

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