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Daimon: 1. La custode
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Daimon: 1. La custode
E-book302 pagine3 ore

Daimon: 1. La custode

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Info su questo ebook

Giulia Foscarini è un’archeologa molto determinata nel dimostrare la propria convinzione che il Cristianesimo, storicamente parlando, sia stata un’impostura. Cristo, sostiene, non fu che un mito, e così le figure dei quattro Evangelisti. Quando il più importante storico delle religioni e nemico dichiarato del Cristianesimo viene trovato crudelmente assassinato nelle oscure grotte alchemiche di Torino, toccherà a lei, fatalmente, condurre fino alla fine una ricerca storica incredibile: la vera identità del corpo custodito nella basilica di San Marco a Venezia. Chi fu a portare quel corpo a Venezia, e quando?
Nell’ombra che cresce alle spalle di Giulia agisce uno dei massimi professionisti del male che il mondo abbia allevato.
Dalla contemporaneità all’antichità classica, attraverso l’alba dell’età crociata e dello splendore della Repubblica di Venezia, un’avventura nei segreti dell’origine del Cristianesimo, alle radici del male e alla ricerca dell’eternità.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2012
ISBN9788863698664
Daimon: 1. La custode

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    Anteprima del libro

    Daimon - Luca Valerio Borghi

    TETRAMORPHUM

    PROLOGO

    Notte alta a Babilonia. Sopra il letto di morte: il re.

    Allucinazioni simili alle Furie. Febbre da dieci giorni. Da tre non ha più voce.

    Delira. Crede di essere davanti al giudizio delle Arpie. Aspetta la sua condanna.

    Il primo giorno di febbre ha gridato: Lasciami, Erinni. Mi prendi per buttarmi nel Tartaro.

    Tolomeo che gli era vicino si è voltato verso gli altri. «Muore gridando versi di Euripide» ha detto.

    Ma l’agonia è lunga. Il corpo è giovane, colmo di forze. Il corpo non vuole cedere.

    Ora delira, crede di gridare: onorerò il demone. Ma non ha voce. Lo vedono soltanto tremare.

    I macedoni hanno aperto le porte della reggia. Hanno sfilato funebremente per due giorni davanti al suo letto con indosso solo la tunica. Lui ha creduto di vedere le anime spoglie dell’Ade. I simulacri dei vivi che lo aspettano oltre Acheronte.

    Ora solo i generali gli stanno intorno.

    «L’oracolo di Serapide ha detto di lasciarlo dov’è. Non si può far nulla.»

    «Non sacrifica da quattro giorni. È morto, ormai.»

    «È come se lo fosse. Il suo spirito sta ancora lottando col suo demone, come sempre.»

    Ora le Furie sono svanite. Tutto si è riem­pito di fiamme. La città brucia. È la sua Babilonia? O Troia che arde in un silenzio senza vita?

    Una donna: il volto nero di ombre, capelli come serpenti. Viene avanti. Al braccio porta lo scudo.

    Il moribondo guarda l’arma di bronzo lucido credendo di specchiarsi. Ma lo scudo è coperto di storie, di rilievi. I segni sono incerti come il sogno.

    Ma il re guarda, capisce.

    Vede Eracle avvolto nella pelle del leone. Eracle composto sulla sua pira funebre dopo l’impresa in Asia.

    Vede il corpo dell’eroe sotto la luna. Il corpo tagliato a pezzi da uomini armati.

    Vede Eracle ancora. È vivo, regna, è di nuovo avvolto nelle spoglie del leone. Ai suoi piedi, inginocchiati, i sudditi di Oriente e Occidente.

    E ancora il corpo dell’eroe senza vita. Viene condotto su una nave da uomini del mare. Un grande faro svetta sulla città immortale e nel cielo eterno.

    Gli uomini del mare sono vestiti di ferro, hanno navi di legno e di vento. Alzano un tempio d’oro e di pietre strane sul corpo di Eracle dio. Il suo volto ora non più di uomo ma di leone. Tra le scapole ha due ali di sasso.

    È un leone alato.

    La Medusa gli strappa lo scudo pieno di visioni. Se ne ripara per nascondersi, fugge dagli occhi del re che muore. Lui crede di scagliarle addosso la lunga lancia. Ma la sua mano è nuda. La donna è svanita.

    Altre fiamme. Poi la visione scompare.

    I generali trattengono il respiro. Hanno sentito il gemito.

    Gli occhi di Alessandro per un istante si aprono. Il re non vede nulla.

    Sembra che voglia sollevarsi.

    Seleuco e Pitone sono i più vicini. Hanno l’impressione che il suo sguardo cerchi la luce, veda le fiaccole oscurate da veli e pellame. Che il suo sguardo si spenga e svanisca per sem­pre.

    Forse crede di vedere una capanna di rami di salice rosso. Le sorelle tessere la lana. Qualcuno lo aspetta sulla riva tessala dell’Aliàcmone: è sua madre?

    Il corpo ricade.

    «È morto» dicono. Ma non è ancora spirato.

    Vedono le labbra che si aprono. È l’ultimo soffio.

    Eumene crede che voglia parlare. Gli si avvicina. Raccoglie le sue ultime parole:

    Katà ton daímona heautoú

    ​I. IL TORO

    Tu che spirando vai veggendo i morti:

    Sappi ch’i’ son Bertran.

    I

    Torino. 6 novembre. Ore 18.30

    Giulia aveva chiuso gli occhi.

    Sentì il suo gemito e pensò di farsi una doccia al più presto. Quando riaprì gli occhi, vide che Robert chinava la testa per baciarla. Preferì non scrutare nel suo sguardo: si concentrò sulle labbra e le sfiorò con un baciò.

    Robert si alzò e andò in bagno. Giulia si girò verso la finestra: fuori si vedeva solo il buio di novembre. Era stanca. Sentì l’acqua del bagno scorrere. Bene, farò la doccia più tardi.

    Le immagini della giornata cominciarono a scorrere nella sua mente come in un film. Nebbia a Venezia. Ponte di Mestre intasato. Parcheggio del Marco Polo. Volo Venezia – Torino. Aeroporto, sciopero degli autobus: arrivi in taxi al Centro Congressi. A Torino pioggia leggera e nebbia.

    Partecipi al convegno Critica storica e Nuovo Testamento. La sala Cavour piena, 301 persone lì ad ascoltare te. A leggere i foglietti di sala, sembreresti una star.

    Giulia Foscarini è una giovane archeologa e filologa, studiosa del Cristianesimo delle origini. Laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia e dottore di ricerca alla University of California Berkley, dopo alcune pubblicazioni di interesse accademico ha di recente pubblicato il saggio I quattro animali di dio in cui analizza le figure dei quattro evangelisti.

    Parlare in pubblico non ti piace ma fa parte del tuo lavoro. La leggera cadenza veneziana del tuo accento è amplificata nella sala.

    «Religione e verità: è questo il tema del mio intervento. La Chiesa, fin da San Paolo, ha sempre affermato che la fede cristiana si basa su verità storiche incontrovertibili. Ma sappiamo che molte di queste verità erano soltanto invenzioni. Ieri sapevamo che la Sindone è un falso storico. Oggi sappiamo che lo è anche l’uomo che sarebbe stato avvolto in quel sudario.» Applausi e mormorii. E pensare che da bambina la mamma mi mandava in chiesa. Suor Angelica che mi adorava, povera vecchia: se mi sentisse adesso.

    Giulia si riscosse, aprì gli occhi. Robert usciva dal bagno. Fece volare sul letto l’asciugamano che aveva legato attorno alla vita. Adorava esibirsi in quel modo.

    « Were you sleepin’?»

    Giulia richiuse gli occhi. Percepiva il compagno muoversi intorno al letto. Alzò il lenzuolo fino alle spalle e finse di mettersi a dormire. Robert raccolse i propri indumenti da terra e si rivestì.

    La suoneria di un cellulare ha interrotto il tuo discorso. Un uomo si è alzato ed è uscito dalla sala. L’hai osservato ma non hai visto nulla o non ricordi nulla. Hai ricominciato a parlare:

    «I cristiani sostengono che i Vangeli siano stati scritti immediatamente dopo la morte di Cristo e che gli evangelisti fossero testimoni oculari della sua vita. Il mio studio dimostra che non è così. Prendiamo in esame il Vangelo di Giovanni. Possiamo ritenere che sia stato composto attorno all’anno 180 dopo Cristo. Ho svolto un’analisi approfondita di questo testo e posso affermare che la sua composizione avvenne in momenti successivi e fu opera di autori diversi, a quasi un secolo e mezzo di distanza dai fatti che racconta.»

    Fai una pausa, ti versi un bicchiere d’acqua. Scruti la platea. Non bevi, ricominci a parlare.

    «La cosa non ci deve soprendere. Sappiamo che dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani, verso la fine del I secolo le comunità religiose ebraiche degli esseni inventarono la figura di un dio trasformato in uomo. Un dio venuto nella storia, ucciso e rinato dalla morte. L’invenzione del cristianesimo fu opera loro. Mescolarono ebraismo, filosofia platonica e religioni orientali come i culti di Mitra e di Iside.»

    Molti in sala annuiscono. Mentre bevi l’acqua che ti sei versata prima, l’iphone trema sul tavolo. Compare la notifica di un messaggio. Non hai bisogno di controllare: sai che è lui.

    «La nuova religione dilagò nell’impero romano. Il monoteismo era ormai accettato dalla maggioranza: da tempo i romani non credevano più negli dei tradizionali. Ma il cristianesimo compì un passo geniale: promise l’aldilà a tutti. Gli umili, i poveri, gli afflitti, le masse di schiavi. Mise in scena la grande rappresentazione: la passione di Cristo. Gesù che muore beatificava la sofferenza come promessa di una vita migliore e dava senso alle più insensate delle cose: la morte, il dolore. Fu la vittoria del galileo, come lo chiamò l’imperatore Giuliano.»

    In sala ti ascoltano.

    «Torniamo all’evangelista Giovanni. Il testo in realtà fu scritto in diversi momenti, da diverse mani: Giovanni il discepolo di Gesù, a cui viene attribuito, non ne fu certo l’autore. Anche il vangelo di Matteo è ritenuto dalla Chiesa opera di un discepolo di Cristo, testimone oculare del messia. Dal mio studio risulta invece che il suo Vangelo, così come quelli di Luca e Marco, non iniziò a circolare prima degli anni sessanta del II secolo: circa centotrent’anni dopo la presunta morte di Cristo. E sarebbe inutile cercare il nome Gesù nelle prime stesure di quel testo: Gesù non esisteva ancora.»

    Una cerniera si chiuse. Giulia aprì gli occhi di scatto. Robert aveva impugnato la valigia e la fissava.

    « Now you were sleeping, uh?»

    Annuì senza ascoltarlo. « See you soon, Rob.»

    «Ciao» le disse col suo accento americano. Le fece il suo largo sorriso scoprendo i denti di un bianco uguale tra gli zigomi e sparì.

    Giulia fu contenta che non volesse baciarla e che se ne fosse andato. Respirò, finalmente sola nella stanza vuota. I love you. See you not too soon.

    Si ricordò del messaggio che aveva ricevuto durante la conferenza. Si alzò e frugò nelle tasche della giacca Max Mara, prese l’iphone e lo lesse.

    Ciao genia…com’è andata?

    Tornò a sdraiarsi e digitò una risposta entusiasta. Buttò l’iphone sul cuscino e richiuse gli occhi. Si coprì gli occhi chiusi col braccio.

    Le parole e le immagini della giornata ricominciarono a girarle in testa. Il caffè dell’aeroporto, il bambino che piangeva in aereo. L’uomo col telefono che se n’era andato.

    «Quanto all’evangelista Marco» concludi «un esame delle sue spoglie, conservate nella cattedrale della mia città, sarebbe risolutivo per svelarci l’identità di quel corpo ancora oggi venerato dai cristiani. Ma temo che questo onore non mi verrà concesso.»

    Davanti a te, sul tavolo, c’è un libro. Te l’ha dato lui. Ti ha detto: ho segnato un passo, leggilo.

    Il libro: Pietro Giordani. Prose. Un’edizione in sedicesimo, London 1862.

    Il passo: sottolineato a matita finemente.

    L’hai letto in aereo, hai sorriso.

    Apri il libro e ti avvicini al microfono:

    «Viviamo in un paese scarsamente laico, molto clericale, paradossalmente molto ateo. Eppure nella nostra storia ci sono stati grandi spiriti laici, oggi dimenticati. Lasciate che vi legga alcune parole . Questo cristianesimo non è caduto dalle nuvole tutto intero. Non è un edificio bello e saldo, piantato su fondamenta nuove. Non è bello e soprattutto non è nuovo. È come il monte Testaccio di Roma: una massa di rottami di pentole, boccali, tegole. Una massa faticosa da rompere, disgustosa da riconoscere e impossibile da riordinare. Ecco il solo dio preso dagli Ebrei. Ecco dai Greci di Alessandria l’assurda trinità indiana, passata attraverso i sogni di Platone. L’India e l’Egitto vi hanno dato l’incarnazione di dio. L’Egitto vi ha aggiunto la morte e la resurrezione in primavera. Dai Persiani avete preso il peccato originale, il mediatore divino tra il dio offeso e il genere umano, i sette sacramenti della religione mitraica. I digiuni, le penitenze e la festività ogni sette giorni li avete presi dagli Ebrei che pure avete odiato. Dai greci e dai romani, che avete odiato anche di più, l’uso di fare statue della vostra divinità Cristo. Avete sostituito a tutte le solennità romane le vostre: un santo per ogni giorno dell’anno. Avete preso l’acqua lustrale ai Suovetaurili romani. Avete sostituito le Prefiche con i mortori. Avete vestito la dalmatica effeminata davanti ai vostri altari. Avete deformato nella ridicola pianeta la nobile toga dei Quiriti. Rubato il vostro camice ai sacerdoti di Iside. Promesso la stessa castità di quelli di Cibele. La mitra, senza sapere che era la cuffia delle puttane di Frigia e di Lidia, l’avete messa sulla testa dei vostri pontefici. A quel punto eravate degni di inventare il demonio.»

    La sala applaude. Tu che ti allontani dal microfono. Due voci vicino che bisbigliano. Poi un sussurro, parole che senti o credi di sentire. Tu che ti volti di scatto, che senti:

    Pax tibi Marce, evangelista meus.

    Ma davanti a te c’è solo una ragazzina dagli occhi tondi. Eppure sei sicura, hai sentito.

    L’hai fissata. La ragazzina ha esibito un sorriso professionale. L’hai fissata perduta. Da un lembo del doppiopetto le pende un cartellino plastificato: Centro Congressi Torino Incontra.

    Ti ha fatto cenno di seguirla. Ti sei alzata, hai camminato dietro di lei lungo un corridoio pieno di luce. Poi è sparita.

    Robert, che era in sala, ti ha raggiunto. Avete camminato fino all’albergo.

    Pax tibi Marce, evangelista meus. Forse ti è solo sembrato. Pace a te, Marco, mio evangelista.

    Giulia riaprì gli occhi. Fuori sembrava notte ma dovevano essere al massimo le sei di sera. Torino, una sera di novembre: Mastroianni socialista spianato vede la prostituta Annie Girardot in un caffè del centro. Come al solito ti viene in mente un film, uno dei mille che tuo padre ti propinava da bambina, quando c’erano lui e il suo cinema anziché lui e tua madre.

    Adesso Robert un po’ mi manca, avremmo potuto cenare insieme. No, meglio sola. Mi alzo e faccio una doccia.

    In quel momento bussarono alla porta.

    II

    Torino. 6 novembre. Ore 17.50

    « Surge, Lazare.»

    Alzati, Lazzaro.

    Non riconobbe subito il suo nome Aleksej Korovev.

    Delira nel sonno. «Cristo, perdono!»

    E poi ancora: «Grido contro il muro di cannoni e di filo spinato. Sento i suoi rovi nella schiena.»

    E ancora: «Sole! Padre mio! Pietà di me, non tormentarmi più. Guarda, ho le mani nere di sangue per te. Non è un pugnale questo, è un vomere che apre le tombe e questo che mi brucia le dita è il sale che purifica.»

    E ancora: «È il tuo sangue! Io l’ho versato e scorre sul mio lungo cammino. Come un pellegrino solitario tra fantasmi, come l’ultimo occhio di un uomo nella terra dei ciechi, io sono solo.»

    « Surge, Lazare» ripeté la voce.

    Alzati, Lazzaro. Risorgi. I morti risorgono. L’uomo è risorto dai morti. Il possente coronato da un segno di vittoria. L’uomo dio che salva. Prima di lui nessuno è stato salvato. Tu l’hai visto il viso dell’uomo risorto. L’hai visto dietro alla teca di vetro. L’hai visto e l’hai venerato. Gli occhi chiusi avvolti nel lenzuolo. Le ossa distese sul telo di sangue. Non è l’uomo della Sindone come lo chiamano gli empi. È Cristo, il dio uomo sceso tra i morti e ritornato in vita. Anche tu scendi tra i morti. Ma scendi vivo, ti immergi in loro. Sconti la tua espiazione. Vivi la tua pena. Vinci il tuo perdono. Scendi tra i morti ancora. Tu sei il vaso d’elezione.

    Tu sei un soldato fedele.

    L’uomo aprì gli occhi. Riconobbe la voce di padre Gaillard.

    Si era addormentato dopo aver pregato.

    La cella era quadrata, buia. Dal corridoio filtrava una luce senza colore. Si sentiva un cembalo arpeggiare.

    L’uomo si alzò e aprì la grata della cella. Il prelato che vide davanti a sé gli diede un foglio. Poi fece un cenno alla cella vicina da dove veniva la musica.

    «Boccherini, la Sesta» disse. «È il frater della cella vicina. Domani sera dirige Tosca al Regio. Si concentra così.» Rise scoprendo i canini lunghi.

    L’uomo non lo stava ascoltando. Guardò il foglio. C’era l’indirizzo. Corso Casale, Hotel Iblis.

    «Il tuo miles è già qui fuori.» Lo fissò con quegli occhi vuoti. L’uomo pensava che padre Gaillard non avesse vera fede.

    «Si dice che tu agisca da solo. Che la Fraternitas non ne sappia niente. Che tu sia senza mandatum

    « Hoc mandatum accepi» rispose l’uomo. L’altro capì ma non ne fu convinto. Si scambiarono un cenno. L’uomo richiuse la grata. Sentì Gaillard ridere di nuovo mentre passava davanti alla cella da cui usciva la musica.

    Ora l’uomo si prepara. Indossa la camicia e il doppio petto. Pronuncia qualche parola in italiano con un forte accento francese. Poi lo smussa, lo calibra. Adatta il tono della voce, la modella. Eccolo, davanti a un piccolo specchio che tira fuori dalla valigia. Può non ricordarsi di un camerino ugualmente buio, molti anni fa? Era solo un bambino. E lei era giovane, sua madre, giovane e bella. Sua madre attrice dagli occhi di ardesia, morta di cirrosi alcolica quando lui non aveva che pochi anni. Un camerino, un teatro. Shakespeare. Recitava Gertrude in Amleto. Riusciva ad essere di nuovo se stessa dopo la recita? A lui non è mai stato possibile, né prima né adesso.

    Eccolo che si specchia. Ogni tanto teme di rivederlo, il vecchio Aleksej. Riapparire dall’abisso in cui è caduta la sua vita prima della morte. Lei, la puttana ubriacona che lo ha abbandonato, la rivede spesso nei suoi pensieri. Ogni volta la maledice. Ancora più spesso rivede lui, suo padre. L’uomo che lo ha forgiato come una statua, che gli ha dato forma come un materia malleabile esercitando le più alte pressioni. Ogni volta gli chiede perdono.

    « Pater noster» cominciò a sussurrare, mettendosi in ginocchio sulla pietra fredda della cella « qui es in caelis. Santificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum. Fiat voluntas tua. Libera eos a malo. Et militem tuum adiuva. Amen

    Liberali dal male. E aiuta il tuo soldato.

    Uscì dalla cella. Si trovò nel chiostro freddo. Camminava e si tastava le tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette.

    Solo quando fu fuori dalla chiesa ne prese una. Parliament Reserve, le stesse fumate dal padre che le comprava di contrabbando dal Kazakistan, dove modificavano lo slogan inglese Parliament Cigarettes – for Authoritative Smokers col semplice сигареты, sigarette.

    Bianca, perfetta. Mentre rimetteva in tasca l’elegante pacchetto blu, l’accese.

    Un’ombra davanti alla facciata della chiesa. Era Davide Cosma. L’aveva visto solo un’altra volta ma lo riconobbe. Assomigliava all’attore Scamarcio e se ne vantava. Lo ignorò guardando da un’altra parte mentre prendeva boccate pungenti, tabacco della Virginia.

    La chiesa si affacciava su Piazza Statuto. Qui tramonta il sole e iniziano le tenebre. Qui venivano giustiziati i condannati e sepolti i cadaveri quando la città era un avamposto militare di Roma. Qui sorgeva il regno della morte, la grande necropoli romana. Qui inizia il regno della morte. Qui vengono redenti i peccatori. Lì, sotto terra, nelle grotte alchemiche.

    Quando ebbe finito la sigaretta si avvicinò a Cosma.

    «Cos’hai lì sotto?» gli chiese.

    Il ragazzo rise scuotendo i ricci neri. Scostò il lembo della giacca. Nella fondina allacciata c’era una Beretta Px4 Storm.

    «Non ti serve» gli disse Korovev. Mettila via.»

    Scamarcio non gli piace, ma non ha trovato di meglio. È solo un miles di primo livello, mentre lui è un mostro sacro nella Militia, una leggenda dorata. Eppure il ragazzo si comporta come se fossero colleghi. Ma non ha l’appoggio della Militia stavolta. Lavora da solo e si deve accontentare. Gli amici lo hanno aiutato: quelli dell’Armata Rossa giapponese e il cardinale Leporati. È stato lui a convincere padre Gaillard ad ospitarlo dopo avergli procurargli tutto il necessario.

    Il ragazzo indicò una fila di auto parcheggiate poco lontano e si avviò verso quella grigia. Entrarono in macchina.

    «Corso Casale» gli disse Korovev.

    Cosma non rispose. Digitò l’indirizzo nel navigatore e mise in moto.

    III

    Roma. 6 novembre. Ore 14.40.

    Teneva il copione arrotolato nella mano destra e lo batteva sul ginocchio.

    Le auto davanti procedevano lente nel traffico di Lungotevere Prati. Zack, dietro, gli leggeva il plan dell’indomani, il primo giorno di esterne.

    Finire in undici giorni le riprese nell’arsenale/messa in acqua della flotta veneziana/riprese in Piazza San Marco.

    Tornare a Roma: girare interni/scene di guerra tra Cinecittà e Ostia.

    Portare il set a Nafpaktos. Portare il set a Istanbul.

    Il discusso premio Oscar al miglior film di due anni prima ( The Power and the Glory), l’attore-regista Ryan Torres, era arrivato a Fiumicino da neanche tre quarti d’ora. Avrebbe incontrato l’uomo che governava una delle organizzazioni religiose occulte più potenti del mondo cattolico. Un suo prozio, Felipe Torres, ne era stato uno dei fondatori più di cinquant’anni prima. Suo padre aveva lavorato per loro, dirigendo un centro di reclutamento a Los Angeles. Ryan aveva avuto il suo primo ruolo da protagonista – Tony nel remake di West Side Story – grazie ad alcuni loro adepti di Hollywood.

    Aprì il copione del nuovo film e lo sfogliò

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