Cthulhu babe
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Fantascienza - racconto lungo (52 pagine) - Cthulhu se ne è andato, l’Italia che ha lasciato non è più la stessa.
Serena Torres ha un lavoro semplice, trovare un ragazzo scomparso. Non può immaginare che, oltre la soglia dell’appartamento trentatrè di un condominio fatiscente del Quadraro, l’attende una minaccia che protende i tentacoli sul passato e sul futuro. Cthulhu se ne è andato, ma l’Italia che ha lasciato non è più la stessa. Le leggi sono cambiate, il mondo si è inginocchiato alla paura e le persone a vivono senza mai mostrare il loro vero volto.
L’incubo è diventato realtà, c’è chi lo accetta e chi lotta per uccidere ogni singolo mostro.
Cthulhu babe è una storia fuori dagli schemi, delinea un mondo distopico ma punta il dito della causa scatenante su orrori più grandi di noi.
Fabrizio Di Filippo ha inaugurato la sua vita da apolide nell’estate del 1962 a Firenze, dove si è laureato in Letteratura Italiana. Ha vissuto per oltre venti anni a Roma, città in cui lavora come consulente informatico, attualmente vive e scrive a Treviso.
Ha pubblicato per Delos Digital i racconti lunghi L’esule dai sogni, In fondo al pozzo e Olokun e la raccolta di racconti La città è morta per Giovane Holden Edizioni. Il suo racconto Koupa Gripa si è classificato secondo nell’edizione 2018 del premio Gianfranco Viviani, mentre con il racconto Il progetto di Ariel ha vinto il premio Streghe, vampiri & co. nel 2020.
I suoi racconti sono apparsi su Il Buio, Writers magazine, Esecranda, NASF.
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In fondo al pozzo Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniOlokun Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniL'esule dai sogni Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
Cthulhu babe - Fabrizio Di Filippo
L’appartamento trentatré
Se Serena Torres avesse potuto immaginare cosa l’attendeva dietro la soglia dell’appartamento trentatré, si sarebbe guardata bene dall’entrarvi. E non solo avrebbe evitato di mettere piede nell’edificio abbandonato, non avrebbe nemmeno dato ascolto a chi gli aveva passato l’informazione che l’aveva condotta là. Non avrebbe accettato l’incarico del cliente. E, procedendo a ritroso in un processo di cancellazione che la mettesse al riparo dalle conseguenze di quell’atto, non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di iniziare un lavoro che sua madre, appena prima di morire, le aveva sconsigliato con tanta veemenza di intraprendere.
Invece era entrata.
* * *
Il diciotto novembre 2059 la città era ancora avvolta in una bolla di calore. Serena aveva indossato una maschera in isolattice adattivo e aveva selezionato dalla libreria una skin che la faceva somigliare alla versione voodoo di una bambola in porcellana. Per coprire gli occhi aveva scelto semplici lenti cromate.
Si era esaminata allo specchio, studiandosi da ogni lato. Soddisfatta del risultato, aveva scelto una delle immagini impresse nella memoria dello specchio e l’aveva inviata al Ministero delle Identità. L’immagine avrebbe costituito la sua identità pubblica per quel giorno e, associata al chip di riconoscimento, sarebbe stata utilizzata per le transazioni e i servizi che richiedevano una identificazione sicura. Praticamente tutti.
Completate le procedure burocratiche, era uscita dal monolocale al settantunesimo piano dell’arcologia Tuscolano 15, e si era messa in caccia.
Trovare Marelli non sarebbe stato semplice. L’uomo era un broker di informazioni. Come un ragno, Marelli captava le vibrazioni che percorrevano l’immensa tela della macrourbe Roma-Castelli-Lido. Quel lavoro richiedeva che lui si spostasse continuamente da un lato all’altro della ragnatela. Là dove le informazioni scorrevano. Nei luoghi in cui lui le raccoglieva, le vagliava, le analizzava e le immagazzinava. La sua specialità erano le informazioni sulle sette religiose. Da anni proliferavano nella macrourbe come batteri in un terreno di coltura. Le informazioni al loro riguardo erano molto richieste e ben pagate. A lui si rivolgevano membri di sette rivali, esattori della criminalità organizzata o del fisco, parenti o amici di persone scomparse, A volte veniva pagato anche dalla Guardia della Fratellanza per le informazioni che poteva offrire.
Come per tutti quelli che operavano nel mercato delle informazioni, però, le notizie al suo riguardo erano pressoché inesistenti. Serena in ogni caso aveva qualche asso da giocare. Conosceva Marelli, conosceva i luoghi che frequentava e sapeva quale era la sua skin preferita: una testa di agnello in micropile, con lunghi canini macchiati di rosso e occhi viola scuro.
Aveva impiegato l’intera mattinata e buona parte del pomeriggio per individuarlo, e ottenere l’informazione che l’aveva portata al condominio fatiscente del Quadraro. Molto meno le era servito per entrare nell’appartamento, dare un’occhiata intorno, e rendersi conto del casino in cui si era cacciata.
Poi aveva udito la voce.
– Aiutami!
La voce le aveva graffiato la mente. Era come un gessetto spinto con forza contro una lavagna incastrata dentro la sua testa. Un suono che le fece accapponare la pelle e serrare i denti. E non era la cosa peggiore. Serena aveva riconosciuto quella voce. Le era capitato di udirla anni prima. E non avrebbe più potuto scordarla.
* * *
Le si fece incontro un uomo che si allontanò dal drappello di persone scese dai mezzi di servizio. Indossava una maschera meccanica, di alluminio, o forse titanio. Serena provò un moto di pena per lui. Indossare quella maschera, in una giornata tanto calda, doveva essere estremamente sgradevole. Si chiese se l’avesse scelta per qualche motivo, o se non si trattasse piuttosto di uno degli innumerevoli modi tramite cui le persone si infliggevano la loro razione quotidiana di sofferenza.
Le porse la mano. Serena avvicinò la sua, attivando i chip che, a norma di legge, erano impiantati nei polsi di tutti i residenti entro i confini della Fratellanza Italiana che avessero compiuto otto anni d’età. Un ologramma monodirezionale si attivò davanti ai suoi occhi. Serena ne scorse velocemente il contenuto.
Amedeo Satriani. Maschio. Anni 46. Divorziato. Cittadino della Fratellanza Italiana. Commissario di Polizia, squadra 971, Macrourbe Romana.
Quando le loro mani si sciolsero, l’ologramma si dissolse. Satriani aveva avuto accesso ai dati equivalenti che la riguardavano. Con la non irrilevante differenza che, nel suo caso, invece di Cittadina aveva letto Residente nella Fratellanza Italiana. Il fatto di essere nata in Italia non faceva automaticamente di lei una c_ittadina, una s_orella.
– Sei tu che hai segnalato questo casino? – chiese Satriani.
La voce era metallica, priva di espressione. Non si trattava di un filtro, né di un effetto di post-elaborazione, ma di un vero e proprio sintetizzatore vocale, un vocaloid. La bocca e gli oculari si muovevano in sincrono con le parole, ma lo facevano in maniera sottilmente incongrua, in ritardo. Il risultato, probabilmente ricercato, era quello di indurre un senso di fastidio in chi lo ascoltava.
– Sì. Il piccolo lì dentro è mio cliente.
Quell’intuizione