Ripartire dal buio
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Info su questo ebook
In questo libro è lui a condurre noi per mano, e non il contrario, in un mondo, quello dei non vedenti, che alla stragrande maggioranza delle persone risulta quasi del tutto sconosciuto. Attraverso dialoghi stimolanti e il flusso incessante dei ricordi e della fantasia, il lettore è portato a comprendere cosa davvero significhi “ripartire dal buio”.
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Anteprima del libro
Ripartire dal buio - Leandro Blanco
Note
Leandro
Blanco
RIPARTIRE
DAL BUIO
Ripartire dal buio
di Leandro Blanco
Copyright © 2019 Aporema Edizioni
www.aporema.com
Le vicende e i personaggi che compaiono in quest’opera sono raccontati attraverso l’ interpretazione dell’autore, che si limita a raccontare le sue esperienze, tra realtà e fantasia, senza alcuna pretesa di ricostruire la verità oggettiva, assumendosi in pieno la responsabilità di quanto scritto e liberando l’editore da qualsiasi responsabilità civile e penale nei confronti di terzi.
P remessa
Non tutti sanno o possono immaginare cosa accada nella mente di un uomo che ha perso uno dei cinque sensi.
Nel mio caso, si tratta della vista.
Spesso si ignora cosa percepisca e viva chi questo senso non l’ha mai avuto. Con questo libro, invece, voglio avere la presunzione di spiegare quello che succede negli occhi e nella testa di un ex vedente. Voglio raccontare come un disabile riesca ad affrontare e superare le durezze della vita, ritrovando la forza e la capacità di reintegrarsi in una società che, nel mio caso, è quella di una città complessa come solo Napoli può essere.
Quest’opera mira a chiarire quanto sia difficile e allo stesso tempo bella e normale la vita di un cieco.
Proprio come quella di chiunque altro.
S cherzi della mente
Questa mattina, dopo colazione, sono uscito sul balcone e mi sono accorto che è arrivata la primavera.
È una domenica di inizio aprile.
Non vedo il sole, ma sento il suo calore sulla pelle e inspiro, riempiendomi i polmoni dell’aria frizzante.
Casa mia è circondata dal verde, condizione che ho sempre reputato insostituibile sin da bambino, quando giocavo all’aperto e correvo con gli amici dietro a un pallone fino a tarda sera, inventando competizioni, sfruttando a pieno la fantasia e coinvolgendo tutti i ragazzi del vicinato. Era impensabile per me immaginare un mondo, una vita, senza il verde e senza la libertà di correre dietro a un pallone.
Sono cresciuto a Villaricca, un tranquillo Comune a nord di Napoli, che mi ha permesso di vivere un’infanzia piena di serenità e libertà. Crescere qui mi ha insegnato ad apprezzare lo splendore immenso della natura. Mi ha anche dato la possibilità di allevare e addestrare più di un cane, una passione che mi ha accompagnato fino a quando un giorno non ho visto il dolce Birillo morire sotto i miei occhi atterriti. Era un cuccioletto meticcio, di circa un anno, un po’ paffutello e con il pancino tondo e sodo. Tutto nero con le zampette bianco latte, sembrava proprio Due Calzini
del film Balla coi lupi
.
Ricordo bene quel drammatico momento.
Ero sceso in giardino per portargli da mangiare. Mentre lo chiamavo, con la coda dell’occhio vidi mia madre salire in macchina. Pensai subito che Birillo potesse essersi messo al fresco sotto l’automobile, a godersi il suo solito pisolino, ma non feci in tempo ad avvisarla. Mia madre accese la sua Ford grigia, ingranò la retromarcia e il povero Birillo restò schiacciato sotto le ruote, tra le nostre lacrime incredule. Da quel momento rinunciai ad avere altri animali, specialmente cani.
La mia giovane mente adolescenziale, dopo quel lutto atroce, sviluppò una sorta di autodifesa, decidendo che il timore di perdere un cucciolo avrebbe vinto sempre sulla voglia di amarne un altro.
Quel timore venne sostituito
, se così si può dire, dai giochi che facevo con i miei amici.
Ricordo con nostalgia la gioia che provavo quando da ragazzino, dopo aver fatto i compiti, mi cimentavo in lunghe e avventurose corse in bicicletta, oppure mi lanciavo in acrobazie con il mio primo skateboard. Lo rivedo così nitido, come se ci giocassi ancora oggi: era verde fosforescente con le ruote rosso fiammanti. Mi divertivo a provare le stesse contorsioni o i folli salti che vedevo fare da Willy, il protagonista della serie televisiva Il principe di Bel-Air
, spesso senza successo. Finiva così che tornavo a casa con qualche ammaccatura, a sorbirmi l’immancabile ramanzina di mia madre.
Ero felice di potermi divertire in modo libero, vivendo gli spazi aperti, senza respirare lo smog o incorrere in grossi pericoli, se non quelli immaginari, che inventavo nella mia testa, con la complicità di cugini e compagni.
Questi sono i vantaggi che offre la periferia napoletana; mentre la città vera e propria, per ragazzi come me, significava solo caos e cemento. È uno dei motivi che mi lega a Villaricca, dove abito ancora oggi, oltre all’amore per i miei genitori che, a prezzo di grandi sacrifici, hanno assicurato a me e a mia sorella un tetto sulla testa.
Su questo balcone, i ricordi diventano un fiume in piena.
Oggi è la giornata adatta per uscire, magari a fare una passeggiata con qualche buon amico. Potremmo andare al mare per un aperitivo, oppure in città e accontentarci della solita routine. So bene che, viaggiando in auto, in questa domenica di primo sole, ci sono buone probabilità di trovare traffico, soprattutto verso la marina di Napoli.
Rientro in casa per chiamare Luca, uno di quegli amici al quale, se hai la fortuna di trovarlo sveglio, puoi proporre di andare in un posto e lui non ti dirà mai di no. Con Luca si può parlare per ore sapendo sempre cosa dire, senza accorgersi dello scorrere del tempo. Mi avvicino al telefono, deciso a costringerlo a svegliarsi, nonostante la serata brava che di sicuro avrà trascorso. So che ieri è andato in giro per locali con alcuni amici, fra cui Tonino, e tutti conosciamo la regola non scritta del " quan n o s’esce con Tonin o s e fà semp’ ma t tin o".
Prendo la cornetta e compongo il numero, che so a memoria da prima che esistessero le rubriche dei cellulari. Per digitarlo tengo come riferimento il tasto cinque, quello con il puntino in rilievo, e aspetto di sentire una voce assonnata dall’altro capo: invece, con mia sorpresa, lui risponde pimpante dopo appena tre squilli.
Single convinto, a parte qualche breve parentesi di inevitabile tentativo di fidanzamento, l’ho soprannominato Luchett tir dinto o sett
[¹] proprio per questo motivo.
Mi dice che passerà a prendermi da lì a trenta-quaranta minuti, che, dati i suoi proverbiali e mai smentiti ritardi, diventeranno almeno cinquanta.
Nel frattempo vado in bagno a farmi la barba, stando attento a non tagliarmi. Da quando ho perso la vista è diventato un po’ più difficile, ma con il tempo ho imparato a radermi in fretta e senza fare troppi danni. Mi piace portare una lieve barbetta, che aggiusto con grande cura e precisione, servendomi del tatto e di un rasoio. Mentre mi sbarbo la mia mente, forse ancora in vena di scherzi, mi riporta a galla come un fiume in piena la mia non facile adolescenza: deve esser stato il ricordo della perdita del mio dolce Birillo a innescare il tutto.
Mondo senza luce
Avevo solo quindici anni, un adolescente impegnato a godersi la parte migliore della vita, la spensierata giovinezza, i primi amori, l’insaziabile voglia di imparare, la scoperta delle proprie passioni e le vacanze senza i genitori, le prime vere cazzate
, i colpi di testa, l’indimenticabile divertimento con gli amici, con i quali trascorrevo fantastici pomeriggi a giocare a calcio o a sfrecciare con bicicletta e skateboard.
È stata proprio una di quelle memorabili partitelle, organizzate da mio cugino Gianluca e dal suo gemello Daniele, che tra l’altro non gli somigliava affatto, e alle quali partecipavano molti ragazzi del vicinato, che ha dato inizio ai miei problemi con la vista.
Una pallonata!
Sì, una semplice, fottuta pallonata.
Sferrata con un’incredibile forza e con una precisione quasi chirurgica, ben assestata sul mio occhio sinistro.
Ricordo che l’impatto fu così violento, da costringermi ad abbandonare la partita. Per i successivi dieci minuti vidi soltanto le famosissime stelline dei cartoni animati.
Al momento non ci feci troppo caso: a quindici anni ti senti indistruttibile e pieno di energie. Appena passò l’effetto cielo stellato, volevo rientrare in campo, ma per fortuna gli altri ragazzi me lo impedirono. Precauzione che servì a poco: in breve tempo persi l’uso dell’occhio a causa del distacco della retina, che mi costrinse a subire diversi interventi chirurgici, a opera di un grande specialista, senza che però si riuscisse a salvarlo.
In seguito a quel trauma mi si schiusero le porte di un mondo pieno di difficoltà, paura e angoscia.
Da quel momento ho capito che ogni trauma p uò diventare motivo di grande sofferenza, non solo fisica , che ci induc e a percepire il futuro come un a tragedia o, nei casi più gravi, come un vero inferno.
Tutti possiamo diventare vittime di queste incognite della vita e, se accade, bisogna cercare di trovare in noi stessi la forza e il coraggio per andare avanti.
Io credo d’esserci riuscito.
Circa un anno dopo ebbi anche uno sfortunatissimo incidente automobilistico, per colpa del quale persi un po’ alla volta, purtroppo per sempre, anche l’uso dell’occhio destro.
A distanza di circa sedici anni è ancora vivida nella mia memoria la sequenza di ricordi, immagini e sensazioni di quei terribili momenti, proprio come accade in un film visto e rivisto più volte, fotogramma per fotogramma, al rallentatore. Rammento bene quei pochi istanti prima di essere investito: è stata l’ultima volta in cui ho potuto vedere qualcosa in modo nitido.
Camminavo sul ciglio della strada, priva di marciapiede, poco distante dalla scuola che frequentavo. Stavo tornando a casa con alcuni compagni che abitavano nella mia zona e parlavamo dei soliti argomenti: calcio e ragazze. Era una giornata di inizio primavera ed era da poco passata l’ora di pranzo. La via era incorniciata da alberi e cespugli di ginestre, le automobili fluivano senza problemi. Non c’era nulla che mi facesse presagire ciò che il destino aveva in serbo per me.
Vidi solo all’ultimo istante quell'auto, un’Alfa Romeo nera, venirmi incontro a gran velocità, e allargarsi troppo per un