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Il ritorno del Barone immaginario
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E-book340 pagine4 ore

Il ritorno del Barone immaginario

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Info su questo ebook

Julius Evola è stato e continua ad essere un “personaggio” capace di sollecitare tanto la curiosità degli storici quanto l’inventiva di scrittori, intellettuali e saggisti attratti dalle numerose ispirazioni narrative che il Barone è in grado di offrire.
Intorno ad Evola sono nati così i 17 racconti contenuti in questa raccolta. Trame sia “realistiche” che “fantastiche”, tratte talvolta dalla sua vita movimentata, rimasta tale anche dopo l’incidente di Vienna che lo costrinse alla immobilità, talaltra dalla poliedricità delle sue idee e delle sue attività intellettuali. Basti pensare ai suoi tanti viaggi in Italia e in giro per l’Europa, alle figure di primo piano che ha conosciuto e frequentato, al suo essere stato pittore e uomo di mondo, filosofo e alpinista, poeta ed esoterista, giornalista e politologo, e così via. Un perfetto motore immobile per stimolare l’immaginazione di alcune delle penne che più l’hanno apprezzato, compreso, approfondito e tramandato.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2021
ISBN9791220268790
Il ritorno del Barone immaginario

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    Il ritorno del Barone immaginario - AA.VV.

    AA.VV.

    Il ritorno del Barone immaginario

    A cura di Gianfranco de Turris

    Il ritorno del Barone immaginario

    AA.VV.

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Director: Roberto Alfatti Appetiti

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – febbraio 2021

    www.idrovolanteedizioni.it

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    introduzione

    Il perché di un ritorno

    Il Barone ritorna per gli stessi motivi per cui è stata pensata anni fa e pubblicata nel 2018 da Mursia la prima antologia di racconti a lui dedicata, e non solo per mere ragioni commerciali: Julius Evola è stato e continua ad essere un personaggio tale da aver sollecitato ancora una volta l’inventiva di un’altra ventina di scrittori e/o saggisti attratti dalle numerose possibilità narrative che il pensatore offriva loro. Non essendo quel che si dice una persona comune, è stato possibile imbastire intorno a lui una nuova serie di trame sia realistiche che fantastiche, cosa che non avviene certo per tutti i grandi nomi: da un lato la sua vita movimentata non certo borghese, anche dopo l’incidente di Vienna, e dall’altro la poliedricità delle sue idee e attività lo hanno consentito. Basti pensare ai viaggi in Italia e in giro per l’Europa, alle figure di primo piano che ha conosciuto e frequentato, al suo essere stato pittore e uomo di mondo, filosofo e alpinista, poeta ed esoterista, giornalista e politologo, e così via.

    Gli autori de Il ritorno del Barone imaginario, tutti conoscitori del loro protagonista, hanno spaziato questa volta dal Giulio ragazzino a Palermo dove capirà quale sarebbe dovuta essere la sua missione, al filosofo che questa missione ha assolto nel giorno del bilancio finale a Roma, situando le loro trame d’invenzione (ma sempre con basi storiche indicate nelle note conclusive) in vari momenti della sua complessa esistenza: dalle trincee della Grande Guerra alla Roma dell’attentato di Via Rasella, alla Parigi, alla Budapest e alla Bucarest degli anni Trenta, facendolo incontrare con i personaggi più diversi, affascinanti, significativi: Maria de Naglowska, Eliade e Codreanu, lo scrittore Alexander Lernet-Holenia e il tradizionalista Guido De Giorgio, il maresciallo Kesserling e Monsignor Mayol de Lupé, per non parlare di... Giulio Andreotti durante un colloquio irresistibile, anche se non mancano personalità come il Conte Nikolaus Coudenhove-Kalergi e, indirettamente, l’archeologo Giacomo Boni e il Barone Ungern.

    Julius Evola, in queste storie, così come nelle precedenti, non si confronta soltanto con gli esseri umani ma si misura anche con il sovrasensibile, circoli spiritistici, fantasmi e veggenti e, pur immobilizzato, risolve misteri e fatti apparentemente inspiegabili, affrontando entità superiori, divinità e persino la Morte in persona.

    Le sue conoscenze, i suoi interessi, la sua Weltanschauung hanno consentito ai nostri autori di inserirlo in trame complicate e audaci in cui è stato previsto tutto questo senza che ci sia una vera contraddizione fra una storia e un’altra, fra un Evola e un altro. Anzi, chiusa l’ultima pagina al lettore sembrerà di aver avuto di fronte sempre il medesimo protagonista dalle molteplici sfaccettature, dai volti solo in apparenza diversi ma alla fine sempre lo stesso, dal bambino che ha un sogno a undici anni, all’anziano studioso che è in attesa di risolvere un antico patto.

    Sarebbe del tutto ozioso chiedersi di come e perché gli autori di questo libro abbiano avuto le idee che hanno poi messo sulla carta, forse sarebbe meglio chiedersi perché tanti altri illustri personaggi non abbiano fornito gli spunti adatti per una serie di racconti a loro dedicati nonostante fama e gloria. Non è questo il voler rivendicare un primato, sarebbe ridicolo, ma soltanto mettere in evidenza un dato di fatto e invitare a pensarci su, senza risposte provocatorie e poco sensate.

    Qualcuno ha voluto fare un po’ d’ironia fuori luogo parlando dello spunto psicologico che mi ha indotto a metter su la prima antologia, e non si capisce perché dato che quanto ho spiegato nella introduzione a Il Barone immaginario era la verità pura e semplice dei fatti: Julius Evola resta in fondo l’unico e forse ultimo tabù della cultura italiana del secondo Dopoguerra, vale a dire da appena 75 anni e passa, cioè tre generazioni, nonostante vi siano illustri eccezioni. E quel libro - e questo che lo segue - sono un po’ la risposta per dimostrare il contrario: che è una personalità/personaggio tale da superare tanti ostracismi al punto da indurre una quarantina di scrittori a porlo al centro di altrettante storie. Sembra poco? È una sciocchezza da maniaci ideologizzati?

    Io credo che il Barone, quello in carne ed ossa, ci avrebbe celiato su: in base alle persone che aveva di fronte, come ho spesso ricordato, era assai meno ingessato e formale di come molti che non lo hanno mai conosciuto lo pensano oggi, era ironico e autoironico, non amava per niente i super-devoti nelle parole e nei fatti, non si atteggiava assolutamente a guru né tantomeno a maestro, anzi non voleva essere chiamato così, prendeva per i fondelli (anche questo l’ho già scritto) chi esagerava e quasi lo venerava. Adriano Romualdi mi raccontava come a chi andava da lui dicendo: maestro, ieri abbiamo letto e commentato Rivolta, domani sarà la volta di Cavalcare, lui replicava sollecitando invece una lettura approfondita ed una pratica di Metafisica del sesso... Sicché vedersi al centro di storie di fantasia non gli sarebbe parso, credo, una eresia, forse non gli sarebbe nemmeno dispiaciuto e ci avrebbe scherzato su.

    Bisogna averlo frequentato abbastanza e soprattutto in modo non formale, per capire che persona fosse, mentre oggi in troppi lo considerano come una specie di totem da adorare per la sua visione del mondo e le indicazioni politiche. Anche qui ho spesso detto che la peggiore pubblicità a Julius Evola l’hanno fatta i suoi cosiddetti e autoproclamatisi discepoli - lui che non ne voleva proprio sapere - a partire dagli anni Cinquanta, come scrisse in un famoso articolo su L’Italiano. Non ci si può far nulla, col rischio di passare per suoi pessimi esegeti che non pensano ai militanti duri e puri, e invece si occupano solo di una asettica accademia.

    Non rendendosi conto invece che le due cose non sono in conflitto o contraddizione fra loro semplicemente perché sono su piani diversi e potrebbero quindi operare parallelamente e con profitto senza insensate polemiche.

    E questo libro, che è su un piano ben speciale, dimostra, con il precedente, come si possa affrontare il personaggio Evola in un modo accessibile e appetibile a tutti, non certo accademico nel senso negativo del termine.

    Anche questa, allora, è da considerarsi una provocazione nei confronti dei conformisti a destra e a manca, una stravaganza culturale dal punto di vista degli ultraortodossi.

    Importante che soddisfi il lettore.

    Gianfranco de Turris

    Roma, novembre 2020

    (1909)

    il sogno dell’apprendista cavaliere

    di Paola De Giorgi

    Ero appena entrata nel suo studio, da settimane attendevo di essere ricevuta, come spesso succedeva a giovani che, come me, speravano in quell’incontro, cercando di raccogliere qualche preziosa informazione dal pensatore romano.

    Stavo lavorando a una ricerca sulla mistica e sullo spiritualismo e avevo pensato di rivolgermi a lui, convinta che, vista la sua fama rispetto a quelle tematiche, avrei avuto l’occasione di accedere a dati provenienti da una fonte autorevole.

    La giornata era piovosa. Una di quelle mattine di inizio primavera, in cui l’acqua scende abbondante come a preparare la natura al prossimo caldo estivo.

    Lui era di spalle; guardava fuori dalla finestra, immerso nei suoi pensieri, o forse nei suoi ricordi; seduto alla poltrona della scrivania in legno scuro. Alle pareti quadri dada. L’ambiente era austero e sobrio, con librerie colme di volumi e un tavolino, anch’esso dada, al centro della stanza, disposto di fronte a un divano foderato di chiaro. Su di esso carte e fascicoli; bozze di testi e scritti.

    Così, riuscii a fare malapena qualche passo che subito si presentò, accogliendomi con un energico saluto: Buongiorno signorina, piacere... La prego si sieda sulla poltrona qui accanto. Gradisce qualcosa?.

    No, grazie. Piuttosto, mi sento in obbligo di ringraziarla per la cortese disponibilità.

    Non si preoccupi... Anzi, mi chiarisca meglio, per favore, il motivo della sua richiesta di incontro. Se ho capito bene, lei sta svolgendo ricerche sul misticismo e lo spiritualismo. Bene. Sono argomenti con cui ho una certa confidenza, ma ovviamente si tratta di esperienze e riflessioni personali. Certo lei conoscerà studiosi ben più preparati di me sul tema.

    Per la verità, Barone, non sono alla ricerca di teorie o dottrine, quanto invece di conoscenze dirette; come dire, fonti d’ispirazione motivate da percorsi esperiti personalmente. Per quanto letto, credo di poter trovare da un colloquio con lei ciò che vado cercando.

    Quindi? Cosa vuole da me precisamente?

    Risposte. Testimonianze, cioè racconti, ricordi, episodi di....

    Certo!

    Non c’era ragione che io ponessi domande o offrissi ulteriori chiarimenti. Sembrava aver già compreso appieno la strada da percorrere per rispondere alla ragione della mia visita e aveva deciso di raccontare, affinché io potessi riordinare i pezzi e arrangiare le soluzioni per accedere da me ai significati.

    Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, riprese: "Si tratta di un sogno che feci da bambino, in occasione di una vacanza estiva in Sicilia con la famiglia e ritornato alla memoria dopo molti anni. Caduto nell’oblio dei ricordi legati alle esperienze infantili; per anni lo avevo rimosso. Ero già parecchio più grande, ma fu allora... Quando finalmente ne ebbi di nuovo memoria, a distanza di anni, compresi che si trattò di una sorta di premonizione di quanto il futuro mi avrebbe destinato; e questo riuscii a comprenderlo solo nel periodo della prima giovinezza: quando, cioè, ebbi modo di accostare I discorsi del Majjhimanikâyo di Buddho gotamo. In quel periodo stavo cercando un senso, il mio senso, per ritrovare un motivo al mio esistere. Quando mi capitò di leggere quelle pagine sull’estinzione...ecco proprio quelle pagine risvegliarono il ricordo di quel fatto lontano. Allora tutto cominciava a ricomporsi, facendo chiarezza. Nonostante la giovane età io, ormai da tempo, avevo cominciato a rivolgere i miei pensieri alla trascendenza, insoddisfatto delle risposte che il mondo circostante era in grado di offrire; eppure facevo fatica ad accogliere il significato di quelle formalità ripetitive, stanche e logore, che da troppo avevano perso ogni legame col profondo da cui avevano avuto origine. Passavo spesso le giornate tra la dedizione per gli studi tecnici, da poco intrapresi, e la riflessione aperta ad altre dimensioni che a volte condividevo con qualche amico".

    Esitò per qualche istante, poi riprese: "Perché lei, signorina, possa comprendere è necessario che la renda partecipe di quel fenomeno, come dire, onirico. Negli anni della mia infanzia, spesso tornavamo a Cinisi per le vacanze estive con la famiglia. Erano per me giorni di riposo e di svago infantile. Capitava che mia madre e mio padre ci raccontassero delle tradizioni che abitavano i luoghi delle nostre origini. Quel giorno vollero portarci a visitare le catacombe dei Cappuccini di Palermo. Fu allora, in quel caldo pomeriggio passato con gli amici e le vecchie matrone a sentire storie sui luoghi abitati da spiriti del circondario di Palermo, che feci quel sogno. O chissà, forse quella prima esperienza della mente ancora in stadio di crescita e formazione.

    Ma quel giorno, quel sogno... li avevo dimenticati fino a che non mi si presentarono tra le mani quelle pagine buddhiste e fu allora, leggendole, che le porte dello spazio e del tempo si aprirono perché potessi comprendere.

    Lui parlava a voce bassa ma con enfasi, emozionando a ogni parola. E io mi lasciai condurre in quel viaggio a ritroso, gelosa di ogni informazione che potevo carpire.

    Avevo all’incirca dieci anni. Eravamo andati, mio fratello ed io, a visitare un luogo di culto a metà tra il devozionismo e la superstizione; un cimitero dove le salme sono esposte per ricordare ciò che diventeremo senza dimenticare ciò che siamo stati. Un luogo in cui le dimensioni sembrano sfiorarsi. Era una giornata calda ma ventilata e immerso nello stupore della visita, accadde che mi allontanai dalla scrupolosa guida di mia madre, rapito dalle emozioni che quei corpi provocavano in me: tra la morbosa curiosità dell’infanzia e il terrore suscitato delle sagome scure dai volti urlanti. Le pie donne pregavano di fronte a quelle salme imbalsamate, quasi a scongiurare la natura effimera dell’essere umano. Restai in silenzio a lungo, rapito da quei volti senza sguardo, fino a che esausto per la tensione vibrante nell’aria, caddi in un sonno profondo. Rannicchiato in una rientranza nel muro, feci un sogno che allora non riuscii a comprendere.

    S’interruppe per bere un sorso d’acqua dal bicchiere sulla scrivania poco distante dalla macchina da scrivere. Si schiarì la voce, adagiandosi sullo schienale reso più confortevole da un cuscino bianco e stendendo le braccia sui poggioli della sedia. Al suo fianco come delle vecchie stampelle di legno a tre piedi; anch’esse scure, sembravano tradire la tenacia di un volto virile dallo sguardo profondo.

    Ero in un paese lontano, di cui il vecchio e saggio Re era morto senza lasciare eredi capaci di prendere il suo posto alla guida del regno. Alla sua morte, tutti i cavalieri della corte erano andati a cercare fortuna per il mondo; alcuni di loro speravano di essere accolti dai re dei paesi vicini. In questo evanescente mondo onirico, ero più grande di qualche anno. Ero un giovane apprendista cavaliere rimasto fedele al giuramento prestato al defunto sovrano: per questo avevo deciso di restare a vivere nel castello caduto in rovina, nonostante la cattiva sorte e la decadenza che dilagavano tra la disperazione del popolo. La luce del sole aveva iniziato ad affievolirsi fino a dissolversi, oscurata dalle tenebre. Volevo porre rimedio alla disgrazia che si era impadronita delle sorti del reame: sentivo che il mio compito era quello di scrutare oltre i confini del regno per ritrovare il sole scomparso. Sapevo che solo la luce sarebbe stata in grado di riconsegnare la pace della verità, persa alla morte dell’amato sovrano. Mi vidi procedere tra rocce scoscese e impervi dirupi, giungendo fino all’imbocco di un’oscura grotta, dove presi riparo per trascorrere la notte al sicuro. Penetrato nell’antro buio e umido, appena accesi un fuoco per scaldarmi scorsi scritte e incisioni prendere forma sulle pareti della spelonca: simboli dorati che s’imprimevano nella roccia sotto il mio sguardo attonito. Tentai di decifrarne l’arcano significato, fino a che compresi trattarsi di un testo segreto, una sorta di codice della sapienza antica tramandata da un lontano e mistico passato, che ricongiungeva al valore profondo dell’esistenza e che avrebbe potuto essere di aiuto per ripristinare l’ordine e la vitalità perduti alla scomparsa dell’amato Re. Seguii le forme per imprimermele indelebilmente e conservarne il significato perché fungessero da guida nell’esecuzione e buona riuscita del mio compito. Essi, i simboli, mi guidavano nei meandri di cunicoli e gallerie nel cuore della montagna sacra, recandomi in dono la scienza mistica che avevano in sé.

    Mentre parlava, non riuscii a trattenermi dal chiudere gli occhi per immedesimarmi nel racconto e provare a essere partecipe del significato. Seppure inesperta e giovane, cominciai a ravvisare in me la valenza di alcuni elementi, di gran lunga superiori al mero fatto descrittivo della vicenda. Già solo nell’ascolto, ero coinvolta in un contenuto di senso, per così dire, esistenziale.

    Cominciai così a prefigurarmi il valore delle scelte future compiute dal Barone nel corso della sua vita e della sua carriera di pensatore. Mi chiesi se ciò di cui stava parlando nel descrivere un regno caduto in disgrazia, poiché rimasto senza la guida di un fedele sovrano cresciuto alla luce del sole di verità, avesse a che fare con il rimando al Kali Yuga delle sue opere giovanili e non solo.

    Il Barone continuava il suo racconto con passione e vivacità coinvolgente nonostante il tono calmo e profondo: L’aria si faceva greve e maleodorante a ogni passo, tanto che era sempre più faticoso il cammino. Eppure, senza concedermi tregua fui magicamente condotto dalle scritte, attraverso un sentiero anticamente scavato nella roccia, fino a un luogo segreto e arcano. D’improvviso le pareti d’intorno si fecero più ampie e il soffitto sembrò raggiungere altezze inusitate. In un primo momento, non riuscivo a comprendere se il cammino mi avesse condotto al centro e cuore della montagna nelle fredde profondità della terra o se, al contrario, mi avesse riportato in superficie. Scrutando all’intorno, compresi trattarsi di un luogo misterioso e oscuro, abitato da forze recondite e ostili alla riscoperta della vita e della verità. Sulla roccia scavata e scolpita, si vedevano ampolle e alambicchi, coppe e vasi, le cui superfici scintillavano riflettendo la luce del fuoco della torcia che avevo usata per muovermi nell’oscurità. Per quanto mi fosse possibile distinguere forme e spazi, l’antro era pervaso da una tenebra incombente, che quasi pareva togliere il respiro. L’aria, infatti, era diventata fetida al punto che era quasi possibile scorgere i corpuscoli delle molecole di ossigeno gravitare nel vuoto. Di lontano si sentiva come un brusio: voci indistinte che attirarono la mia attenzione, così decisi di proseguire per scoprire di cosa si trattasse. Muovendomi con prudenza, mi collocai su un crinale nella roccia, che si ergeva a strapiombo su di una sala penetrata da una luce che pareva infuocata tanto era soffocante ed emanava bagliori e lampi quasi di rubino. Silenzioso e accorto, mi avvicinai al ciglio per scorgere cosa avveniva nella sala sottostante. Vidi un uomo, appariva di statura elevata, che incombeva su sagome ricurve e ripiegate su se stesse che, tacitamente, ascoltavano le sue parole in una sorta di ipnotica e bieca sudditanza. Accorto e senza scrupoli - intuii - l’uomo, ormai dedito alle pratiche della stregoneria, era riuscito a soggiogare con la menzogna gli uomini un tempo più tenaci e arditi, coloro che avevano prestato solenne giuramento di fedeltà alla verità preziosamente custodita dal Re. Egli, percorsa la terra in lungo e in largo ma rifiutato da ogni luogo, aveva scelto di ripararsi nell’oscuro grembo della terra, dove potersi dedicare alla ricerca di una formula per l’invincibilità e quindi alla conquista del potere.Restando immobile per un tempo senza tempo, riuscii finalmente a distinguere tra quei profili inumani i vecchi compagni d’arme: i cavalieri che si erano dispersi alla morte del vecchio e saggio sovrano. Quei fantocci senza anima e senza volontà si muovevano celeri, andando e venendo in cieca obbedienza agli ordini dell’oscuro stregone che si ergeva sulle loro teste; con le sue pratiche e i suoi miscugli, poteva mettere alla prova il suo potere di controllo indisturbato, cosciente che nessuno mai avrebbe sospettato del suo subdolo agire, complici la nebbia e l’oscurità che impedivano di volgere lo sguardo al sole di verità.

    All’improvviso il filosofo interruppe la narrazione e guardandomi dritta negli occhi, mi chiese: Signorina, lei vede con gli occhi della conoscenza? Riesce a decifrare i simboli che vanno oltre il semplice rimaneggiamento psicanalitico del sapere?.

    Io esitai. Attendevo risposte più che non interrogazioni e certo non mi aspettavo che fosse lui a rivolgermi domande. Così osai chiedere: Chi era, dunque, quella figura che gesticolando e pronunciando arcane formule è riuscita a tenere in scacco tanti valenti cavalieri?

    Questo è il punto di svolta, perché qui, ora, non stiamo discorrendo di ingenue fantasticherie oniriche. Quanto piuttosto è a partire da questo mondo di sogno che si può già intravedere il senso e il compimento di quanto poi venne a seguire nella mia esperienza e io pensai di far conoscere fissandolo nei miei scritti. Stiamo parlando di una sapienza superiore che abilmente viene trattenuta dalla bramosia di potere di pochi.

    Credo interpretò il mio silenzio come una risposta, perché dopo qualche istante riprese il racconto: Stavo lentamente comprendendo il senso nascosto nei simboli iridescenti che avevano preso forma sulle pareti della grotta in cui mi ero riparato all’inizio di questa avventura. Come ogni altro cavaliere che desidera poter indossare l’armatura con lealtà e onore, ero finalmente giunto al punto di svolta: il rito iniziatico da superare con la prova del fuoco per dimostrare a me e alla corte, la mia prodezza e il mio coraggio, prima di essere investito dell’autorità di garante dell’ordine e della sapienza. La lotta sembrava impari. Uomini armati, guerrieri veterani alla scorta della perfida conoscenza di uno spirito delle tenebre, il cui cuore corroso e malvagio aveva posto in scacco l’umanità defraudandola della luce e della contemplazione della verità; contro un solo, povero, apparentemente inesperto giovane, ancora vergine dei campi di battaglia, che sembrava essersi posto un obiettivo troppo alto rispetto alla sua inesperienza. La battaglia ora stava per iniziare, però lo scontro si sarebbe consumato nel profondo del mio cuore e non su di un terreno neutrale. Lo stregone, seppur rimasto indifferente alla mia presenza, aveva ascoltato il mio respiro e scrutato i miei pensieri; consapevole che non ci sarebbe stato al mondo persona disposta ad ascoltare il mio racconto, o quanto meno a prenderne per veri i particolari. Decisi, così, di ritornare sui miei passi, per risalire in superficie e prendere respiro. Il cammino a ritroso sembrò durare un tempo senza tempo, interminabile e percorso da incubi e visioni evocate dallo stregone con l’intento di farmi desistere dal compiere la mia impresa. Momenti, minuti, ore o forse giorni trascorsi nel buio recondito della terra, in cui a splendere era rimasta soltanto la fiaccola della temerarietà e della tenacia che mi spingevano a non arrendermi. Le scritte incise dal fuoco sulla roccia avevano assunto un nuovo aspetto, caricandosi di ulteriori significati e scolpendosi come marchi a vivo nella mia mente. Sempre più indebolito e allo stremo delle forze per la lotta che si stava consumando nel mio cuore, finalmente riuscii a ritrovare la strada, imboccando alla fine il sentiero che mi ricondusse all’antro della caverna in cui ero entrato, quando non saprei dire. Ora, sapevo quale fosse stata la sorte del regno e dove potevo cercare per riportare al popolo la luce del sole di verità. La mia prova era stata superata, il mio apprendistato era finalmente giunto al termine e potevo dedicare la mia sapienza e le mie forze alla salvezza del destino mio proprio e altrui. Solo, non avevo fatto i conti con la scaltrezza dell’oscuro stregone, che aveva impugnato le sorti del mondo privandolo della luce del discernimento e che abilmente era capace di muoversi nella confusione della nebbia, che offuscava la vista e confondeva le menti inerti degli uomini lasciati privi della guida del Re. Ero uscito provato e incanutito da quel viaggio nel tempo e nello spazio, in cui il tempo fluisce senza regole e lo spazio si dilata oltre ogni confine.

    Lei - lo interruppi con forza - mi sta dicendo che la luce del sogno altro non è che la conoscenza impunemente trattenuta dallo stregone....

    "No, signorina, non serve trovare definizioni alle cose; questo significherebbe omologarsi e uniformarsi alle pretenziose richieste tecnocratiche della società odierna. Io le ho descritto ciò che ognuno è chiamato a fare. Come a ciascuno di noi sarebbe richiesto di reagire. Siamo oltre a questi miseri espedienti da professorini, il cui unico merito si riduce a

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