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E-book247 pagine3 ore

Tornare Indietro

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Info su questo ebook

In un futuro non lontano la specie umana si riproduce artificialmente, la Genetic Society ha il monopolio delle nascite e il miraggio dell'uguaglianza sembra raggiunto, tutti figli delle vasche.

Eppure qualcosa non va, qualcuno sceglie di cambiare, di regredire. Trentasette anni prima uno sbaglio deve essere successo al centro Nord7 dove lavorano i non-human.

La soluzione sta forse nella testa del vicepresidente, in un suo ricordo infantile, nella parole di uno strano malriuscito, nei balli di Santa Eva...
LinguaItaliano
Data di uscita19 ago 2019
ISBN9788831636186
Tornare Indietro

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    Anteprima del libro

    Tornare Indietro - Francesco Franchini

    PER TORNARE INDIETRO

    PRIMA PARTE

    Il giorno settimo Dio cessò da ogni opera(Genesi 2,2)

    1

      Dovrò vederlo! Di nuovo! Remo Favalli se ne rese conto aprendo la porta dell'ufficio. Non potrò evitarlo! Il desiderio di uscire all'aria aperta svanì in lui improvvisamente come era venuto. Starà di sicuro lì fuori con la sua mano tesa, ad aspettarmi. Remo Favalli scosse la testa per scacciare  l'immagine che gli offuscava la mente. L'immagine di quella mano, il palmo aperto. Eppure oggi non potrò farne a meno. Sarò costretto a passargli vicino, a guardarlo, forse riuscirà addirittura a toccarmi. A questo pensiero si sentì mancare, le dita strette sulla maniglia. Gocce di sudore gli scesero sul colletto della camicia.

      Remo Favalli, classe A1, vicedirettore della Genetic Society, evitava accuratamente di lasciare il palazzo tra le nove e trenta e le dodici. Entrava prima delle nove e non usciva se non dopo le tredici. In questo modo riusciva ad evitare di incrociarsi con l'uomo del carretto, che immancabilmente arrivava alle nove e trenta e andava via poco dopo le dodici. Lo chiamavano così nel palazzo: l'uomo del carretto. Era un malriuscito, senza gambe e con un solo braccio, che si muoveva sopra un quadrato di legno fornito di ruote. L'immagine che Favalli ricordava risaliva a poco meno di un anno prima, quando, uscito dal portone, si era sentito sfiorare da dita leggere la falda della giacca. Aveva pensato a un borseggiatore e si era girato di scatto. Ai suoi piedi aveva visto soltanto una mano sporca che chiedeva l'elemosina. Remo ebbe l'impressione che quell'uomo fosse composto di una sola singola enorme mano e nient'altro.

      Perché mai ha scelto di fermarsi proprio davanti a questo palazzo? La sede della Genetic Society della mia zona. Il mio palazzo, pensò Favalli! Cosa crede di fare? E perché non l'ho ancora fatto arrestare? Cosa mi trattiene dal farlo internare in un centro di fabbricazione? Se proprio non vuole andare in un centro potrebbe andare in uno di quei campi di Santa Eva, esistono ancora. In un campo potrebbe ottenere assistenza, aiuto... Cosa spinge dei normal ad aiutarli? Si chiese Remo. Che cosa vogliono dimostrare i  seguaci di Eva? Pietà? Abnegazione? Spirito di sacrificio? Amore? Che stupidi, concluse Favalli. Come se fossero uomini anche i malriusciti!

      Si accorse che la sua segretaria lo guardava con attenzione,  un'aria interrogativa nello sguardo, lui stava ancora fermo sulla porta della stanza, immobile, con la paura in volto che lo sbiancava e le ginocchia sul punto di crollare. Devo andare, si ordinò, il presidente Dorfles mi aspetta. Devo uscire di qui. Con uno sforzo di volontà Remo Favalli riuscì a muovere le gambe, percorrere il lungo corridoio a testa bassa e infilarsi nell'ascensore. Il lungo tragitto dal ventesimo piano gli diede il tempo di riprendersi. Il sangue riprese a circolare, il respiro tornò regolare. Appena fuori del portone, in strada, fu investito dall'aria calda piena di smog. Corse per rifugiarsi nell'auto, mentre quello stupido dell'autista teneva lo sportello aperto. Sbirciò verso destra e lo vide. Non poté fare a meno di guardare, la curiosità era più forte di lui, del suo senso di fastidio. L'uomo del carretto stava arrancando verso di lui, velocemente, facendo un gran rumore di metallo con le ruote non oliate a contatto dell'asfalto. Come diavolo fa a correre cosi con quel carretto e un solo braccio? E' perfino più veloce di me! Mi ha visto, sta venendo qui!  Eppure sa bene che la questua è proibita, che non gli darò nulla. L'uomo del carretto giunse esattamente nello stesso istante di Favalli vicino alla macchina, fermò le ruote del suo mezzo di trasporto con la mano e allungò subito il suo solo braccio, flettendo le dita e sorridendo. Non ha denti, si disse Remo sorpreso, vedendo per la prima volta il volto. Riuscì in qualche modo a scavalcarlo e si infilò in auto chiudendo in fretta lo sportello. La mano dell'uomo batteva sul vetro col palmo aperto, con forza,  Favalli si attaccò alla maniglia, gridò all'autista:

    Muoviti, idiota! Portami via!

    L'auto partì. Favalli si girò a guardare indietro dal lunotto. Era al sicuro. Vide l'uomo del carretto che gli faceva ciao ciao con la sua unica mano, sorridendo senza denti.

      Durante il breve percorso, respirando forte accomodato sui sedili dell'auto, Remo Favalli si calmò a sufficienza. Fissava la nuca sudata dell'autista: era così che dovevano andare le cose, ognuno doveva stare al suo posto. Non aveva alcun bisogno di un autista, l'auto andava in automatico sui binari digitali incisi nell'asfalto. La stupida regola che imponeva l'uso di un autista umano ai vicedirettori lo infastidiva, era un'altra delle tante sciocche tradizioni che nessuno riusciva a far scomparire. Siamo ancora legati al passato, rifletté Favalli, chissà se mai riusciremo a crescere, a diventare adulti? Un fastidioso bruciore lo prese alla gola, scese lentamente a irritare lo stomaco, gli diede un po' di nausea. Da qualche tempo avvertiva dei dolori, sempre più spesso. Non poteva essere ammalato, nessun A1 si ammalava, doveva trattarsi di qualcosa d'altro. Smise di fissare la testa dell'autista. Le strade intorno a lui, le persone che camminavano aumentarono la nausea, chiuse gli occhi e inghiottì la saliva acida che sentiva arrivare in bocca. Riaprì gli occhi solo quando l'auto si fermò. Remo si trovò a studiare il palazzo del direttorio, così minuto in confronto ai grandi grattacieli che lo circondavano. Gli venne in mente il presidente Dorfles, intento a lasciar trascorrere il tempo giocando. Come se il mondo potesse aspettare. Sbatté lo sportello senza aspettare l'autista ed entrò con sicurezza nella sede del direttorio della Genetic. Superò agevolmente i controlli, era un A1, d'altronde. Percorse a grandi passi il lungo corridoio al cui termine era la porta dell'ufficio presidenziale. Bussò e aspettò che la telecamera lo riconoscesse. Era atteso. Altrimenti la porta non si sarebbe aperta.

    Agli ordini, presidente.

    Buongiorno vicedirettore. Il presidente Pietro Dorfles rispose con una smorfia. Amava chiamare i suoi sottoposti con il titolo, dato che nessuno oltre a lui aveva diritto a quello di presidente. Probabilmente è l'uomo più potente sulla terra, pensò Favalli, eppure eccolo lì a passare le ore giocando, come un bambino. Potrei esserci io seduto lì, a guardare lui che entra. Siamo entrambi A1. Quest'uomo non è migliore di me. Dorfles, senza staccare gli occhi da un foglio bianco che rigirava tra le dita, parlò:

    Ho deciso di affidare a lei la direzione del progetto GoBack.

    La ringrazio, presidente.

    Si risparmi le smancerie, vicedirettore Favalli. Questo lavoro a mio parere è inutile. Sono state le sue relazioni allarmate che hanno messo in agitazione il direttorio. Il consigliere Baresi insiste che bisogna indagare. Dorfles alzò gli occhi verso di lui. Regressioni! Cosa si è andato a inventare?

    Favalli sospirò piano, sperando che l'altro non sentisse.

    Presidente. Le regressioni sono richieste in numero sempre maggiore. Credo che tutto ciò possa influire negativamente sulla...

    Sciocchezze! Chi mai vorrebbe regredire?

    Il presidente si disinteressò di lui senza attendere una risposta, prese a piegare con cura il foglio di carta che aveva in mano.

    Quest'uomo si chiese Favalli può veramente essere tanto stupido e tanto potente? Come ha fatto a raggiungere questa posizione? Solo perché è un A1 dobbiamo credere che la sua mente sia superiore. Si sta comportando come un imbecille. Il presidente Dorfles stava giocando con dei fogli di carta, piegandoli e tagliandone gli angoli cercava di farne delle figure tridimensionali, secondo l'antica tecnica orientale dell'origami ma i suoi manufatti erano brutti e malfatti. Senza armonia. Teneva la punta della lingua fuori delle labbra a causa della tensione. 

    E' appunto questo il problema, presidente. Aveva alzato la voce per cercare di richiamare la sua attenzione.

    Dorfles rinunciò, gettò via la carta e si rivolse di nuovo a Favalli: 

    Basta! Faccia quel che crede. Indaghi, se pensa sia giusto. E' una perdita di tempo e denaro ma il direttorio ha votato così. E si sbrighi, voglio i suoi rapporti ogni settimana sul mio tavolo. Vada via, Favalli.

    Si, signor presidente.

    Remo Favalli chiuse la porta vedendo che l'altro aveva preso in mano un nuovo foglio e lo fissava chiedendosi cosa diavolo poteva farne.

    Al Presidente del Direttorio della Genetic Society Pietro Dorfles e al consigliere responsabile Carlo Baresi.

    Da vicedirettore del progetto GoBack Remo Favalli.

    Oggetto relazione attuale situazione progetto GoBack,  11/08/2098

    Chi sarà trovato in possesso di questo documento senza relativa autorizzazione sarà passibile di arresto immediato.

    A tre mesi dall'avvio del progetto GoBack per lo studio dell'attuale crisi mi è spiacevole ammettere che non vi sono risultati tangibili, né ipotesi che abbiano fondamento sono state avanzate da nessun gruppo di lavoro.

    L'analisi degli studi del professor Fischer, malgrado le aspettative, non ha trovato, ripeto NON HA TROVATO riscontri nella situazione attuale. La sezione mentale non ha scoperto nessun indizio chiarificatore nei soggetti sottoposti ad analisi. La sezione biologica non ha scoperto elementi degni di significato, sia dallo studio delle schede, sia dalla biopsia e/o autopsia dei pazienti. La sezione della genpol pur scoprendo varie attività illegali non ha potuto trovare indizi che queste abbiamo a che fare con il progetto GoBack. Una squadra speciale, composta di due medici generatori ha in corso indagini in un centro di fabbricazione. Non ho avuto da questa squadra notizie da circa due settimane per la necessaria prudenza relativa al loro intervento. Attualmente l'ipotesi a cui stanno lavorando, come da precedente relazione, ossia il possibile sabotaggio nei centri di fabbricazione, è l'unica che non sia stata confutata, ripeto NON E' STATA CONFUTATA.

    Remo Favalli

      Il consigliere Carlo Baresi, dopo aver letto il documento, stropicciò il foglio e lo gettò via, alzò il telefono, aspettò con impazienza la comunicazione e urlò:

    Che diavolo vuol fare, Favalli?

    Ha letto la mia relazione, signore?

    Non farmi domande, idiota! Trova qualcosa e in fretta o la tua testa non varrà un soldo. E non importa chi era tuo padre, sai? Un idiota è un idiota. Anche se si chiama Favalli. Datti da fare!

    Baresi sbatté giù il microfono e Remo fissò l'apparecchio muto. Si piegò in due sulla sedia poggiando la fronte sulla scrivania, trattenendo il dolore allo stomaco con le mani. Come se potesse fermarlo. Si slacciò la cravatta, un'altra sciocca tradizione che doveva accettare, e aspirò tutta l'aria possibile. Il dolore, simile a un trapano nel ventre rallentò, la mente gli tornò lucida. La tua testa, pensò, consigliere Baresi, la tua! Volevi fare il furbo e usare il progetto GoBack contro il presidente Dorfles e adesso ti ritrovi in mezzo alla merda. E vuoi dare la colpa a me. Forse mi sta bene, ho insistito per avere questo posto. Non potevo farne a meno. Donati, Aldo Donati, sei la mia unica speranza.

      Il consigliere Baresi guardò malevolo il telefono. Quello che doveva fare non gli piaceva. Le braccia divennero pesanti. Pensò a Remo Favalli e a come l'aveva trattato, il suo potere era tale che poteva dare dell'idiota al figlio del professor Favalli. Eppure non era sufficiente, non per Carlo Baresi.  Dorfles si frapponeva ancora tra lui e la presidenza ma con l'aiuto del suo amico sarebbe riuscito a scalzarlo... Questi pensieri gli diedero la forza di chiamare. Aspettò che dall'altro capo rispondessero. Sentì alzare il microfono senza alcun suono. Ma era abituato alle stranezze del suo interlocutore.

    Sono Baresi. Disse.

    Ancora silenzio.

    Volevo informarla sul progetto GoBack.

    Finalmente una voce in risposta:

    Parli!

    Remo Favalli non ha trovato niente. Non sa che fare.

    Questo è male. Rispose la voce.

    Lo so. Mi chiedevo se avesse dei consigli da darmi...

    Il suono della comunicazione interrotta. Baresi trattenne la rabbia. Maledetto presuntuoso! Eppure ho bisogno del suo appoggio se voglio arrivare alla presidenza.

    2

      La coppia era della classe B6, due esemplari tipici, con poche particolarità. Un modello che aveva avuto una grande diffusione una ventina d'anni prima, quando venivano trasmessi dei film romantici con protagonista un attore svedese. Come si chiamava poi? Aldo Donati guardava quei due seduti vicini nella sala d'aspetto, dal vetro trasparente solo da un lato e si sforzava di ricordarne il nome. Ricordava i suoi film dove uccideva tutti i cattivi e sposava la bella, erano tutti così. Gli piaceva, quando era ragazzo, circondato dal buio in sale semivuote, guardare quell'attore superare ogni impossibile prova in quei film assurdi. Come diavolo si chiamava? Fu quell'attore a essere il prototipo del B6. Come era stato lui, i B6 erano biondi, con gli occhi azzurri, i lineamenti regolari, alti poco meno di uno e ottanta, non troppo magri. Erano tutti uguali i B6, a parte, s'intende, le piccole differenze inevitabili. Differenze cosi minime che in pratica chi faceva l'ordine, gli pseudogenitori come venivano chiamati in gergo nei laboratori, non poteva accorgersene. Un occhio disattento non avrebbe mai notato le ciglia più curve della donna, o gli zigomi meno accentuati dell'uomo. Piccoli particolari che i medici generatori erano abituati a scoprire. Per un inesperto di fisionomie genetiche erano identici. A parte il sesso s'intende. Erano due B6 maschio e femmina.

      I matrimoni tra lo stesso tipo erano invogliati ma non obbligatori. La maggior parte delle coppie era comunque della stessa classe genetica. Vestiti con cura, benestanti, curati, anche quei due come tutti, erano una coppia perfetta, eppure così irreali. Da un po' di tempo Aldo Donati aveva spesso questa impressione; come se le persone che venivano da lui fossero dei manichini, androidi, riproduzioni plastiche di uomini. I loro problemi, le loro necessità, i loro desideri erano sempre uguali, prevedibili, inutili. Perché mai gli venivano in testa certe idee? Doveva essere depresso, avere un esaurimento nervoso. Forse, si disse, dovrei farmi visitare dal reparto psicologico. Non trovava più alcuna soddisfazione nel lavoro, non sentiva dentro di sé nessuna gioia quando progettava e poi consegnava i prodotti agli pseudogenitori. Né orgoglio o altro sentimento. Stava diventando anche lui una macchina, priva di empatia. La notte precedente aveva dormito poco e male, girandosi nel letto e sudando. Devo aver avuto degli incubi, concluse, di cui fortunatamente non ricordo nulla. Probabilmente è quella nuvola di smog sulla città. Oppure perché mangio troppo. Magari mi manca qualcosa, che so, una moglie, un figlio? Qualcuno da accudire, delle responsabilità? Aldo Donati si poneva queste domande osservando i due seduti nella sala d'aspetto aspettare di essere ricevuti, intanto sul video posto sulla scrivania scorrevano i loro dati genetici tratti dalla scheda che avevano consegnato all'infermiera. Aldo stava bevendo del caffè e fumava una sigaretta con l'aeratore al massimo e la finestra aperta. Tra poco li avrebbe fatti entrare. Appena il fumo fosse scomparso. Appena ne avesse avuto la forza.

      Risuonò l'interfono: un cicaleccio infernale! Come odiava quel rumore. Aspettò in silenzio osservando il fumo salire a spirale verso la grata dell'aspiratore, in alto sopra di lui. Il suono non smetteva, gli entrava nella testa, senza nessuna considerazione. Alzò di malavoglia la levetta, urlò:

    Si!

    Dottor Donati, posso far entrare i pazienti?

    Avrebbe voluto rispondere: No. Mai più! Non fatemeli vedere. Controllò che il fumo fosse svanito. Con calma. Quella mattina gli appariva ancora più difficile del solito andare avanti. Avrebbe sentito la stessa identica storia. Era ormai così da... Quando? Anni? Ora però la legge era cambiata. Vi erano nuove disposizioni. Ora avrebbe potuto dir loro di no e non avrebbero potuto protestare. Niente da fare. Finito!

    Dottor Donati? Dottore? La voce dall'interfono insisteva. Era ancora lì. Niente pareva arrestarla. Non certo il suo silenzio in risposta. Mormorò con la voce impastata che era pronto. Lo sono veramente, si chiese, pronto per un'altra giornata, altre inutili parole? Avvertì una leggera vertigine, improvvisa, si lasciò cadere sulla poltroncina.

      Appena entrati i due B6 si sedettero composti sulle seggiole di fronte alla scrivania. Come due gemelli. Lo guardavano con apprensione, come sempre, come tutti, eppure lui non doveva dir niente per primo, su questo gli psicologi erano intransigenti. Aldo Donati sapeva che la visita veniva registrata. C'era una macchina da presa installata proprio sopra la sua testa che riprendeva tutti i pazienti, partiva in automatico appena qualcuno si sedeva su quelle sedie. Gli psicologi erano convinti che fosse necessario. L'aspetto fisico tanto simile che la genetica donava agli individui non garantiva ancora il completo comportamento omogeneo degli uomini, l'essere uniforme agli altri, l'agire conforme alle regole della vita sociale. L'ambiente influiva troppo su quello che sarebbe stato l'individuo adulto. Malgrado l'educazione avvenisse in apposite scuole, gli psicologi volevano essere sicuri che gli pseudogenitori accettassero il nuovo ordine sociale della Genetic Society, che nei pochi momenti in cui sarebbero stati in contatto con i figli non li influenzassero con esempi sbagliati. Quindi aspettò, osservandoli, sperando che il fumo fosse scomparso definitivamente. Potevano sempre denunciarlo come fumatore e lui non era poi così indispensabile. Chi lo è in questo mondo? Chi è, in pratica, non sostituibile, ora che siamo tutti uguali? Soprattutto i medici generatori erano una categoria in sovrannumero. L'uomo di fronte a lui appariva molto nervoso. Teneva le dita incrociate, strette. Aldo notò che le nocche erano quasi diventate bianche, anche i supervisori, visionando il nastro l'avrebbero notato. Non posso fare niente per lui. Erano nervosi tutti quelli che venivano lì, i futuri padri specialmente. Fu la donna a parlare per prima e disse quello che Aldo si aspettava:

    Vorremmo un figlio, dottore.

    Bene. Rispose Donati sforzandosi di sorridere. E' una buona cosa. Avete già qualche idea?

    Si. Continuò molto timida la donna. Pensavamo che ci sarebbe piaciuto un modello A.

    Sempre così... Sempre la stessa storia, pensò. Stava per parlare ma l'uomo lo precedette:

    Siamo abbastanza ricchi, sa!

    Denaro. Come al solito. Questo non era cambiato, non sarebbe cambiato mai. Il potere concesso dalla ricchezza veniva ancora considerato capace di aprire tutte le porte. Prese il coraggio a due mani, oramai senza pietà. L'accenno al denaro lo aveva reso cattivo. Rispose:

    Voi sapete delle nuove disposizioni? Per un periodo di dieci anni ogni coppia può ordinare figli solo della sua stessa classe. A con A, B con B e cosi via. Posso prenotarvi un modello B ma potete modificare il numero. Ad esempio oggi va molto il B4, o il B5, sapete, quei modelli leggermente meno alti di voi, meno nordici nei lineamenti.

    Oh, lo sappiamo cosa siamo. La donna sospirò. Abbassò lo sguardo verso terra, lisciandosi il vestito.

    Allora lei è fortunata, pensò Aldo! Sapere cosa si è. Quanti avrebbero potuto dire lo stesso? Non lui. Aveva un ricordo riguardo a questo: un ricordo scolastico, una frase che suonava come conosci te stesso o qualcosa del genere ma la presenza di quei due gli impediva di concentrarsi. La donna continuava a blaterare. Come avrebbe voluto restare solo. Uscire da quell'ufficio. Fumare.

    Dottore, vede, vorremmo che nostro figlio sia più... originale! La donna continuò in fretta. Lo so che avere un originale è impossibile... e poi con i nostri geni ormai... Fece una pausa, alzò la testa e guardò il soffitto. Per questo pensavamo a un A. Fino a un mese fa era possibile, pagando abbastanza.

    Non ora, non più! Non posso aiutarvi. Aldo era diventato brusco. L'irritazione lo portava a essere conciso, definitivo. Avrebbe voluto sbatterli fuori.

    L'uomo parlò con aria di complicità, un sorriso ebete:

    Dicono che lei sia molto bravo...

    Non troverete nessuno disposto a fabbricarvi un A!

    E poi, concluse tra sé, voi non volete un A, volete un originale. Donati aveva usato volutamente il termine fabbricare, invece dei soliti eufemismi. Non vedeva l'ora di restare solo. Doveva in ogni caso stare attento a non alzare la voce. Attenzione, si ordinò, stai calmo! Oppure la registrazione sarebbe passata dallo psicologo di turno al direttore della sezione mentale. E avrebbe dovuto rifare tutti i test attitudinali: una gran perdita di tempo. Nel frattempo stava pensando se Max avrebbe rischiato di progettare un originale per loro. Il

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