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Wild Crows: Wild Crows, #1
Wild Crows: Wild Crows, #1
Wild Crows: Wild Crows, #1
E-book300 pagine4 ore

Wild Crows: Wild Crows, #1

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Info su questo ebook

A seguito della morte della madre, Joe riceve una lettera con il nome del padre biologico e il luogo in cui vive. Sola e impotente nel suo lutto, la giovane infermiera decide di mollare tutto per partire alla ricerca del padre sconosciuto, un certo Jerry Welsh, proprietario di un bar e dirigente di un club motociclistico in California.

Sorpreso nello scoprire di avere una figlia di ventisette anni, Jerry accetta, ciò nonostante, di dargli una possibilità facendola entrare nel suo mondo e nella sua famiglia: quella di sangue e di cuore. Joe scopre la vera identità del club. Più che appassionati di moto, quegli uomini formano una vera gang che ha il controllo su ogni tipo di economia parallela.

Nuova nell’ambiente, Joe si appresta a mettere piede in un universo da cui non se ne esce indenne.

LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2019
ISBN9781071509579
Wild Crows: Wild Crows, #1

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    Anteprima del libro

    Wild Crows - Blandine P. Martin

    Blandine P. Martin

    Note legali

    Copyright © 2019 Blandine P. Martin

    Self-publishing

    Tutti i diritti riservati.

    Copertina realizzata da Blandine P. Martin

    Traduzione : Marco Casella via Babelcube

    ISBN : 9791097266677

    Deposito legale: gennaio 2019

    Ai sensi del Codice della proprietà intellettuale è proibita la copia o la riproduzione destinate ad uso collettivo. Qualsiasi rappresentazione o riproduzione integrale o parziale con qualsiasi mezzo senza il consenso dell’autrice o dei suoi aventi diritto o aventi causa è illecita e costituisce violazione ai termini degli articoli L.335-2 e seguenti del Codice della proprietà intellettuale.

    Copyright © 2019

    www.blandinepmartin.com

    A chi ama la libertà,

    A Kurt Sutter, Kim Coates, Maggie Siff,

    A quell’incredibile serie Sons of Anarchy,

    Ai grandi amanti della musica di Woodstock.

    — La felicità consiste nella libertà e la libertà nel coraggio.

    PERICLE

    Playlist

    Per chi ama ascoltare la musica, ecco una piccola playlist suggerita per la lettura di questo primo tomo. Non mancando i riferimenti musicali in questa saga, ogni capitolo avrà quindi un suo sottofondo. Potete trovarla su Youtube, pronta per essere ascoltata!

    The Day is gone - Noah Gundersen Ft The Forrest Rangers

    Say It Ain't So Joe - Murray Head

    Mr Tambourine Man – Bob Dylan

    The Passenger – Iggy Pop

    I got you - The White Buffalo Ft. Audra Mae

    The Lost boy – Greg Holden

    John the Revelator – Curtis Stiger

    Too old to die young - Brother Dege

    Broken bones - Kaleo

    Arsonist’s Lullabye - Hozier

    Like a rolling stone – Bob Dylan

    Wanted dead or alive - Bon Jovi

    The Midnight Special – Creedance Clearwater Revival

    Wild thing – The Troggs

    Psycho killer – Talking heads

    Let’s get it on – Marvin Gaye

    All along the watchtower – The Forest Rangers

    Open my eyes – Alex Clare

    God's Gonna Cut You Down – Johnny Cash

    Piece of my heart - Janis Joplin

    Soldiers Eyes - Jack Savoretti

    Crimson and Clover - Tommy James & The Shondells

    You'll never leave Harlan alive - Darrell Scott

    In my veins - Andrew Belle

    For What It's Worth - Liam Gallagher

    Vor í Vaglaskógi – Kaleo

    Who Did That To You – John Legend

    Make it rain – Ed Sheeran

    The house of the rising sun – The White Buffalo

    Capitolo 1

    Joe

    Ricordo ancora quella volta, quando avevo appena nove o dieci anni, che avevo preso in prestito i vestiti più belli dal suo guardaroba. Con ai piedi delle scarpette fin troppo grandi e con un’andatura pericolosamente sbilenca, avevo deciso di offrire a mia madre una sfilata degna di quel nome, dopo averne vista una alla televisione. Avevo finito per scegliere tra due vestiti. Non riuscendo a decidermi tra gli strass neri dell’uno e il velluto rosso dell’altro, avevo optato indecisa per entrambi. E ricordo senza problemi lo scintillio di risate che si era sollevato nel salone da parte della mia più grande ammiratrice. A quel solo ricordo, un sorriso mi illuminò di colpo le labbra. I suoi lunghi capelli biondi ondulati e le sue guance rotonde le conferivano un’aria divina, in perfetta armonia con le note che si elevavano dalla sua voce, come una carezza. Era il mio modello, il mio pilastro. Probabilmente anche il mio doppione. Con il coraggio di un leone, aveva affrontato molti ostacoli, a cominciare dal fatto di dovermi crescere da sola. Pochi erano stati gli uomini che erano riusciti a conquistare il suo cuore e che, nella loro vigliaccheria, avevano tutti finito per abbandonarla. L’ultimo, un certo Dwayne, l’aveva mollata di prima mattina senza la minima spiegazione, seppur dopo diversi mesi di rapporti idilliaci. Questo l’aveva distrutta. Il motivo? Lo conoscevo fin troppo bene. Si trattava dello stesso che mi aveva portato qui quel mattino. La gioia dei miei ricordi si offuscò lasciando il posto ad un’indomabile sensazione di ingiustizia. Perché proprio lei? Mia madre era stata un modello di vita sana per più di sessant’anni, eppure! Il destino aveva scelto di prendersela, per l’ultima volta, prendendoci chiaramente gusto ad accanirsi su di lei. Quella porcheria di gamberi l’aveva consumata fino all’osso, a cominciare dai polmoni. Per tutto quel tempo aveva tenuto duro, malgrado la malattia, conservando davanti a me quel sorriso che sarebbe rimasto scolpito per sempre nella mia memoria. Mentre le cure l’avevano consumata, si limitava a dirmi che sarebbe andato tutto bene. Io le avevo creduto. Per lei; e un po’ anche per me. Un percorso lungo pieno di difficoltà a volte insormontabili, false speranze in fase di guarigione, seguita da ricadute, come un richiamo alla dura realtà. Mia madre non c’era più e io, di conseguenza, dovevo occuparmi delle procedure amministrative.

    — Signora Blake?

    Una donna con un tailleur grigio era in piedi di fronte a me, dall’altro lato dell’ufficio. Mi interrogò con lo sguardo chiedendomi gentilmente di tornare alla realtà. Avrei voluto scappare, lontano. Molto lontano. Mi rivolse un sorriso come si conveniva e abbracciai la stanza con lo sguardo, avendo quasi dimenticato il luogo nel quale mi trovavo. Il legno verniciato ricopriva una parte dei muri e vecchie biblioteche conservavano anni di archivi in fondo vicino la finestra.

    — Be’, la ringrazio per essere venuta di mattina.

    Annuii, non proprio sicura di essere completamente presente. Il notaio aprì un dossier rilegato registrato a nome di Margaret Blake. Questa volta la realtà mi colpì in pieno, senza alcuna via di fuga. Il foulard di un perfetto biondo scuro della donna si accompagnava perfettamente con gli occhiali spessi e fin troppo classici. Inspirò un po’ più profondamente, poi entrò.

    — Allora, ci troviamo qui per leggere insieme il testamento redatto da sua mamma.

    Il termine mamma pronunciato dalla bocca di una sconosciuta per parlare della donna che mi aveva cresciuto non mi piaceva. Lo trovavo infantile. Ero l’unica che aveva il diritto di chiamarla in quel modo, quella parola aveva tutto un altro significato tra le mie labbra. Incarnava tutto l’amore che provavo per lei irradiando ormai un dolore lancinante che probabilmente mi avrebbe seguito per sempre. Ma non risposi e annuii per porre fine nel miglior modo possibile a quell’incontro spiacevole.

    — Nel suo testamento, la signora Blake ha espresso la volontà di lasciarle la sua casa.

    Non ne fui tanto sorpresa. Mia madre mi aveva già preparata a quello. Mi aveva tenuta al corrente, benché allora parlare del dopo di lei era a dir poco insopportabile. Annuii in silenzio. La signora Dorsay girò un documento verso di me dandomi una penna.

    — Se l’accetta, dovrebbe firmare in basso ad ogni pagina, per favore.

    Un dolore intenso mi risalì dalle viscere fino alla gola. Apporre un dannato scarabocchio su quei pezzi di carta aveva un senso molto più profondo di quanto sembrava. Avrebbe significato accettare la sorte che il destino aveva riservato a mia madre e capire che non l’avrei mai più rivista. Mi si serrò lo stomaco e mi chinai verso il dossier asciugando una lacrima con il risvolto della manica. Mi sforzai prendendomi tutto il tempo, e rilessi i dettagli del documento. Mai una firma era stata così faticosa. Il notaio, benché probabilmente abituato a quel genere di tragedie umane, si rese conto del mio stato di incertezza perché mi rivolse un sorriso carico di empatia riprendendo i fogli. Mi tese le chiavi e io le infilai senza tante cerimonie nella borsa, come se indicassero qualcosa di privato, di familiare, che bisognava preservare da tutto il resto.

    — Bene. Riceverà le copie in settimana. Sua mamma ha anche chiesto di farle recapitare la posta personale.

    Sollevai incerta lo sguardo verso la busta che mi diede. Apposi di nuovo il marchio sul pezzo di carta per confermare che quel giorno avevo ricevuto la posta. Ci occupammo di tutti i dettagli della successione ma una parte di me era già altrove, lontana dai miei pensieri, in un piccolo spazio dove mia madre viveva ancora, il tempo per qualche ricordo.

    *

    Girai apatica la chiave nella mia vecchia Comet nera. Il particolare rombo del motore ebbe l’effetto di una carezza confortante, coprendo il mio cuore frantumato di una sonorità abituale e rassicurante. Ero rifugiata in un guscio isolata dal resto del mondo. La busta ancora sigillata era sul sedile di dietro sulla pila di documenti. Non ero pronta ad aprirla, non ancora. Non ero forte abbastanza da leggere gli addii che mia madre si era premurata di mandarmi per iscritto. La osservai in silenzio, poi ripartii a tutta velocità con l’insaziabile bisogno di fuggire lontano da tutto quello.

    Capitolo 2

    Joe

    ––––––––

    Varcai la porta con la mente ancora altrove. Quel luogo mi aveva visto crescere e lo avevo raggiunto due anni prima per accompagnare mia madre al suo solito ospedale; era stato allora che avevo lasciato l’appartamento. Ad ogni modo, aveva appena rotto con il mio fidanzato di allora, Arthur, e avevo bisogno di cambiare. Io e mia madre ci completavamo: insieme eravamo più forti. Le donavo tutto l’amore che potevo sforzandomi di trasmetterle tutta la positività che riuscivo ad avere. Agiva come un cerotto sulle mie ferite rendendo più dolce il mio cuore infranto. Era quel bacetto magico che ci divertivamo a evocare per far sparire la bua a un bambino. Ma ormai quella grande casa mi sembrava vuota, come sospesa nel tempo. Mia madre si era premurata di rimettere tutto in ordine prima del suo ultimo grande viaggio. Era stato tutto organizzato per le sue cure fino ai suoi ultimi momenti. Non avevo dubitato neanche per un secondo delle sue motivazioni: quel modo di non lasciare niente al caso prima della partenza tradiva la preoccupazione che aveva per me e aveva il solo scopo di proteggere me, la sua unica figlia. Quei lunghi mesi di malattia le avevano lasciato il tempo di preparare il dopo. Era stato tutto programmato in anticipo, sia l’aspetto amministrativo sia delle questioni di ordine logistico. Per l’ultima volta mi aveva preservata, svolgendo il ruolo di madre devota e affettuosa. Sentii un nodo in gola. Esausta, andai a sprofondarmi verso il grande divano blu del salone. Lasciai cadere la pila di documenti del notaio sul cuscino vicino con la busta. Come mai aveva avuto il tempo di scrivermi delle lettere? Era un ultimo addio? Eppure non ci eravamo dette tutto, oltre il possibile. Perché perder tempo a dire di nuovo addio, lei che aveva sempre detto che un giorno ci saremmo riviste? Deglutii a fatica. La curiosità prese il sopravvento superando di poco l’ondata di paura e di dolore che mi assalivano con violenza. Quella busta sembrava mi stesse chiamando come uno spietato canto di sirena, ma troppo intenso per poter essere eliminato dalla saggezza. Borbottai.

    Osservai la stanza intorno a me. Sempre quel silenzio, quasi sepolcrale, che mi ricordava ogni fottuto secondo che lei non c’era più, che non sarebbe più tornata. Una vecchia solfa spazzata via da un destino crudele. La realtà che continuavo a rifiutarmi di accettare mi martellava le tempie, poi la testa, perfino tutto il mio essere. Mi consumava, terribilmente presente, in ogni piccolo angolo di quella casa.

    Conoscevo perfettamente le fasi del lutto. Era il b.a – ba nel servizio nel quale lavoravo, il piano di psicoterapia dell’ospedale della città. E senza ombra di dubbio, subito dopo lo shock, stavo affrontando la prima di queste: il rifiuto. Ben presto la collera avrebbe portato i suoi frutti. La sentivo già salire in me minacciosa. Ma per il momento mi sentivo letteralmente affogata e la luce della superficie sembrava sparire a poco a poco. Perdiamo tutti i nostri genitori prima o poi, ma non siamo preparati a questo. Dubito che ci si possa riprendere veramente.

    In casa il tempo sembrava essersi fermato, e avrei quasi potuto sentire i fantasmi della mia infanzia con le loro risatine maliziose elevarsi un po’ ovunque. Un passato scomparso per sempre. Volsi di nuovo lo sguardo sulla busta, indecisa.

    Poi – cavolo! – cedetti.

    — Che cos’hai da dirmi ancora?

    Stavo parlando da sola a voce alta; non c’era più niente che andava. Feci una risata amara, poi desistei. Trattenni il fiato, afferrai l’oggetto del mio tormento e ne strappai l’apertura. Aprii delicatamente il foglio di carta dalla scrittura femminile ed elegante. Già fremevo da quello che conteneva. Nel leggere le prime parole mi caddero le lacrime. Per ognuna di esse sentivo la dolce voce di mia madre che le pronunciava per me.

    Mia cara piccola Joe,

    Ti conosco abbastanza da sapere quanto stai soffrendo nel leggere queste parole. Però sto bene, di questo ne sono sicura.

    Per me è venuto il momento di lasciare questo mondo. Ma tu, tesoro mio, dovrai andare avanti, rialzarti, e affrontare la vita.

    Hai un cuore enorme, fin troppo grande per restare vuoto. Ed è per questo motivo che penso sia venuto il momento di dirti tutto. Perché è importante che qualcuno venga ad abitare qui al posto mio e perché, angelo mio, la solitudine non è fatta per te. Tu sei piena d’amore e devi concederlo a qualcuno, è troppo importante. Non puoi isolarti per il resto della tua vita.

    Ora ti spiego. Sono passati ventisette anni da quando la vita mi ha fatto il più bello dei regali. Te. Non hai mai osato farmi LA domanda, forse per paura di ferirmi o di essere delusa. Ma ora è arrivato il momento. Se preferisci rimanere all’oscuro di tutto, rispetterò la tua scelta. Ma sinceramente credo che avrai bisogno di sapere questa verità per iniziare una nuova vita. Se ti fidi di me, Joe, tesoro, leggi il seguito, ti prego.

    Tuo padre.

    Tuo padre si chiama Jerry Welsh.

    Mi fermai ad asciugare le lacrime che scendevano copiose tentando di calmare il respiro caotico. Indugiai un momento, sotto shock per quelle frasi non dette di lunga data messe lì su quel pezzo di carta. Poi ripresi.

    A quanto ne so, dirige una piccola attività a Monty Valley, in California. Non sa niente di te, tesoro, ed è forse questo il mio più grande rimpianto. Non tanto per lui, o per me, ma per te. Perché mi sono resa conto troppo tardi di aver fatto la scelta sbagliata, che la sua assenza avrebbe creato un vuoto nella tua vita. È tutta colpa mia e me ne assumo tutta la responsabilità. Ho agito come una madre, per il tuo bene. Ma ho fallito. Spero che oggi non sia troppo tardi per cambiare le cose e riscattarmi da questo errore, il più grande della mia vita.

    È un po’ tardi, ma non ho il coraggio di metterti fretta.

    Ma tu, Joe, tu hai questa forza, quel coraggio che mi manca. Quella foga. L’hai presa da lui.

    Troverai tuo padre, tesoro. Dagli questa lettera, se necessario. All’inizio sarà più che sorpreso. Probabilmente sarà sotto shock, arrabbiato anche. Poi entrerà nel panico, ma non fa niente. Nessuno può negare l’evidenza. Hai i suoi occhi, Joe, la sua determinazione e il suo temperamento. Il tempo farà il resto, ne sono assolutamente convinta. Ancora una volta, fidati della tua vecchia madre, tesoro mio. Il futuro ti accoglierà a braccia aperte.

    Eccoci, ci siamo questa volta. Abbi cura di te e non chiudere la porta a chi ti tenderà la mano. La giovane donna forte che sei diventata resterà il mio più grande orgoglio. Ti amo, angelo mio, con tutto il mio cuore. Il momento è arrivato, ci ritroveremo dall’altra parte. Ma fino a quel momento, vivi. Consuma ogni secondo della tua esistenza e mostra al destino ciò di cui sei capace. Combatti, battiti per difendere ciò in cui credi affinché il tuo futuro sia all’altezza di tutte le tue aspettative.

    Ti voglio bene.

    La mamma.

    Mi fermai per respirare, divisa tra shock e tristezza. Nel leggere quelle ultime parole, ebbi la sensazione che mi stava lasciando ancora una volta. Venni invasa da un flusso di emozioni troppo aggrovigliate perché potessi riconoscerle. Con le lacrime che mi appannavano la vista, facevo fatica a capire le sue parole che risuonavano ancora nella mia mente straziata. Due in particolare. Un nome e un cognome: Jerry Welsh. Mio padre.

    Sprofondai sopraffatta. Ormai ero solo l’ombra di me stessa, l’ombra di una ragazzina smarrita di fronte alle scelte della vita.

    Capitolo 3

    Joe

    Avevo lo sguardo assente nel caffè fumante che tenevo tra le dita per riscaldarle. Intorno a me, la sala dello Short Break[1] era gremita di gente. Quel piccolo luogo accogliente si trovava ai piedi dell’ospedale di Stonebridge, il che spiegava perché tanti membri del personale vi si ritrovavano per una pausa durante la giornata. La mia era appena terminata. Quel mattino aveva perso la concentrazione, e per buoni motivi. Ero tornata al lavoro all’inizio della settimana con il cuore afflitto. Ma ancor più del dolore per la morte di mia madre, che offuscava i miei pensieri – forse era il mio inconscio che faceva scudo per occupare altrove la mia mente  ̶  era il contenuto di quella lettera. Come poteva un semplice pezzo di carta cambiare veramente per sempre la mia vita? La voce stridula della mia collega Saddie sfarfallava intorno a me senza riuscire ad attirare la mia attenzione. Di solito quel tono atipico mi faceva sorridere, tanto più di quella più vicina ad essere un’amica per me. La stimavo molto e lei ricambiava. Una parte di me, tuttavia, aveva lasciato il mio corpo il giorno in cui avevo scoperto la lettera che mia madre mi aveva scritto. Questa parte di me si era rifugiata in un insormontabile mucchio di interrogativi, paure e domande che pareva non essere disposto ad uscir fuori.

    Quando le sue dita ghiacciate si posarono sulle mie, sobbalzai.

    — Ehi, mi stai a sentire?

    — Sì... no!

    Saddie mi fulminò con lo sguardo.

    — Uh... forse sì? Sì? ripetei con aria più sicura.

    Lei sospirò.

    — Senti, capisco che stai attraversando un momento difficile. Un motivo in più per prenderti una pausa e farti le giuste domande.

    — Lo so. Non prenderò decisioni affrettate.

    Lei sembrò dubbiosa.

    — Ne sei sicura? Perché è da qualche giorno che sembri essere da un’altra parte... come se te ne sei già andata.

    Inspirai profondamente, rendendomi conto che aveva ragione. Tentai di spiegarle con incertezza ciò che provavo.

    — Cerco solo di fare il punto della situazione, capisci... continuo a chiedermi che succederebbe se mi svegliassi tra trent’anni senza mai essere riuscita a conoscerlo.

    Mio padre. Era lui che mi ossessionava da una settimana. Era necessario che sapessi. Vederlo. Per un attimo notai un certo imbarazzo negli occhi azzurri della mia collega. Si sfregò le mani con un certo disagio.

    — Che farai se... se non dovessi conoscerlo?

    Si scusò subito, probabilmente consapevole del colpo che aveva appena dato alle mie aspettative. Ma non ero stupida. A ventisette anni avevo già imparato a correre i rischi della vita. In quel caso mi sarei rialzata, ferita, ma viva.

    — Immagino sia sistemato, può darsi abbia anche una famiglia. Rimarrà scioccato, probabilmente.

    — Ma comunque... ventisette anni senza dirgli niente... è davvero assurdo!

    Annuii in silenzio, con il caffè bollente e nero come le mie pupille e le mie labbra.

    — Se non vuole conoscermi, lo accetterò... credo. Che altro potrei fare non lo so.

    Saddie mi osservò in silenzio, con un’espressione rattristata sul suo viso da bambola.

    — Ad ogni modo, non rinunciare a conoscerlo, questo no. In molti lo fanno e poi si mordono le mani. Guarda Sullivan per una pausa, disse facendo le virgolette con le dita. — Una "short break" continuò scherzosamente lanciando un’occhiata verso l’insegna colorata della zona calda.

    Mi misi a ridere. Non mi succedeva da giorni. Ma Saddie, be’, era Saddie. Aveva la capacità di rincuorarmi quando andava tutto storto.

    — E comunque, se non dovesse andare come vorresti, potrai sempre riprendere il tuo posto all’ospedale e alla tua piccola vita qui.

    — Una decisione non l’ho ancora presa, le ricordai.

    — Oh, sì che l’hai presa!, disse con aria di sfida.

    Mi lanciò uno sguardo accusatore. Risi di nuovo.

    — La tua situazione qui mi sembra alquanto buona, no? Un buon lavoro, un’ottima amica, un bell’appartamento e il migliore ristorante di tacos al piano di sotto. Oh, dimenticavo, un vecchio odioso come minimo ma anche supercarino e ancora in corsa.

    — Arthur, in corsa?

    Il mio tono si fece più vivace di quanto mi sarei aspettata. Avevo rotto con Arthur Marvel due anni prima. Non riuscivo però a parlare mai di lui senza provare una provare una certa rabbia e un profondo disgusto. Le sue bugie e i suoi tradimenti non riuscivo a perdonarglieli. Dopo un anno e

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