Sangue sul Caucaso
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Thriller - romanzo breve (83 pagine) - Irina vuole vendetta. Non è intenzionata a farsi fermare in alcun modo. Da nulla e da nessuno. E la Cecenia è il luogo dove chiudere tutti i fottuti conti in sospeso.
Irina Bogdanova ha impiegato quasi due anni a riassestare, per l’ennesima volta, una vita travagliata. Ora può finalmente dedicarsi alla vendetta: a quell’ardente desiderio di rivalsa che la consuma dal giorno in cui il marito è stato assassinato. Affiancata dal fido Cesare, e coadiuvata da un ambiguo agente dei servizi segreti russi, a Irina non rimane che tornare in luoghi che le risvegliano ricordi dolorosi e mai sopiti: la Cecenia. Groznyj si rivela come una città proiettata al futuro, ben diversa da quella che aveva conosciuto, ma comunque non scevra di mortali pericoli. I monti del Caucaso, d’altro canto, si confermeranno territori inospitali e crudeli: regno di feroci separatisti in fuga, dove il pericolo può annidarsi in ogni anfratto. Centrare l’obiettivo appare sin troppo simile a una missione suicida, ma Irina è decisa a spingersi alle estreme conseguenze affinché il sangue delle sue prede scorra copioso.
Franco Luparia, classe 1964, è nato a Casale Monferrato, dove attualmente risiede e svolge l'attività di Agente di Commercio. Da sempre appassionato di libri e film di avventura, con il tempo si è sempre più indirizzato su generi specifici: action, spy story, intrighi internazionali. La lettura di decine di classici di queste forme narrative lo ha spronato a individuare la propria dimensione di autore proprio in tali contesti. Esordisce nel 2015, con un racconto per la collana Segretissimo Mondadori, ma con lo pseudonimo di Jason Hunter. Sempre con tale nickname, pubblica per Edizioni della Goccia i romanzi del ciclo Wildguy. Per Delos sono usciti diversi racconti lunghi per le collane Dream Force, Delos Passport e Spy Game. Come Jason Hunter, ha vinto il Premio Altieri 2020, con il romanzo Agente Roachford – Caccia all’incubo, in pubblicazione ad agosto 2020, in Segretissimo Mondadori.
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Anteprima del libro
Sangue sul Caucaso - Franco Luparia
9788825411720
Capitolo 1
Il Boeing 737-500 con la livrea UTair effettuò la virata che lo portò ad allinearsi con la pista dell’Aeroporto di Groznyj-Severnyj.
Irina Bogdanova, vedova Leclerq, avvertì il consueto brivido che risaliva gambe e spina dorsale per raggiungere infine la nuca. Una lieve corrente elettrica le mosse con garbo i capelli biondi sciolti sulle spalle.
Odiava gli istanti interminabili in cui i motori rallentavano il numero di giri e l’aeromobile perdeva quota con pigrizia, immerso in un’atmosfera di ovatta il cui silenzio veniva turbato unicamente dagli scatti metallici prodotti da flap, deflettori e carrello.
Con un sospiro, volse il capo per spingere lo sguardo oltre il plexigass, in direzione del territorio sottostante. Il cielo era scevro da nuvole, quella che stava terminando doveva essere stata una sfavillante giornata autunnale con pochi precedenti. L’astro diurno incendiava ancora le sommità innevate di imponenti rilievi montuosi. Irina era lontana da anni ma ricordava ancora lo spettacolo offerto dal Caucaso Maggiore, padre dei fiumi Terek e Sunža, roccaforte di ribelli irriducibili, ma anche base di partenza per i bombardamenti russi da terra.
I declivi erano ricoperti da foreste di querce, pini e, alle altitudini minori, di roveri, carpini e faggi. In essi prosperava un’elevata quantità di specie animali: orsi bruni, capre, cervi, urial. In cielo sovente si vedevano volteggiare aquile e gipeti mentre nelle radure molto spesso il viandante aveva occasione di incontrare mandrie di cavalli che scorazzavano indisturbati.
Territori selvaggi, spietati, che non concedevano margini di errore.
– Un penny per i tuoi pensieri.
La voce la riscosse inducendola a voltare il capo verso la persona seduta al suo fianco. Gli occhi azzurri di Cesare Fontana la stavano valutando e a lei parve di identificare una vena di preoccupazione in quello sguardo che lei sostenne ricambiando l’esame. Era un bell’uomo, Cesare: alto più di un metro e ottanta, i capelli biondi dal taglio a spazzola, la mascella forse troppo volitiva. Ogni volta che lo guardava ritrovava in lui il fascino che, tanti anni prima, la aveva spinta tra le sue braccia. Avevano militato insieme in un’agenzia che forniva guardie del corpo a personalità di spicco. Lui era stato un ottimo collega e un grande amante, addirittura tenero e protettivo a dispetto di tutto il resto: Fontana viveva una vita violenta, era un ottimo bodyguard, un picchiatore nato. Alla bisogna si era perfino rivelato essere un assassino freddo e determinato.
Cosa che, del resto, era lei. Non erano bastati il successivo matrimonio e il benessere derivatone a cancellare un passato brutale che, alla fine, era riemerso con prepotenza.
– Puoi immaginarli – rispose con un sussurro. – Sai cosa significa Groznyj per me. I ricordi, il dolore che vi ho lasciato, quello che mi obbliga a tornarci. Spero solo…
– Cosa? – Cesare la esortò a terminare la frase, ma con dolcezza nel tono.
– Spero solo di riuscire a fare ciò per cui sono venuta!
Irina sentì la mano dell’uomo posarsi protettiva sulla sua.
– Ce la farai… ce la faremo. Io sono con te, e ci resterò fino alla fine.
Irina appoggiò la nuca al poggiatesta e chiuse gli occhi sospirando. Il suo compagno riusciva quasi sempre a tranquillizzarla. Ma in quel momento era più difficile del solito: l’aereo stava ormai per toccare il suolo ceceno e il compito che si era imposta entrava nel vivo. Irina era tornata in cerca di vendetta, la sua era una missione di morte.
Capitolo 2
Ordine, pulizia ed efficienza; tecnologia e connettività onnipresenti.
Irina, ferma su un marciapide del trafficato piazzale antistante, si volse per osservare meglio il terminal dal quale lei e Cesare erano appena usciti: frontali grigio chiaro sostenuti da colonne verde brillante, stesso colore utilizzato per infissi e scritte in cirillico. Abbinò le immagini alle informazioni recuperate on-line: si era aggiornata a lungo sugli eventi che avevano traghettato la Cecenia, Groznyj in primis, dal periodo bellico al presente. A tale proposito, l’aerostazione rappresentava al meglio una delle prime testimonianze tangibili dell’esigenza del paese di voltare pagina. Nel ’99 la VVS russa si era adoperata nel ridurre il vecchio sito a un cumulo di macerie fumanti. Bombe e missili avevano punito senza distinzione terroristi, impiegati e civili per il rapimento del generale Ghennadij Špigun, all’epoca responsabile del Ministero russo dell’Interno per gli affari ceceni. Ricostruita dall’amministrazione Kadyrov in poco meno di otto anni, la struttura aveva inaugurato un nuovo corso: il primo aereo a decollare aveva ospitato duecento fedeli diretti alla Mecca in pellegrinaggio. I successivi voli a divenire regolari erano stati quelli che collegavano Mosca alla capitale caucasica.
Irina decise di muoversi: lontani ricordi sussurravano di una città messa a ferro e fuoco, stretta dalla morsa di dolore e sofferenza. Le nozioni apprese le suggerivano di una condizione attuale diametralmente opposta. La curiosità la spingeva alle opportune verifiche sopendo per il momento lo spirito di rivalsa.
Cercò il compagno con lo sguardo e lo trovò, a pochi metri da lei, intento a inveire alle spalle di una vettura gialla che si stava allontanando da loro.
– Cesare, che ti succede? – volle sapere dopo averlo raggiunto.
– Possibile che questa gente non capisca un cazzo di inglese o francese? – rispose lui piccato – È il secondo tassista che, mentre tu ammiravi quello schifo di costruzione, mi borbotta qualcosa di incomprensibile, per poi piantarmi in asso!
Irina non riusci a trattenere un sorriso, rendendosi conto che era il primo da molto tempo.
– Magari hai la faccia sospetta – scherzò, incredula di riuscirci. – Vuoi vedere che io ci riesco subito?
Dedicò attenzione al vivace andirivieni di vetture nell’ampio piazzale alzando al contempo un braccio. All’istante accostò una Vesta Sedan nuova di zecca, con colori e insegne dei taxi locali.
– Sai che scoperta, le belle donne funzionano ovunque.
Alle parole di un Fontana contrariato Irina non riuscì a trattenere una risata cristallina. Quell’uomo riusciva addirittura ad alleggerire tensione e tristezza, unica compagnia costante degli ultimi mesi. La gratitudine che Irina provava nei suoi confronti ingigantiva a ogni momento trascorso insieme.
L’allegria sul bel viso lascio spazio a un’espressione di incertezza quando dal posto di guida scese una specie di matrona. Irina la squadrò mentre le si avvicinava. Indossava abiti dozzinali ma decorosi: una giacca antracite piuttosto sformata su una lunga gonna dello stesso colore che lasciava a malapena intravvedere un paio di consunti anfibi neri. Un hijāb di un grigio più chiaro copriva capo, orecchie e spalle. Irina, studiando la porzione di volto visibile, non riuscì ad attribuirle un’età.
La tassista articolò quella che, dall’inflessione, pareva una domanda.
– Non comprendo il dialetto Nakh – si giustificò Irina – ma come vede parlo russo.
L’altra chinò il capo in segno di scusa. Quando rispose utilizzò lo stesso idioma di Irina.
– Sono stata imperdonabile, la prego di non volermene. La mia auto è a sua disposizione.
– Dobbiamo andare in centro – la informò Irina e intanto richiamò a sé Cesare con un cenno della mano. L’uomo si avvicinò trascinando i due trolley che costituivano il loro bagaglio.
Irina notò un moto di imbarazzo irrigidire la tassista.
– Qualche problema?
– Ecco… il mio sarebbe un taxi riservato alle donne.
Irina strabuzzò gli occhi: – Che novità è questa? Non posso lasciare qui il mio compagno: pare non ci sia nessuno dei suoi colleghi libero. Dovremmo aspettare qui chissà quanto tempo.
L’altra donna rimase in silenzio per un lungo istante, si morse pensierosa il labbro, quindi cedette: – D’accordo, andiamo. Ma lei siederà davanti con me.
Quando Irina ebbe comunicato l’indirizzo la conducente mosse il veicolo e